Primo giugno 1978, stadio Monumental di Buenos Aires, Argentina. Il presidente Jorge Rafael Videla, in un clima apparentemente disteso e festoso, pronuncia le seguenti parole durante la cerimonia di apertura dei mondiali di calcio: “Chiedo a Dio, nostro Signore, che questo evento sia davvero un contributo per affermare la pace. La pace che tutti desideriamo. Per tutto il mondo e per tutti gli uomini del mondo. Come persone con dignità e in libertà”. Queste sono parole vuote se si dà uno sguardo più ampio al contesto nel quale si svolgono questi campionati mondiali. Infatti, a poco più di un chilometro dal punto in cui Videla sta parlando c’è la Escuela de Mecánica de la Armada, la scuola militare usata anche come centro di detenzione e tortura. Da lì passeranno centinaia o più probabilmente migliaia di dissidenti del regime militare che è al potere in quel momento.
Per iniziare occorre risalire a due anni prima, il 24 marzo 1976, data che segna l’avvento al potere della giunta militare capeggiata dal generale Videla. Enrico Calamai, vice Console a Buenos Aires tra il 1976 e il 1977, ricorda così quella notte: “Con un gruppo di colleghi dell’ambasciata siamo andati a cena fuori, sapevamo che il golpe stava per arrivare, lo sapeva tutta la città. C’era come un senso di terrore, la città era vuota, chi passava in macchina lo faceva di corsa, i ristoranti erano semivuoti. Era una città in attesa, pronta al si salvi chi può. Il ricordo era quello del golpe di Pinochet tre anni prima a Santiago, si pensava che lo stesso sarebbe successo a Buenos Aires. Invece il giorno dopo, il 24 marzo appunto, tutto tranquillo. Nella città era come se non fosse successo niente, c’era come un senso di sollievo, a parte qualche dichiarazione alla tv e qualche sfilata di soldati non era successo nulla”.[1]
Così viene arrestata la presidente Isabelita Perón, mentre Videla, comandante in capo dell’esercito, affiancato da Leopoldo Galtieri, Emilio Eduardo Massera a capo della marina militare e Orlando Ramón Agosti in rappresentanza dell’aviazione, prende il potere con un colpo di Stato militare che segnerà l’inizio di una delle dittature più feroci della storia del Sud America. Inizia fin dagli albori del regime la violenta repressione degli oppositori politici che in massa vengono fatti sparire, ciò porta alla nascita della Asociación Madres de Plaza de Mayo già nel 1977, quando iniziano le proteste davanti alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale argentino. Composta da madri che hanno perso i propri figli durante la dittatura, l’associazione si batte da oltre quarant’anni per rivendicare la scomparsa di tutti quei 30.000 di cui non hanno avuto più notizie.
Il “Proceso de Reorganización Nacional” o semplicemente “El Proceso”, come si autodefinisce il regime dei militari, sa bene che i mondiali di calcio incombono e che lo sport è un’ottima via per rafforzare e dare credibilità al nuovo governo. Data l’instabilità politica dell’Argentina degli anni 70’, altri paesi si fanno avanti per ospitare il grande evento. Tuttavia, consci della grande opportunità, Videla e i membri della giunta dopo l’avvento al potere non solo rassicurano sul proseguimento dei lavori, ma stanziano ulteriori finanziamenti per modernizzare gli stadi e per le opere di urbanizzazione.
L’organizzazione del mondiale è anche un modo per dare al mondo un’immagine pulita e positiva dell’Argentina, mentre la FIFA (Fédération Internationale de Football Association) e il suo Presidente di allora João Havelange si limitano a inviare una delegazione per seguire i lavori e a chiudere un occhio per quanto riguarda il regime dittatoriale e le pratiche che esso riserva agli oppositori. Infatti, i desaparecidos si stimano a circa 30.000 in soli sette anni di dittatura. I vertici della FIFA si nascondono dietro la decisione presa dai loro predecessori e lasciano che l’organizzazione vada avanti senza badare troppo alle dinamiche interne del paese sud americano. Addirittura Havelange, in una conferenza stampa poco prima dei mondiali, dichiara: “Il mondo potrà godere della vera immagine dell’Argentina”.
Le parole di Calamai ci tornano nuovamente utili per capire le dinamiche di quei mesi: “La cosa tipica e inquietante dell’Argentina era proprio questa, che contemporaneamente c’erano due immagini opposte. Da una parte la vita di tutti i giorni a Buenos Aires, come non fosse successo nulla: la città con il traffico di sempre, il centro pieno di gente, i cinema con la fila fuori, i ristoranti pieni, la vita di tutti i giorni. Invece poi, le cose che venivo a sapere in ufficio, testimoniavano l’esistenza di una città notturna, direi demoniaca, in cui succedevano ogni sorta di atrocità”.
Nei mesi che precedono il mondiale, la situazione economica e sociale nel paese va peggiorando, l’inflazione sale alle stelle e di conseguenza i prezzi dei beni di prima necessità. Agli argentini viene chiesto un grande sforzo, facendo leva sull’orgoglio nazionale e sul prestigio che consegue dall’ospitare un mondiale di calcio. La propaganda si rifà agli idoli sportivi del momento, come il tennista Guillermo Vilas o il pugile Carlos Monzon ed a una retorica: 25 milioni di argentini che giocheranno il mondiale.
E allora il mondiale inizia, con l’Argentina che supera la prima fase a gironi dietro un’ottima Italia, che riesce ad imporsi sui padroni di casa per 1–0 grazie al gol di Roberto Bettega. Quella rimarrà l’unica sconfitta dell’albiceleste dell’intera manifestazione. Nella seconda fase a gironi le cose si complicano: L’Argentina batte la Polonia per 2–0 trascinata dalla doppietta di uno dei suoi uomini simbolo, Mario Kempes. Nella seconda partita però, la sfida al Brasile termina senza reti ed il passaggio alla finale è rimandato alla gara successiva contro il Perù. Dopo che il Brasile ha battuto 3–1 la Polonia nella partita delle 16:45 del 21 giugno, l’Argentina necessita di quattro gol di scarto nella partita delle 19:15 per andare a giocarsi la finale. Operazione non impossibile ma complessa, anche perché quel Perù è la versione un po’ invecchiata di quello trionfante nella Copa America del 1975.
La gara contro il Perù, che è in quel momento sotto la dittatura di Francisco Morales Bermudez, lascia ancora oggi degli interrogativi sul comportamento dei peruviani in campo e su quel 6–0 finale che sa di complotto e di beffa per il Brasile. In un’intervista al giornale Trome ripresa dal sito CrónicaViva, Josè Velásquez, schierato titolare in quella partita e sostituito nel secondo tempo, va dritto all’obiettivo, indicando alcuni dei giocatori artefici del ‘biscotto’. Non poteva mancare il principale indiziato, il portiere Ramón Quiroga, e con lui Munante, Manzo e Gorriti, quest’ultimo buttato dentro proprio al posto di Velásquez. In mezzo ai due dittatori c’è uno che di politica dell’America Latina, in un periodo in cui il fascino del comunismo è vivo e vegeto, si interessa parecchio: il segretario di Stato americano Henry Kissinger. Un grande appassionato di calcio, spesso presente anche alle partite del campionato italiano e immancabile alle fasi finali dei mondiali. “Videla e Kissinger prima della partita entrarono nel nostro spogliatoio augurandoci buona partita e ricordando i buoni rapporti tra i nostri paesi…”, ricorda Velásquez. Di fatto un avvertimento, che poi sul campo si traduce in una mezza farsa[2].
L’Argentina vola così in finale dove ad attenderla c’è l’Olanda, vincitrice per 2–1 nella partita decisiva dell’altro girone contro l’Italia. La partita è una lotta, la spuntano i padroni di casa ai supplementari grazie alle reti del solito Kempes e di Daniel Bertoni, conoscenza del calcio italiano. Finalmente Videla ha la sua coppa, milioni di argentini festeggiano nelle piazze e, per un giorno, forse, le violenze, le sparizioni forzate, le torture, le uccisioni e la disperazione delle madri fanno meno male, anche se non è così, anche se la FIFA, Videla, Havelange e Kissinger fanno finta di nulla. “El Proceso” ha vita breve, la guerra delle Falkland del 1982 accelera il processo di caduta del regime dei militari, che avverrà l’anno successivo. Finalmente si può tornare a vivere anche in Argentina, anche in quella Buenos Aires demoniaca.
[1] Storie di Matteo Marani, “Il mondiale Desaparecido”, Sky Sport, 2018
[2] Perù, la rivelazione di Velasquez: “La sfida con l’Argentina del 1978 fu truccata”, La Repubblica, Luigi Pannella, 14 marzo 2018