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Dicembre
19 Dicembre 2024

THE PATH-OS OF AUTHEN­TI­CI­TY: QUAN­DO L’AUTENTICITÀ È DIVEN­TA­TA UN’EMOZIONE?

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L’articolo che segue è il pri­mo di una serie che mi sono pro­po­sto di scri­ve­re a pro­po­si­to dell’autenticità, un con­cet­to che ha mes­so radi­ci pra­ti­ca­men­te in ogni aspet­to del­la nostra vita. Nono­stan­te ciò, l’accordo sul suo signi­fi­ca­to è pres­so­ché ine­si­sten­te, dato che ognu­no di que­sti aspet­ti chia­ma in cau­sa ele­men­ti diver­si ai fini del­la valu­ta­zio­ne: par­la­re di un Rem­brandt auten­ti­co, di un piat­to di auten­ti­ca cuci­na mes­si­ca­na, o di esse­re per­so­ne auten­ti­che non è la stes­sa cosa. Per un qua­dro, potreb­be esse­re suf­fi­cien­te accer­tar­si che sia sta­to l’autore a dipin­ger­lo per defi­nir­lo auten­ti­co, e che non sia dun­que un fal­so; la cuci­na auten­ti­ca chia­ma inve­ce in cau­sa aspet­ti cul­tu­ra­li spe­ci­fi­ci che non sono facil­men­te ogget­ti­va­bi­li. 

Denis Dut­ton (2003, 258), in Authen­ti­ci­ty in Art, scri­ve che auten­ti­ci­tà è una paro­la-dimen­sio­ne, cioè una paro­la il cui signi­fi­ca­to spe­ci­fi­co è incer­to fin­ché non si sa qua­le dimen­sio­ne del­l’au­ten­ti­ci­tà si stia discu­ten­do. Il corol­la­rio di que­sta defi­ni­zio­ne è che biso­gna deci­de­re una dimen­sio­ne, se si vuol pro­va­re a costrui­re un discor­so orga­ni­co. Io ho scel­to quel­la uma­na: che cosa impli­ca esse­re per­so­ne auten­ti­che, e da quan­do è una doman­da alla qua­le rispon­de­re è diven­ta­to così prio­ri­ta­rio? Ho enu­clea­to per­ciò tre pos­si­bi­li rispo­ste, che saran­no ogget­to di altret­tan­ti arti­co­li: l’autenticità può esse­re con­si­de­ra­ta una vir­tù uma­na, un pro­get­to, oppu­re un’emozione. Nono­stan­te sia impli­ci­ta una cer­ta pro­gres­sio­ne tem­po­ra­le, sono tut­te con­ce­zio­ni oggi pre­sen­ti nel nostro imma­gi­na­rio col­let­ti­vo quan­do pen­sia­mo all’autenticità. 

Il moti­vo di que­sta straor­di­na­ria “pla­sti­ci­tà” del con­cet­to è inve­ce l’oggetto dell’articolo pre­li­mi­na­re che segue que­sta intro­du­zio­ne: una bre­ve inda­gi­ne eti­mo­lo­gi­ca che ha lo sco­po di mostra­re come, nell’arco di pochi seco­li, dal­le pri­mis­si­me atte­sta­zio­ni, il ter­mi­ne authén­tēs - da cui la paro­la auten­ti­ci­tà deri­va — è sta­to vei­co­lo di nume­ro­si signi­fi­ca­ti, spes­so anche moral­men­te oppo­sti. Non sor­pren­de affat­to, per­ciò, che due­mi­la­cin­que­cen­to anni dopo non sia­mo anco­ra riu­sci­ti a met­ter­ci d’accordo su cosa dob­bia­mo inten­de­re quan­do par­lia­mo di auten­ti­ci­tà. Per for­tu­na.

  1. ETI­MO­LO­GIA

Mer­riam-Web­ster, il più anti­co edi­to­re ame­ri­ca­no di dizio­na­ri, ha inco­ro­na­to authen­tic come paro­la del 2023. O meglio, l’hanno fat­to gli uten­ti le cui ricer­che su Inter­net ven­go­no uti­liz­za­te dal 2003 per que­sto sco­po: Mer­riam-Web­ster sce­glie infat­ti the word of the year ana­liz­zan­do le pagi­ne visi­ta­te e le ricer­che più fre­quen­ti sul pro­prio sito web. Dal 2007, inol­tre, la com­pa­gnia ha inte­gra­to la sua scel­ta con un son­dag­gio onli­ne, com­pi­la­bi­le dagli uten­ti, i qua­li pos­so­no vota­re la paro­la dell’anno tra le paro­le più cer­ca­te sul sito web di Mer­riam-Web­ster. Scor­ren­do le paro­le inco­ro­na­te dal 2003, anno d’inizio, fino al 2023, si ha come l’impressione di osser­va­re una ven­ti­na di nega­ti­vi, foto­gra­fie dell’umanità e del­le sue modi­fi­ca­zio­ni: demo­cra­zia, blog, inte­gri­tà e veri­di­ci­tà sono le paro­le del­le anna­te 2003–2006; w00t nel 2007 — un’espressione di gio­ia pro­ve­nien­te dal­lo slang — bai­lout nel 2008 — mano­vra finan­zia­ria in cui un gover­no o un’i­sti­tu­zio­ne sal­va un’a­zien­da o un ente che è a rischio fal­li­men­to -, e poi auste­ri­ty, socia­li­sm, sur­real, they, pan­de­mic, vac­ci­ne, gaslighting, per citar­ne alcu­ni. Fino ad arri­va­re alla paro­la del 2023: authen­tic.

Peter Soko­lo­w­ski, edi­tor per Mer­riam-Web­ster, ha scrit­to che è sta­to soprat­tut­to l’avvento dell’Intelligenza Arti­fi­cia­le ad aver gene­ra­to (pun inten­ded) gran­de inte­res­se per que­sta paro­la: 

«Il con­fi­ne tra “vero” e “fal­so” è diven­ta­to sem­pre più labi­le. Di con­se­guen­za, nei social media e nel mar­ke­ting, l’au­ten­ti­ci­tà è diven­ta­ta il gold stan­dard per costrui­re la fidu­cia — e l’au­ten­ti­ci­tà, iro­ni­ca­men­te, è diven­ta­ta una per­for­man­ce». 

L’intervento di Soko­lo­w­ski apre a due con­si­de­ra­zio­ni. Da un lato, la meta­fo­ra del­la per­for­man­ce è azzec­ca­ta ma par­zia­le: è vero che, come attri­ci e atto­ri su di un pal­co, ci esi­bia­mo affin­ché lo spet­ta­to­re rie­sca a spro­fon­da­re nel­la nostra inter­pre­ta­zio­ne, e dun­que a fidar­si del fat­to che noi sia­mo dav­ve­ro ciò che stia­mo imper­so­nan­do; ma è altret­tan­to vero che sen­za un copio­ne, da ese­gui­re pro­prio nel­la per­for­man­ce, non c’è nul­la da inter­pre­ta­re.

Dall’altro, si può sot­to­li­nea­re come l’autenticità, con­cet­to tipi­ca­men­te moder­no ma con radi­ci lon­ta­ne, abbia subi­to nel cor­so degli anni slit­ta­men­ti seman­ti­ci piut­to­sto dispa­ra­ti, anche in ragio­ne del suo sta­tu­to di “signi­fi­can­te flot­tan­te”, cioè di con­cet­to lin­gui­sti­co il cui signi­fi­can­te non ha pre­ci­si signi­fi­ca­ti di rife­ri­men­to; una paro­la, in altre paro­le, che non ha cor­ri­spon­den­za con un ogget­to pre­ci­so. Per que­sto moti­vo, l’autenticità rie­sce a copri­re i più dispa­ra­ti cam­pi seman­ti­ci. Erick­son, nel suo arti­co­lo The impor­tan­ce of authen­ti­ci­ty for self and socie­ty (1995, 123), può scri­ve­re che ci sono tan­te defi­ni­zio­ni di auten­ti­ci­tà quan­to quel­li che ne scri­vo­no. Per lo stes­so moti­vo, del resto, pia­ce mol­to far­ne un lar­go uti­liz­zo: dato che non esi­ste un “vero signi­fi­ca­to” di que­sta paro­la, non è pos­si­bi­le usar­la in modo scor­ret­to. Sem­bra una cosa intel­li­gen­te da dire in qual­sia­si con­te­sto.

Fac­cia­mo allo­ra un pas­so indie­tro, da buo­ni con­ti­nen­ta­li qua­li sia­mo, per pro­va­re a imba­sti­re una genea­lo­gia dell’autenticità, a par­ti­re dal suo eti­mo, per pro­va­re a capi­re qua­li sia­no sta­ti i suoi pri­mi uti­liz­zi e in che modo si sono diver­si­fi­ca­ti. L’etimologia non è soli­ta­men­te lo stru­men­to prin­ci­pa­le per sta­bi­li­re i signi­fi­ca­ti di una paro­la, per­ché que­sti ulti­mi cam­bia­no nel cor­so del tem­po. Ciò nono­stan­te, si trat­ta di uno stru­men­to uti­le nel­lo stu­dio dia­cro­ni­co del­le paro­le, ovve­ro lun­go archi tem­po­ra­li este­si; essen­do que­sto l’obiettivo, ho rite­nu­to cor­ret­to par­ti­re pro­prio dall’etimologia del­la paro­la, la qua­le ci rac­con­ta che “auten­ti­ci­tà” è una voce dot­ta, recu­pe­ra­ta dal lati­no tar­do authen­tĭ­cus, in pre­sti­to a sua vol­ta dal gre­co authen­ti­kós, deri­va­to di authén­tēs.

Ora, αὐθέντης, authén­tēs, è com­po­sto da auto + hen­tēs: auto- signi­fi­ca “se stes­so”, “pro­prio”, “da sé”, men­tre -hen­tēs è un suf­fis­so che indi­ca l’a­gen­te o l’at­to­re di un’a­zio­ne; una tra­du­zio­ne let­te­ra­le può esse­re “auto­re respon­sa­bi­le” (Chan­trai­ne 1999, 138) o, più este­sa­men­te, “fare o dare ori­gi­ne a qual­co­sa con le pro­prie mani”.

Era per­tan­to un ter­mi­ne uti­liz­za­to per indi­ca­re, a gran­di linee, “qual­cu­no che com­pie un’a­zio­ne”, “colui che agi­sce secon­do una ragio­ne e un’autorità che è pro­pria di se stes­so”, “che ope­ra da sé”, “che assu­me una posi­zio­ne di auto­ri­tà indi­pen­den­te” — le tra­du­zio­ni sono mie men­tre le defi­ni­zio­ni pro­ven­go­no dal data­ba­se Logeion e da Wik­tio­na­ry. Il dizio­na­rio eti­mo­lo­gi­co Lid­dell & Scott (1940) ne ripor­ta infat­ti come tra­du­zio­ni author, per­pe­tra­tor, master ma anche mur­de­rer.

Le pri­mis­si­me atte­sta­zio­ni di que­sta paro­la, nel­la let­te­ra­tu­ra atti­ca, sem­bra­no iden­ti­fi­ca­re soprat­tut­to omi­ci­di — cioè per­so­ne che com­pio­no l’atto dell’omicidio -, spes­so di mem­bri del­la pro­pria fami­glia; suc­ces­si­va­men­te, nel perio­do Elle­ni­sti­co e Roma­no, il suo ambi­to seman­ti­co si allar­ga fino a inclu­de­re da un lato l’ideatore/il pro­mo­to­re di pia­ni cri­mi­na­li — non solo quin­di l’esecutore mate­ria­le dell’omicidio -, e dall’altro il signi­fi­ca­to aggiun­ti­vo di “colui che eser­ci­ta auto­ri­tà” e anche pote­re, o dirit­ti, signi­fi­ca­to che poi si affer­me­rà a sca­pi­to del pri­mo, soprat­tut­to gra­zie agli scrit­to­ri del­la Patri­sti­ca gre­ca.

L’unica (con­te­sta­ta) atte­sta­zio­ne del­la paro­la authén­tēs, come colui che eser­ci­ta l’autorità pre­sen­te nel­la let­te­ra­tu­ra atti­ca, si tro­va inve­ce ne Le suppli­ci di Euri­pi­de.

Ciò che è inte­res­san­te sot­to­li­nea­re è che, da que­sta rico­stru­zio­ne, authén­tēs sem­bra ave­re una serie di pos­si­bi­li sfu­ma­tu­re e con­no­ta­zio­ni mora­li, sia nega­ti­ve che posi­ti­ve: può indi­ca­re un omi­ci­da, un tiran­no, ma anche una per­so­na che eser­ci­ta legit­ti­ma­men­te la pro­pria auto­ri­tà. Tali sfu­ma­tu­re si otten­go­no però solo enfa­tiz­zan­do un signi­fi­ca­to eti­mo­lo­gi­co che non sem­bra con­te­ne­re un valo­re assio­lo­gi­co, signi­fi­can­do piut­to­sto una per­so­na che agi­sce sul­la base di un domi­nio su se stes­sa e che solo in vir­tù di que­sta carat­te­ri­sti­ca può poi esse­re omi­ci­da — nel­la dop­pia acce­zio­ne di ese­cu­to­re o man­dan­te -, sui­ci­da, padro­ne; con le con­no­ta­zio­ni mora­li che ne con­se­guo­no, impli­ci­te o pre­sun­te. Anche il signi­fi­ca­to più este­so di “per­so­na che eser­ci­ta auto­ri­tà” può non esse­re moral­men­te con­no­ta­to, e in effet­ti nel perio­do Elle­ni­sti­co il ter­mi­ne ini­zia a esse­re uti­liz­za­to in manie­ra pre­va­len­te­men­te neu­tra — sen­za rife­rir­si a un pote­re auto­cra­ti­co, dispo­ti­co, per inten­der­ci. Le moti­va­zio­ni di que­sto spo­sta­men­to sono con­get­tu­ra­bi­li, ma le fon­ti atti­che ed elle­ni­sti­che sono trop­po distan­ti tem­po­ral­men­te tra loro per poter­lo sta­bi­li­re. Inol­tre, in quel­lo stes­so spa­zio tem­po­ra­le, la paro­la authén­tēs e i suoi deri­va­ti diven­ta­no piut­to­sto rari. Wol­ters stes­so, in “A Seman­tic Stu­dy of αὐθέντης and its Deri­va­ti­ves” (2006, 54), scri­ve che è un gra­ve erro­re pren­de­re le defi­ni­zio­ni e gli usi degli atti­ci­sti come una gui­da affi­da­bi­le al signi­fi­ca­to di authén­tēs e ai suoi deri­va­ti nel gre­co elle­ni­sti­co.

Un ter­zo signi­fi­ca­to che emer­ge dal­le fon­ti gre­che anti­che è doer (Hüb­ner, 2015, 61): colui che fa, cioè l’autore di un’azione, che in ogni caso rima­ne sot­to il cap­pel­lo seman­ti­co di capo, nel sen­so che authén­tēs indi­ca la per­so­na a cui fa capo l’azione, che ne è respon­sa­bi­le, e che sem­bra il signi­fi­ca­to più neu­tro e allo stes­so tem­po più vici­no a quel­lo eti­mo­lo­gi­co. L’ap­pli­ca­zio­ne spe­ci­fi­ca all’o­mi­ci­dio era quin­di, for­se, in ori­gi­ne un eufe­mi­smo, o un uso lega­le o un’as­so­cia­zio­ne con il ver­bo theí­nein, che signi­fi­ca “col­pi­re, ucci­de­re”. Si trat­ta in ogni caso di un dibat­ti­to anco­ra aper­to (Hüb­ner, 2015, 41; West­fall, 2014, 151), per­ché c’è chi sostie­ne che l’idea dell’omicidio riman­ga inte­gra­le al signi­fi­ca­to ori­gi­na­rio del­la paro­la.

Da authén­tēs sono poi deri­va­te nume­ro­se paro­le, le cui ana­li­si pos­so­no dir­ci qual­co­sa a pro­po­si­to. I lavo­ri più recen­ti e accu­ra­ti nell’analisi di paro­le impa­ren­ta­te di authén­tēs sono due, entram­bi rela­ti­vi al ver­bo αὐθεντέω, authen­téō: quel­lo del 2015 di Jamin Hüb­ner in cui l’autore, effet­tuan­do una disa­mi­na del­la biblio­gra­fia esi­sten­te su un famo­so pas­sag­gio bibli­co, pro­pen­de per una sostan­zia­le inca­pa­ci­tà di sta­bi­li­re con cer­tez­za se, tan­to nel­le pri­me atte­sta­zio­ni quan­to nei perio­di suc­ces­si­vi, il ter­mi­ne abbia un sen­so neu­tro, posi­ti­vo o nega­ti­vo. Il secon­do di Cyn­thia Long West­fall, dove si sostie­ne che il con­cet­to seman­ti­co di base di authen­téō pos­sa esse­re descrit­to come “l’u­so o il pos­ses­so auto­no­mo di una for­za non limi­ta­ta [unre­stric­ted]” (2014, 166). Si con­fer­ma quin­di un con­cet­to seman­ti­co lega­to al pote­re e all’a­zio­ne, che ten­de a non tra­smet­te­re le asso­cia­zio­ni emo­ti­ve di una paro­la: sono spes­so ele­men­ti del con­te­sto a con­fe­ri­re una con­no­ta­zio­ne posi­ti­va o nega­ti­va al ter­mi­ne, ad esem­pio l’identità dell’agente, se quest’ultimo sta espli­can­do o meno una sua respon­sa­bi­li­tà, se la sua posi­zio­ne lo legit­ti­ma o meno, l’obiettivo a cui l’agente ten­de. È per que­sto moti­vo che authen­téō può indi­ca­re un aspet­to del­l’a­zio­ne per­so­na­le e orien­ta­ta ver­so se stes­si — “agi­re da sé”, “assu­me­re una posi­zio­ne di auto­ri­tà indi­pen­den­te” -, ma anche ave­re una sfu­ma­tu­ra di for­za o poten­za — “ave­re pie­no potere/autorità su” -, e infi­ne in sen­so negativo/pregiudiziale ovve­ro “domi­na­re” (Hüb­ner, 2015, 43). Anche in que­sto caso, dun­que, la con­no­ta­zio­ne mora­le non è impli­ci­ta, ma si ottie­ne enfa­tiz­zan­do il con­cet­to in un deter­mi­na­to con­te­sto.

Altre due paro­le deri­va­te ci inte­res­sa­no in que­sto discor­so: authen­ti­kós e authen­tía. Nono­stan­te il mate­ria­le in pro­po­si­to sia mino­re, il signi­fi­ca­to più comu­ne atte­sta­to di authen­ti­kós, da cui poi sem­bra­no discen­de­re gli altri, è master­ful, che indi­ca per­so­ne incli­ni e soli­ta­men­te com­pe­ten­ti a eser­ci­ta­re auto­ri­tà; in ita­lia­no, la paro­la “auto­re­vo­le” si avvi­ci­na a que­sto signi­fi­ca­to. Il dizio­na­rio Le Grand Bail­ly ripor­ta infat­ti come defi­ni­zio­ne “che con­si­ste in un pote­re asso­lu­to” (1935, 308).

La pri­mis­si­ma atte­sta­zio­ne di que­sto ter­mi­ne, in un’iscrizione pro­ve­nien­te da Mila­sa, in Asia Mino­re, data­bi­le al II‑I seco­lo a.C., potreb­be tra­dur­si pro­prio con master­ful, anche se man­can­do il con­te­sto sono sta­te avan­za­te nume­ro­se ipo­te­si (Wol­ters 2006, 48). Il secon­do signi­fi­ca­to più comu­ne, che deri­va dal pri­mo, è quel­lo a noi più fami­lia­re di “ori­gi­na­le”, e riguar­da­va soprat­tut­to docu­men­ti lega­li: il docu­men­to auten­ti­co era infat­ti la copia ori­gi­na­le di docu­men­ti qua­li con­trat­ti, testa­men­ti, auten­ti­ci non per­ché scrit­ti di pro­prio pugno dal­l’au­to­re, ma per­ché legal­men­te vin­co­lan­ti, e quin­di auto­re­vo­li. L’enfasi non è tan­to sul­l’au­to­re del docu­men­to quan­to sul­la sua ori­gi­na­rie­tà, il suo veni­re pri­ma di altre copie e quin­di di esse­re l’u­ni­co ad ave­re l’autorevolezza per esse­re dav­ve­ro vin­co­lan­te. In tal sen­so que­sto secon­do signi­fi­ca­to discen­de dal pri­mo (Wol­ters 2006, 47).

Allo stes­so modo, authen­tía fa rife­ri­men­to all’autorità o alla sovra­ni­tà, e nel caso del­la let­te­ra­tu­ra patri­sti­ca, soprat­tut­to a quel­la di Dio o Gesù Cri­sto. Altro­ve, inve­ce, si uti­liz­za per indi­ca­re l’autorità degli uffi­cia­li Roma­ni. Come con­clu­sio­ne gene­ra­le si può dire che, poi­ché tut­ti i deri­va­ti di authén­tēs sono dipen­den­ti dal­la sua acce­zio­ne di “colui che eser­ci­ta auto­ri­tà”, si può affer­mar­ne la sostan­zia­le neu­tra­li­tà, che vie­ne poi con­no­ta­ta da ele­men­ti del con­te­sto.

Anche qui, una pre­ci­sa­zio­ne simi­le a quel­la fat­ta per l’etimologia: lo stu­dio del­le paro­le impa­ren­ta­te (authen­téō, authen­ti­kós) non ci dice neces­sa­ria­men­te qual­co­sa sul­la paro­la che stia­mo stu­dian­do; ciò nono­stan­te, dato che non ci sia­mo con­cen­tra­ti nel­la ricer­ca di una par­ti­co­la­re atte­sta­zio­ne di authén­tēs, quan­to piut­to­sto sul­le pos­si­bi­li sfu­ma­tu­re che può ave­re il suo con­cet­to seman­ti­co di base, lo stu­dio del­le paro­le impa­ren­ta­te può rive­lar­si uti­le, come cre­do sia sta­to in que­sto caso. La stes­sa West­fall (2014, 146), sostie­ne che la gam­ma di signi­fi­ca­ti meta­fo­ri­ci o astrat­ti potreb­be esse­re sta­ta deri­va­ta diret­ta­men­te dal sostan­ti­vo, dal momen­to che il ver­bo con­ti­nua­va ad ave­re asso­cia­zio­ni seman­ti­che simi­li di ini­zia­ti­va indi­pen­den­te e for­za che pote­va esse­re leta­le in alcu­ni con­te­sti.

Per­ciò, pren­den­do licen­za poe­ti­ca (o filo­lo­gi­ca, in que­sto caso), si potreb­be soste­ne­re che l’authén­tēs sia l’agente del­l’authen­teō, cioè dell’uso o del pos­ses­so auto­no­mo di una for­za non limi­ta­ta, e che la sua com­pe­ten­za in que­sta azio­ne lo ren­da authen­ti­kós e che per que­sti moti­vi la sua figu­ra sia carat­te­riz­za­ta da authen­tía.

Pro­van­do a tira­re le fila, per quan­to pos­si­bi­le, il discor­so in ter­mi­ni filo­lo­gi­ci è ampio, ma anche i pro­fes­sio­ni­sti si sono a un cer­to pun­to fer­ma­ti davan­ti all’evidenza: non sap­pia­mo con cer­tez­za per­ché authén­tēs vada a legar­si alla sfe­ra del­la vio­len­za fami­lia­re, si può solo atte­sta­re. Il pic­co­lo pas­so di que­sto arti­co­lo è sta­to solo espor­re il fat­to che, nell’arco di pochi seco­li, il ter­mi­ne è fini­to a signi­fi­ca­re qual­co­sa di più astrat­to, che inclu­de­va il ruo­lo del­la for­za e che per­ciò è fini­to ad allar­ga­re i suoi pos­si­bi­li signi­fi­ca­ti, e rela­ti­ve sfu­ma­tu­re mora­li. Da que­sta cer­tez­za ripar­ti­re­mo nei pros­si­mi arti­co­li, quan­do ana­liz­ze­re­mo signi­fi­ca­ti più moder­ni di auten­ti­ci­tà.

Sem­bra quin­di ragio­ne­vo­le con­clu­de­re che sia impos­si­bi­le sape­re con cer­tez­za se authén­tēs e deri­va­ti abbia­no un sen­so neu­tro, posi­ti­vo o nega­ti­vo, tan­to nel­le sue pri­me atte­sta­zio­ni quan­to in quel­le suc­ces­si­ve. Que­sto è sta­to il focus dell’articolo, non la ricer­ca filo­lo­gi­ca in sé: dimo­stra­re che, a livel­lo eti­mo­lo­gi­co, la paro­la ori­gi­na­ria ave­va sfu­ma­tu­re moral­men­te con­tra­stan­ti. La con­clu­sio­ne di Wol­ters (2006, 50), è che ogni vol­ta che sono dispo­ni­bi­li tra­du­zio­ni anti­che, esse indi­ca­no che authén­tēs e i suoi deri­va­ti era­no per lo più inte­si come rife­ri­men­to alla padro­nan­za o all’au­to­ri­tà, e ogni vol­ta che un mem­bro di que­sta fami­glia di paro­le è sta­to adot­ta­to come paro­la di pre­sti­to in un’al­tra lin­gua, ha por­ta­to con sé un signi­fi­ca­to lega­to al pos­ses­so di auto­ri­tà. Que­sto è esat­ta­men­te il caso dell’ebraico, del tur­co, del siria­co, ma soprat­tut­to del lati­no, e a segui­re in tut­te le lin­gue che dal lati­no deri­va­no.

È poi cer­to che ci sono atte­sta­zio­ni di tut­ti e tre i sen­si — neu­tro, posi­ti­vo, nega­ti­vo -, debi­to­ri soprat­tut­to del con­te­sto in cui la paro­la è sta­ta uti­liz­za­ta, in cui veni­va comun­que decli­na­ta l’idea di ini­zia­ti­va indi­pen­den­te e for­za non limi­ta­ta. Con la moder­ni­tà, que­sta fami­glia di paro­le assu­me trat­ti a noi più fami­lia­ri, soprat­tut­to per via di una spic­ca­ta pre­do­mi­nan­za del sen­so posi­ti­vo, anche se ci sono ecce­zio­ni. Rima­ne vero che un tale ven­ta­glio seman­ti­co è sta­to pos­si­bi­le anche gra­zie — se non soprat­tut­to — a un eti­mo e dun­que a un signi­fi­ca­to ori­gi­na­rio che ha con­sen­ti­to diver­se e spes­so oppo­ste decli­na­zio­ni mora­li del ter­mi­ne; si trat­ta dav­ve­ro di un’enantiosemia mora­le, ovve­ro­sia di una stes­sa paro­la che assu­me valo­ri oppo­sti o con­tra­ri in base al con­te­sto. È sta­ta poi que­sta per­pe­tua ten­den­za a esten­de­re il suo signi­fi­ca­to, spes­so rag­giun­gen­do poli oppo­sti del­lo spet­tro, che sem­bra aver accom­pa­gna­to la sto­ria dell’autenticità fino ai gior­ni nostri, nel­la cui dire­zio­ne pos­sia­mo ades­so ini­zia­re a spo­star­ci, ver­so l’altro capo di que­sta cor­da tesa lun­go il tem­po.

Biblio­gra­fia

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