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Giugno
6 Giugno 2024

DENTRO LA ZATTERA DEL CINEMA: INTERVISTA AD ALBERTO PARADOSSI

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16 min

Alfredo Tessieri parla con Alberto Paradossi, attore classe ‘89 e nato a Lucca, la stessa città di Alfredo. Formatosi alla scuola di recitazione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, Alberto inizia la propria carriera districandosi tra il teatro e il cinema in ruoli piccoli o da comprimario. Dopo qualche anno arriva l’occasione più importante: diventare attore protagonista con la pellicola Zamora, debutto alla regia di Neri Marcorè. Insieme ad Alfredo, Alberto ripercorre la sua carriera, spaziando dagli inizi fino a tematiche più generali, come i cambiamenti in atto nell’industria cinematografica. Non mancheranno aneddoti importanti direttamente dal set a condire questa interessantissima intervista.

Ciao Alberto, innanzitutto volevo ringraziarti di cuore per aver accettato con entusiasmo di partecipare a questa chiacchierata.

Ciao Alfredo, grazie a te dell’invito. È un piacere per me.

Mi incuriosisce sempre molto come ogni artista sceglie di approcciarsi al mondo dell’arte, perciò: come nasce e si sviluppa in te la passione per la recitazione? È stato un processo graduale o c’è stata una pellicola in particolare che ti ha fatto pensare: “Okay, io voglio fare questo mestiere nella vita”?

La passione c’è sempre stata ma era sopita fino ai quattordici anni, quando iniziai a frequentare con alcuni amici un laboratorio teatrale a Lucca. Il processo che mi ha portato a scegliere di intraprendere questa carriera è stato molto graduale e progressivamente mi ha condotto davanti a un bivio. Lì mi sono appellato all’istinto come se fossi stato davanti a una sliding door e ho incominciato il mio viaggio.

Qual è stata, quindi, la tua ginnastica cinematografica di formazione?

Megavideo che dava i film in streaming. Grazie di cuore, davvero. Ho visto di tutto tranne gli horror che mi mettono ancora ansia e i fantasy che mi alienano.

Durante un incontro di Marcello Mastroianni con gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma del 1988, il noto attore espresse questo parere: “Ho sempre pensato che una scuola (di recitazione, Ndr) fosse interessante, necessaria. Per un motivo che non ha niente a che vedere con la tecnica, l’apprendere come si recita. Per un motivo molto più semplice, […] una scuola ti permette di stare con altre persone che hanno la tua stessa mania, la tua stessa fissazione. Vivere con un gruppo che la pensa come te, che ha gli stessi sogni, gli stessi ideali”. Mastroianni non ha mai frequentato questo tipo di scuole, prima di salire alla ribalta faceva l’impiegato. Invece tu, considerando la tua formazione presso il CSC, cosa pensi ti abbia lasciato quell’esperienza?

Mi trovi sulla stessa linea di Mastroianni, per quanto apparteniamo a tempi molto diversi e non posso sapere cosa lo abbia portato a questa riflessione. Cerco di contestualizzarla ad oggi. Al Centro Sperimentale ho avuto l’opportunità di incontrare non solo altre persone a me affini in quanto attori e attrici, ma anche studenti e studentesse di altri corsi: regia, sceneggiatura, produzione, suono, montaggio, scenografia e costume. Ho incontrato punti di vista diversi dal mio. Non guardavamo dallo stesso binocolo. Questo mi ha permesso di ampliare la mia curiosità e crearmi un mio pensiero, o meglio uno stare pensante in mezzo agli altri. Credo che questo fatto oggi sia importante ancor più dei tempi di Mastroianni. La figura dell’artista è ancor di più isolata e distante dalle dinamiche della società civile, dinamiche che invece dovrebbero essere più inclusive e dialoganti.

In che modo, secondo te, la figura dell’artista è più isolata e distante dalla società civile?

Sono e sarò sempre un oppositore del pensiero “si stava meglio prima”, ma in certe situazioni la storia va rispettata. Il lavoro artistico prevede un processo di produzione creativa che ovviamente ha un costo. Un costo economico che ad oggi, per ragioni di involuzione del mercato, le istituzioni non sono più in grado — o non vogliono, vedi tu — di sostenere. Un costo umano che risiede nella pazienza del pubblico che in un mercato di consumo frenetico sta perdendo i pezzi. Perché andare al cinema o a teatro se ho tutto a casa? Questo limita anche la socialità dell’individuo, l’arte è fondamentale se pensata come connettore sociale. Bastano già solo questi due aspetti per mettere ai margini chi lavora nello spettacolo: attore, regista, sceneggiatore che sia. Concludo con un dato che fa riflettere: il contratto nazionale della categoria attori e attrici è stato firmato per la prima volta in Italia nell’autunno 2023.

Molto spesso sentiamo dire dai tuoi colleghi o dagli addetti ai lavori che “chi non sa recitare può fare il cinema, ma sicuramente non può fare il teatro”. Quasi come se ci fosse una netta distinzione tra la sacralità del teatro e la sciagurataggine del cinema. Cosa ne pensi?

Mi viene da rispondere: Ok, boomer! Bisogna come in ogni analisi fare delle distinzioni. È vero che nel cinema è molto importante l’aspetto della telegenia che alle volte può essere decisivo quando si è davanti a delle scelte; mentre a teatro essendo insieme all’attore o all’attrice puoi ammirarne al meglio le potenzialità. Ma il seme è lo stesso, sono solo tecniche diverse. C’è chi è più efficace con una tecnica e chi con un’altra. Io non credo che si possa semplificare il discorso portandolo a questi minimi termini.

Nella tua carriera cinematografica hai avuto il piacere di condividere il set con attori e attrici del calibro di Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Neri Marcorè e tanti altri ancora. Cosa ti hanno lasciato maggiormente queste figure sia a livello professionale che umano?

Dipende da quanto tempo riesci a condividere con loro sul set e fuori. Alcuni di quelli che hai citato li ho incontrati un giorno solo, altri invece sono molto riservati. Sono persone come gli altri, ho imparato col tempo a non idealizzare troppo e saper ascoltare. Conditio sine qua non per avere uno scambio e apprendere. Ho lavorato con Marcorè, Favino, Albanese e Timi, ognuno mi ha dato semplici consigli ma preziosissimi. Quei dettagli che fanno la differenza.

Hai un aneddoto indiscreto o comico che vorresti condividere con i lettori di Ātman?

Magari ci sono episodi che al momento sono freschi e non sono ancora passati all’aneddotica. Uno c’è, anche se andrebbe raccontato a voce, ci provo. Il primo incontro con Gianni Amelio per Hammamet. Non so chi, ma qualcuno gli aveva detto che sapevo suonare la chitarra, mai vero.  Quando lo incontrai lui mi propose comunque di imparare Piazza Grande di Dalla, e avevo solo 12 giorni. Quando ci rincontrammo lui non era in giornata e andò malissimo: praticamente mi fece un provino da cantante. Quando gli feci notare che io ero lì come attore, Gianni scoppiò dalla rabbia e mi lasciò lì dicendomene quattro. Una settimana dopo mi richiama un numero di telefono che non conoscevo, rispondo. Dall’altra parte una voce:

“Pronto ciao Alberto, sono Gianni Amelio, volevo scusarmi per l’altra volta. Sono stato un cafone”

“Grazie Gianni”

“Ti ho anche chiamato per dirti che non avrai più 2 pose (giorni di lavoro, Ndr) ma 8. Sei contento?”

“Ma che stai dicendo? Ma veramente?”

“Alberto io sono matto mica stronzo”

Ecco questo è Gianni Amelio, per me.

Dopo qualche anno di carriera hai ottenuto finalmente la prima parte da assoluto protagonista nel film Zamora di Neri Marcorè, al suo debutto alla regia. Questo film ti vede protagonista nella Milano degli anni Sessanta nei panni di Walter Vismara. Com’è cambiato il tuo approccio recitativo da figura di spicco? Com’è stato lavorare con Marcorè?

Incontrare Neri per me ha voluto dire molto. Lo seguivo da sempre, è stato uno dei miei comici di riferimento. Quindi ho avuto a che fare con una persona che rappresentava per me qualcosa di altro, di passato e di profondo. È stato un incontro — se vuoi — che trascende dalle quotidiane dinamiche lavorative. E che la mia prima esperienza da protagonista si sia incontrata con la sua prima prova da regista assume dei significati ancora più forti. Ho apprezzato il rispetto e l’intelligenza artistica e umana di una persona che ha saputo creare una squadra che in poche settimane di lavoro ha fatto qualcosa di un livello molto alto. Sono stati due mesi intensi che rifarei adesso, non era scontato che Neri affidasse ad un emergente il ruolo del protagonista, non entro in merito alla questione “i soliti nomi” — ha avuto il coraggio e la fiducia che spero di aver ripagato sullo schermo. L’approccio cambia proporzionalmente alla consapevolezza che riesci ad acquistare lavorando sul set e su te stesso. Molte volte il mio lavoro è stato anticipatorio rispetto agli eventi che mi sono poi successi a livello personale. Non credo sia un caso.

Nella tua filmografia hai partecipato a serie TV prodotte da Netflix (Guida astrologica per cuori infranti, 2021), a fiction andate in onda sulla TV generalista (Romanzo familiare, 2018) e pellicole distribuite nelle sale cinematografiche italiane (Hammamet, 2020). In un’intervista degli anni Ottanta Federico Fellini parlava del cinema come “suggestione ipnotica, ritualistica, [..] si parcheggiava la macchina in qualche posto, poi ci si incolonnava, il biglietto, la tenda che si apriva, la mascherina, guardare la platea mezza illuminata, riconoscere degli amici, poi questa luce che si attenua, lo schermo che si accende e comincia la rivelazione, il messaggio”. Con l’arrivo della televisione ieri e delle piattaforme di streaming oggi, che ruolo possiede oggigiorno il cinema?

Sono bei racconti questi, e credo che fino agli anni Novanta fosse così, anzi io ho dei ricordi simili. Poi tutto si è velocizzato, possiamo anche dire che si è accorciata la pazienza in generale. Dalla TV privata alle piattaforme il processo creativo viene sempre meno tollerato perché ha un tempo necessario e il tempo ha un costo. “Perché fare una cosa con 10 milioni quando allo stesso costo ne puoi fare 3 più lunghe, in termini di intrattenimento?” Questa forma mentis, ormai largamente diffusa su scala globale, sul cinema ha avuto un impatto piuttosto significativo rispetto ad altre industrie. E adesso se ne stanno vedendo tutte le conseguenze. Figurarsi adesso con una classe politica che nel nuovo decreto-legge ha ulteriormente tagliato del 40% i fondi per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo. Ma mi fermo qua che poi si entra in un ginepraio.

Amo i gineprai…sono d’accordo sul fatto che questa forma mentis si stia insinuando tra le crepe del cinema, ma quali sono le reali conseguenze di tutto ciò? Qual è l’impatto significativo?

Il ginepraio è presto spiegato. L’industria del cinema e dell’audiovisivo si basa in buona parte su fondi pubblici. Dalla cosiddetta Credit Tax grazie al quale lo Stato anticipa il 40% del costo dell’opera che poi la produzione reinveste sul mercato. Detta tecnicamente sono crediti d’imposta  che vengono inseriti nel cassetto fiscale delle produzioni nella misura del 40% dell’importo, in fase preventiva, e per il restante 60% all’approvazione della richiesta definitiva. 
Il Governo attuale nella seconda parte del 2023 ha bloccato l’emissione della suddetta Credit Tax e in questo momento sta operando un taglio del 40% ai fondi stanziati. Da ottobre ad oggi, la produzione è quasi interamente in stand by, solo quelli — pochi — che se lo possono permettere stanno andando avanti. Questa situazione è anche maturata in seguito ad un precedente periodo in cui invece c’era un gettito di soldi più ampio che ha visto nascere opere finanziate e mai uscite nelle sale. Una mini versione di quello che è successo esattamente nell’edilizia con il super bonus 110%.

Un’ultima domanda per concludere, cosa significa per te fare l’attore?

Dovresti chiederlo alla gente in giro. La loro risposta sarà sicuramente più interessante, rivelatrice e illuminante della mia. Avrai inaspettatamente risposte su come la gente vede e percepisce la società in cui vive. Alle volte ci vedono lontani dalle loro realtà esattamente come per i politici — perché è molto comune che il nostro venga visto come un non lavoro, esattamente come per chi si occupa di politica. Solo che noi siamo partite IVA che lavorano a progetto. Quindi facciamo più tenerezza.

Grazie mille Alberto, è stata una piacevolissima chiacchierata, in bocca al lupo per tutto!

Grazie a te Alfredo!

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