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Marzo
14 Marzo 2024

ANTO­NIET­TA, MAD­DA­LE­NA E DELIA

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È il 6 mag­gio del 1938 e l’Italia fasci­sta si appre­sta a cele­bra­re la visi­ta a Roma di Adolf Hitler. Il Füh­rer incon­tra il Duce per cemen­ta­re la disgra­zia­ta allean­za che con­dur­rà, di lì a poco, l’Italia e l’intera Euro­pa (anzi, l’intero pia­ne­ta) al disa­stro. Anche la fami­glia Tibe­ri si sta pre­pa­ran­do per l’adunata: si met­to­no le divi­se, rac­col­go­no i gagliar­det­ti con i sim­bo­li del fasci­smo; tut­ti, meno Anto­niet­ta, la moglie di Ema­nue­le, che resta a casa a rior­di­na­re e a puli­re, dopo esse­re sta­ta la pri­ma ad alzar­si. Ha sve­glia­to il mari­to, che si lamen­ta per esse­re sta­to sve­glia­to, e che poi la sgri­da per non aver­lo chia­ma­to pri­ma. È sta­ta Anto­niet­ta a sti­ra­re le uni­for­mi di tut­ta la fami­glia, a pre­pa­ra­re la cola­zio­ne e il pran­zo al sac­co. Quel­lo che ha fat­to non va bene al mari­to, i figli sono di cat­ti­vo umo­re e nes­su­no la rin­gra­zia. È la fami­glia fasci­sta, Ema­nue­le è l’uomo fasci­sta, un fer­ven­te soste­ni­to­re del­la dit­ta­tu­ra, Anto­niet­ta è la don­na di que­gli anni. Natu­ral­men­te si trat­ta dell’inizio di Una gior­na­ta par­ti­co­la­re, un film di Etto­re Sco­la del 1977, inter­pre­ta­to da Sophia Loren (Anto­niet­ta) e Mar­cel­lo Mastro­ian­ni, nel ruo­lo di Gabrie­le, un vici­no di casa, anch’egli vit­ti­ma del maschi­li­smo fasci­sta, un ex-radio­cro­ni­sta licen­zia­to dal­la EIAR per la sua omo­ses­sua­li­tà. I due pas­sa­no insie­me una “gior­na­ta par­ti­co­la­re”, una paren­te­si libe­ra per la don­na e un momen­to di otti­mi­smo per l’uomo. Quan­do Gabrie­le vie­ne por­ta­to via dai cara­bi­nie­ri per esse­re con­dot­to al con­fi­no, Anto­niet­ta ritor­na alla vita di sem­pre, rag­giun­gen­do il mari­to-padro­ne nel let­to, inten­zio­na­to a gene­ra­re il set­ti­mo figlio per otte­ne­re il pre­mio del Duce per le fami­glie nume­ro­se e a chia­mar­lo – natu­ral­men­te – Adol­fo.

Tre­di­ci anni dopo (sia­mo nel 1951), – ma anche ven­ti­sei anni pri­ma, dipen­de dal pun­to di vista – ci vie­ne pre­sen­ta­ta una don­na che vive in un semin­ter­ra­to, dal­le cui fine­stre si vede un ester­no squal­li­do da dove si può anche sbir­cia­re den­tro. Mad­da­le­na Cec­co­ni, la don­na, lavo­ra come una paz­za facen­do inie­zio­ni a domi­ci­lio per rag­gra­nel­la­re più sol­di pos­si­bi­le: vuo­le che la sua figlio­let­ta di 5 anni o poco più diven­ti un’attrice, l’ha por­ta­ta ad un pro­vi­no, e sta spen­den­do trop­pi sol­di per lezio­ni e vesti­ti. Appa­re chia­ro che sta ripo­nen­do tut­te le sue spe­ran­ze per il futu­ro nel­la figlia. Il mari­to di Mad­da­le­na, Spar­ta­co, è spa­zien­ti­to, insi­ste a dire che la moglie ha per­so la testa, che è testar­da e osses­sio­na­ta, men­tre lui sta cer­can­do, da per­so­na “pra­ti­ca” di met­te­re da par­te i sol­di neces­sa­ri per costrui­re una nuo­va casa, per usci­re dal buco in cui vive la fami­glia Cec­co­ni. Si trat­ta di Bel­lis­si­ma, un film di Luchi­no Viscon­ti del 1951 con Anna Magna­ni nel ruo­lo di Mad­da­le­na. Una sera la cop­pia ha un liti­gio vio­len­to, uno scon­tro fisi­co così for­ma­liz­za­to nel­le imma­gi­ni del film da sem­bra­re qua­si un bal­let­to. Mad­da­le­na, che ha urla­to e fat­to accor­re­re tut­to il vici­na­to, con­fes­sa can­di­da­men­te di aver fat­to la melo­dram­ma­ti­ca a bel­la posta per met­te­re Spar­ta­co in imba­raz­zo (o per sal­var­si dal­le bot­te?). D’altra par­te il melo­dram­ma, nel­la sua dop­pia acce­zio­ne di ecces­so dram­ma­ti­co e di ope­ra liri­ca è la cor­da prin­ci­pa­le del mon­do di Luchi­no Viscon­ti, così come la rico­stru­zio­ne del perio­do fasci­sta con quel for­te accen­to poli­ti­ciz­za­to è nel­le cor­de di Etto­re Sco­la.

Se ho volu­to ricor­da­re que­sti due film, pur così diver­si tra loro, è per­ché qual­co­sa in comu­ne ce l’hanno, e – quel che più impor­ta – han­no qual­co­sa in comu­ne con C’è anco­ra doma­ni, il film di Pao­la Cor­tel­le­si usci­to pochi mesi fa che ha supe­ra­to i record d’incasso in Ita­lia nel 2023 e che sta comin­cian­do a mie­te­re simi­li suc­ces­si anche all’estero. Sap­pia­mo per­si­no che Lady Gaga (addi­rit­tu­ra…) vuo­le acqui­sta­re i dirit­ti del­la sce­neg­gia­tu­ra per far­ne una ver­sio­ne nor­da­me­ri­ca­na. Vuol dire che stia­mo par­lan­do di un film che evi­den­te­men­te toc­ca del­le cor­de sen­si­bi­li e impor­tan­ti, che rac­co­glie il con­sen­so di tut­ti (o qua­si). Natu­ral­men­te, que­sto è un gran­de pre­gio, ma allo stes­so tem­po è anche un moti­vo di rifles­sio­ne.

Pri­ma di entra­re nel meri­to degli aspet­ti ideo­lo­gi­ci, che secon­do me sono la chia­ve per com­pren­de­re appie­no il suc­ces­so del film, vor­rei sof­fer­mar­mi su come Pao­la Cor­tel­le­si usi del­le stra­te­gie for­ma­li mol­to accat­ti­van­ti. La Cor­tel­le­si è riu­sci­ta ad armo­niz­za­re qua­si sem­pre il con­te­sto sto­ri­co con tec­ni­che fil­mi­che con­tem­po­ra­nee, ren­den­do l’intero film un pro­dot­to vici­no alla sen­si­bi­li­tà del nostro tem­po, con­si­de­ran­do tut­ti i suoi aspet­ti, tan­to visi­vi quan­to sono­ri. Il pri­mo e più visi­bi­le omag­gio alla tra­di­zio­ne del cine­ma ita­lia­no (Cor­tel­le­si dimo­stra di cono­scer­lo bene) è costi­tui­ta dal­la scel­ta del bian­co e nero, un evi­den­te rife­ri­men­to alla sta­gio­ne del neo­rea­li­smo, e non solo a Bel­lis­si­ma: non pote­va esse­re altri­men­ti, e la Cor­tel­le­si lo ha capi­to, per­ché la sto­ria di Delia si svol­ge esat­ta­men­te in quel perio­do, nel mag­gio del 1946, nel pie­no del neo­rea­li­smo. Tut­ta­via, quel­lo del 2023 non è e non può esse­re il bian­co e nero dei film dell’immediato dopo­guer­ra, è un bian­co e nero digi­ta­le, rico­no­sci­bi­le come tale dai con­tra­sti for­ti e dal­la defi­ni­zio­ne dei con­tor­ni, soprat­tut­to nel­le sce­ne all’aperto. E qui ini­zia la “armo­niz­za­zio­ne”, tra la tra­di­zio­ne a cui ren­de­re omag­gio e la con­tem­po­ra­nei­tà.

Il secon­do ele­men­to visi­bi­le, infat­ti, ci por­ta lon­ta­no dal neo­rea­li­smo e dagli anni ’40. Una del­le poe­ti­che prin­ci­pa­li del neo­rea­li­smo era l’invisibilità del­la mac­chi­na da pre­sa: i fat­ti par­la­no da sé, l’intervento del regi­sta deve esse­re tenu­to al mini­mo. In C’è anco­ra doma­ni Pao­la Cor­tel­le­si muo­ve inve­ce la mac­chi­na da pre­sa mol­to spes­so, anche all’interno del­la stes­sa inqua­dra­tu­ra: se ne ha un impat­to imme­dia­to pro­prio all’inizio, duran­te i tito­li di testa, quan­do Delia esce di casa per la sua gior­na­ta di impe­gni. Vedia­mo una lun­ghis­si­ma car­rel­la­ta da destra a sini­stra, che la segue lun­go la stra­da, pre­sen­tan­do­ci anche una sor­ta di “fau­na” popo­la­re. E il con­tra­sto è anco­ra più mar­ca­to a cau­sa del ralen­ti usa­to per tut­ta la sequen­za; e anco­ra di più se ascol­tia­mo la colon­na sono­ra che fa da sfon­do: è il bra­no “Cal­vin” del 1998 dei Jon Spen­cer Blues Explo­sion. Nel­la colon­na sono­ra del film non ci sono can­zo­ni dell’epoca; “Apri­te le fine­stre” (all’inizio) è del 1956 e “Per­do­nia­mo­ci” (in un raro momen­to di pace tra Delia e Iva­no) è del 1960. La can­zo­ne “Mam­ma” è del 1939, ed è can­tic­chia­ta da Delia sem­pre all’inizio, l’unica che appar­tie­ne al mon­do del film, al 1946. Sono entra­to in que­sti det­ta­gli per­ché la scel­ta dei bra­ni musi­ca­li che non appar­ten­go­no al mon­do del film è mol­to impor­tan­te per la defi­ni­zio­ne del­le atmo­sfe­re. Cor­tel­le­si usa Fabio Con­ca­to e Lucio Dal­la, e – nel bel fina­le – Danie­le Sil­ve­stri con “A boc­ca chiu­sa”; i Big Gigan­tic con “The Lit­tle Things”; l’hip-hop degli Out­Ka­st. I bra­ni musi­ca­li sot­to­li­nea­no la “con­tem­po­ra­nei­tà” degli even­ti, qua­si a dire che le tra­ver­sie di Delia potreb­be­ro svol­ger­si anche in perio­di più recen­ti. Ora vor­rei tor­na­re di nuo­vo ai movi­men­ti del­la mac­chi­na da pre­sa, per segna­la­re una tec­ni­ca usa­ta in manie­ra esa­ge­ra­ta in una sequen­za impor­tan­te, un uso com­ple­ta­men­te sco­no­sciu­to fino ad un paio di decen­ni fa, e che pur­trop­po vie­ne trop­po spes­so abu­sa­to: il giro a 360 gra­di intor­no ad una cop­pia in un momen­to di tene­rez­za. La mac­chi­na del­la Cor­tel­le­si lo fa addi­rit­tu­ra tre-quat­tro vol­te nel­la sce­na del­la liqui­ri­zia che Nino (Vini­cio Mar­chio­ni), la vec­chia fiam­ma e la “pos­si­bi­le alter­na­ti­va”, offre a Delia, con i due che sor­ri­do­no mostran­do i den­ti anne­ri­ti.

Insom­ma, se non ave­te visto i film degli anni ’40 pote­te pen­sa­re a tut­ta una serie di stra­te­gie ori­gi­na­li, e se li ave­te visti pote­te nota­re la voglia di stac­car­se­ne, pur ren­den­do loro omag­gio. Tut­to ciò può risul­ta­re estre­ma­men­te accat­ti­van­te, anche per­ché è fat­to in manie­ra intel­li­gen­te, direi anche col­ta, sen­za appe­san­ti­re, se non rara­men­te, gli aspet­ti visi­vi del film.

C’è anco­ra doma­ni, tut­ta­via, ha un pro­fon­do ed impor­tan­te con­te­nu­to ideo­lo­gi­co, del qua­le non si può non tene­re con­to, e che costi­tui­sce il moti­vo del suc­ces­so del film. Per esse­re accet­ta­ti dal mag­gior nume­ro di per­so­ne pos­si­bi­li biso­gna evi­ta­re di attri­bui­re le ves­sa­zio­ni subi­te da Delia, le umi­lia­zio­ni, le bot­te, a tem­pi più recen­ti. Etto­re Sco­la con Una gior­na­ta par­ti­co­la­re ci ha volu­to dire che die­tro la sot­to­mis­sio­ne e l’infelicità di Anto­niet­ta c’è il fasci­smo, il cul­to del­la per­so­na­li­tà e del­la guer­ra, il maschi­li­smo dell’uomo “for­te”, la reto­ri­ca del­la fami­glia nume­ro­sa. Il per­so­nag­gio inter­pre­ta­to da Mastro­ian­ni ne è ulte­rio­re con­fer­ma. Nel film del­la Cor­tel­le­si non v’è nul­la di que­sto con­te­sto sto­ri­co: è sta­to scel­to – per altri moti­vi, fors’anche vali­di – di “dimen­ti­ca­re” il fasci­smo. Benis­si­mo, si dirà, non è tem­po di ideo­lo­gie, e poi l’oppressione del­la don­na appar­tie­ne a tut­te le epo­che, appar­tie­ne alle fami­glie di sini­stra come a quel­le di destra e alle fami­glie di cen­tro. Anche que­sto è vero. Ma i mari­ti del­le “sorel­le mag­gio­ri” di Delia, Anto­niet­ta e Mad­da­le­na non dif­fe­ri­sco­no mol­to da Iva­no, la cui cat­ti­ve­ria è però qua­si cari­ca­tu­ra­le, come a ras­si­cu­ra­re e a sca­gio­na­re chi non pic­chia la pro­pria com­pa­gna ed eppu­re la oppri­me, facen­do­lo sen­ti­re “giu­sto” e indi­gna­to per i com­por­ta­men­ti di Iva­no. La denun­cia del film si allar­ga, giun­ge a col­pi­re tut­ti i maschi che zit­ti­sco­no le loro mogli, come il padre di Giu­lio; che sono rilut­tan­ti a fir­ma­re le bol­le di con­se­gna del mate­ria­le alla mer­ce­ria in assen­za di un “mari­to” che non c’è; che, come l’ombrellaio, non han­no dub­bi sul sala­rio di un prin­ci­pian­te incom­pe­ten­te, paga­to più di Delia (“è omo”…); e giun­ge a col­pi­re anche le nuo­ve gene­ra­zio­ni attra­ver­so le inten­zio­ni di Giu­lio nei con­fron­ti del futu­ro di Mar­cel­la.

Il pun­to è esat­ta­men­te que­sto: il film iden­ti­fi­ca la libe­ra­zio­ne di Delia (e di tut­te le don­ne) nel dirit­to al voto, gran­de, gran­dis­si­ma con­qui­sta, cer­to. Sap­pia­mo che con le ele­zio­ni del 1946, ma ancor più con quel­le del 18 apri­le 1948 in Ita­lia è giun­ta al pote­re una clas­se poli­ti­ca lega­ta alle dina­mi­che del­la Guer­ra Fred­da, ma soprat­tut­to lega­ta all’egemonia anco­ra for­tis­si­ma del­la Chie­sa, che per decen­ni ha nega­to alle don­ne dirit­ti fon­da­men­ta­li, qua­li il divor­zio e l’aborto. Ci sono volu­ti qua­si trent’anni per ave­re final­men­te le leg­gi che han­no cam­bia­to radi­cal­men­te il ruo­lo e la posi­zio­ne del­la don­na nel­la socie­tà ita­lia­na. Solo nel 1975 (trent’anni dopo gli even­ti del film) la rifor­ma del dirit­to di fami­glia ha can­cel­la­to le odio­se paro­le del­la pote­stà mari­ta­le con­te­nu­te nel­la legi­sla­zio­ne pre­ce­den­te, figlia del regi­me fasci­sta. E allo­ra vuol dire che il dirit­to di voto otte­nu­to nel 1946 (ma un’intera gene­ra­zio­ne di ita­lia­ni, maschi e fem­mi­ne, non ave­va la mini­ma idea di cosa fos­se un voto, sot­to il tal­lo­ne del fasci­smo), impor­tan­te quan­to si vuo­le, ma dif­fi­ci­le da rap­pre­sen­ta­re come il sim­bo­lo esclu­si­vo dell’emancipazione fem­mi­ni­le.

C’è anco­ra doma­ni è un film comun­que impor­tan­te, una ven­ta­ta di ener­gie nuo­ve nel cine­ma ita­lia­no di que­sti anni, un pano­ra­ma dove i pen­sie­ri scar­seg­gia­no, e rie­sce a par­la­re a tut­ti; ma lo fa indi­stin­ta­men­te, per­ché par­la anche a colo­ro che, nel miglio­re dei casi, nel­la loro vita socia­le, poli­ti­ca e per­so­na­le non han­no mai alza­to un dito (o addi­rit­tu­ra han­no atti­va­men­te lavo­ra­to con­tro) a favo­re del­la don­na e del­la sua posi­zio­ne nel­la socie­tà ita­lia­na degli ulti­mi 80 anni. Pao­la Cor­tel­le­si ha avu­to il gran­de meri­to di ricor­dar­ci che il patriar­ca­to vie­ne da lon­ta­no; tut­ta­via, aven­do volu­to par­la­re anche a loro, può aver fat­to un po’ di con­fu­sio­ne.

Pao­la Cor­tel­le­si ha avu­to il gran­de meri­to di ricor­dar­ci che il patriar­ca­to vie­ne da lon­ta­no; tut­ta­via, aven­do volu­to par­la­re anche agli uomi­ni, può aver crea­to un po’ di con­fu­sio­ne. È come se si trat­tas­se di un man­ca­to chia­ri­men­to, di un’argomentazione che si è dimen­ti­ca­ta di espli­ci­ta­re. Vie­ne costrui­to un fina­le in cre­scen­do: Delia ha per­du­to il fogliet­to e lo spet­ta­to­re vie­ne indot­to a cre­de­re che quel pez­zo di car­ta, let­to da Iva­no e rac­col­to da Mar­cel­la, sia la pro­va di una pos­si­bi­le fuga, di una deci­sio­ne di vita che final­men­te la sepa­ri dal­le umi­lia­zio­ni e dal­le per­cos­se. Tan­to più che nel film non si è mai vista o sen­ti­ta alcu­na signi­fi­ca­ti­va obie­zio­ne di Iva­no con­tro il voto, e fran­ca­men­te non si capi­sce la sua evi­den­te ira. Nes­su­no può ave­re dub­bi su quan­to sia sta­to impor­tan­te il dirit­to di voto, ma c’è uno scar­to assai visi­bi­le tra que­sta con­qui­sta civi­le e la men­ta­li­tà patriar­ca­le di un’intera socie­tà, del­la qua­le sono sta­te respon­sa­bi­li gene­ra­zio­ni di ita­lia­ni. Non c’è ombra di dub­bio: il bra­no “A boc­ca chiu­sa”, mima­to da tut­te le don­ne al seg­gio elet­to­ra­le è un pez­zo di cine­ma estre­ma­men­te inten­so, ma ci costrin­ge a chie­de­re: “che cosa ci ha volu­to dire Pao­la Cor­tel­le­si?”

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