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2 Agosto 2023

INTERVISTA A GIORDANO CAVINI CASALINI DI ULTIMA GENERAZIONE

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Il caporedattore di Atman Journal Pietro Menichetti intervista Giordano Cavini Casalini, attivista di Ultima Generazione. Le numerose manifestazioni di disobbedienza civile portate avanti da Ultima Generazione hanno generato un ampio dibattito, tra opere d’arte coperte di vernice e blocchi stradali i componenti di questa realtà hanno catturato l’attenzione del grande pubblico. Con un approccio senza precedenti, Ultima Generazione ha guadagnato una vasta base di sostenitori ma anche suscitato controversie e critiche feroci. Noi di Atman abbiamo cercato di capire insieme a Giordano i motivi di queste azioni, talvolta estreme, che a molti italiani sembrano prive di senso. Giordano ci racconta come nasce Ultima Generazione e quali sono le loro principali richieste verso il governo italiano, ci parla dei motivi personali e comuni che spingono le persone a partecipare direttamente alle azioni. Il momento in cui ci troviamo è significativo, l’Italia è stata colpita da avverse condizioni climatiche, infatti il cambiamento climatico è una realtà che stiamo vivendo sulla nostra pelle in queste settimane: violenti temporali, inondazioni e temperature estreme continuano a provocare grossi danni destinati a peggiorare nei prossimi decenni.

Parlaci un po’ di Ultima Generazione, come nasce e come si sviluppa? Quali sono i capisaldi del vostro movimento?

Ultima Generazione nasce da un altro movimento internazionale che è Extinction Rebellion, infatti ha pratiche simili, poi ha acquisito indipendenza e un’identità propria da circa due anni. Nasce con la richiesta di installazione di 20 gigawatt di rinnovabili verso il governo italiano, invece la richiesta attuale è quella di bloccare i finanziamenti pubblici ai combustibili fossili, si parla di circa 40 miliardi l’anno in vari settori riguardanti sempre il fossile. Vorremmo che il governo smetta di investire soldi per trovare nuovi siti da cui prelevare fonti fossili, da cui invece dovremmo distaccarci, sarebbe meglio dirottare il denaro su altri bisogni che hanno i cittadini, l’idea sarebbe di chiedere alla popolazione quali sono i loro bisogni primari, per esempio riqualificazione energetica, sanità pubblica o trasporti pubblici. La non violenza è l’elemento principale nel portare avanti questa campagna e la strategia è quella della disobbedienza civile, per creare un disturbo e andare a infrangere leggi ma anche valori, usi e costumi del nostro sistema attuale. Ultima Generazione è la parte italiana di questa campagna di disobbedienza civile, ma noi aderiamo al Network A22, che è una realtà internazionale di cui fanno parte altri movimenti di altri paesi con i quali ci confrontiamo e con cui condividiamo la strategia. Per esempio quando abbiamo fatto il blocco al traforo del Monte Bianco abbiamo collaborato con gli attivisti francesi che si trovavano dall’altra parte a fare la nostra medesima azione.

Come organizzate le vostre azioni di disobbedienza civile? 

Siamo una campagna di cittadini, è un sistema orizzontale quindi ci dividiamo in gruppi locali, gruppi di cittadini vicini a livello geografico che condividono valori e che possono attivarsi in modo autonomo e fare azioni di disobbedienza civile non violenta. Ci sono delle chiamate più di tipo nazionale, come abbiamo fatto recentemente a Roma, dove abbiamo fatto dei blocchi stradali e l’azione si è conclusa con alcuni cittadini che si sono cosparsi di fango davanti al Senato. Gran parte delle nostre azioni ha senso portarle a Roma dove si trovano le istituzioni e le sedi ufficiali del governo italiano, ma anche a livello locale le persone si mobilitano e infatti sono state fatte azioni in varie città italiane.

Quanto è difficile partecipare direttamente alle azioni? Cos’è che ti/vi spinge a farlo?

Ho partecipato a diverse azioni come l’imbrattamento di Palazzo Vecchio a Firenze, inoltre il blocco dei jet privati a Milano dove abbiamo collaborato con Extinction Rebellion. In realtà i limiti più forti sono i rischi che corriamo come cittadini, perché andiamo incontro a denunce e multe, poi c’è il tempo, visto che ci sono persone che lavorano e che hanno famiglia, quindi si mettono a rischio facendo delle azioni. Io per esempio lavoro nella sanità pubblica e quando hai dei processi penali in corso poi diventa difficile lavorare in quei settori. Noi veniamo identificati solo come giovani ma ci sono tante persone più grandi che ci supportano in altri modi, talvolta passando direttamente all’azione. C’è una forte preoccupazione, i giovani si sentono più colpiti dal pericolo del collasso climatico e hanno paura di quello che sarà il futuro e di come lo vivremo. Ognuno ha anche motivi personali, il mio è un senso di responsabilità e di dovere per le persone a me care come mia figlia di 8 anni e verso il lavoro che per quasi sei anni ho svolto nella psichiatria, specialmente con adolescenti tra i 14 e i 18 anni. Sono venuto a contatto con tanti ragazzi, ho condiviso molto con loro, ognuno con i propri problemi affronta un lungo percorso per poi tornare a vivere una vita degna di essere chiamata tale, anche loro mi spingono a impegnarmi.

Perché avete scelto il modus operandi delle azioni non violente? Quali sono gli obiettivi di esse?

Occorre fare una precisazione su questa domanda: se un autista viene bloccato nel traffico e gli viene impedito di spostarsi è normale che la percepisca come un’azione violenta verso di lui/lei. Certo, la nostra non è una lotta armata e questa è una scelta del movimento, infatti noi la definiamo non violenta perché l’intento non è di danneggiare nessuno, nemmeno coloro che portano avanti le nostre azioni. Le azioni che prevedono di lanciare la vernice sull’opera d’arte o di bloccare le strade non hanno come obiettivo il danneggiamento delle opere o il fatto di far star ferme le persone in macchina. Sono azioni simboliche che hanno altre tematiche dietro: l’idea del blocco stradale è quella di creare un blocco a un sistema che ci sta portando verso il collasso. Ci sono tante metafore dietro, trasportare l’autista in una concezione che può essere in parte la percezione di quello che accadrà. Sei bloccato, magari al caldo sotto il sole, non puoi andare a lavoro e non puoi svolgere la quotidianità che hai sempre conosciuto. Può essere difficile da comprendere, ma se non facciamo niente accadrà che ognuno soffrirà sempre di più il caldo, non potrà svolgere le proprie attività quotidiane, vedrà limitata la propria libertà di spostamento, perderà il lavoro. C’è anche l’idea di una presa forte di posizione per chiedere alle istituzioni di agire, quindi vengono fatte azioni che loro non possono ignorare. Noi pensiamo che questo sistema non risponda ai bisogni dei cittadini, quindi portiamo avanti azioni che si scontrano con esso e i suoi meccanismi e i suoi valori. Sull’opera d’arte per esempio non c’è la volontà di andare a danneggiarla realmente, ma si vuole colpire qualcosa che è un po’ un simbolo della nostra mentalità comune, infatti la gente si sgomenta e questa azione cattura l’attenzione creando dibattito. Spesso ci viene chiesto: ma perché non fate una marcia? Perché non fate un dibattito? Semplicemente perché ci sono già figure che lo fanno ed anche con molta efficacia, per esempio Luca Mercalli che fa informazione scientifica e lo fa molto bene, ma è giusto che lo faccia lui e non noi. Noi come cittadini abbiamo scelto la disobbedienza civile anche come strumento complementare che si può unire ad azioni già presenti sul territorio.

Che tipo di reazione trovate nella società civile? Sono quelle che vi sareste aspettati oppure a volte rimanete sorpresi?

Le reazioni sono sempre abbastanza forti, quelle più forti in assoluto sono quelle scaturite dai blocchi stradali, c’è aggressività da parte di chi le subisce ed è anche comprensibile. Ciò rischia di allontanare le persone, spesso tanti sono d’accordo con il tema che portiamo ma è il modo che non è funzionale. È un’azione concreta che va a sfidare i valori tradizionali, come dicevo prima. Un’azione che colpisce direttamente porta le persone a chiedersi il perché e a riflettere sulla questione. Spesso le persone hanno una reazione forte a pelle, ma in un secondo momento vanno a leggere i motivi dei blocchi e pur restando in disaccordo con la modalità si avvicinano in parte alla nostra causa. Ancora spesso ci viene domandato perché non facciamo altri tipi di azioni, ma mi pare evidente che queste ci siano e che non abbiano portato a una risoluzione del problema; informazione e sensibilizzazione si fanno da cinquant’anni, ben vengano ma serve di più. Mi verrebbe da chiedere alle persone che criticano il modo, ma tu cosa hai fatto? Non per sfidarli o colpevolizzarli, ma se non hai fatto nulla per il tema risulta un po’ saccente venirmi a dire che dovrei fare questo o quest’altro. Tutti hanno un’idea migliore, ma nessuno ha dimostrato nella realtà che lo sia. C’è un’altra riflessione che aggiungo io sulla sensibilizzazione: è importante, ma se noi agiamo solo attraverso essa, portiamo un’informazione contraria a quella mainstream, che è diffusa dal sistema. Ma è evidente che noi non abbiamo la stessa influenza, quindi è normale che rimaniamo sempre una minoranza, per una persona che raggiungo io, i mezzi di informazione tradizionali ne raggiungono mille. Certo che un pochino la sensibilizzazione aumenterà, per esempio il movimento Fridays for Future con le proteste degli studenti ne ha portata, ma non è stato quel cambiamento necessario che può risolvere il problema. Le azioni creano danni, anche economici, sia ai cittadini che alle aziende, però il dibattito è esistito, i cittadini hanno fatto le loro richieste che non sono state ascoltate dalle istituzioni, rendendo necessario quello che stiamo facendo.

Siete riusciti a coinvolgere molte persone col passare del tempo? Sta aumentando la partecipazione?

Sì. Siamo partiti con una manciata di persone, circa 20, mentre adesso le persone attive sono un centinaio sul territorio nazionale. Poi c’è tutta la campagna di sostegno che è molto più ampia. Pensa quanto sono riuscite a fare a livello mediatico 100 persone e se fossero 1000 a farlo? In 100 hanno portato il nostro governo, anche se in chiave repressiva, a interessarsi di quello che facciamo tanto da pensare a disegni di legge per aumentare le pene per noi attivisti, eppure questo problema nazionale viene da soli 100 cittadini non violenti. Ci sono organizzazioni ben più ampie e strutturate, ma che hanno molto meno impatto di noi, che siamo pochi, non abbiamo strumenti e non abbiamo soldi. Questo credo sia un aspetto interessante della disobbedienza civile, con questo non voglio dire che tutti devono farla, però le va riconosciuta una certa efficacia. Io sono sceso in campo più recentemente, voglio sottolineare che la campagna è aperta a tutti, il fare parte di Ultima Generazione non significa che non fai parte di altre azioni o altri movimenti. Per esempio io partecipo ancora ad azioni con Exctinction Rebellion, frequento un centro sociale vicino a casa mia che ha ormai 33 anni di occupazione. Io mi sento un cittadino che sceglie di aderire a questa campagna perché ne condivido i valori e i principi, però non sono Ultima Generazione, posso avere altre ideologie politiche e partecipare ad azioni di diverso tipo. Ci sono diverse figure che ci appoggiano, come delle parti politiche che iniziano ad approvare, almeno in parte, le nostre azioni e i nostri temi. Vedremo come andrà, ma vorrei sottolineare che alcuni legali hanno lanciato una petizione chiedendo agli avvocati di prestarci supporto per i processi in corso e futuri.

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