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4 Dicembre 2023

TRAF­FI­CO DEI MIGRAN­TI: DAL FILM “IO CAPI­TA­NO” UNA LET­TU­RA DEL­L’E­VO­LU­ZIO­NE DEL­LA TRAT­TA DEGLI ESSE­RI UMA­NI IN LIBIA

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Per il tema trat­ta­to e per la visi­bi­li­tà otte­nu­ta, il film di Gar­ro­ne Io Capi­ta­no è, oltre che un fat­to este­ti­co, un even­to socia­le. L’opera con­tri­bui­sce infat­ti a col­ma­re un vuo­to impor­tan­te nel dibat­ti­to pub­bli­co ita­lia­no sui flus­si migra­to­ri pro­ve­nien­ti dal­la Libia, offren­do un’immagine visi­va del viag­gio a cui cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne sono sta­te obbli­ga­te, negli ulti­mi vent’anni, per fug­gi­re da pover­tà, guer­re, per­se­cu­zio­ni e cata­stro­fi natu­ra­li, e giun­ge­re in Euro­pa. In par­ti­co­la­re, vie­ne rap­pre­sen­ta­to, in modo anche piut­to­sto cru­do, il modus ope­ran­di del­le reti del traf­fi­co libi­che. L’efferatezza e la man­can­za di scru­po­li dei traf­fi­can­ti libi­ci è cosa piut­to­sto nota in Ita­lia, ma le imma­gi­ni memo­ra­bi­li di Io Capi­ta­no ren­do­no anco­ra più ama­ra l’indifferenza ver­so le sto­rie dei soprav­vis­su­ti, intrap­po­la­ti nei nostri kaf­kia­ni siste­mi di acco­glien­za o, peg­gio, di rim­pa­trio. Que­ste imma­gi­ni pos­so­no esse­re uti­li per rico­strui­re le ragio­ni sto­ri­che che han­no por­ta­to a que­sta situa­zio­ne. Inqua­dra­re e ana­liz­za­re l’evoluzione dell’immigrazione ille­ga­le nel con­te­sto socia­le, poli­ti­co ed eco­no­mi­co libi­co degli ulti­mi vent’anni con­sen­te di com­pren­de­re le cau­se pro­fon­de dei meto­di di lavo­ro dei traf­fi­can­ti libi­ci, e, quin­di, del­le atro­ci­tà subi­te dai migran­ti.

L’Economia Poli­ti­ca del Traf­fi­co di Migran­ti in Libia

Per rea­liz­za­re la sce­neg­gia­tu­ra del film, gli auto­ri si sono avval­si di varie sto­rie per­so­na­li, fra cui quel­le di Mama­dou Kouas­sì e Fofa­na Ama­ra che han­no svol­to il viag­gio in Libia rispet­ti­va­men­te nel 2008 e nel 2014. Due sto­rie sepa­ra­te a livel­lo cro­no­lo­gi­co dal­la Rivo­lu­zio­ne del 2011, che por­tò alla cadu­ta del regi­me di Ghed­da­fi e a una situa­zio­ne di rela­ti­va anar­chia che per­du­ra anco­ra oggi e che vede tito­la­re del­la sovra­ni­tà sul ter­ri­to­rio libi­co non più un’autorità sta­ta­le ma una ple­to­ra di atto­ri non sta­ta­li, mili­zie arma­te rela­ti­va­men­te auto­no­me e fon­da­te su lega­mi etni­ci, ideo­lo­gi­ci e tri­ba­li. Finan­zia­te anche da gover­ni stra­nie­ri (Tur­chia, Rus­sia, Ita­lia, Ara­bia Sau­di­ta…) inte­res­sa­ti a man­te­ne­re il con­trol­lo del­le risor­se natu­ra­li (petro­lio e gas) del pae­se, esse si con­ten­do­no in modo pre­da­to­rio l’accesso alle varie fon­ti di gua­da­gno, lega­li e ille­ga­li. Nel film si fa rife­ri­men­to soprat­tut­to a quest’ultima fase del­la Sto­ria libi­ca. Tut­ta­via, per ave­re un qua­dro com­ple­to, è neces­sa­rio appro­fon­di­re come il traf­fi­co dei migran­ti si è svi­lup­pa­to in Libia dagli ini­zi del Due­mi­la.

2002–2008: Nasce un nuo­vo set­to­re dell’economia infor­ma­le, con­trol­la­to dal regi­me di Ghed­da­fi

Fino alla fine degli anni Novan­ta, la Tuni­sia era sta­ta il prin­ci­pa­le pun­to di par­ten­za dei migran­ti deci­si a rag­giun­ge­re via mare l’Europa. Ma, osta­co­la­ti in patria dagli accor­di sui rim­pa­tri fra Ita­lia e Tuni­sia del 1998, i traf­fi­can­ti tuni­si­ni furo­no costret­ti a spo­star­si. La chiu­su­ra di altre trat­te, come quel­le dal Maroc­co o dal Sene­gal ver­so la Spa­gna, fece del­la Libia l’unico pun­to di par­ten­za ver­so le coste euro­pee a dispo­si­zio­ne dei traf­fi­can­ti. Pas­sa­re ille­gal­men­te il con­fi­ne marit­ti­mo fra Nord-Afri­ca ed Euro­pa era di gran lun­ga più van­tag­gio­so per i migran­ti. Que­sto per­ché, in quel perio­do, rag­giun­ge­re qual­sia­si aero­por­to euro­peo da uno sca­lo afri­ca­no, con docu­men­ti fal­si, pote­va costa­re fino a 7000 dol­la­ri. Il prez­zo del­lo stes­so viag­gio via ter­ra fino alle coste libi­che e poi via mare attra­ver­so il Cana­le di Sici­lia, sep­pur più lun­go, ne costa­va appe­na 3000 (fon­te). Ini­zial­men­te i traf­fi­can­ti si sta­bi­li­ro­no a Zuwara, la stes­sa loca­li­tà da cui i due pro­ta­go­ni­sti si imbar­ca­no per l’Italia in Io Capi­ta­no. La cit­tà ven­ne scel­ta per­ché vici­na al luo­go d’origine dei traf­fi­can­ti, e per la sua ‘vici­nan­za’ (tre­cen­to chi­lo­me­tri) con Lam­pe­du­sa.

Per que­stio­ni poli­ti­che, logi­sti­che e socia­li, la Libia fu uno sno­do idea­le per le rot­te dei migran­ti e luo­go flo­ri­do per gli affa­ri dei traf­fi­can­ti.

San­zio­na­ta dal­le Nazio­ni Uni­te per il coin­vol­gi­men­to di agen­ti libi­ci nell’attentato aereo di Loc­ker­bie, in Sco­zia (21 dicem­bre 1988), la Libia non ave­va in quel perio­do rap­por­ti diplo­ma­ti­ci con i pae­si euro­pei. Nel bre­ve perio­do i gover­ni euro­pei non pote­ro­no strin­ge­re col pae­se accor­di sul con­trol­lo dei flus­si migra­to­ri, come quel­li fir­ma­ti con Tuni­sia e Maroc­co.

Svi­lup­pan­do­si in mare aper­to, la rot­ta del Medi­ter­ra­neo Cen­tra­le risul­tò mol­to più dif­fi­ci­le da con­trol­la­re del­la rot­ta tuni­si­na o maroc­chi­na. Meta di immi­gra­zio­ne sin dal­la sco­per­ta del petro­lio negli anni Ses­san­ta, la Libia era inol­tre già stret­ta­men­te col­le­ga­ta con i cir­cui­ti migra­to­ri dell’Africa Sub-Saha­ria­na e del Cor­no d’Africa. Duran­te il suo regi­me, Ghed­da­fi uti­liz­zò spes­so le poli­ti­che migra­to­rie come stru­men­to diplo­ma­ti­co per met­te­re sot­to pres­sio­ne i part­ner regio­na­li, a pre­scin­de­re dal­le rea­li esi­gen­ze dell’economia. Ciò rese estre­ma­men­te pre­ca­ria la figu­ra del migran­te in Libia e con­tri­buì a crea­re un’infrastruttura ille­ga­le per il tra­spor­to tran­sfron­ta­lie­ro di per­so­ne. Alcu­ne loca­li­tà del Saha­ra, come Sabah e Kufrah, diven­ne­ro cen­tri eco­no­mi­ci estre­ma­men­te vita­li e pre­di­spo­sti al tran­si­to di migran­ti eco­no­mi­ci, rego­la­ri e irre­go­la­ri, diret­ti ver­so le coste. Nel film, la sce­na del ven­di­to­re di pas­sa­por­ti fal­si che i pro­ta­go­ni­sti di Io Capi­ta­no incon­tra­no pri­ma di entra­re in Niger, richia­ma l’importanza di que­sti cen­tri nel­la rot­ta ver­so la Libia. I traf­fi­can­ti tuni­si­ni pote­ro­no appro­fit­ta­re di que­sta infra­strut­tu­ra infor­ma­le già esi­sten­te, in cui atto­ri fon­da­men­ta­li era­no i mem­bri del­le popo­la­zio­ni noma­di Tebu e Tua­reg ai con­fi­ni meri­dio­na­li del pae­se, in gra­do di tra­ghet­ta­re i migran­ti nel deser­to.

Quest’infrastruttura pro­spe­rò gra­zie alla natu­ra­le dif­fi­col­tà di sor­ve­glia­re una fron­tie­ra meri­dio­na­le lun­ga miglia­ia di chi­lo­me­tri in pie­no deser­to, e al defi­nan­zia­men­to e la disor­ga­niz­za­zio­ne del siste­ma di con­trol­lo del­le fron­tie­re del­lo Sta­to libi­co, frut­to di una pre­sa di posi­zio­ne poli­ti­ca ben pre­ci­sa da par­te del regi­me di Muam­mar Ghed­da­fi.

L’industria del traf­fi­co dei migran­ti bene­fi­ciò infat­ti del­la gene­ra­le tol­le­ran­za del Colon­nel­lo ver­so l’economia ille­ga­le. Le risor­se e le oppor­tu­ni­tà dell’economia lega­le veni­va­no distri­bui­te tra­mi­te un siste­ma clien­te­la­re che pri­vi­le­gia­va le etnie, le tri­bù o le cit­tà del pae­se più vici­ne al regi­me (fon­te). Agli esclu­si da que­sto siste­ma, come le popo­la­zio­ni noma­di nel sud del pae­se, Ghed­da­fi con­ce­de­va di affi­dar­si all’economia ille­ga­le per soprav­vi­ve­re. Ciò non impe­dì al regi­me di trar­re pro­fit­to anche dall’economia ille­ga­le tra­mi­te la riscos­sio­ne di tri­bu­ti da con­trab­ban­die­ri e traf­fi­can­ti, o lascian­do­si coin­vol­ge­re diret­ta­men­te (fon­te).

Le stra­te­gie dei traf­fi­can­ti

Lo Sta­to, più che repri­me­re l’immigrazione clan­de­sti­na, era inte­res­sa­to a tene­re sot­to con­trol­lo le capa­ci­tà ope­ra­ti­ve dei traf­fi­can­ti, per impe­dir­gli di orga­niz­zar­si in reti più arti­co­la­te in gra­do di coor­di­na­re l’intero viag­gio dal deser­to alla costa.

Le par­ten­ze dei migran­ti ver­so l’Europa dove­va­no a quel tem­po esse­re discre­te per non dare nell’occhio del­le auto­ri­tà. Le par­ten­ze era­no di 30/40 migran­ti alla vol­ta, di not­te, con pic­co­le imbar­ca­zio­ni che potes­se­ro pas­sa­re inos­ser­va­te. I traf­fi­can­ti pre­di­spo­ne­va­no, a secon­da del­lo sta­tus del migran­te, diver­se stra­te­gie d’ingresso in Ita­lia, dimo­stran­do di esse­re atten­ti all’evoluzione del­le poli­ti­che di acco­glien­za dei pae­si di desti­na­zio­ne. Que­sta dina­mi­ca è ben rap­pre­sen­ta­ta in Io Capi­ta­no: il traf­fi­can­te che pro­po­ne a Sey­dou di imbar­car­si come sca­fi­sta, non solo sa per­fet­ta­men­te che sarà pos­si­bi­le chia­ma­re i soc­cor­si in acque ita­lia­ne, ma anche che essen­do mino­ren­ne non dovreb­be esse­re incri­mi­na­to dal­le auto­ri­tà. Spin­to dall’urgenza e dal­la man­can­za di dena­ro, Sey­dou fini­sce per accet­ta­re. La cru­de­le iro­nia è che Fofa­na Ama­ra, al qua­le è ispi­ra­to que­sto epi­so­dio del film, una vol­ta in Ita­lia è sta­to arre­sta­to in quan­to sca­fi­sta, nono­stan­te aves­se solo 15 anni, e reclu­so per due mesi nel car­ce­re (per adul­ti) di Cava­don­na, Sira­cu­sa (fon­te) .

La Rivo­lu­zio­ne del 2011

I traf­fi­can­ti agi­ro­no indi­stur­ba­ti fino al 2008, quan­do l’avvicinamento fra Euro­pa e Libia e gli accor­di eco­no­mi­ci con il gover­no ita­lia­no spin­se­ro Ghed­da­fi a con­tra­sta­re i flus­si con mag­gio­ri con­trol­li. Tut­ti i prin­ci­pa­li traf­fi­can­ti del pae­se furo­no arre­sta­ti. Non è un par­ti­co­la­re insi­gni­fi­can­te. In car­ce­re, i traf­fi­can­ti del­la costa, del deser­to e dei con­fi­ni meri­dio­na­li del pae­se pote­ro­no cono­scer­si, pre­pa­ran­do il cam­po per un sal­to di qua­li­tà nell’organizzazione del­le reti del traf­fi­co che spri­gio­ne­rà tut­ta la sua for­za subi­to dopo la Rivo­lu­zio­ne del 2011. Quell’anno, Ghed­da­fi scar­ce­rò tut­ti i traf­fi­can­ti, con l’intenzione di riat­ti­va­re la pres­sio­ne migra­to­ria sui pae­si euro­pei, rei di star sup­por­tan­do le pro­te­ste inter­ne con­tro il regi­me. Mor­to il Rais, que­sti traf­fi­can­ti si ritro­va­ro­no quin­di in liber­tà, più col­le­ga­ti, in uno Sta­to fal­li­to dove a far­la da padro­ne era­no le mili­zie arma­te for­ma­te­si duran­te la Rivo­lu­zio­ne. Cadu­to il vec­chio siste­ma clien­te­la­re, le mili­zie ini­zia­ro­no a con­ten­der­si ogni pos­si­bi­le fon­te di finan­zia­men­to, com­pre­so il busi­ness del tra­sbor­do di migran­ti irre­go­la­ri ver­so l’Europa. Ini­zia­va la secon­da fase sto­ri­ca del­lo svi­lup­po del traf­fi­co di migran­ti in Libia, quel­la rap­pre­sen­ta­ta nel film di Gar­ro­ne.

2012–2017: L’avvento del­le mili­zie arma­te

La rico­stru­zio­ne del­lo Sta­to libi­co ven­ne gra­ve­men­te osta­co­la­ta dal man­ca­to sman­tel­la­men­to e rein­te­gro nel­la socie­tà civi­le del­le mili­zie pro­ta­go­ni­ste del­la Rivo­lu­zio­ne. I timi­di ten­ta­ti­vi di inte­grar­ne i mem­bri all’interno del­le for­ze arma­te, avvia­ti nel 2012, ebbe­ro come uni­co effet­to quel­lo di con­ce­de­re uno sti­pen­dio pub­bli­co e far pene­tra­re nel siste­ma di sicu­rez­za sta­ta­le più di 200 mila com­bat­ten­ti. Per di più, ven­ne incen­ti­va­ta la crea­zio­ne di nuo­ve mili­zie con lo sco­po di pre­da­re risor­se dal­lo Sta­to. Nel 2017 esi­ste­va­no alme­no 1600 di que­ste for­ma­zio­ni (fon­te).

Le mili­zie lon­ta­ne da Tri­po­li e quin­di dal pote­re sta­ta­le tro­va­ro­no nel con­trol­lo del traf­fi­co di migran­ti una remu­ne­ra­ti­va fon­te di gua­da­gno. Fino al 2014, i grup­pi arma­ti si limi­ta­ro­no a riscuo­te­re dai traf­fi­can­ti una tas­sa di pro­te­zio­ne per poter attra­ver­sa­re il pro­prio ter­ri­to­rio, secon­do lo sche­ma tipi­co del “piz­zo” mafio­so. Col tem­po, que­ste si tro­va­ro­no tut­ta­via sem­pre più coin­vol­te nell’organizzazione diret­ta del traf­fi­co. Ciò con­tri­buì ad indu­stria­liz­za­re e ren­de­re più effi­cien­te un’attività che pro­spe­ra­va gra­zie ad un cli­ma d’im­pu­ni­tà sen­za pre­ce­den­ti: da qui il boom di arri­vi in Ita­lia fino al 2016. I migran­ti pote­va­no ora viag­gia­re su auto­stra­de rego­la­ri con­trol­la­te dal­le mili­zie ed esse­re ospi­ta­ti in pun­ti di rac­col­ta più gran­di e più vici­ni alle aree urba­ne o ai pun­ti di imbar­co. Non più costret­ti a nascon­der­si, i traf­fi­can­ti pote­va­no orga­niz­za­re tra­ver­sa­te anche di gior­no e con sem­pre più pas­seg­ge­ri.

Ini­zial­men­te, le reti di traf­fi­can­ti si riat­ti­va­ro­no in rispo­sta all’afflusso in Libia di nume­ro­si rifu­gia­ti dal­la Siria, rela­ti­va­men­te bene­stan­ti e in fuga dal­la guer­ra ver­so l’Europa. Con lo scop­pio del­la Secon­da guer­ra civi­le libi­ca nel 2014, i rifu­gia­ti siria­ni scel­se­ro altre rot­te. Ma la mac­chi­na era ormai avvia­ta. I traf­fi­can­ti ini­zia­ro­no ad abbas­sa­re il prez­zo del­la tra­ver­sa­ta medi­ter­ra­nea, ren­den­do­la mol­to eco­no­mi­ca e acces­si­bi­le a chi pro­ve­ni­va dal Cor­no d’Africa e dall’Africa Occi­den­ta­le. Miglia­ia di per­so­ne comin­cia­ro­no a diri­ger­si in Libia per sal­pa­re ver­so l’Europa. Con la ridu­zio­ne del prez­zo, però, dimi­nuì anche la qua­li­tà del­le imbar­ca­zio­ni. Nel 2016, il giro d’affari dell’industria dell’immigrazione ille­ga­le rag­giun­se i 978 milio­ni di dol­la­ri (fon­te) e allo stes­so tem­po il 72% dei deces­si sul­le rot­te migra­to­rie mon­dia­li avve­ni­va nel Medi­ter­ra­neo Cen­tra­le (fon­te).

Nel 2017 l’accordo col Mini­stro dell’Interno Mar­co Min­ni­ti

L’“epoca d’oro” del traf­fi­co dei migran­ti durò fino al 2017, quan­do il mini­stro Mar­co Min­ni­ti nego­ziò un accor­do diret­ta­men­te con le comu­ni­tà e le mili­zie stan­zia­te lun­go la rot­ta migra­to­ria libi­ca, in cui si pro­met­te­va­no risor­se per lo svi­lup­po del­le comu­ni­tà loca­li in cam­bio del con­te­ni­men­to del flus­so di irre­go­la­ri. L’effetto prin­ci­pa­le degli accor­di ita­lo-libi­ci, tut­ta­via, fu l’invio di ingen­ti finan­zia­men­ti per col­ma­re le fal­le nel siste­ma libi­co di con­trol­lo del­le fron­tie­re e del­la costa. Per oppor­tu­ni­tà eco­no­mi­ca, ma anche in cer­ca di legit­ti­ma­zio­ne poli­ti­ca, le mili­zie smi­se­ro di lucra­re sul traf­fi­co di migran­ti per assu­me­re fun­zio­ni di con­trol­lo e repres­sio­ne come mem­bri del­le for­ze di poli­zia e del­la Guar­dia Costie­ra.

Il busi­ness dell’estorsione

I traf­fi­can­ti furo­no obbli­ga­ti a tor­na­re a muo­ver­si con pru­den­za o a limi­tar­si in modo siste­ma­ti­co allo sfrut­ta­men­to e all’estorsione dei migran­ti, come ben pre­sto fece­ro anche le mili­zie. Que­sta diven­ne una pra­ti­ca com­ple­men­ta­re al busi­ness del traf­fi­co, una sor­ta di poliz­za: il traf­fi­can­te pote­va ven­de­re il migran­te insol­ven­te o ‘ribel­le’ a grup­pi arma­ti dedi­ti all’estorsione. Una poten­zia­le per­di­ta diven­ne all’improvviso un’opportunità di gua­da­gno. Nel film di Gar­ro­ne emer­ge mol­to bene l’estorsione come busi­ness paral­le­lo a quel­lo del traf­fi­co dei migran­ti. Ope­ra­ta dai traf­fi­can­ti, dal­le mili­zie arma­te o da ban­de cri­mi­na­li improv­vi­sa­te, essa può avve­ni­re duran­te la tra­ver­sa­ta del deser­to o nei cen­tri di deten­zio­ne per migran­ti irre­go­la­ri. Una gui­da può cam­bia­re all’improvviso i ter­mi­ni dell’accordo, o in un pas­sag­gio di con­se­gne l’intermediario inca­ri­ca­to del­la tap­pa suc­ces­si­va può rifar­si di un man­ca­to paga­men­to diret­ta­men­te sul migran­te. Anche la dina­mi­ca del rapi­men­to da par­te di uomi­ni arma­ti, con la suc­ces­si­va deten­zio­ne e il ricat­to rac­con­ta­ta in Io Capi­ta­no è asso­lu­ta­men­te rea­li­sti­ca.

Dal 2017, con la mag­gio­re capa­ci­tà ope­ra­ti­va del­la Guar­dia Costie­ra Libi­ca gra­zie ai finan­zia­men­ti e all’addestramento for­ni­to dai pae­si euro­pei, è aumen­ta­to il nume­ro dei migran­ti irre­go­la­ri intrap­po­la­ti nei cen­tri di deten­zio­ne in cui ONG e Agen­zie Inter­na­zio­na­li non han­no acces­so. Le mili­zie arma­te, che han­no assun­to il con­trol­lo dei cen­tri, dispon­go­no degli ‘ospi­ti’ con tota­le arbi­tra­rie­tà, ten­tan­do di estor­cer­gli dena­ro. Spes­so ai fami­lia­ri dei migran­ti rapi­ti ven­go­no indi­ca­ti con­ti o per­so­ne a cui paga­re il riscat­to nei pro­pri pae­si di resi­den­za, a testi­mo­nian­za del­la com­ples­si­tà e trans­na­zio­na­li­tà rag­giun­ta dal­le orga­niz­za­zio­ni del traf­fi­co libi­che (fon­te). L’alternativa è esse­re ucci­si, o ven­du­ti ai bor­del­li, o come mano­do­pe­ra agli impren­di­to­ri edi­li e agri­co­li, o ad altre ban­de arma­te le qua­li riten­te­ran­no di estor­ce­re dena­ro al migran­te, o lo arruo­le­ran­no come com­bat­ten­te.

Da set­to­re eco­no­mi­co infor­ma­le a mac­chi­na di sfrut­ta­men­to

Con l’avvento del busi­ness dell’estorsione paral­le­la­men­te a quel­lo del traf­fi­co, il migran­te vie­ne di fat­to mer­ci­fi­ca­to: non più atto­re di una tran­sa­zio­ne, egli divie­ne ogget­to di una tran­sa­zio­ne fra traf­fi­can­ti, mili­zie arma­te e cen­tri di deten­zio­ne. Nel­la let­te­ra­tu­ra sul­le migra­zio­ni, esi­ste una dif­fe­ren­za fra migrant smug­gling, ossia l’azione di inter­me­dia­ri che offro­no al migran­te essen­zial­men­te il ser­vi­zio di spo­star­lo da un luo­go all’altro, e il traf­fic­king, ossia il traf­fi­co di esse­ri uma­ni vero e pro­prio, in cui lo spo­sta­men­to avvie­ne con­tro la volon­tà del migran­te (Ambro­si­ni 2005, 260). Ma la dina­mi­ca libi­ca risul­ta per­ver­sa rispet­to alle situa­zio­ni di traf­fic­king più ‘clas­si­che’, dove lo spo­sta­men­to for­zo­so del migran­te avvie­ne con lo sco­po di con­dur­lo a una meta, dove que­sti ver­rà obbli­ga­to a svol­ge­re un’attività spe­ci­fi­ca. In Libia, nem­me­no i traf­fi­can­ti, i mili­zia­ni o gli impren­di­to­ri agri­co­li ed edi­li coin­vol­ti pos­so­no cono­sce­re la fine del cir­co­lo di deten­zio­ne, estor­sio­ne e sfrut­ta­men­to a cui è con­dan­na­to il migran­te.

Tra favo­la e real­tà

Simo­na Cel­la, esper­ta di cine­ma afri­ca­no ed edi­to­ria­li­sta per Nigri­zia, ha con­te­sta­to la pre­sen­za, a suo pare­re, di un’ambiguità tra un regi­stro rea­li­sti­co e uno più “favo­li­sti­co” (fon­te) in Io Capi­ta­no. Ci sono, a mio pare­re, due pia­ni su cui ana­liz­za­re que­sta ambi­gui­tà.

Il pri­mo è quel­lo del­le imma­gi­ni e del­la foto­gra­fia. Le sce­ne ico­ni­che di Io Capi­ta­no, il pas­sag­gio nel deser­to e il viag­gio in mare, sono carat­te­riz­za­te da un for­te con­tra­sto fra la tra­gi­ci­tà dell’evento rac­con­ta­to e la spet­ta­co­la­ri­tà, la bel­lez­za pura­men­te este­ti­ca del­le imma­gi­ni uti­liz­za­te. Le inqua­dra­tu­re si svol­go­no quin­di con una logi­ca altra rispet­to alla nar­ra­zio­ne, a mio pare­re inde­bo­len­do­la.  Il secon­do è quel­lo del­la sce­neg­gia­tu­ra. E in que­sto caso, non pos­so che con­di­vi­de­re la scel­ta di Gar­ro­ne di ibri­da­re, al reso­con­to rea­li­sti­co, la tra­ma di un film di for­ma­zio­ne, o di cor­re­da­re il film di ele­men­ti oni­ri­ci, sim­bo­li del ten­ta­ti­vo di Sey­dou di rifug­gi­re dal­le avver­si­tà attra­ver­so la memo­ria, o la fan­ta­sia. In que­sto caso, non sia­mo in pre­sen­za di un’ambiguità, ma di una dia­let­ti­ca fra la pesan­tez­za del rea­le e la leg­ge­rez­za con cui l’uomo, e quin­di anche l’arte, ha il dirit­to di approc­ciar­vi­si. Cer­to, il peri­co­lo quan­do si trat­ta di fat­ti tra­gi­ci del­la Sto­ria è quel­lo di con­fon­de­re la leg­ge­rez­za con l’inattendibilità (vedi Beni­gni e l’ingresso degli ame­ri­ca­ni ad Ausch­wi­tz ne La Vita è Bel­la): e que­sto non è asso­lu­ta­men­te il caso di Io Capi­ta­no, un film in gra­do di con­ci­lia­re poe­sia e atten­di­bi­li­tà.

A voler cer­ca­re una man­can­za, sareb­be sta­to inte­res­san­te ave­re una visio­ne di Gar­ro­ne anche sul rap­por­to del­le popo­la­zio­ni libi­che con l’industria del traf­fi­co. Que­sto non si rias­su­me solo nel­le mere esi­gen­ze eco­no­mi­che del­le popo­la­zio­ni emar­gi­na­te del pae­se. A Zuwara, loca­li­tà car­di­ne per il traf­fi­co dei migran­ti in Libia, nel 2014 la popo­la­zio­ne si sol­le­vò con­tro i traf­fi­can­ti, rei di star con­du­cen­do un busi­ness mor­ti­fe­ro e immo­ra­le, che sta­va costan­do la vita a cen­ti­na­ia di migran­ti siria­ni, recu­pe­ra­ti sul­le spiag­ge e in mare da deci­ne e deci­ne di volon­ta­ri del posto (fon­te) . Il qua­dro rea­le, per quan­to deso­lan­te, è quin­di meno apo­ca­lit­ti­co e più uma­no di come Gar­ro­ne lo dipin­ge in Io Capi­ta­no. Ma, come per ogni feno­me­no, esi­sto­no del­le com­ples­si­tà che, nel ten­ta­ti­vo di rac­con­ta­re una favo­la, devo­no esse­re sem­pli­fi­ca­te. Una sem­pli­fi­ca­zio­ne che non impe­di­sce allo spet­ta­to­re di matu­ra­re, dal­la visio­ne del film, alcu­ne rifles­sio­ni sul pre­sen­te.

Per­ché inter­ro­gar­si su ciò che avvie­ne in Libia

In Ita­lia, l’avere una con­sa­pe­vo­lez­za par­zia­le, ‘fil­tra­ta’, di ciò che suc­ce­de in Libia non rap­pre­sen­ta di cer­to una novi­tà. Un tema total­men­te assen­te dal­la coscien­za nazio­na­le, ad esem­pio, è il geno­ci­dio per­pe­tra­to a dan­no del­le popo­la­zio­ni libi­che dal­le for­ze d’occupazione ita­lia­ne fra il 1929 e il 1934, con il fine di libe­ra­re ter­ra per i colo­ni ita­lia­ni (per una trat­ta­zio­ne este­sa, vedi Ahmi­da 2020). Il mas­sa­cro cat­tu­rò l’attenzione di diver­si gerar­chi nazi­sti, che visi­ta­ro­no la colo­nia fasci­sta per osser­var­ne il model­lo di puli­zia e sosti­tu­zio­ne etni­ca (Ahmi­da 2020, 10). Una mag­gio­re con­sa­pe­vo­lez­za di que­sta pagi­na buia del­la Sto­ria ita­lia­na for­se ci aiu­te­reb­be a con­tra­sta­re con più vee­men­za cer­ti rigur­gi­ti apo­lo­ge­ti­ci.

Ma a cosa ser­ve, oggi, appro­fon­di­re l’evoluzione dell’industria del traf­fi­co dei migran­ti in Libia?

In pri­mo luo­go, è un eser­ci­zio che ci per­met­te di valu­ta­re il gra­do di influen­za, o le rea­li inten­zio­ni, del­le scel­te dei nostri gover­ni sul­le azio­ni di atto­ri non così impo­ten­ti e distan­ti come si potreb­be pen­sa­re.

Io Capi­ta­no trat­ta, come abbia­mo det­to, di con­di­zio­ni lega­te a un perio­do sto­ri­co pre­ci­so, pre­ce­den­te agli accor­di fra Ita­lia e mili­zie per il con­trol­lo dei flus­si migra­to­ri. Tut­ta­via, come abbia­mo visto,  le reti del traf­fi­co nel Medi­ter­ra­neo si sono dimo­stra­te mol­to fles­si­bi­li nell’adattarsi ai ten­ta­ti­vi euro­pei di arre­sta­re i flus­si migra­to­ri. Ciò si spie­ga con una sem­pli­ce con­si­de­ra­zio­ne eco­no­mi­ca: fin­ché ci sarà doman­da, qual­cu­no si occu­pe­rà dell’offerta. La disu­gua­glian­za glo­ba­le del dirit­to alla mobi­li­tà, tema cen­tra­le di Io Capi­ta­no, è un fat­to di cui sono respon­sa­bi­li anche le poli­ti­che migra­to­rie sem­pre più restrit­ti­ve appli­ca­te dai pae­si euro­pei, le qua­li, lun­gi dal disin­cen­ti­va­re i migran­ti, li spin­go­no al con­tra­rio a cer­ca­re solu­zio­ni sem­pre più peri­co­lo­se. Nel 2022, più di 80mila per­so­ne sono par­ti­te dal­le coste libi­che per rag­giun­ge­re l’Europa, un pic­co che non si vede­va dal 2017 (fon­te). La visio­ne del film di Gar­ro­ne ci tie­ne quin­di anco­ra­ti a un dram­ma glo­ba­le anco­ra attua­le.

Come abbia­mo visto, l’approccio secu­ri­ta­rio dei pae­si euro­pei, incen­tra­to sul raf­for­za­men­to del­le for­ze di poli­zia libi­che, è un’altra fon­te di sof­fe­ren­za e mor­te per i migran­ti bloc­ca­ti in Libia. Nel 2021, a fron­te di 27.551 migran­ti inter­cet­ta­ti in mare dal­la Guar­dia Costie­ra Libi­ca, il Dipar­ti­men­to per il con­trol­lo dell’immigrazione ille­ga­le cen­si­va solo 7.000 ospi­ti nei pro­pri cen­tri di deten­zio­ne. Del­le altre 20.000 per­so­ne si sono per­se le trac­ce (Wirts & van Rei­sen 2023, 615–616). Una com­mis­sio­ne indi­pen­den­te dell’Onu ha dichia­ra­to, nel 2022, come ci sia ragio­ne di affer­ma­re che nei cen­tri sia­no com­mes­si cri­mi­ni con­tro l’umanità (fon­te). Nono­stan­te ciò, Gior­gia Melo­ni, nel­la sua visi­ta uffi­cia­le al Gover­no libi­co del gen­na­io 2023, ha pro­mes­so di for­ni­re alla Guar­dia Costie­ra Libi­ca cin­que nuo­ve moto­ve­det­te (finan­zia­te dall’Ue), in con­co­mi­tan­za con la fir­ma di un accor­do da 8 miliar­di di euro fra Eni e la Com­pa­gnia nazio­na­le petro­li­fe­ra libi­ca. Que­sto accor­do è sta­to osteg­gia­to da scio­pe­ri e da diver­si mini­stri e uomi­ni di gover­no libi­ci, pro­ba­bil­men­te inte­res­sa­ti ad acce­de­re ai pro­ven­ti del set­to­re ener­ge­ti­co per ali­men­ta­re le pro­prie reti di clien­te­li­smo (fon­te). È leci­to chie­der­si se il con­ti­nuo afflus­so di risor­se alle for­ze di sicu­rez­za libi­che, cioè alle mili­zie, con la scu­sa del con­tra­sto all’emigrazione, pos­sa esse­re un modo per tute­la­re gli inte­res­si ener­ge­ti­ci ita­lia­ni e dell’Eni.

Dall’Inferno Libi­co alla For­tez­za Ita­lia

Com­pren­de­re il fun­zio­na­men­to del­le reti del traf­fi­co in Libia ci per­met­te anche di riflet­te­re sul­le nostre poli­ti­che inter­ne in tema di immi­gra­zio­ne.

L’accordo fra Ita­lia e Alba­nia per lo stan­zia­men­to dei migran­ti recu­pe­ra­ti nel Medi­tar­re­neo Cen­tra­le è noti­zia di que­ste set­ti­ma­ne. Secon­do quest’accordo, i migran­ti sal­va­ti dal­le Auto­ri­tà Ita­lia­ne nel Medi­ter­ra­neo Cen­tra­le saran­no con­dot­ti al por­to di Sei­n­jin, in Alba­nia. Il por­to si tro­va a 700 chi­lo­me­tri di distan­za dal­le coste meri­dio­na­li del­la Sici­lia, un viag­gio che sot­to­por­reb­be ad una tra­ver­sa­ta di un gior­no e mez­zo-due per­so­ne già in mare da diver­so tem­po e in con­di­zio­ni di estre­ma vul­ne­ra­bi­li­tà. Don­ne, bam­bi­ni e per­so­ne fra­gi­li saran­no inve­ce por­ta­te in Ita­lia. Quest’aspetto richia­ma la logi­ca degli ‘sbar­chi selet­ti­vi’ già impu­gna­ta dal TAR di Cata­nia a novem­bre 2022. In quan­to poten­zia­le trat­ta­men­to degra­dan­te, l’ulteriore viag­gio ver­so l’Albania impo­sto ai migra­ti è inve­ce in con­tra­sto con la Con­ven­zio­ne Euro­pea per la sal­va­guar­dia dei dirit­ti dell’uomo e del­le liber­tà fon­da­men­ta­li (CEDU). Una vol­ta in Alba­nia, colo­ro che a un pri­mo esa­me som­ma­rio doves­se­ro dimo­stra­re scar­se pos­si­bi­li­tà di otte­ne­re asi­lo in Ita­lia, ver­reb­be­ro dete­nu­ti in una strut­tu­ra facen­te le veci di un Cen­tro di Per­ma­nen­za e Rim­pa­trio (CPR) (fon­te). E quest’ultimo aspet­to rive­ste una par­ti­co­la­re gra­vi­tà.

Ere­di dei Cen­tri di Per­ma­nen­za Tem­po­ra­nei intro­dot­ti dal­la leg­ge Tur­co-Napo­li­ta­no nel 1998, i CPR sono strut­tu­re deten­ti­ve in cui ven­go­no trat­te­nu­ti i migran­ti irre­go­la­ri inter­cet­ta­ti sul ter­ri­to­rio ita­lia­no e su cui pen­de un ordi­ne di espul­sio­ne. Si trat­ta di una deten­zio­ne ammi­ni­stra­ti­va, non lega­ta ad alcun rea­to pena­le ma impron­ta­ta a faci­li­ta­re l’esecuzione di un atto ammi­ni­stra­ti­vo, in que­sto caso l’espulsione del migran­te. Sono gene­ral­men­te luo­ghi in cui è dif­fi­ci­le acce­de­re per gli ester­ni, e per chi voles­se valu­tar­ne le con­di­zio­ni all’interno. Da qual­che mese, con l’attuazione del Decre­to Cutro, la neces­si­tà di velo­ciz­za­re la gestio­ne del­le richie­ste d’asilo ha indot­to il gover­no ad uti­liz­za­re i CPR come ful­cro di un nuo­vo siste­ma, in cui deten­zio­ne e acco­glien­za si ibri­da­no e di cui il pro­get­to alba­ne­se è un caso esem­pla­re. I richie­den­ti asi­lo pro­ve­nien­ti da pae­si con­si­de­ra­ti “sicu­ri” ver­ran­no trat­te­nu­ti duran­te l’esamina del­la loro richie­ste nei CPR di fron­tie­ra o nei luo­ghi di sbar­co, e poi mobi­li­ta­ti tra­mi­te una serie di cen­tri appo­si­ti nel caso in cui doves­se­ro veni­re espul­si. Per colo­ro che voles­se­ro tra­scor­re­re in liber­tà il perio­do di esa­mi­na del­la loro richie­sta, il Decre­to Cutro pre­ve­de una fide­ius­sio­ne ban­ca­ria di 4938 euro che il migran­te dovreb­be con­se­gna­re al momen­to del­lo sbar­co, come garan­zia. Oltre ad aver dimo­stra­to un impat­to limi­ta­to sul nume­ro di rim­pa­tri ese­gui­ti, i CPR pre­sen­ta­no diver­se altre cri­ti­ci­tà, evi­den­zia­te da Action Aid nel suo recen­te rap­por­to “Trat­te­nu­ti. Una radio­gra­fia del siste­ma deten­ti­vo per stra­nie­ri”. Il siste­ma è al momen­to gesti­to in un regi­me di pri­va­tiz­za­zio­ne de fac­to, in cui sono pene­tra­te mul­ti­na­zio­na­li for pro­fit spe­cia­liz­za­te più nel­la gestio­ne di strut­tu­re deten­ti­ve che nell’assistenza a per­so­ne vul­ne­ra­bi­li. In un otti­ca di rispar­mio del­la spe­sa pub­bli­ca, i ser­vi­zi richie­sti a que­ste socie­tà sono dimi­nui­ti nel tem­po, crean­do una situa­zio­ne che mina for­te­men­te le pos­si­bi­li­tà del migran­te di inte­ra­gi­re con l’esterno e far vale­re i pro­pri dirit­ti. Al momen­to, per esem­pio, ogni dete­nu­to nei CPR dispo­ne di un tra­dut­to­re per solo una mezz’ora alla set­ti­ma­na, e di un’informativa lega­le e di sup­por­to psi­co­lo­gi­co per nove minu­ti la set­ti­ma­na.

Ma cosa c’è di diver­so, nel con­cet­to, fra un mili­zia­no che nel deser­to libi­co ti chie­de miglia­ia di dol­la­ri per non ammaz­zar­ti, o che ti per­qui­si­sce per rubar­ti fino all’ultimo cen­te­si­mo, e lo Sta­to ita­lia­no che impo­ne di ver­sa­re una fide­ius­sio­ne ban­ca­ria di 5.000 euro a un migran­te che non voglia esser dete­nu­to duran­te l’esame del­la sua richie­sta d’asilo? O fra il sen­so d’impotenza che un uomo deve pro­va­re in un cen­tro di deten­zio­ne libi­co, e l’isolamento a cui è costret­to nei CPR, sen­za con­tat­ti con l’esterno? Cosa cam­bia, fra l’essere inter­cet­ta­to dal­la Guar­dia Costie­ra Libi­ca e ricon­dot­to in un cen­tro di deten­zio­ne, e l’essere scor­ta­to dal­la Mari­na Mili­ta­re Ita­lia­na in Alba­nia? Le uni­che dif­fe­ren­ze, a mio pare­re, deri­va­no dal con­te­sto. In un caso ci tro­via­mo in uno Sta­to fal­li­to e in cui le ambi­zio­ni di gover­ni stra­nie­ri con­tri­bui­sco­no a man­te­ne­re un cli­ma vio­len­to e pre­da­to­rio; nell’altro in una demo­cra­zia occi­den­ta­le che deve dare una par­ven­za di rispet­to dei dirit­ti uma­ni, per­si­no nel­le sue misu­re più raz­zi­ste e degra­dan­ti. Ma la logi­ca e gli stru­men­ti con cui que­sto Sta­to cer­ca di cri­mi­na­liz­za­re i migran­ti asso­mi­glia­no sem­pre di più a quel­li uti­liz­za­ti dai mili­zia­ni e traf­fi­can­ti libi­ci per mer­ci­fi­car­li, tan­to più se nel siste­ma ven­go­no intro­dot­te azien­de for pro­fit più inte­res­sa­te, come i traf­fi­can­ti, ai pro­pri gua­da­gni che alla cura e all’assistenza del migran­te. Una con­ver­gen­za che dovreb­be con­vin­cer­ci defi­ni­ti­va­men­te cir­ca la deri­va disu­ma­niz­zan­te del­le poli­ti­che migra­to­rie adot­ta­te dai nostri gover­ni, di ogni colo­re, negli ulti­mi anni, e a respin­ge­re con deci­sio­ne ogni ten­ta­ti­vo di giu­sti­fi­car­la.

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