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Settembre
5 Settembre 2024

IMPAL­CA­TU­RE

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Non gli era mai riu­sci­to di con­ce­pi­re un per­so­nag­gio o una situa­zio­ne o un sen­ti­men­to se non in una cer­ta aria e in una cer­ta luce, con­vin­to alla fine che l’atmosfera sia ciò che è, la mas­sa d’aria che cir­con­da una sto­ria. Cer­te vol­te gli basta­va pen­sar­la con inten­si­tà, sen­za descri­ver­la, e allo­ra anche l’aria e la luce fini­va­no in quei pon­teg­gi che ser­vo­no da impal­ca­tu­ra a una sto­ria e che ven­go­no stac­ca­ti e but­ta­ti via non appe­na sta in pie­di da sola

Danie­le Del Giu­di­ce, Atlan­te Occi­den­ta­le, Einau­di, Mila­no, 1985

Il pri­mo si è con­ces­so facil­men­te, non ha oppo­sto resi­sten­za, si è abban­do­na­to al traf­fi­chìo di mani estra­nee con la fidu­cio­sa inno­cen­za con cui il cane segue i movi­men­ti del padro­ne; a sua discol­pa, tut­to quell’armeggiare e smuo­ve­re del­la mano stra­nie­ra l’aveva col­to di sor­pre­sa, soprap­pen­sie­ro.

Il secon­do non ha fat­to in tem­po a riscuo­ter­si dal tor­po­re del son­no, era anco­ra in dor­mi­ve­glia quan­do dita guan­ta­te han­no pre­so a maneg­gia­re con vol­ga­re sapien­za i suoi lem­bi.

Il ter­zo, lo sape­va­mo tut­ti, era pigro per natu­ra, non avreb­be lot­ta­to con­tro quell’indesiderato pal­peg­gia­re nem­me­no se al ter­mi­ne del­la con­te­sa lo aves­se atte­so un invi­tan­te pre­mio. Pez­zo a pez­zo: toc­ca­to, bran­ci­ca­to, agguan­ta­to, qua e là acca­rez­za­to poi strap­pa­to e but­ta­to via. Infi­ne dimen­ti­ca­to, ogni vol­ta dimen­ti­ca­to.

Men­tre stac­ca­no i pri­mi tre pon­teg­gi osser­vo con avi­di­tà il buio che, come una neb­bia mat­tu­ti­na, va a depo­si­tar­si sul mobi­lio in buo­na com­pa­gnia di vari stra­ti di pol­ve­re. Ad ogni soste­gno di accia­io divel­to dai bur­be­ri ope­rai lo sguar­do si fa vora­ce, via via più fame­li­co. Gli uma­ni han­no un nome per que­sto sguar­do bra­mo­so, nostal­gia chia­ma­no quest’indolenza, que­sta ten­ta­zio­ne di guar­dar­si indie­tro.

Ripen­so al tur­ba­men­to sul vol­to di Totò, le pal­pe­bre immo­bi­li per non distur­ba­re la con­cen­tra­zio­ne degli occhi pre­si dal­lo scor­re­re di quei baci sul telo, gli stes­si baci che la fede, bigot­ta e cie­ca, ave­va tenu­to nasco­sti; mi sem­bra qua­si di risen­ti­re un efflu­vio di flau­ti mesco­lar­si ai tasti del pia­no­for­te in un ondeg­gia­re ini­zial­men­te timi­do che infi­ne si abban­do­na e si lascia cul­la­re dai flut­ti in mare aper­to. Ecco dun­que soprag­giun­ge­re la malin­co­nia, il dol­ce lan­guo­re che fini­sce per fot­ter­ti.

Le dita cal­lo­se avvol­te da guan­ti spes­si, intan­to, non la smet­to­no di stac­ca­re i pri­mi pon­teg­gi, quel­li piaz­za­ti in cima e che godo­no del­la mira­bi­le vista sui tet­ti del­la cit­tà, quel­li che spia­no le vite degli altri sen­za far­si nota­re.

Stac­ca­no pez­zi di accia­io e li mani­po­la­no sen­za cura, svi­ta­no bul­lo­ni e li ammas­sa­no in un ango­lo – tra­vi e bul­lo­ni, cor­pi metal­li­ci acca­ta­sta­ti gli uni sugli altri -, stac­ca­no svi­ta­no par­la­no e urla­no, impre­ca­no – impre­ca­no spes­so e volen­tie­ri -, bestem­mia­no Dio e i San­ti, di tan­to in tan­to qual­cu­no can­tic­chia, un altro fischiet­ta, un altro anco­ra gor­gheg­gia sen­za gra­zia alcu­na, bor­bot­ta­no e si lamen­ta­no, si offen­do­no l’un l’altro – per ammaz­za­re il tem­po o per capric­cio, tan­to per fol­leg­gia­re -, tac­cio­no solo quan­do in stra­da fa la sua com­par­sa una ragaz­za, allo­ra si zit­ti­sco­no, gli sguar­di si affi­la­no, osser­va­no con l’attenzione dell’investigatore alla ricer­ca di det­ta­gli, osser­va­no anco­ra una vol­ta pri­ma di dire qual­co­sa di scon­ve­nien­te, qual­cu­no urla fra­si inde­cen­ti, un altro fischia por­tan­do le dita alla boc­ca, qual­cun altro anco­ra ride di gusto.

Ma sono ingiu­sto, spu­to su una man­cia­ta di pove­ri cri­sti lo stes­so luo­go comu­ne di cui anche noi impal­ca­tu­re sia­mo vit­ti­me, lo stes­so pre­con­cet­to che i più si fan­no veden­do­ci così tar­chia­te e toz­ze, così soli­de e squa­dra­te. Roz­ze, così ci vede­te, strut­tu­re metal­li­che uti­li sì, pur­ché prov­vi­so­rie, sche­le­tri di accia­io e fer­ro che cela­no bel­lez­za die­tro la loro gre­ve arma­tu­ra. Qual­co­sa da toglie­re, rimuo­ve­re al più pre­sto, pon­teg­gi da stac­ca­re e spu­ta­re.

Sap­pia­te, miei cari pas­san­ti, che gli ogget­ti non difet­ta­no di carat­te­re e quel che voi igna­ri, igno­ran­ti vian­dan­ti, liqui­da­te come zoti­che impal­ca­tu­re, vil­la­ne strut­tu­re por­tan­ti, quel­le che voi giu­di­ca­te sbri­ga­ti­va­men­te costru­zio­ni grez­ze in real­tà ascol­ta­no e osser­va­no for­se meglio di quan­to voi osia­te fare.

Ma dici a me?, vor­rei dire all’uomo pasciu­to che pas­seg­gia con le mani uni­te die­tro la schie­na, mi fis­sa con avver­sio­ne dal bas­so del suo metro e set­tan­ta e bor­bot­ta tra sé, Ma dici a me? Ehi, con chi stai par­lan­do? Dici a me? Eh, non ci sono che io qui, paf­fu­to signo­rot­to col cap­pot­to liso e le soprac­ci­glia peren­ne­men­te aggrot­ta­te.

Vol­go lo sguar­do alle pol­tro­ne di vel­lu­to acca­ta­sta­te in un ango­lo, le sedu­te con­su­ma­te dal peso di tan­ti omet­ti simi­li a quel­lo giù in stra­da. Pol­tro­ne e assi di legno atten­do­no in un ango­lo di cono­sce­re il pro­prio desti­no, si doman­da­no se tro­ve­ran­no un’altra casa, altri sede­ri da acco­glie­re e scal­da­re, altre scar­pe sot­to cui scric­chio­la­re. Non li sen­to par­la­re ma imma­gi­no che le loro chiac­chie­re asso­mi­gli­no a quel­le del­le vac­che in doci­le atte­sa al mat­ta­to­io, mi sem­bra qua­si di per­ce­pi­re l’ordito di seta e coto­ne che rico­pre i sedi­li impol­ve­ra­ti urla­re Dead man wal­king, we got a dead man wal­king here!, imma­gi­no quel­le paro­le disper­der­si nel­la sala avvol­ta nel buio.

Che ne sai tu, fot­tu­to archi­tet­to vesti­to di tut­to pun­to, cosa vuoi saper­ne di noi altri ogget­ti tra­scu­ra­ti, smon­ta­ti, dimen­ti­ca­ti e fat­ti a pez­zi, cosa puoi saper­ne tu di chi con fidu­cio­sa appren­sio­ne atten­de che arri­vi il suo tur­no di anda­re al mace­ro. Ascol­ta­mi, tron­fio archi­tet­to dei miei sti­va­li, ascol­ta que­sto pas­so che cono­sco a memo­ria: Eze­chie­le 25.17: Il cam­mi­no dell’uomo timo­ra­to è minac­cia­to da ogni par­te dal­le ini­qui­tà degli esse­ri egoi­sti e dal­la tiran­nia degli uomi­ni mal­va­gi. Bene­det­to sia colui che nel nome del­la cari­tà e del­la buo­na volon­tà con­du­ce i debo­li attra­ver­so la val­le del­le tene­bre; per­ché egli è in veri­tà il pasto­re di suo fra­tel­lo e il ricer­ca­to­re dei figli smar­ri­ti. E la mia giu­sti­zia cale­rà sopra di loro con gran­dis­si­ma ven­det­ta e furio­sis­si­mo sde­gno su colo­ro che si pro­ve­ran­no ad ammor­ba­re ed infi­ne a distrug­ge­re i miei fra­tel­li. E tu saprai che il mio nome è quel­lo del Signo­re quan­do farò cala­re la mia ven­det­ta sopra di te. Poi spa­ri, rumo­re di pal­lot­to­le che riem­pie l’aria, una sca­ri­ca di bos­so­li e un’esplosione pur­pu­rea sul tuo borio­so com­ple­to fumo di Lon­dra.

ADDIO AL CINE­MA POLI­TEA­MA, AL SUO POSTO NEGO­ZI E UFFI­CI

Tut­to pron­to per l’inaugurazione del­la nuo­va area com­mer­cia­le che pren­de­rà il posto del­lo sto­ri­co cine­ma in cen­tro. Com­ple­ta­ta l’opera di recu­pe­ro dell’edificio che ha pre­vi­sto la demo­li­zio­ne del­le sale inter­ne e la tota­le rico­stru­zio­ne con dif­fe­ren­te desti­na­zio­ne d’uso. Al posto del­le due sale di pro­ie­zio­ne sor­ge­rà un com­ples­so com­mer­cia­le com­po­sto da die­ci nego­zi al pia­no ter­ra e uffi­ci al pia­no supe­rio­re. Dell’edificio ori­gi­na­rio resta solo la sto­ri­ca fac­cia­ta, pron­ta a tor­na­re visi­bi­le su Lar­go Sta­ni­slao Fal­chi a par­ti­re da doma­ni, quan­do sarà com­ple­ta­to lo sman­tel­la­men­to dei pon­teg­gi che ser­vo­no d’impalcatura.

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