21

Luglio
21 Luglio 2022

C’ERAVAMO TANTO AMATI

0 CommentI
60 visualizzazioni
21 min

Quando si affronta un argomento del genere c’è veramente il rischio di partire per la tangente. I signori benpensanti sono già pronti a controbattere sostenendo che una rivoluzione sessuale che comprenda: la dissoluzione della famiglia, l’istituzione del matrimonio, e affermi la naturale educazione infantile e adolescenziale sia qualcosa di utopico e di estremamente nocivo. Supporre che questo programma sessuoaffermativo sia irrealizzabile offende una parte vitale della nostra storia recente, la quale invece ci ha dimostrato l’attuabilità di queste politiche.

Costringersi a credere e ad accettare una cosa senza Le politiche in campo sessuale effettuate durante la guida leninista sono state trascurate dall’analisi storiografica sull’Unione Sovietica. Il perché è facilmente intuibile, data la portata dei cambiamenti compiuti, ma ciò che sconvolge maggiormente è la totale indifferenza della sinistra rivoluzionaria per questa stupefacente parentesi. Seppur breve, questo periodo è di vitale importanza per qualsiasi indagine in campo libertario. Studiare quanto accaduto nei primi anni della Rivoluzione russa e i fattori che hanno impedito il perseguimento di questa nuova vita è il punto da cui dobbiamo ripartire oggigiorno se vogliamo effettuare un cambiamento reale nella nostra natura meccanica comprenderla è un atteggiamento politico e non spirituale o intellettuale.

L’indifferenza da parte del mondo rivoluzionario è altrettanto preoccupante, poiché, mai nessun altro Stato si è diretto verso una così profonda liberazione dell’essere umano. L’esempio che mi accingerò a illustrare riguarda, a mio avviso, la più grande rivoluzione dell’era moderna: la Rivoluzione russa. In particolar modo la Rivoluzione sessuale bolscevica effettuata sotto la guida di Vladimir Lenin. Prima di esporre la lotta per la nuova vita in Unione Sovietica vorrei inquadrare la legislazione in materia sessuale durante l’epoca zarista. Leggi sessuali, in linea di principio, coerenti con la legislatura degli altri paesi borghesi, e quindi diretta verso una inibizione sessuale delle masse.

Ecco alcuni estratti della legislatura zarista prima dell’avvento della Rivoluzione: 

Art.106 del Codice: Il marito è obbligato ad amare la moglie come il suo stesso corpo, a vivere con lei in concordia, a onorarla e ad assisterla durante le malattie. Egli è obbligato a procurare alla moglie, secondo la sua posizione e le sue possibilità, i mezzi di sussistenza.             

Art.107: La moglie è obbligata a obbedire al marito in quanto capo della famiglia, a restare presso di lui con amore, deferenza e obbedienza illimitata, e a concedergli ogni favore e ogni devozione in quanto donna di casa.       

Art.164: L’autorità dei genitori concerne i figli di ambo i sessi e di qualunque età.             

Art.165: Per correggere i figli disobbedienti ai genitori compete il diritto di far uso di misure domestiche di correzione. In caso di fallimento di tali metodi è potere dei genitori:

1. Chiudere in prigione i figli di ambo i sessi, che non siano impiegati statali, per disobbedienza ostinata all’autorità dei genitori e per condotta di vita immorale. 

2. Sporgere querela presso le autorità giudiziarie. [..] ai figli verrà impartita, su richiesta dei genitori e senza particolare inchiesta giudiziaria, una pena detentiva da 2 a 4 mesi.

Analizzando questo clima di coercizione in cui la Russia zarista si trovava, possiamo constatare che la vita sessuale delle persone sia soggetta alla legge e non al libero perseguimento delle proprie pulsioni. Della possibilità che due persone possano avere una relazione senza contrarre matrimonio neanche l’ombra: il marito è obbligato ad amare la moglie, anche se quest’ultimo non prova più qualsiasi attrazione verso di essa; la moglie è obbligata ad amare il capo famiglia e a non possedere un’indipendenza economica in quanto donna di casa. Infine, i figli, come in qualsiasi altra società coercitiva che si rispetti, devono sottostare all’autorità dei genitori. Addirittura, in questo caso i genitori possono chiudere i propri figli in prigione!

Inoltre, lo Stato zarista poneva come istituzione centrale del proprio ordinamento la famiglia patriarcale, al fine di perpetuare l’asservimento sessuale delle nuove generazioni. Ovunque si attui una morale di questo genere, le libertà sessuali sono soltanto un miraggio.             

Con la presa al potere dei bolscevichi nell’ottobre del 1917 si assistette, però, per la prima volta nella storia al perseguimento delle libertà sessuali distruggendo la vecchia morale coercitiva con delle politiche che miravano al soddisfacimento delle proprie pulsioni sessuali, e quindi a una vita sessuoaffermativa. Su quanto accaduto in Unione Sovietica dal 1917 al suo disfacimento è stato detto tutto e di più, dalle politiche economiche a quelle politiche fino alla deriva autoritaria intrapresa da Stalin, ma mai nessuna menzione è stata fatta alla rivoluzione sessuale sovietica, ai più rimasta sconosciuta. Wilhelm Reich, medico e psichiatra austriaco è l’eccezione. Nel suo libro: La rivoluzione sessuale (Feltrinelli, 1963), Reich espone lucidamente il percorso storico intrapreso in Russia in quegli anni, sostenendo che “la repressione sessuale è alla base della psicologia di massa di una data civiltà, e precisamente quella patriarcale e autoritaria, in tutte le sue forme”. Una rivoluzione sessuopolitica che se perpetuata nel tempo avrebbe portato alla dissoluzione definitiva delle nevrosi presenti nella struttura psichica delle masse, in favore di un atteggiamento affermativo nei confronti della vita e di conseguenza alla disgregazione del sistema capitalistico, faro della negazione dell’esistenza). 

Le prime disposizioni furono emanate il 19 e 20 dicembre del 1917 da parte di Lenin, le quali nei contenuti abolivano, di fatto, tutta la legislazione zarista vista in precedenza. La prima disposizione era denominata “Dello scioglimento del matrimonio”, mentre la seconda aveva il titolo “Del matrimonio civile, dei figli e della registrazione presso l’Ufficio di Stato civile”. Entrambe le leggi esprimevano inequivocabilmente l’abolizione dell’autorità patriarcale, presupposto fondamentale per privare al marito del diritto di guidare la famiglia; davano alla donna piena autodeterminazione materiale e sessuale, dichiarando ovvio che la donna potesse decidere liberamente cognome, residenza e cittadinanza. Avendo già privato, attraverso la rivoluzione, il potere della classe dominante, il passaggio successivo non poteva che essere la dissoluzione della famiglia, istituzione primaria della società autoritaria e cardine dello Stato borghese.

La famiglia aveva perso, così, la sua funzione di cellula riproduttiva di persone altamente nevrotiche, timorose della vita e sottomesse all’autorità. Nella seconda disposizione veniva enunciato lo scioglimento del matrimonio coercitivo, in accordo con la semplificazione della vita voluta dal sistema dei soviet. D’ora in avanti i matrimoni già contratti potevano essere sciolti con la stessa facilità con cui erano stati stipulati. Inoltre, i matrimoni religiosi furono aboliti e rimpiazzati dagli Uffici dello Stato civile.

Come scrisse lo scrittore russo P. Zagarin: “Grazie alla legislatura attuale è possibile completare la procedura di scioglimento del matrimonio in soli 15 minuti”. Decisivo, in questo caso, risultava essere solo il consenso di uno dei due coniugi. Non era più la legge, quindi, a guidare lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma il loro libero proposito. Pretendere dei motivi per divorziare divenne una cosa senza senso. Come nel comunismo primitivo se un coniuge avesse voluto divorziare non sarebbe stato tenuto a motivarlo a nessuna autorità, al contrario, il semplice declino dell’attrazione verso il partner era sufficiente. Il divorzio divenne un fatto puramente privato e gestito dai diretti interessati. Colpa e dissensodivennero fatti puramente estranei alla nuova vita sessuale intrapresa dai soviet. Alla fine del 1918 quasi settemila coppie avevano divorziato nella sola Mosca. I divorzi superarono i matrimoni civili. Nel 1927 a Mosca ci furono 9.3 divorzi ogni mille persone, una percentuale tre volte superiore a quella registrata a New York nel 2014. Inoltre, a livello nazionale, nella prima metà del 1927, una coppia sovietica su quattro aveva divorziato.

Oltre a queste due imponenti trasformazioni rivoluzionarie, nel 1920, fu concesso a tutte le donne, senza eccezione, il diritto a effettuare, entro i primi tre mesi, l’interruzione della gravidanza in apposite cliniche pubbliche. L’Unione Sovietica fu il primo paese al mondo a legalizzare l’aborto e a realizzarlo in modo del tutto gratuito. 

Il 18 novembre 1920, il Commissario Popolare della Salute del Popolo e il Commissario Popolare della Giustizia emanarono un decreto congiunto “Sulla protezione della salute delle donne”, che proclamava la natura libera e gratuita degli aborti. La legalizzazione dell’aborto si inseriva nel contesto naturale della vita, per il quale è inconcepibile costringere una donna a partorire figli per amore di un potere che sta sopra di loro. Il fatto di avere figli rientrava nella naturale gioia di vivere, in armonia con una vita sessuoaffermativa e non nella sottomissione a una pretesa morale in discordanza con essa. Così, l’aborto si poneva nella chiara espressione del puro godimento sessuale senza, però, avere figli. La distinzione tra sessualità e genitalità venne esplicitata a gran voce.  Per assistere a una simile legge in un paese civilizzato e “progressista” come l’Italia si dovette aspettare la legge del 22 maggio 1978 (58 anni dopo!), la quale depenalizzava e regolarizzava le modalità di accesso all’aborto. Prima di allora il Codice penale italiano considerava l’aborto come un reato e veniva punito con la reclusione (art.545–548). Da quel momento in poi in Unione Sovietica sarebbe bastata solo la volontà della donna, la ricetta del medico e l’aborto era fatto. Sì, bastava solo il volere della donna! Poiché in questi casi il diritto di decidere spetta solo alla donna e a nessun altro. Il fatto che questa disposizione sia stata regolamentata e sia divenuta di dominio pubblico fu un enorme passo in avanti. Questa rimarrà una delle più grandi lezioni sessuopolitiche dell’Unione Sovietica, ovvero che la soddisfazione sessuale deve essere scissa una volta per tutte dalla procreazione.             

Per quanto riguarda l’omosessualità, prima dell’avvento dei bolscevichi in Russia vigeva l’articolo 995 del Codice zarista, promulgato dallo zar Nicola I di Russia, secondo il quale le relazioni omosessuali (muzhelozhstvo), consenzienti e in forma privata erano bandite. Inoltre, le persone condannate venivano spogliate dei propri diritti civili e trasferite in Siberia per un periodo di tempo che poteva andare dai quattro ai cinque anni. In seguito, la Rivoluzione d’ottobre dichiarò nullo l’art.995, e la voce a riguardo venne rimpiazzata con una nuova disposizione presente nella grande Enciclopedia ufficiale sovietica. Il nuovo paragrafo stabiliva che bisognava abbattere i muri che separavano gli omosessuali dalla società; essa fu concepita come innata o come processo personale e individuale, rimarcando solennemente che le scelte sessuali sono fatti privati e non soggetti alla legge o ad alcun tipo di morale. 

Tutte queste riforme sessuali si ponevano l’obbiettivo di aiutare gli esseri umani a sviluppare liberamente le loro capacità naturali. Un altro esempio di come venne affrontata la rivoluzione sessuale in Unione Sovietica fu la ristrutturazione antiautoritaria della sessualità infantile. Uno dei punti cruciali, infatti, per una rieducazione sessuoaffermativa della struttura psichica delle masse è proprio la liberazione degli impulsi biologici dei bambini.  L’esperienza rivoluzionaria in ambito sessuale in Unione Sovietica, però, va inquadrata in un periodo ben preciso, poiché la deriva autoritaria intrapresa dai nuovi vertici del partito non lasciò scampo nemmeno all’ambito della sessualità. Questa nuova vita nell’URSS ebbe, ahimè, vita breve. 

Dal 1924 in avanti si poté assistere allo smantellamento della legislatura instaurata sotto la leadership di Lenin e proprio con la morte di quest’ultimo e la conseguente ascesa al potere di Stalin, ogni nuova riforma venne riposta nella propria cornice conservatrice e sessuonegativa. 

Vennero voltate le spalle alle precedenti disposizioni riguardanti la dissoluzione della famiglia. I collettivi socialisti che negli anni precedenti avevano preso il posto della famiglia e avevano collettivizzato l’educazione dei figli furono sciolti.  Il trionfo della politica reazionaria portò alla reintroduzione della famiglia come fondamento della società e dello Stato, così facendo l’educazione dei figli venne nuovamente affidata a genitori incompetenti e nevrotici. Venne ripristinato il diritto naturale e la piena potestà dei genitori nei confronti dei figli e multe salate a chiunque avesse abbandonato la famiglia. 

La collettivizzazione dell’educazione dei figli venne effettivamente abolita con provvedimenti repressivi negli anni 1933–1935. In quegli stessi anni venne revocata anche la regolamentazione sul matrimonio adottata nel 1918. L’Unione Sovietica abbandonò l’ideologia delle unioni libere e stabilì spese onerose per qualunque coniuge volesse divorziare, rendendo di fatto questa pratica un lusso per pochi. L’idea della collettivizzazione dell’educazione infantile fu abbandonata in favore di politiche pro-familiari.             

Nel 1934 venne reintrodotto il paragrafo zarista sull’omosessualità e le persecuzioni agli omosessuali tornarono a verificarsi in misura crescente. Nel gennaio del 1934 a Mosca, Leningrado, Charkiv (capitale dell’Ucraina Sovietica) e Odessa si verificarono arresti in massa nei confronti di omosessuali. Alle detenzioni furono date motivazioni politiche, tra di loro si trovavano numerosi attori e musicisti che furono condannati a vari anni di carcere o nel peggiore dei casi all’esilio in Siberia. Nel marzo del 1934 venne promulgata una legge, autorizzata dal bolscevico Michail Ivanovic Kalinin, che vietava e puniva il rapporto sessuale fra persone dello stesso sesso; tale rapporto sessuale venne definito “crimine sociale” e punito con pene di reclusione dai tre ai cinque anni. Da quel momento la stampa sovietica inaugurò una campagna contro l’omosessualità definendola come “fenomeno di degenerazione della borghesia fascista”.

Nonostante la breve durata di questa esperienza rivoluzionaria, quanto accaduto in Unione Sovietica sotto la guida di Lenin non deve essere dimenticato. Le cause per cui questa esperienza terminarono furono molteplici: gli strascichi della Prima guerra mondiale, della Rivoluzione d’ottobre e della guerra civile russa con le carestie dei primi anni Venti non andarono di certo a vantaggio di una rivoluzione così faticosa e di un tema così strutturato nell’animo umano come quella legato alla sessualità conservatrice. Un cambiamento di questa portata presuppone una rivoluzione culturale imponente che richiede moltissimo tempo. Inoltre, dobbiamo ricordare che questa è stata la prima rivoluzione sessuale di questo tipo e quindi è comprensibile che sia naufragata così presto. Dopo la morte di Lenin, infatti, la nuova nomenklatura  bolscevica ha dato la preminenza all’economia facendo passare la questione sessuale in secondo piano. Agli asili nido collettivisti furono reintrodotte forme di insegnamento patriarcali, nella quali la competizione e l’istruzione autoritaria avevano la precedenza. Come riportano da alcuni pedagoghi del tempo, alle interrogazioni gli insegnanti chiedevano: “Qual è la tesi principale del VII Congresso dell’Internazionale Comunista?”. L’ideologia prese il posto della sessualità e delle attività motorie, ma essa non potrà mai conceder loro ciò che offre la rivoluzione sessuale. È indubbio però che un’ideologia possa offrire sfilate, marce, bandiere, inni e uniformi. Proprio come il fascismo.

Una rivoluzione culturale presuppone un cambiamento della struttura psichica delle masse e questo richiede anni, se non secoli. Le politiche economiche si attuano in pochi anni, mentre le “ideologie” si attuano più lentamente. Nonostante ciò, tengo a fare una precisione per tutti quei signori benpensanti che generalizzano sulla storia dell’Unione Sovietica definendola una dittatura come un’altra. L’URSS dal 1924 fino alla sua dissoluzione si è macchiata dei peggiori crimini e ha attuato politiche fasciste negatrici della vita, mentre l’Unione Sovietica dal 1917 al 1924 è stata il punto di partenza per una società libera. In quegli anni, infatti, la tematica della sessualità era entrata nella vita pubblica, si era fatta politica, ovvero sessuopolitica. Studiare nel profondo quelle politiche, la loro attuazione e la forza con il quale sono state inserite in cima all’agenda politica deve essere di grande lezione per tutti noi. 

Deridere tutto questo e sminuire la storia dell’Unione Sovietica non considerando quanto è stato fatto nei suoi primi anni di vita è fare un torto a noi stessi e alla tanto auspicata libertà. Se non porremo un cambiamento alla nostra vita sessuale, essa continuerà in modo distorto, nocivo e patologico.

Condividi:
I commenti sono chiusi