Federico: Cos’hai Teddy?
Teodoro: Perché?
Federico: Così, mi pari commosso.
Teodoro: In effetti.
Federico: Vuoi parlarne?
Teodoro: No tranquillo…
Federico: Come vuoi.
Teodoro: È che stanotte ho fatto un sogno; ho sognato che ero piccolo, ed ero tipo in montagna coi miei genitori. Eravamo in villeggiatura; ad un certo punto, non mi ricordo bene com’è successo, ma c’è stata tipo una valanga, e poi ho il vuoto. Mi ricordo soltanto che alla fine del sogno i miei genitori si sono sacrificati per salvarmi la vita, e io mi sono svegliato in lacrime.
Federico: Capisco.
Teodoro: Però questo sogno mi ha anche dato modo di pensare; è certo triste, e mi ha lasciato una grande malinconia; però allo stesso tempo mi ha fatto prendere coscienza della bellezza dell’amore, di quanto esso sia incondizionato, di come l’essere umano possegga certi valori, come l’altruismo, che riescono a rendere la vita più vivibile. E questo pensiero mi ha riconfortato… Che c’è?
Federico: Niente, perché?
Teodoro: Fai sempre così.
Federico: Cioè? Come?
Teodoro: Te ne stai lì, coi tuoi occhiali da sole, non si vede dove guardi, accenni un sorriso e non rispondi… Come se tu giudicassi gli altri dall’alto in basso, ma senza esporti, restando mascherato.
Federico: Io non ho detto niente…
Teodoro: Appunto. Preferirei che tu mi dicessi: Teodoro, sei un coglione, quello che dici non ha senso…invece no, né approvi né confuti.
Federico: Io non sono un maestro, non posso dirti: “hai torto”, anche qualora io creda che tu abbia torto.
Teodoro: Ma certo che puoi dirmi che ho torto, anzi devi. Tu non vuoi esporti, per paura di ferirmi, ma è molto più sprezzante questo silenzio, come se non ne valesse la pena di farmi capire il tuo punto di vista. Oppure non ti fidi di questo tuo punto di vista e sei più scettico degli scettici: non solo non affermi mai niente, ma hai così paura di sbagliare che neanche provi a confutare.
Federico: Ebbene, non sono d’accordo con te, non penso che l’amore sia la forma più pura di altruismo, anzi…
Teodoro: Anzi…?
Federico: Anzi è forse il caso più esemplare, più evidente che tutto ciò che si fa in natura è egoistico, ivi compreso ciò che si è soliti chiamare altruistico.
Teodoro: L’amore di un genitore per il figlio ti sembra egoistico?
Federico: Soprattutto l’amore di un genitore.
Teodoro: E come spieghi allora tutto il sacrificio che un genitore può dedicare al figlio, per il quale sarebbe pure pronto ad uccidersi?
Federico: Apparentemente si ucciderebbe per il proprio figlio, in realtà si uccide per sé stesso. Il figlio non è altro che il suo prolungamento, il solo mezzo che ha per restare incatenato all’essere.
Teodoro: Incatenato all’essere? Odio quando filosofeggi poeticamente, cosa intendi?
Federico: Intendo che tutto ciò che l’uomo – l’uomo? Diciamo pure il vivente – fa, è una ricerca da un lato di un incremento di potenza e, dall’altro, di conservazione.
Teodoro: Vuoi dire istinto di sopravvivenza?
Federico: Non proprio, l’istinto di sopravvivenza è sicuramente una declinazione di questo, ma ciò che intendo è che l’essere vivente vuole espandersi, vuole il dominio sulle cose e sugli altri, e per fare questo è limitato: in parte (e innanzitutto) dalla morte, sì, e allora cerca ogni mezzo per persistere nell’essere; procrea per persistere nella propria prole, per creare delle orme coi suoi zamponi, che indichino, anche una volta ch’egli sarà sparito, la sua presenza. Ma la prole è solo un’istanza: anche l’opera d’arte, per esempio, è mossa dallo stesso istinto. L’artista mette sé nell’opera che crea, così continua a vivere in essa; ogni artista è ambizioso, e l’opera che dà al pubblico è una lente d’ingrandimento offerta a chi guarda verso la sua persona. L’opera non fa, insomma, che rendere più visibile l’ambizione che l’ha mossa. E questa ambizione altro non è che -
Teodoro: … un istinto di sopravvivenza, appunto.
Federico: Sì certo, ma non solo; esso è infatti soltanto un esempio di un sentimento più esteso, un desiderio di potenza. Il vivente è costantemente alla ricerca di un incremento della sua potenza, della sua capacità di dominare le cose, di avere l’influenza sulle cose. Quando questa potenza è declinata temporalmente, sul futuro intendo, allora essa acquisisce il nome di conservazione: sopravvivendo alla propria morte, il proprio individuo persiste nell’essere e, così facendo, continua ad avere potenza, cioè capacità di agire e influenzare le cose.
Teodoro: Ma cosa c’entra questo con l’amore?
Federico: C’entra eccome. Tu sostieni che l’amore sia la massima manifestazione d’altruismo, invece per me non è altro che un egoismo mascherato in altruismo: certo, esteriormente fai del bene all’altro, ma questo bene è in realtà rivolto a te stesso. Se un genitore si sacrifica per il figlio, non bisogna intendere ch’egli sacrifica il proprio bene – o addirittura fa il proprio male – per perseguire il bene del figlio, ma piuttosto che è soltanto facendo il di lui bene che può realizzare il proprio.
Teodoro: La tua analisi è fallace, poiché non salva i fenomeni. È infatti vero – lo ammetterai tu stesso – che alcune azioni sono dette egoistiche mentre altre altruistiche. La lingua ci indica una differenza che deve pur fondarsi, in qualche modo, su una diversità insita nelle cose stesse, nelle azioni. Dicendo che tutto è egoistico non sei più in grado di rendere conto della differenza tra egoismo e altruismo, differenza che tuttavia è reale.
Federico: Epifenomenicamente altruismo ed egoismo sono due cose diverse, ma sostanzialmente sono la stessa cosa, o meglio sono due declinazioni della stessa cosa. In realtà esiste solo l’egoismo, ovvero il perseguire il proprio bene, cioè la propria potenza. Però alcune persone trovano il proprio bene nel fare del bene agli altri – e per questo sono dette altruistiche; altre, invece, lo trovano nel non beneficiare gli altri, o addirittura nel nuocere loro – e queste sono chiamate egoistiche. Ma il punto di partenza (e di arrivo) è lo stesso, cioè il proprio bene, è il mezzo che cambia. Quindi sì, l’egoista e l’altruista sono persone diverse, ma entrambi, in fin dei conti, ricercano la stessa cosa, ovvero il proprio bene. Poi, chiaramente, ognuno può sbagliarsi nel calcolo, e credere che nuocendo a una persona può raggiungere più facilmente il proprio bene, quando magari è contro-produttivo.
Teodoro: Questa analisi può forse valere per l’amore parentale, perché in effetti il figlio o la figlia sono percepiti dai genitori come parte di sé, e quindi fare del bene a loro significa eo ipso fare del bene a sé stessi.
Federico: Sì.
Teodoro: Ma cosa succede per l’amore di due innamorati? Non c’è alcun tipo di legame di sangue che fa sì che un innamorato debba sacrificarsi, debba essere altruista, per la persona che ama.
Federico: Ma sì, è la stessa cosa: l’innamorato non è altruista, ma semplicemente persegue il proprio bene beneficiando la persona amata.
Teodoro: Può darsi, ma il fatto che il proprio bene passi attraverso il bene della persona amata è completamente gratuito.
Federico: Spiegati meglio.
Teodoro: Intendo dire che se una persona ne ama un’altra, forse è anche vero quello che dici tu, e cioè che questo amore porta la prima a identificare il proprio bene con quello della seconda, ma questo è l’effetto non la causa. Mentre per quanto riguarda la ragione dell’amore, questa è completamente e puramente gratuita. Si ama una persona perché la si ama, senza altre ragioni: parce que c’était lui, parce que c’était moi. Questo è quello che chiamerei il mistero dell’amore.
Federico: Se ho capito bene, quello che tu chiami mistero dell’amore consisterebbe nel fatto che è perché si ama una persona che si individua nella sua, la nostra stessa felicità, giusto?
Teodoro: Sì.
Federico: Io, invece, sostengo proprio l’inverso: è perché si intravede la possibilità di essere felici attraverso la felicità di un’altra persona, che la si ama. Quando ci si innamora, quando cioè si cade nell’amore come dicono gli inglesi, c’è qualcosa che ci spinge e ci fa cadere, non ci si innamora per caso, gratuitamente, senza ragione.
Teodoro: Invece sì, necessariamente! Altrimenti non si riuscirebbe a spiegare perché è possibile innamorarsi di qualcuno prima ancora di conoscerlo bene. Per sapere che questa persona può renderci felici — perché secondo te questo sta alla base dell’amore‑, bisognerebbe conoscerla nel dettaglio, per sapere i benefici che se ne possono trarre. Ma se così non è, allora significa che l’amore si accende in noi misteriosamente, senza calcolo, anti-utilitaristicamente: ignorando l’altro, infatti, non disponi nemmeno degli addendi per fare il calcolo sul beneficio che l’altro può farti raggiungere.
Federico: Oppure, pur non conoscendo bene l’altra persona, c’è qualcosa in lei che ci attrae, un’apparenza di beneficio che funziona su di noi come uno stimolo verso questa persona. Possiamo dire, parafrasando Stendhal, che l’innamoramento è una promessa di felicità. Stendhal lo diceva per la bellezza, ma questo vale anche per l’innamoramento. E, anzi, spesso le due cose coincidono perché (non sempre ma molto spesso) è proprio la bellezza di una persona ad attrarci in un primo momento. Ora, la bellezza è un bene, per cui siamo attratti verso l’altra persona perché pensiamo che in lei possiamo trovare un bene che si manifesta con così grande splendore, cioè la bellezza. Poi, ovviamente, come ogni promessa, può essere mantenuta o disillusa: così possiamo innamorarci di persone che non aumentano il nostro bene, e disinnamorarcene. Oppure la promessa viene mantenuta. In un caso come in un altro, l’amore non scocca la sua freccia a caso, ma a partire da certi benefici stimati. E con questo non intendo dire che solo la bellezza funziona come promessa. La bellezza è la più comune e immediata, perché colpisce il nostro senso più immediato e sviluppato, la vista. Ma esistono svariate promesse di felicità: l’intelligenza, la gentilezza, la nobiltà d’animo… Alcuni si innamorano di una persona per il suo prestigio, altri per le sue ricchezze. Ma qualunque sia il motivo, ciò che attrae innanzitutto è un qualche tipo di promessa, per la quale l’altra persona può renderci felici. Noi allora ci innamoriamo, le vogliamo bene e facciamo di tutto perché questa persona prosperi, perché prosperando ella accresce il nostro bene. Ecco perché il Nietzsche, alla domanda che gli chiedeva cosa amasse negli altri, rispose: “Le mie speranze”.
Teodoro: Il tuo mondo è triste, Federico, non credo che riuscirei a viverci.
Federico: Ma Teodoro, già ci vivi, solo che non te ne accorgi. Quando si sognano montagne innevate, è pur sempre nel letto che si sta giacendo, anche se non ce ne rendiamo conto.