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Febbraio
15 Febbraio 2024

UN (NON) ELO­GIO A FACE­BOOK

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Sgom­bria­mo subi­to il cam­po dai pos­si­bi­li frain­ten­di­men­ti: quel­lo che segue non è un elo­gio a Face­book, o quan­to meno non vuo­le esser­lo. Se i difet­ti dei social net­work di cui si scri­ve­rà non sono com­ple­ta­men­te appli­ca­bi­li a que­sta spe­ci­fi­ca piat­ta­for­ma è pur vero che, fos­se anche sol­tan­to per anzia­ni­tà, se i difet­ti in que­stio­ne non ce li ha, in qual­che modo li ha comun­que cova­ti den­tro di sé, li ha nutri­ti e testa­ti in cir­ca un decen­nio di spe­ri­men­ta­zio­ne e len­ta modi­fi­ca del tes­su­to socia­le in cui anda­va espan­den­do­si.

In secon­do luo­go, oggi Face­book è il nome di una piat­ta­for­ma, non più di un’azienda. Quest’ultima si chia­ma Meta, e com­pren­de al suo inter­no anche Insta­gram, il qua­le i difet­ti di cui sopra (e di cui sot­to) li con­tie­ne pra­ti­ca­men­te tut­ti.

Tut­to que­sto ser­ve da una par­te a met­te­re gof­fa­men­te le mani avan­ti; dall’altra a defi­ni­re bene le cose dal prin­ci­pio in modo da evi­ta­re il rischio che un’analisi e una rifles­sio­ne piut­to­sto set­to­ria­li ven­ga­no gene­ra­liz­za­te e let­te come una spe­cie di apo­lo­gia.

La sto­ria evo­lu­ti­va di Face­book

Face­book è nato nel 2004, ma abbia­mo dovu­to aspet­ta­re qual­che anno pri­ma di vede­re un’esplosione in ter­mi­ni di nume­ro di uten­ti e uti­liz­zo.

Come tut­ti gli altri social net­work, anche Face­book è sem­pre sta­to in con­ti­nua evo­lu­zio­ne, ma a dif­fe­ren­za del­le altre piat­ta­for­me le fun­zio­na­li­tà che sono sta­te aggiun­te a Face­book han­no spes­so avu­to una dimen­sio­ne oriz­zon­ta­le. La pos­si­bi­li­tà di mes­sag­gia­re pri­va­ta­men­te è sem­pre sta­ta una pre­ro­ga­ti­va del social blu, amplia­ta nel 2008 gra­zie all’applicazione Face­book Mes­sen­ger. I grup­pi, con la con­se­guen­zia­le pos­si­bi­li­tà di crea­re com­mu­ni­ty tema­ti­che, risal­go­no al 2010. Il Mar­ket­pla­ce, intro­dot­to nel 2016, si è anda­to con­so­li­dan­do nel cor­so del tem­po, e ad oggi risul­ta uno degli stru­men­ti più uti­liz­za­ti da chi vuo­le ven­de­re onli­ne del­la mer­ce usa­ta. Tut­to que­sto sen­za con­si­de­ra­re i ten­ta­ti­vi (ad oggi) abor­ti­ti: dal­le crip­to­va­lu­te alle app d’incontro.

A tut­to ciò si aggiun­ga un siste­ma sem­pre più sofi­sti­ca­to di comu­ni­ca­zio­ne pub­bli­ca, fat­to di rea­zio­ni al posto del solo “Mi Pia­ce”, di rispo­ste ai com­men­ti e post per gli Even­ti dal vivo.

Insom­ma, fat­ta ecce­zio­ne per l’incredibile popo­la­ri­tà di WeChat in Cina, negli anni Face­book è diven­ta­ta la cosa più simi­le che esi­sta a quell’“app tota­le” tan­to bra­ma­ta da Elon Musk. Que­sto fino a un paio di anni fa.

Il crol­lo di Face­book

Il 2 feb­bra­io del 2022 non deve esse­re sta­ta una bel­la gior­na­ta per Mark Zuc­ker­berg, che per la pri­ma vol­ta in 18 anni ha visto dimi­nui­re gli uten­ti gior­na­lie­ri sul­la sua piat­ta­for­ma, con un note­vo­le impat­to nega­ti­vo sui tito­li azio­na­ri.

Ovvia­men­te, Face­book non per­de uten­ti per­ché la gen­te ha deci­so di vive­re di più fuo­ri dagli scher­mi, anzi, la pan­de­mia ha acce­le­ra­to un trend oppo­sto. La veri­tà è che Face­book sof­fre ormai da qual­che anno la con­cor­ren­za: prin­ci­pal­men­te quel­la del colos­so cine­se Tik­Tok, ma anche quel­la inter­na di Insta­gram o quel­la di altre piat­ta­for­me come You­Tu­be o Twitch.

Non è cer­ta­men­te una rive­la­zio­ne che le per­so­ne che stan­no abban­do­nan­do Face­book, pre­fe­ren­do­gli i com­pe­ti­tor, sia­no soprat­tut­to i gio­va­ni.

Stan­do alle sta­ti­sti­che c’è una cor­ri­spon­den­za qua­si diret­ta fra fascia d’età e social pre­fe­ri­to. Gli ado­le­scen­ti pre­fe­ri­sco­no di gran lun­ga Tik­Tok, e più l’età si abbas­sa più il dato vie­ne con­fer­ma­to. Oggi per un tre­di­cen­ne pro­ba­bil­men­te già Insta­gram è poco attrat­ti­vo per­chèap­par­tie­ne a una gene­ra­zio­ne diver­sa, lo usa­no i fra­tel­li mag­gio­ri. Face­book, inve­ce, è pro­prio da vec­chi, una cosa da geni­to­ri, o, addi­rit­tu­ra, da boo­mer.

Banal­men­te, la con­tra­zio­ne degli uten­ti di Face­book non è altro che la con­se­guen­za diret­ta del­la sua pre­ce­den­te e rapi­da espan­sio­ne. In più di un quin­di­cen­nio di popo­la­ri­tà, Face­book è arri­va­to a rag­giun­ge­re tut­ti, ma pro­prio tut­ti, anche tua non­na, che in que­sto modo può far­ti gli augu­ri pub­bli­ca­men­te, sul suo pro­fi­lo, sen­za tag­gar­ti.

A ciò si aggiun­ge il fat­to che in diciot­to anni il mon­do è cam­bia­to, per­ché le per­so­ne sono cam­bia­te: alcu­ne sono invec­chia­te, altre sono cre­sciu­te, altre anco­ra sono nate. Una ven­tot­ten­ne iscrit­ta­si a Face­book nel 2009 e rima­sta incin­ta lo stes­so anno oggi ha un figlio che va alle supe­rio­ri. Non c’è da sor­pren­der­si se un ragaz­zo non vuo­le fre­quen­ta­re gli stes­si luo­ghi (sia­no anche luo­ghi digi­ta­li) che fre­quen­ta sua madre.

L’effetto è un cir­co­lo vizio­so per il qua­le gli adul­ti met­to­no in fuga i gio­va­ni, i qua­li in que­sto modo lascia­no lo spa­zio ad adul­ti anco­ra più adul­ti, che se ne impos­ses­sa­no e lo riem­pio­no di “Buon­gior­nis­si­mi Kaffe!1” e simi­li.

Ma cosa c’è che non va in Face­book?

Nien­te, è que­sto il pun­to. Come ho cer­ca­to di argo­men­ta­re in pre­ce­den­za, Face­book in sé rap­pre­sen­ta l’esperienza social più com­ple­ta. Vie­ne lascia­to ampio spa­zio al testo, sen­za sacri­fi­ca­re quel­lo per i con­te­nu­ti mul­ti­me­dia­li, e le for­me di comu­ni­ca­zio­ne non si limi­ta­no all’unidirezionale crea­tor-audien­ce che inve­ce domi­na gli altri social net­work. Nel­la sua strut­tu­ra di base, Face­book rap­pre­sen­ta­va dav­ve­ro il ten­ta­ti­vo di crea­zio­ne di uno spa­zio se non pro­prio demo­cra­ti­co (c’è un pro­prie­ta­rio, un con­si­glio d’amministrazione e un fat­tu­ra­to pri­va­to) quan­to meno col­let­ti­vo. Rap­pre­sen­ta­va, al pas­sa­to, per­ché le cose sono cam­bia­te anche lì.

Se usa­te anco­ra Face­book pro­ba­bil­men­te ve ne sie­te accor­te e accor­ti da soli. Con che fre­quen­za vi imbat­te­te in post dei vostri ami­ci? Che fine han­no fat­to i post di quel grup­po di cuci­na cine­se nel qua­le era­va­te entra­ti, per­ché com­pa­io­no sol­tan­to i post dei soli­ti due/tre grup­pi? Ma soprat­tut­to? Cosa sono tut­ti que­sti con­te­nu­ti spon­so­riz­za­ti? Cosa sono i “con­si­glia­ti per te?”

Tut­to que­sto è l’effetto di un pro­gram­ma pre­ci­so, che sta coin­vol­gen­do tut­te le piat­ta­for­me Meta, in un ten­ta­ti­vo di affan­no­so inse­gui­men­to del­la logi­ca dei “per te” di Tik­Tok.

Non è una novi­tà. Insta­gram ancor pri­ma che Face­book, ha sem­pre avu­to le anten­ne drit­te, pron­ta a cap­ta­re le ten­den­ze e a repli­car­le. Lo ha fat­to con le sto­ries pre­se da Sna­p­chat e con i reels ispi­ra­ti a Tik­Tok. Face­book lo ha segui­to a ruo­ta, e ades­so anche tuo padre può scor­re­re all’infinito un flus­so di con­te­nu­ti allo stes­so tem­po ano­ni­mi e alta­men­te per­so­na­liz­za­ti. Ano­ni­mi per­ché tuo padre non cono­sce nes­su­na del­le per­so­ne che vede in video, per­so­na­liz­za­ti per­ché a furia di cal­co­la­re i secon­di di per­ma­nen­za su ogni sin­go­lo video l’algoritmo — anta­go­ni­sta per­fet­to di que­sti anni ’20 — lo cono­sce meglio di quan­to lui cono­sca sé stes­so.

I social diven­te­ran­no tut­ti ugua­li?

Ma a furia di pesca­re nel lago degli altri va a fini­re che pren­di anche tu gli stes­si pesci. E così uno stru­men­to nato per repli­ca­re sul digi­ta­le una dina­mi­ca socia­le già esi­sten­te nel­la real­tà, si sta len­ta­men­te tra­sfor­man­do in quel­lo che già sono tut­ti i social net­work: un’alternativa alla real­tà.

L’idea che sta­va die­tro al con­cet­to di social net­work era quel­la di amplia­re le con­nes­sio­ni socia­li fra le per­so­ne: recu­pe­ra­re vec­chi ami­ci o tener­si fre­quen­te­men­te in con­tat­to con quel­li attua­li. Anche quan­do la cosa ha ini­zia­to a sfug­gi­re di mano, si man­te­ne­va comun­que all’interno di una logi­ca di spe­cu­la­ri­tà con la vita offli­ne. I tuoi ami­ci su Face­book era­no per­so­ne che cono­sce­vi dal vivo, maga­ri anche sol­tan­to super­fi­cial­men­te; oppu­re era­no per­so­ne che pro­prio attra­ver­so i social net­work impa­ra­vi a cono­sce­re, con le qua­li strin­ge­vi un rap­por­to.

Per que­sta ragio­ne su Face­book c’erano, e ci sono anco­ra ades­so, le pagi­ne, del­le qua­li all’epoca “diven­ta­vi fan”. Era una real­tà net­ta­men­te sepa­ra­ta dal­le per­so­ne, le qua­li con­ser­va­no una com­po­nen­te di uma­ni­tà da con­trap­por­re all’oggettività ina­ni­ma­ta dei pro­dot­ti, o dei per­so­nag­gi famo­si, che pote­vi limi­tar­ti a segui­re pas­si­va­men­te.

Il gio­co è cam­bia­to. Il con­fi­ne fra ogget­to frui­to e sog­get­to frui­to­re si è dis­sol­to, facen­do sì che i sog­get­ti da sem­pli­ci uten­ti qua­li sono aspi­ri­no allo sta­tus di ogget­to di cul­to, influen­cer da ido­la­tra­re, con­vin­ti che sol­tan­to in quel modo potran­no otte­ne­re una vera voce rile­van­te, e quin­di con­ver­tir­si dav­ve­ro in sog­get­ti veri e pro­pri. Un para­dos­so allu­ci­nan­te. Una ten­den­za che anche Face­book ha deci­so di asse­con­da­re. Scri­ve Ire­ne Doda, in La piaz­za digi­ta­le, arti­co­lo appar­so sul­la rivi­sta onli­ne Sia­mo­mi­ne:

“Face­book e Insta­gram han­no in men­te di pro­por­re più con­te­nu­ti con­si­glia­ti dai siste­mi auto­ma­tiz­za­ti di rac­co­man­da­zio­ne, o spon­so­riz­za­ti, inve­ce che favo­ri­re le inte­ra­zio­ni con mate­ria­le pub­bli­ca­to da ami­ci o cono­scen­ti, come era all’inizio dell’era del web 2.0 (gli uten­ti, comun­que, non sono sta­ti trop­po con­ten­ti di que­sta scel­ta azien­da­le). Insom­ma, si sta inse­guen­do una con­fi­gu­ra­zio­ne di rela­zio­ni sem­pre meno reci­pro­ca (se di vera reci­pro­ci­tà si può par­la­re, in un ambien­te comun­que domi­na­to da colos­si pri­va­ti) e sem­pre più pilo­ta­ta dall’alto, in cui ha meno peso lo scam­bio di infor­ma­zio­ni tra pari e acqui­si­sco­no inve­ce impor­tan­za gli influen­cer e i crea­tor pro­fes­sio­ni­sti in gra­do di gene­ra­re enga­ge­ment.”

Que­sto web 2.0, que­ste rela­zio­ni reci­pro­che, que­sto scam­bio di infor­ma­zio­ni fra pari, in Face­book c’erano. Face­book con­ser­va­va la natu­ra del forum e quel­la del blog, era uno spa­zio di comu­ni­ca­zio­ne oriz­zon­ta­le.

Non lo sarà più?

Non cre­do. La ver­ti­ca­li­tà impo­sta, con i con­te­nu­ti spon­so­riz­za­ti e con­si­glia­ti, fini­rà per aggiun­ger­si e non sosti­tuir­si a un impian­to strut­tu­ra­to pro­prio per l’orizzontalità. Banal­men­te il mar­ket­pla­ce con­ti­nue­rà a esi­ste­re, solo che i ven­di­to­ri saran­no sem­pre meno cono­scen­ti. Ci saran­no anco­ra i grup­pi, ma for­se sarà una pub­bli­ci­tà a indi­riz­zar­ti­ci, for­se sarà la stes­sa pub­bli­ci­tà a crea­re il tuo desi­de­rio pri­ma, e la tua pas­sio­ne poi, per l’argomento di quel­lo stes­so grup­po. Nien­te di trop­po diver­so dal­la vec­chia pub­bli­ci­tà, nien­te di trop­po diver­so dai media di sem­pre.

Face­book si tra­sfor­me­rà in una spe­cie di piat­ta­for­ma fede­ra­le, nel­la qua­le set­to­ri diver­si rispon­do­no a un’unica orga­niz­za­zio­ne cen­tra­le, ma con­ser­va­no cia­scu­na la pro­pria natu­ra e la pro­pria fun­zio­na­li­tà. Un ven­ten­ne com­men­te­rà in un grup­po da 10.000 per­so­ne sul rap ita­lia­no, ma non scor­re­rà i reels di Face­book, gli pre­fe­ri­rà quel­li di Insta­gram; men­tre pro­prio lì, a qual­che byte di distan­za, sua madre sta­rà riden­do a un “video comi­co” sul­la rou­ti­ne nel matri­mo­nio. Non so nean­che per­ché uso il futu­ro, visto che tut­to que­sto è già real­tà. Il futu­ro vero, nei pia­ni di Meta, è let­te­ral­men­te il Meta­ver­so, uno spa­zio in cui l’alternativa alla real­tà per­de­rà per­fi­no il suo por­ta­to alle­go­ri­co.

Cer­to è che il ten­ta­ti­vo di attrar­re i gio­va­ni con i mez­zi del­le piat­ta­for­me pre­fe­ri­te dai gio­va­ni met­te qua­si tene­rez­za. Tut­to l’impianto reg­ge­rà giu­sto fin­ché ci sarà qual­cu­no a con­ti­nua­re a usa­re Face­book come già lo usa. Poi qual­cu­no mori­rà, qualcun’altro invec­chie­rà. Lo stes­so suc­ce­de­rà con Insta­gram, con Tik­Tok e con qua­lun­que altra crea­zio­ne uma­na. Per quan­to mi riguar­da aspet­to il momen­to in cui i nostri nipo­ti guar­de­ran­no uno stitch, o un green screen fat­to male ed escla­me­ran­no: “Ok, zoo­mer”.

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