Ars moriendi
Il medico e il mago devono occuparsi con grandissima attenzione dell’opera della fantasia: essa infatti è la porta e l’accesso principale per le azioni, e le passioni, e tutti gli stati d’animo presenti nell’essere vivente; e su questo tipo di vincolo si basa il vincolo di una potenza più profonda, che è la potenza cogitativa.
Giordano Bruno
È senz’altro possibile che lo splendore della vita circondi chiunque, e sempre nella sua intera pienezza, accessibile ma velato, nel profondo, invisibile, molto lontano. Però esso sta lì, non ostile, non riluttante, non sordo. Se lo si chiama con la parola giusta, con il nome giusto, allora viene. Questa è l’essenza della magia, che non crea ma chiama.
Roberto Calasso
Se qualche volta scrivo è perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre – attraverso la penna e la mano – come per osmosi.
Cristina Campo
Il rituale dell’Incubazione
Corpi giacciono nella penombra. Apparentemente privi di sensi. Dormono, oppure stanno morendo. O entrambe le cose.
Sono cosparsi di serpenti. Poiché i serpenti guariscono.
La luce fioca e l’odore dell’incenso. L’eco degli inni riempie lo spazio buio. Non c’è più tempo nel silenzio. I sacerdoti si muovono lentamente e non fanno alcun rumore. Sono come fantasmi. Sono come flussi di energia. Accompagnano la guarigione. Ma è il serpente che cura, è il dio che cura.
I malati sono stati chiamati dal dio. Devono arrendersi alla chiamata. Non c’è più bisogno di lottare. L’incubazione è una resa totale. Bisogna solo stare fermi immobili. Ognuno nel suo giaciglio. Fino al momento in cui il dio finalmente appare. L’apparizione del dio è la guarigione.
La domanda
Cosa intendiamo per ‘scrittura profetica’?
Fondamentalmente una postura, una posizione del corpo-mente che si mette a scrivere. Se pensiamo alla profezia come un atto poetico che passa dal corpo e converge nella scrittura di un testo, possiamo scoprire come – tramite il lavoro spirituale, la meditazione e altre tecniche di esplorazione del sé – sia possibile far emergere dei messaggi dal nostro interno. Come le parole degli antichi veggenti: insegnamenti che servono per costruire il futuro, visioni di ciò che sarà, predizioni per vivere il presente. Per trovare la giusta via, la via dell’evoluzione del sé, la via della perfezione.
Profezia e Tempo
Nell’antichità, in moltissime culture e in diversi periodi storici, è stato praticato il rituale della cosiddetta ‘incubazione’, come tecnica di guarigione tramite la profezia.
Il malato, se chiamato dal dio, poteva giacere immobile nel tempio fino a che la guarigione non fosse sopravvenuta, proprio grazie all’apparizione del divino.
L’incubazione era già presente all’interno della cultura dell’antico Egitto e in seguito fu al centro dei riti dedicati ad Asclepio nel mondo greco e ad Esculapio nel mondo latino. Inoltre, esistono versioni più o meno simili di questo rituale in tutto il mondo, dallo scintoismo giapponese fino alle tradizioni sopravvissute dei nativi americani. Se pensiamo, per esempio, all’ormai diffusissimo rituale della ‘Ricerca di visione’, la Hanblecheyapi – letteralmente: “piangere per una visione” –, non è altro che una variante dell’incubazione.
Con questo non voglio certamente dire che tutti questi riti e tecniche abbiano una radice comune e nemmeno che siano esattamente uguali. Ognuno di questi rituali ha le sue specificità e sono proprio queste peculiarità a renderli ciò che sono. Tuttavia, è interessante notare come la condizione del profeta, di trovarsi al cospetto del dio, fosse considerata alla portata di tutti. Seppure solo in determinate condizioni: essere chiamati dal dio per essere guariti.
Da una decina d’anni pratico la disciplina del Sat Nam Rasayan, un’arte curativa, legata al kundalini yoga, dove il curatore opera tramite la meditazione.
Anche in questo caso l’idea è quella di creare uno spazio, lo ‘Spazio Sacro’, e semplicemente non fare nulla, lasciare che la guarigione avvenga, e sostenere lo spazio in cui essa può avvenire. Praticamente nient’altro che questo.
Anche questa, in fondo, è una forma di incubazione.
Quello che accomuna tutte queste ‘varianti’ è proprio lo slittamento della responsabilità: il ‘guaritore-medico’ è semplicemente un facilitatore, un assistente del processo di resa – o di apertura – che il ‘malato-paziente’ può compiere da sé, per creare spazio, lo spazio che serve al compiersi della guarigione, della trasformazione e all’incontro col divino. Lo spazio che serve per far emergere la profezia. Il verbo del dio.
Anche nelle tradizioni meso e sudamericane, i curanderos normalmente assistono e accompagnano il paziente nel suo viaggio, ma la responsabilità del viaggio è del viaggiatore e la guarigione è solo ed esclusivamente appannaggio del dio, del Grande Spirito, della Pianta Maestra o di qualsiasi entità soprannaturale sia stata contattata.
Oggigiorno tendiamo a definire la profezia come ‘predizione del futuro’ ma la profezia era ed è molto di più. Proprio perché non si tratta di preveggenza, così come ha fatto notare Giorgio Colli nel suo La nascita della filosofia riportando la distinzione che Platone propone nel Timeo tra “divinatore” e “profeta”. Il profeta “parla al posto” del dio. Perciò parla da una condizione temporale diversa, dalla “fine del tempo”, dall’eternità. Il Tempo a cui accede il profeta è un altro tempo, il non-tempo.
Ed è proprio osservare l’eternità dell’esistenza che ci permette di guarire. La profezia avviene nello spazio di congiunzione tra umano e divino ed è per questo che è fatta di parole misteriche.
Scrittura come liturgia
Nel tempo i sacerdoti che guidavano le cerimonie dell’incubazione sono scomparsi, oppure si sono trasformati; in alcune culture sono rimasti in forma di sciamani, curanderos, medicine men e medicine women; in altre invece tutto l’aspetto curativo della pratica profetica è stato relegato alle discipline artistiche. Oltre che ad alcune istituzioni religiose.
Eppure questi campi non sono separati: cura, arte e spiritualità.
La separazione di questi aspetti del rapporto con il divino, con il sacro (concetto che possiamo facilmente ampliare per incontrare tutto ciò che di laico può emergere da questa parola) è una forzatura di stampo post-moderno occidentale.
Se guardiamo alle figure centrali della letteratura laica troveremo esempi di immenso spessore, come Paul Claudel, Simone Weil, Emily Dickinson e infiniti altri, che hanno avuto un rapporto strettissimo con il divino tramite la loro pratica della scrittura. E allo stesso tempo anche ripercorrendo i testi della letteratura considerata generalmente ‘profetica’ o più in generale ‘mistica’ o ‘spirituale’, possiamo notare che essa contiene esempi d’indicibile splendore letterario, dai libri sacri delle religioni monoteiste fino ai Dialoghi di Confucio. Testi dall’inossidabile valore culturale, in grado di ispirare e guarire con le loro parole, e che tramite enigmi, analogie e metafore misteriose riescono a fare emergere l’inesprimibile nella sua sconvolgente e ambigua magnificenza.
Nel suo Diario, Franz Kafka – a mio parere uno dei più iconici profeti del nostro tempo – racconta della notte in cui scrisse uno dei suoi racconti più importanti e misteriosi, La condanna:
“Questa storia l’ho scritta tutta d’un fiato nella notte dal 22 al 23, dalle dieci della sera alle sei del mattino. Potei appena ritrarre di sotto la tavola le gambe diventate rigide a forza di restare seduto. La fatica e la gioia erano terribili, mentre vedevo come la storia si sviluppava davanti a me, come ero trasportato avanti dalle acque. A più riprese, nel corso di questa notte, mi portai sulle spalle tutto il peso di me stesso. Come ogni cosa può essere detta, come, per tutte le idee che vengono in mente, per le idee più strane, è già preparato un gran fuoco, in cui esse scompaiono e rinascono” (Franz Kafka, Confessioni e Diari, Mondadori, 1991)
Per Kafka scrivere non era un esercizio di stile, e nemmeno un momento di svago. Non aveva a che fare con quel piacere ludico che potevano sentire Tolkien o Le Guin quando creavano i loro universi fantastici. Kafka scriveva come fosse preda di un rapimento mistico. Kafka scriveva come Sant’Agostino. E come dice Maria Zambrano a proposito delle sue Confessioni: “non si scrive certamente per esigenze letterarie, ma per l’esigenza che ha la vita di esprimersi”.
L’enigma della Sfinge
La scrittura profetica, essendo un’espressione del mistero della vita, una sorta di traduzione del divino nel linguaggio umano, presenta delle caratteristiche spesso ambigue e misteriose.
Giorgio Colli scrive che “l’oscurità del responso” profetico sarebbe proprio “il segno del passaggio dalla sfera divina a quella umana”, ovvero “un’allusione alla frattura metafisica”, all’“eterogeneità tra la sapienza divina e la sua espressione in parole”. In pratica, il divino, non potendosi esprimere nella sua complessità tramite un’espressione umana come quella della parola, consegna il suo messaggio, trascritto dal profeta in una forma enigmatica che allude all’impossibilità di manifestare il divino nella sua forma più pura.
L’enigma non è solo un indicatore della parola ‘divina’ o ‘profetica’, ma è anche un modo per aprire il messaggio del divino e poterne leggere i molteplici piani di realtà attraverso cui vuole comunicarci qualcosa di importante e curativo.
Questo a primo acchito può scuoterci, “il messaggio potrà suonare incoerente” ci avverte Cristina Campo, “ma l’ordine segreto che allinea quelle parole non è meno perfetto”.
Anche per Cristina Campo il poeta è “un mediatore: tra l’uomo e il dio, tra l’uomo e l’altro uomo, tra l’uomo e le regole della natura”, e il suo compito è avere “attenzione”, l’attenzione per ogni minima cosa che ci circonda. “Un poeta che a ogni singola cosa, del visibile e dell’invisibile, prestasse l’identica misura di attenzione, […] sarebbe il poeta assoluto”. Poiché “l’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero”.
Iatromantismo
“Lo iatromante è un guaritore particolare, un guaritore profeta, un medico che risana grazie alle sue capacità profetiche”. In questo libro dal titolo evocativo, Nei luoghi oscuri della saggezza, Peter Kingsley cerca di sviscerare il mistero che aleggia intorno alla figura di Parmenide, alle sue origini e al suo ruolo nella storia della filosofia. Kingsley lo identifica come il vero padre della filosofia e soprattutto come uno dei capostipiti di questa genia di iatromanti, ovvero profeti-guaritori provenienti dall’est.
Le ricerche di Kingsley non sono le sole ad avvalorare la tesi di uno sciamanesimo presocratico di radice ionica che avrebbe dato vita alla filosofia greca. Basti guardare agli studi di Angelo Tonelli – uno dei più interessanti allievi di Giorgio Colli – per comprendere la portata del fenomeno, in particolare il volume Negli abissi luminosi: Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica (2021).
Lo iatromante è un profeta, un guaritore e un artista. Riunisce questi tre mondi: la spiritualità, l’arte della cura e l’espressione artistica, ovvero il mezzo attraverso il quale accedere allo spazio-tempo della profezia e trasmettere quella rivelazione.
“Arte e vita reale sono complementari. […] Tra le tante cose che noi europei moderni abbiamo dimenticato c’è la funzione medicinale dell’arte, il suo potere curativo quasi magico, il suo legittimo potere taumaturgico”. (Maria Zambrano, La confessione come genere letterario)
L’arte, nel nostro mondo, ha accumulato strati e strati di significato: l’arte è politica, è capitale sociale, è svago ludico, l’arte è intrattenimento, marketing, business. Tuttavia, ci suggerisce Zambrano, tendiamo a dimenticare una delle capacità essenziali dell’arte, ovvero la sua portata profetica e curativa. Lo iatromantismo non ha niente a che vedere con la preveggenza, non si tratta di conoscere il futuro per evitare o prepararsi a eventi nefasti o miracolosi. L’intento del profetare è innanzitutto curativo poiché artistico, e artistico in quanto curativo. La profezia è la parola di dio che cura – o, se vogliamo – l’emanazione del Mistero che ci mostra il nostro vero Sé, permettendoci il risveglio.
Prima però bisogna morire.
L’arte di morire
A inizio Novecento è vissuto un uomo, un cercatore di verità.
Per tanti anni aveva studiato i testi sacri della tradizione indù, i classici della letteratura sanscrita, aveva scritto poesie e prose memorabili ma non era ancora soddisfatto. Era sempre in cerca, proprio come se qualcuno lo stesse chiamando.
In effetti un dio lo stava chiamando, o meglio, una dea.
Un giorno gli dissero che sarebbe morto a causa di una malattia incurabile – la stessa malattia di cui morì Kafka, peraltro.
A quel punto, quest’uomo illuminato non ebbe altra scelta che gettare all’aria tutti i suoi progetti e dedicare i giorni che gli rimanevano al tentativo di scrivere un testo che avrebbe mostrato a tutti il percorso da intraprendere per raggiungere la saggezza, la vetta della montagna, la cima della verità.
Quel testo ora è un libro e s’intitola Il Monte Analogo ma non è mai stato terminato; forse perché interminabile.
Inintelligibile come una profezia.
Il Monte Analogo di René Daumal è un testo poderoso che mette insieme tutte le caratteristiche della profezia che abbiamo finora cercato di individuare: è un testo enigmatico, un’immensa analogia, una specie di mappa dei regni superni e un manuale di vita per iniziati, e allo stesso tempo un’avventura per mare degna di Stevenson. È fuori da ogni tempo, e parla proprio da un luogo altro, dalla fine dei tempi o da tutti i tempi possibili. È un testo immerso nell’eternità. È un testo curativo, lo è stato per l’autore perché potesse esserlo anche per il lettore. E in questo sta la necessità di «morire prima di morire»: guarire significa liberarsi dalla prigione concettuale dello status quo e finalmente osservare la realtà per ciò che è davvero, per introdurci nuovamente nella realtà ma con occhi nuovi e una Parola come guida; e osservare ciò che si nasconde oltre noi, ciò che emerge nello Spazio Sacro, per riportarlo nella nostra vita e nelle nostre parole.
Nota: Sul Laboratorio di scrittura profetica
Il presente testo è solo una bozza di un possibile Vademecum di scrittura profetica in lavorazione, una serie di appunti e di storie.
L’idea della ‘scrittura profetica’ proviene da una proposta laboratoriale che ho ideato insieme a Esposizioni Sud Est e Studio CoCo e che stiamo portando avanti parallelamente alla stesura del testo: il Laboratorio di scrittura profetica.
L’idea di proporre un Laboratorio di “scrittura profetica” è innanzitutto una provocazione: smontare la convinzione che i laboratori di scrittura debbano essere per forza di cose dei corsi tecnici, basati sull’analisi razionale e critica dei testi per estrapolare degli schemi letterari da poter poi riproporre nella propria scrittura (il punto di vista, il colpo di scena, l’incipit, eccetera). Per quanto siano senza dubbio utili, spesso in questa dinamica si tende a sottovalutare, o addirittura screditare ed evitare, la componente spirituale o anche semplicemente esperienziale della scrittura.
Pertanto, abbiamo pensato di proporre un laboratorio che mettesse al centro del cerchio l’esperienza della scrittura come liturgia iatromantica, atto psicomagico, rituale profetico. Uno spazio in cui un piccolo gruppo di persone possa riunirsi in cerca di quel contatto con il divino che potrebbe lasciare emergere la profezia. Un luogo sicuro, di guarigione. Dove scrivere significa lasciarsi attraversare. Lasciarsi guarire. Arrendersi finalmente alla vita.
Fotografia di Sidonie Ronfard