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Settembre
29 Settembre 2025

APPUN­TI PER UNA SCRIT­TU­RA PRO­FE­TI­CA

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Ars morien­di

Il medi­co e il mago devo­no occu­par­si con gran­dis­si­ma atten­zio­ne dell’opera del­la fan­ta­sia: essa infat­ti è la por­ta e l’accesso prin­ci­pa­le per le azio­ni, e le pas­sio­ni, e tut­ti gli sta­ti d’animo pre­sen­ti nell’essere viven­te; e su que­sto tipo di vin­co­lo si basa il vin­co­lo di una poten­za più pro­fon­da, che è la poten­za cogi­ta­ti­va. 

Gior­da­no Bru­no

È senz’altro pos­si­bi­le che lo splen­do­re del­la vita cir­con­di chiun­que, e sem­pre nel­la sua inte­ra pie­nez­za, acces­si­bi­le ma vela­to, nel pro­fon­do, invi­si­bi­le, mol­to lon­ta­no. Però esso sta lì, non osti­le, non rilut­tan­te, non sor­do. Se lo si chia­ma con la paro­la giu­sta, con il nome giu­sto, allo­ra vie­ne. Que­sta è l’essenza del­la magia, che non crea ma chia­ma. 

Rober­to Calas­so

Se qual­che vol­ta scri­vo è per­ché cer­te cose non voglio­no sepa­rar­si da me come io non voglio sepa­rar­mi da loro. Nell’atto di scri­ver­le esse pene­tra­no in me per sem­pre – attra­ver­so la pen­na e la mano – come per osmo­si. 

Cri­sti­na Cam­po

Il ritua­le del­l’In­cu­ba­zio­ne

Cor­pi giac­cio­no nel­la penom­bra. Appa­ren­te­men­te pri­vi di sen­si. Dor­mo­no, oppu­re stan­no moren­do. O entram­be le cose. 

Sono cospar­si di ser­pen­ti. Poi­ché i ser­pen­ti gua­ri­sco­no.

La luce fio­ca e l’odore dell’incenso. L’eco degli inni riem­pie lo spa­zio buio. Non c’è più tem­po nel silen­zio. I sacer­do­ti si muo­vo­no len­ta­men­te e non fan­no alcun rumo­re. Sono come fan­ta­smi. Sono come flus­si di ener­gia. Accom­pa­gna­no la gua­ri­gio­ne. Ma è il ser­pen­te che cura, è il dio che cura.

I mala­ti sono sta­ti chia­ma­ti dal dio. Devo­no arren­der­si alla chia­ma­ta. Non c’è più biso­gno di lot­ta­re. L’incubazione è una resa tota­le. Biso­gna solo sta­re fer­mi immo­bi­li. Ognu­no nel suo gia­ci­glio. Fino al momen­to in cui il dio final­men­te appa­re. L’apparizione del dio è la gua­ri­gio­ne. 

La doman­da

Cosa inten­dia­mo per ‘scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca’? 

Fon­da­men­tal­men­te una postu­ra, una posi­zio­ne del cor­po-men­te che si met­te a scri­ve­re. Se pen­sia­mo alla pro­fe­zia come un atto poe­ti­co che pas­sa dal cor­po e con­ver­ge nel­la scrit­tu­ra di un testo, pos­sia­mo sco­pri­re come – tra­mi­te il lavo­ro spi­ri­tua­le, la medi­ta­zio­ne e altre tec­ni­che di esplo­ra­zio­ne del sé – sia pos­si­bi­le far emer­ge­re dei mes­sag­gi dal nostro inter­no. Come le paro­le degli anti­chi veg­gen­ti: inse­gna­men­ti che ser­vo­no per costrui­re il futu­ro, visio­ni di ciò che sarà, pre­di­zio­ni per vive­re il pre­sen­te. Per tro­va­re la giu­sta via, la via del­l’e­vo­lu­zio­ne del sé, la via del­la per­fe­zio­ne.

Pro­fe­zia e Tem­po

Nell’antichità, in mol­tis­si­me cul­tu­re e in diver­si perio­di sto­ri­ci, è sta­to pra­ti­ca­to il ritua­le del­la cosid­det­ta ‘incu­ba­zio­ne’, come tec­ni­ca di gua­ri­gio­ne tra­mi­te la pro­fe­zia. 

Il mala­to, se chia­ma­to dal dio, pote­va gia­ce­re immo­bi­le nel tem­pio fino a che la gua­ri­gio­ne non fos­se soprav­ve­nu­ta, pro­prio gra­zie all’apparizione del divi­no.

L’incubazione era già pre­sen­te all’interno del­la cul­tu­ra dell’antico Egit­to e in segui­to fu al cen­tro dei riti dedi­ca­ti ad Ascle­pio nel mon­do gre­co e ad Escu­la­pio nel mon­do lati­no. Inol­tre, esi­sto­no ver­sio­ni più o meno simi­li di que­sto ritua­le in tut­to il mon­do, dal­lo scin­toi­smo giap­po­ne­se fino alle tra­di­zio­ni soprav­vis­su­te dei nati­vi ame­ri­ca­ni. Se pen­sia­mo, per esem­pio, all’ormai dif­fu­sis­si­mo ritua­le del­la ‘Ricer­ca di visio­ne’, la Han­ble­cheya­pi – let­te­ral­men­te: “pian­ge­re per una visio­ne” –, non è altro che una varian­te dell’incubazione.

Con que­sto non voglio cer­ta­men­te dire che tut­ti que­sti riti e tec­ni­che abbia­no una radi­ce comu­ne e nem­me­no che sia­no esat­ta­men­te ugua­li. Ognu­no di que­sti ritua­li ha le sue spe­ci­fi­ci­tà e sono pro­prio que­ste pecu­lia­ri­tà a ren­der­li ciò che sono. Tut­ta­via, è inte­res­san­te nota­re come la con­di­zio­ne del pro­fe­ta, di tro­var­si al cospet­to del dio, fos­se con­si­de­ra­ta alla por­ta­ta di tut­ti. Sep­pu­re solo in deter­mi­na­te con­di­zio­ni: esse­re chia­ma­ti dal dio per esse­re gua­ri­ti.

Da una deci­na d’anni pra­ti­co la disci­pli­na del Sat Nam Rasa­yan, un’arte cura­ti­va, lega­ta al kun­da­li­ni yoga, dove il cura­to­re ope­ra tra­mi­te la medi­ta­zio­ne. 

Anche in que­sto caso l’idea è quel­la di crea­re uno spa­zio, lo ‘Spa­zio Sacro’, e sem­pli­ce­men­te non fare nul­la, lascia­re che la gua­ri­gio­ne avven­ga, e soste­ne­re lo spa­zio in cui essa può avve­ni­re. Pra­ti­ca­men­te nient’altro che que­sto.

Anche que­sta, in fon­do, è una for­ma di incu­ba­zio­ne.

Quel­lo che acco­mu­na tut­te que­ste ‘varian­ti’ è pro­prio lo slit­ta­men­to del­la respon­sa­bi­li­tà: il ‘gua­ri­to­re-medi­co’ è sem­pli­ce­men­te un faci­li­ta­to­re, un assi­sten­te del pro­ces­so di resa – o di aper­tu­ra – che il ‘mala­to-pazien­te’ può com­pie­re da sé, per crea­re spa­zio, lo spa­zio che ser­ve al com­pier­si del­la gua­ri­gio­ne, del­la tra­sfor­ma­zio­ne e all’incontro col divi­no. Lo spa­zio che ser­ve per far emer­ge­re la pro­fe­zia. Il ver­bo del dio.

Anche nel­le tra­di­zio­ni meso e suda­me­ri­ca­ne, i curan­de­ros nor­mal­men­te assi­sto­no e accom­pa­gna­no il pazien­te nel suo viag­gio, ma la respon­sa­bi­li­tà del viag­gio è del viag­gia­to­re e la gua­ri­gio­ne è solo ed esclu­si­va­men­te appan­nag­gio del dio, del Gran­de Spi­ri­to, del­la Pian­ta Mae­stra o di qual­sia­si enti­tà sopran­na­tu­ra­le sia sta­ta con­tat­ta­ta. 

Oggi­gior­no ten­dia­mo a defi­ni­re la pro­fe­zia come ‘pre­di­zio­ne del futu­ro’ ma la pro­fe­zia era ed è mol­to di più. Pro­prio per­ché non si trat­ta di pre­veg­gen­za, così come ha fat­to nota­re Gior­gio Col­li nel suo La nasci­ta del­la filo­so­fia ripor­tan­do la distin­zio­ne che Pla­to­ne pro­po­ne nel Timeo tra “divi­na­to­re” e “pro­fe­ta”. Il pro­fe­ta “par­la al posto” del dio. Per­ciò par­la da una con­di­zio­ne tem­po­ra­le diver­sa, dal­la “fine del tem­po”, dall’eternità. Il Tem­po a cui acce­de il pro­fe­ta è un altro tem­po, il non-tem­po. 

Ed è pro­prio osser­va­re l’eternità dell’esistenza che ci per­met­te di gua­ri­re. La pro­fe­zia avvie­ne nel­lo spa­zio di con­giun­zio­ne tra uma­no e divi­no ed è per que­sto che è fat­ta di paro­le miste­ri­che.

Scrit­tu­ra come litur­gia

Nel tem­po i sacer­do­ti che gui­da­va­no le ceri­mo­nie dell’incubazione sono scom­par­si, oppu­re si sono tra­sfor­ma­ti; in alcu­ne cul­tu­re sono rima­sti in for­ma di scia­ma­ni, curan­de­ros, medi­ci­ne men e medi­ci­ne women; in altre inve­ce tut­to l’aspetto cura­ti­vo del­la pra­ti­ca pro­fe­ti­ca è sta­to rele­ga­to alle disci­pli­ne arti­sti­che. Oltre che ad alcu­ne isti­tu­zio­ni reli­gio­se. 

Eppu­re que­sti cam­pi non sono sepa­ra­ti: cura, arte e spi­ri­tua­li­tà. 

La sepa­ra­zio­ne di que­sti aspet­ti del rap­por­to con il divi­no, con il sacro (con­cet­to che pos­sia­mo facil­men­te amplia­re per incon­tra­re tut­to ciò che di lai­co può emer­ge­re da que­sta paro­la) è una for­za­tu­ra di stam­po post-moder­no occi­den­ta­le.

Se guar­dia­mo alle figu­re cen­tra­li del­la let­te­ra­tu­ra lai­ca tro­ve­re­mo esem­pi di immen­so spes­so­re, come Paul Clau­del, Simo­ne Weil, Emi­ly Dic­kin­son e infi­ni­ti altri, che han­no avu­to un rap­por­to stret­tis­si­mo con il divi­no tra­mi­te la loro pra­ti­ca del­la scrit­tu­ra. E allo stes­so tem­po anche riper­cor­ren­do i testi del­la let­te­ra­tu­ra con­si­de­ra­ta gene­ral­men­te ‘pro­fe­ti­ca’ o più in gene­ra­le ‘misti­ca’ o ‘spi­ri­tua­le’, pos­sia­mo nota­re che essa con­tie­ne esem­pi d’indicibile splen­do­re let­te­ra­rio, dai libri sacri del­le reli­gio­ni mono­tei­ste fino ai Dia­lo­ghi di Con­fu­cio. Testi dall’inossidabile valo­re cul­tu­ra­le, in gra­do di ispi­ra­re e gua­ri­re con le loro paro­le, e che tra­mi­te enig­mi, ana­lo­gie e meta­fo­re miste­rio­se rie­sco­no a fare emer­ge­re l’inesprimibile nel­la sua scon­vol­gen­te e ambi­gua magni­fi­cen­za.

Nel suo Dia­rio, Franz Kaf­ka – a mio pare­re uno dei più ico­ni­ci pro­fe­ti del nostro tem­po – rac­con­ta del­la not­te in cui scris­se uno dei suoi rac­con­ti più impor­tan­ti e miste­rio­si, La con­dan­na:

“Que­sta sto­ria l’ho scrit­ta tut­ta d’un fia­to nel­la not­te dal 22 al 23, dal­le die­ci del­la sera alle sei del mat­ti­no. Potei appe­na ritrar­re di sot­to la tavo­la le gam­be diven­ta­te rigi­de a for­za di resta­re sedu­to. La fati­ca e la gio­ia era­no ter­ri­bi­li, men­tre vede­vo come la sto­ria si svi­lup­pa­va davan­ti a me, come ero tra­spor­ta­to avan­ti dal­le acque. A più ripre­se, nel cor­so di que­sta not­te, mi por­tai sul­le spal­le tut­to il peso di me stes­so. Come ogni cosa può esse­re det­ta, come, per tut­te le idee che ven­go­no in men­te, per le idee più stra­ne, è già pre­pa­ra­to un gran fuo­co, in cui esse scom­pa­io­no e rina­sco­no” (Franz Kaf­ka, Con­fes­sio­ni e Dia­ri, Mon­da­do­ri, 1991)

Per Kaf­ka scri­ve­re non era un eser­ci­zio di sti­le, e nem­me­no un momen­to di sva­go. Non ave­va a che fare con quel pia­ce­re ludi­co che pote­va­no sen­ti­re Tol­kien o Le Guin quan­do crea­va­no i loro uni­ver­si fan­ta­sti­ci. Kaf­ka scri­ve­va come fos­se pre­da di un rapi­men­to misti­co. Kaf­ka scri­ve­va come Sant’Agostino. E come dice Maria Zam­bra­no a pro­po­si­to del­le sue Con­fes­sio­ni: “non si scri­ve cer­ta­men­te per esi­gen­ze let­te­ra­rie, ma per l’esigenza che ha la vita di espri­mer­si”. 

L’e­nig­ma del­la Sfin­ge

La scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca, essen­do un’espressione del miste­ro del­la vita, una sor­ta di tra­du­zio­ne del divi­no nel lin­guag­gio uma­no, pre­sen­ta del­le carat­te­ri­sti­che spes­so ambi­gue e miste­rio­se. 

Gior­gio Col­li scri­ve che “l’oscurità del respon­so” pro­fe­ti­co sareb­be pro­prio “il segno del pas­sag­gio dal­la sfe­ra divi­na a quel­la uma­na”, ovve­ro “un’allusione alla frat­tu­ra meta­fi­si­ca”, all’“eterogeneità tra la sapien­za divi­na e la sua espres­sio­ne in paro­le”. In pra­ti­ca, il divi­no, non poten­do­si espri­me­re nel­la sua com­ples­si­tà tra­mi­te un’espressione uma­na come quel­la del­la paro­la, con­se­gna il suo mes­sag­gio, tra­scrit­to dal pro­fe­ta in una for­ma enig­ma­ti­ca che allu­de all’impossibilità di mani­fe­sta­re il divi­no nel­la sua for­ma più pura.

L’enigma non è solo un indi­ca­to­re del­la paro­la ‘divi­na’ o ‘pro­fe­ti­ca’, ma è anche un modo per apri­re il mes­sag­gio del divi­no e poter­ne leg­ge­re i mol­te­pli­ci pia­ni di real­tà attra­ver­so cui vuo­le comu­ni­car­ci qual­co­sa di impor­tan­te e cura­ti­vo.

Que­sto a pri­mo acchi­to può scuo­ter­ci, “il mes­sag­gio potrà suo­na­re incoe­ren­te” ci avver­te Cri­sti­na Cam­po, “ma l’ordine segre­to che alli­nea quel­le paro­le non è meno per­fet­to”. 

Anche per  Cri­sti­na Cam­po il poe­ta è “un media­to­re: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le rego­le del­la natu­ra”, e il suo com­pi­to è ave­re “atten­zio­ne”, l’attenzione per ogni mini­ma cosa che ci cir­con­da. “Un poe­ta che a ogni sin­go­la cosa, del visi­bi­le e dell’invisibile, pre­stas­se l’identica misu­ra di atten­zio­ne, […] sareb­be il poe­ta asso­lu­to”. Poi­ché “l’attenzione è il solo cam­mi­no ver­so l’inesprimibile, la sola stra­da al miste­ro”.

Iatro­man­ti­smo

“Lo iatro­man­te è un gua­ri­to­re par­ti­co­la­re, un gua­ri­to­re pro­fe­ta, un medi­co che risa­na gra­zie alle sue capa­ci­tà pro­fe­ti­che”. In que­sto libro dal tito­lo evo­ca­ti­vo, Nei luo­ghi oscu­ri del­la sag­gez­za, Peter King­sley cer­ca di svi­sce­ra­re il miste­ro che aleg­gia intor­no alla figu­ra di Par­me­ni­de, alle sue ori­gi­ni e al suo ruo­lo nel­la sto­ria del­la filo­so­fia. King­sley lo iden­ti­fi­ca come il vero padre del­la filo­so­fia e soprat­tut­to come uno dei capo­sti­pi­ti di que­sta genia di iatro­man­ti, ovve­ro pro­fe­ti-gua­ri­to­ri pro­ve­nien­ti dall’est. 

Le ricer­che di King­sley non sono le sole ad avva­lo­ra­re la tesi di uno scia­ma­ne­si­mo pre­so­cra­ti­co di radi­ce ioni­ca che avreb­be dato vita alla filo­so­fia gre­ca. Basti guar­da­re agli stu­di di Ange­lo Tonel­li uno dei più inte­res­san­ti allie­vi di Gior­gio Col­li per com­pren­de­re la por­ta­ta del feno­me­no, in par­ti­co­la­re il volu­me Negli abis­si lumi­no­si: Scia­ma­ne­si­mo, tran­ce ed esta­si nel­la Gre­cia anti­ca  (2021).

Lo iatro­man­te è un pro­fe­ta, un gua­ri­to­re e un arti­sta. Riu­ni­sce que­sti tre mon­di: la spi­ri­tua­li­tà, l’arte del­la cura e l’espressione arti­sti­ca, ovve­ro il mez­zo attra­ver­so il qua­le acce­de­re allo spa­zio-tem­po del­la pro­fe­zia e tra­smet­te­re quel­la rive­la­zio­ne.

“Arte e vita rea­le sono com­ple­men­ta­ri. […] Tra le tan­te cose che noi euro­pei moder­ni abbia­mo dimen­ti­ca­to c’è la fun­zio­ne medi­ci­na­le dell’arte, il suo pote­re cura­ti­vo qua­si magi­co, il suo legit­ti­mo pote­re tau­ma­tur­gi­co”. (Maria Zam­bra­no, La con­fes­sio­ne come gene­re let­te­ra­rio)

L’arte, nel nostro mon­do, ha accu­mu­la­to stra­ti e stra­ti di signi­fi­ca­to: l’arte è poli­ti­ca, è capi­ta­le socia­le, è sva­go ludi­co, l’arte è intrat­te­ni­men­to, mar­ke­ting, busi­ness. Tut­ta­via, ci sug­ge­ri­sce Zam­bra­no, ten­dia­mo a dimen­ti­ca­re una del­le capa­ci­tà essen­zia­li dell’arte, ovve­ro la sua por­ta­ta pro­fe­ti­ca e cura­ti­va. Lo iatro­man­ti­smo non ha nien­te a che vede­re con la pre­veg­gen­za, non si trat­ta di cono­sce­re il futu­ro per evi­ta­re o pre­pa­rar­si a even­ti nefa­sti o mira­co­lo­si. L’intento del pro­fe­ta­re è innan­zi­tut­to cura­ti­vo poi­ché arti­sti­co, e arti­sti­co in quan­to cura­ti­vo. La pro­fe­zia è la paro­la di dio che cura – o, se voglia­mo – l’emanazione del Miste­ro che ci mostra il nostro vero Sé, per­met­ten­do­ci il risve­glio. 

Pri­ma però biso­gna mori­re.

L’ar­te di mori­re

A ini­zio Nove­cen­to è vis­su­to un uomo, un cer­ca­to­re di veri­tà. 

Per tan­ti anni ave­va stu­dia­to i testi sacri del­la tra­di­zio­ne indù, i clas­si­ci del­la let­te­ra­tu­ra san­scri­ta, ave­va scrit­to poe­sie e pro­se memo­ra­bi­li ma non era anco­ra sod­di­sfat­to. Era sem­pre in cer­ca, pro­prio come se qual­cu­no lo stes­se chia­man­do. 

In effet­ti un dio lo sta­va chia­man­do, o meglio, una dea. 

Un gior­no gli dis­se­ro che sareb­be mor­to a cau­sa di una malat­tia incu­ra­bi­le la stes­sa malat­tia di cui morì Kaf­ka, peral­tro. 

A quel pun­to, quest’uomo illu­mi­na­to non ebbe altra scel­ta che get­ta­re all’aria tut­ti i suoi pro­get­ti e dedi­ca­re i gior­ni che gli rima­ne­va­no al ten­ta­ti­vo di scri­ve­re un testo che avreb­be mostra­to a tut­ti il per­cor­so da intra­pren­de­re per rag­giun­ge­re la sag­gez­za, la vet­ta del­la mon­ta­gna, la cima del­la veri­tà.

Quel testo ora è un libro e s’intitola Il Mon­te Ana­lo­go ma non è mai sta­to ter­mi­na­to; for­se per­ché inter­mi­na­bi­le. 

Inin­tel­li­gi­bi­le come una pro­fe­zia.

Il Mon­te Ana­lo­go di René Dau­mal è un testo pode­ro­so che met­te insie­me tut­te le carat­te­ri­sti­che del­la pro­fe­zia che abbia­mo fino­ra cer­ca­to di indi­vi­dua­re: è un testo enig­ma­ti­co, un’immensa ana­lo­gia, una spe­cie di map­pa dei regni super­ni e un manua­le di vita per ini­zia­ti, e allo stes­so tem­po  un’avventura per mare degna di Ste­ven­son. È fuo­ri da ogni tem­po, e par­la pro­prio da un luo­go altro, dal­la fine dei tem­pi o da tut­ti i tem­pi pos­si­bi­li. È un testo immer­so nell’eternità. È un testo cura­ti­vo, lo è sta­to per l’autore per­ché potes­se esser­lo anche per il let­to­re. E in que­sto sta la neces­si­tà di «mori­re pri­ma di mori­re»: gua­ri­re signi­fi­ca libe­rar­si dal­la pri­gio­ne con­cet­tua­le del­lo sta­tus quo e final­men­te osser­va­re la real­tà per ciò che è dav­ve­ro, per intro­dur­ci nuo­va­men­te nel­la real­tà ma con occhi nuo­vi e una Paro­la come gui­da; e osser­va­re ciò che si nascon­de oltre noi, ciò che emer­ge nel­lo Spa­zio Sacro, per ripor­tar­lo nel­la nostra vita e nel­le nostre paro­le.

Nota: Sul Labo­ra­to­rio di scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca

Il pre­sen­te testo è solo una boz­za di un pos­si­bi­le Vade­me­cum di scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca in lavo­ra­zio­ne, una serie di appun­ti e di sto­rie. 

L’idea del­la ‘scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca’ pro­vie­ne da una pro­po­sta labo­ra­to­ria­le che ho idea­to insie­me a Espo­si­zio­ni Sud Est e Stu­dio CoCo e che stia­mo por­tan­do avan­ti paral­le­la­men­te alla ste­su­ra del testo: il Labo­ra­to­rio di scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca. 

L’idea di pro­por­re un Labo­ra­to­rio di “scrit­tu­ra pro­fe­ti­ca” è innan­zi­tut­to una pro­vo­ca­zio­ne: smon­ta­re la con­vin­zio­ne che i labo­ra­to­ri di scrit­tu­ra deb­ba­no esse­re per for­za di cose dei cor­si tec­ni­ci, basa­ti sull’analisi razio­na­le e cri­ti­ca dei testi per estra­po­la­re degli sche­mi let­te­ra­ri da poter poi ripro­por­re nel­la pro­pria scrit­tu­ra (il pun­to di vista, il col­po di sce­na, l’incipit, ecce­te­ra). Per quan­to sia­no sen­za dub­bio uti­li, spes­so in que­sta dina­mi­ca si ten­de a sot­to­va­lu­ta­re, o addi­rit­tu­ra scre­di­ta­re ed evi­ta­re, la com­po­nen­te spi­ri­tua­le o anche sem­pli­ce­men­te espe­rien­zia­le del­la scrit­tu­ra.

Per­tan­to, abbia­mo pen­sa­to di pro­por­re un labo­ra­to­rio che met­tes­se al cen­tro del cer­chio l’esperienza del­la scrit­tu­ra come litur­gia iatro­man­ti­ca, atto psi­co­ma­gi­co, ritua­le pro­fe­ti­co. Uno spa­zio in cui un pic­co­lo grup­po di per­so­ne pos­sa riu­nir­si in cer­ca di quel con­tat­to con il divi­no che potreb­be lascia­re emer­ge­re la pro­fe­zia. Un luo­go sicu­ro, di gua­ri­gio­ne. Dove scri­ve­re signi­fi­ca lasciar­si attra­ver­sa­re. Lasciar­si gua­ri­re. Arren­der­si final­men­te alla vita.

Foto­gra­fia di Sido­nie Ron­fard

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