16

Gennaio
16 Gennaio 2025

TEO­DO­RO E FEDE­RI­CO

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Fede­ri­co: Cos’hai Ted­dy?

Teo­do­ro: Per­ché?

Fede­ri­co: Così, mi pari com­mos­so.

Teo­do­ro: In effet­ti.

Fede­ri­co: Vuoi par­lar­ne?

Teo­do­ro: No tran­quil­lo…

Fede­ri­co: Come vuoi.

Teo­do­ro: È che sta­not­te ho fat­to un sogno; ho sogna­to che ero pic­co­lo, ed ero tipo in mon­ta­gna coi miei geni­to­ri. Era­va­mo in vil­leg­gia­tu­ra; ad un cer­to pun­to, non mi ricor­do bene com’è suc­ces­so, ma c’è sta­ta tipo una valan­ga, e poi ho il vuo­to. Mi ricor­do sol­tan­to che alla fine del sogno i miei geni­to­ri si sono sacri­fi­ca­ti per sal­var­mi la vita, e io mi sono sve­glia­to in lacri­me.

Fede­ri­co: Capi­sco.

Teo­do­ro: Però que­sto sogno mi ha anche dato modo di pen­sa­re; è cer­to tri­ste, e mi ha lascia­to una gran­de malin­co­nia; però allo stes­so tem­po mi ha fat­to pren­de­re coscien­za del­la bel­lez­za dell’amore, di quan­to esso sia incon­di­zio­na­to, di come l’essere uma­no pos­seg­ga cer­ti valo­ri, come l’altruismo, che rie­sco­no a ren­de­re la vita più vivi­bi­le. E que­sto pen­sie­ro mi ha ricon­for­ta­to… Che c’è?

Fede­ri­co: Nien­te, per­ché?

Teo­do­ro: Fai sem­pre così.

Fede­ri­co: Cioè? Come?

Teo­do­ro: Te ne stai lì, coi tuoi occhia­li da sole, non si vede dove guar­di, accen­ni un sor­ri­so e non rispon­di… Come se tu giu­di­cas­si gli altri dall’alto in bas­so, ma sen­za espor­ti, restan­do masche­ra­to.

Fede­ri­co: Io non ho det­to nien­te…

Teo­do­ro: Appun­to. Pre­fe­ri­rei che tu mi dices­si: Teo­do­ro, sei un coglio­ne, quel­lo che dici non ha senso…invece no, né appro­vi né con­fu­ti.

Fede­ri­co: Io non sono un mae­stro, non pos­so dir­ti: “hai tor­to”, anche qua­lo­ra io cre­da che tu abbia tor­to.

Teo­do­ro: Ma cer­to che puoi dir­mi che ho tor­to, anzi devi. Tu non vuoi espor­ti, per pau­ra di ferir­mi, ma è mol­to più sprez­zan­te que­sto silen­zio, come se non ne vales­se la pena di far­mi capi­re il tuo pun­to di vista. Oppu­re non ti fidi di que­sto tuo pun­to di vista e sei più scet­ti­co degli scet­ti­ci: non solo non affer­mi mai nien­te, ma hai così pau­ra di sba­glia­re che nean­che pro­vi a con­fu­ta­re. 

Fede­ri­co: Ebbe­ne, non sono d’accordo con te, non pen­so che l’amore sia la for­ma più pura di altrui­smo, anzi…

Teo­do­ro: Anzi…?

Fede­ri­co: Anzi è for­se il caso più esem­pla­re, più evi­den­te che tut­to ciò che si fa in natu­ra è egoi­sti­co, ivi com­pre­so ciò che si è soli­ti chia­ma­re altrui­sti­co. 

Teo­do­ro: L’amore di un geni­to­re per il figlio ti sem­bra egoi­sti­co?

Fede­ri­co: Soprat­tut­to l’amore di un geni­to­re. 

Teo­do­ro: E come spie­ghi allo­ra tut­to il sacri­fi­cio che un geni­to­re può dedi­ca­re al figlio, per il qua­le sareb­be pure pron­to ad ucci­der­si? 

Fede­ri­co: Appa­ren­te­men­te si ucci­de­reb­be per il pro­prio figlio, in real­tà si ucci­de per sé stes­so. Il figlio non è altro che il suo pro­lun­ga­men­to, il solo mez­zo che ha per resta­re inca­te­na­to all’essere. 

Teo­do­ro: Inca­te­na­to all’essere? Odio quan­do filo­so­feg­gi poe­ti­ca­men­te, cosa inten­di?

Fede­ri­co: Inten­do che tut­to ciò che l’uomo – l’uomo? Dicia­mo pure il viven­te – fa, è una ricer­ca da un lato di un incre­men­to di poten­za e, dall’altro, di con­ser­va­zio­ne. 

Teo­do­ro: Vuoi dire istin­to di soprav­vi­ven­za?

Fede­ri­co: Non pro­prio, l’istinto di soprav­vi­ven­za è sicu­ra­men­te una decli­na­zio­ne di que­sto, ma ciò che inten­do è che l’essere viven­te vuo­le espan­der­si, vuo­le il domi­nio sul­le cose e sugli altri, e per fare que­sto è limi­ta­to: in par­te (e innan­zi­tut­to) dal­la mor­te, sì, e allo­ra cer­ca ogni mez­zo per per­si­ste­re nell’essere; pro­crea per per­si­ste­re nel­la pro­pria pro­le, per crea­re del­le orme coi suoi zam­po­ni, che indi­chi­no, anche una vol­ta ch’egli sarà spa­ri­to, la sua pre­sen­za. Ma la pro­le è solo un’istanza: anche l’opera d’arte, per esem­pio, è mos­sa dal­lo stes­so istin­to. L’artista met­te sé nell’opera che crea, così con­ti­nua a vive­re in essa; ogni arti­sta è ambi­zio­so, e l’opera che dà al pub­bli­co è una len­te d’ingrandimento offer­ta a chi guar­da ver­so la sua per­so­na. L’opera non fa, insom­ma, che ren­de­re più visi­bi­le l’ambizione che l’ha mos­sa. E que­sta ambi­zio­ne altro non è che -

Teo­do­ro: … un istin­to di soprav­vi­ven­za, appun­to.

Fede­ri­co: Sì cer­to, ma non solo; esso è infat­ti sol­tan­to un esem­pio di un sen­ti­men­to più este­so, un desi­de­rio di poten­za. Il viven­te è costan­te­men­te alla ricer­ca di un incre­men­to del­la sua poten­za, del­la sua capa­ci­tà di domi­na­re le cose, di ave­re l’influenza sul­le cose. Quan­do que­sta poten­za è decli­na­ta tem­po­ral­men­te, sul futu­ro inten­do, allo­ra essa acqui­si­sce il nome di con­ser­va­zio­ne: soprav­vi­ven­do alla pro­pria mor­te, il pro­prio indi­vi­duo per­si­ste nell’essere e, così facen­do, con­ti­nua ad ave­re poten­za, cioè capa­ci­tà di agi­re e influen­za­re le cose. 

Teo­do­ro: Ma cosa c’entra que­sto con l’amore?

Fede­ri­co: C’entra ecco­me. Tu sostie­ni che l’amore sia la mas­si­ma mani­fe­sta­zio­ne d’altruismo, inve­ce per me non è altro che un egoi­smo masche­ra­to in altrui­smo: cer­to, este­rior­men­te fai del bene all’altro, ma que­sto bene è in real­tà rivol­to a te stes­so.      Se un geni­to­re si sacri­fi­ca per il figlio, non biso­gna inten­de­re ch’egli sacri­fi­ca il pro­prio bene – o addi­rit­tu­ra fa il pro­prio male – per per­se­gui­re il bene del figlio, ma piut­to­sto che è sol­tan­to facen­do il di lui bene che può rea­liz­za­re il pro­prio. 

Teo­do­ro: La tua ana­li­si è fal­la­ce, poi­ché non sal­va i feno­me­ni. È infat­ti vero – lo ammet­te­rai tu stes­so – che alcu­ne azio­ni sono det­te egoi­sti­che men­tre altre altrui­sti­che. La lin­gua ci indi­ca una dif­fe­ren­za che deve pur fon­dar­si, in qual­che modo, su una diver­si­tà insi­ta nel­le cose stes­se, nel­le azio­ni. Dicen­do che tut­to è egoi­sti­co non sei più in gra­do di ren­de­re con­to del­la dif­fe­ren­za tra egoi­smo e altrui­smo, dif­fe­ren­za che tut­ta­via è rea­le. 

Fede­ri­co: Epi­fe­no­me­ni­ca­men­te altrui­smo ed egoi­smo sono due cose diver­se, ma sostan­zial­men­te sono la stes­sa cosa, o meglio sono due decli­na­zio­ni del­la stes­sa cosa. In real­tà esi­ste solo l’egoismo, ovve­ro il per­se­gui­re il pro­prio bene, cioè la pro­pria poten­za. Però alcu­ne per­so­ne tro­va­no il pro­prio bene nel fare del bene agli altri – e per que­sto sono det­te altrui­sti­che; altre, inve­ce, lo tro­va­no nel non bene­fi­cia­re gli altri, o addi­rit­tu­ra nel nuo­ce­re loro – e que­ste sono chia­ma­te egoi­sti­che. Ma il pun­to di par­ten­za (e di arri­vo) è lo stes­so, cioè il pro­prio bene, è il mez­zo che cam­bia. Quin­di sì, l’egoista e l’altruista sono per­so­ne diver­se, ma entram­bi, in fin dei con­ti, ricer­ca­no la stes­sa cosa, ovve­ro il pro­prio bene. Poi, chia­ra­men­te, ognu­no può sba­gliar­si nel cal­co­lo, e cre­de­re che nuo­cen­do a una per­so­na può rag­giun­ge­re più facil­men­te il pro­prio bene, quan­do maga­ri è con­tro-pro­dut­ti­vo.  

Teo­do­ro: Que­sta ana­li­si può for­se vale­re per l’amore paren­ta­le, per­ché in effet­ti il figlio o la figlia sono per­ce­pi­ti dai geni­to­ri come par­te di sé, e quin­di fare del bene a loro signi­fi­ca eo ipso fare del bene a sé stes­si. 

Fede­ri­co: Sì.

Teo­do­ro: Ma cosa suc­ce­de per l’amore di due inna­mo­ra­ti? Non c’è alcun tipo di lega­me di san­gue che fa sì che un inna­mo­ra­to deb­ba sacri­fi­car­si, deb­ba esse­re altrui­sta, per la per­so­na che ama. 

Fede­ri­co: Ma sì, è la stes­sa cosa: l’innamorato non è altrui­sta, ma sem­pli­ce­men­te per­se­gue il pro­prio bene bene­fi­cian­do la per­so­na ama­ta. 

Teo­do­ro: Può dar­si, ma il fat­to che il pro­prio bene pas­si attra­ver­so il bene del­la per­so­na ama­ta è com­ple­ta­men­te gra­tui­to. 

Fede­ri­co: Spie­ga­ti meglio.

Teo­do­ro: Inten­do dire che se una per­so­na ne ama un’altra, for­se è anche vero quel­lo che dici tu, e cioè che que­sto amo­re por­ta la pri­ma a iden­ti­fi­ca­re il pro­prio bene con quel­lo del­la secon­da, ma que­sto è l’effetto non la cau­sa. Men­tre per quan­to riguar­da la ragio­ne dell’amore, que­sta è com­ple­ta­men­te e pura­men­te gra­tui­ta. Si ama una per­so­na per­ché la si ama, sen­za altre ragio­ni: par­ce que c’était lui, par­ce que c’était moi. Que­sto è quel­lo che chia­me­rei il miste­ro dell’amore

Fede­ri­co: Se ho capi­to bene, quel­lo che tu chia­mi miste­ro dell’amore con­si­ste­reb­be nel fat­to che è per­ché si ama una per­so­na che si indi­vi­dua nel­la sua, la nostra stes­sa feli­ci­tà, giu­sto?

Teo­do­ro: Sì.

Fede­ri­co: Io, inve­ce, sosten­go pro­prio l’inverso: è per­ché si intra­ve­de la pos­si­bi­li­tà di esse­re feli­ci attra­ver­so la feli­ci­tà di un’altra per­so­na, che la si ama. Quan­do ci si inna­mo­ra, quan­do cioè si cade nell’amore come dico­no gli ingle­si, c’è qual­co­sa che ci spin­ge e ci fa cade­re, non ci si inna­mo­ra per caso, gra­tui­ta­men­te, sen­za ragio­ne. 

Teo­do­ro: Inve­ce sì, neces­sa­ria­men­te! Altri­men­ti non si riu­sci­reb­be a spie­ga­re per­ché è pos­si­bi­le inna­mo­rar­si di qual­cu­no pri­ma anco­ra di cono­scer­lo bene. Per sape­re che que­sta per­so­na può ren­der­ci feli­ci — per­ché secon­do te que­sto sta alla base dell’amore‑, biso­gne­reb­be cono­scer­la nel det­ta­glio, per sape­re i bene­fi­ci che se ne pos­so­no trar­re. Ma se così non è, allo­ra signi­fi­ca che l’amore si accen­de in noi miste­rio­sa­men­te, sen­za cal­co­lo, anti-uti­li­ta­ri­sti­ca­men­te: igno­ran­do l’altro, infat­ti, non dispo­ni nem­me­no degli adden­di per fare il cal­co­lo sul bene­fi­cio che l’altro può far­ti rag­giun­ge­re.  

Fede­ri­co: Oppu­re, pur non cono­scen­do bene l’altra per­so­na, c’è qual­co­sa in lei che ci attrae, un’apparenza di bene­fi­cio che fun­zio­na su di noi come uno sti­mo­lo ver­so que­sta per­so­na. Pos­sia­mo dire, para­fra­san­do Sten­d­hal, che l’inna­mo­ra­men­to è una pro­mes­sa di feli­ci­tà. Sten­d­hal lo dice­va per la bel­lez­za, ma que­sto vale anche per l’innamoramento. E, anzi, spes­so le due cose coin­ci­do­no per­ché (non sem­pre ma mol­to spes­so) è pro­prio la bel­lez­za di una per­so­na ad attrar­ci in un pri­mo momen­to. Ora, la bel­lez­za è un bene, per cui sia­mo attrat­ti ver­so l’altra per­so­na per­ché pen­sia­mo che in lei pos­sia­mo tro­va­re un bene che si mani­fe­sta con così gran­de splen­do­re, cioè la bel­lez­za. Poi, ovvia­men­te, come ogni pro­mes­sa, può esse­re man­te­nu­ta o disil­lu­sa: così pos­sia­mo inna­mo­rar­ci di per­so­ne che non aumen­ta­no il nostro bene, e disin­na­mo­rar­ce­ne. Oppu­re la pro­mes­sa vie­ne man­te­nu­ta. In un caso come in un altro, l’amore non scoc­ca la sua frec­cia a caso, ma a par­ti­re da cer­ti bene­fi­ci sti­ma­ti. E con que­sto non inten­do dire che solo la bel­lez­za fun­zio­na come pro­mes­sa. La bel­lez­za è la più comu­ne e imme­dia­ta, per­ché col­pi­sce il nostro sen­so più imme­dia­to e svi­lup­pa­to, la vista. Ma esi­sto­no sva­ria­te pro­mes­se di feli­ci­tà: l’intelligenza, la gen­ti­lez­za, la nobil­tà d’animo… Alcu­ni si inna­mo­ra­no di una per­so­na per il suo pre­sti­gio, altri per le sue ric­chez­ze. Ma qua­lun­que sia il moti­vo, ciò che attrae innan­zi­tut­to è un qual­che tipo di pro­mes­sa, per la qua­le l’altra per­so­na può ren­der­ci feli­ci. Noi allo­ra ci inna­mo­ria­mo, le voglia­mo bene e fac­cia­mo di tut­to per­ché que­sta per­so­na pro­spe­ri, per­ché pro­spe­ran­do ella accre­sce il nostro bene. Ecco per­ché il Nie­tzsche, alla doman­da che gli chie­de­va cosa amas­se negli altri, rispo­se: “Le mie spe­ran­ze”. 

Teo­do­ro: Il tuo mon­do è tri­ste, Fede­ri­co, non cre­do che riu­sci­rei a viver­ci. 

Fede­ri­co: Ma Teo­do­ro, già ci vivi, solo che non te ne accor­gi. Quan­do si sogna­no mon­ta­gne inne­va­te, è pur sem­pre nel let­to che si sta gia­cen­do, anche se non ce ne ren­dia­mo con­to.   

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