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Aprile
7 Aprile 2025

PETRO­LIO: OPE­RA POE­TI­CA E OPE­RA POLI­TI­CA

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Nel­la not­te tra l’1 e il 2 novem­bre 1975 Pier Pao­lo Paso­li­ni, poe­ta, scrit­to­re, regi­sta, sce­neg­gia­to­re, atto­re e dram­ma­tur­go, non­ché uno dei mag­gio­ri intel­let­tua­li del Nove­cen­to ita­lia­no – sicu­ra­men­te il più luci­do nel pen­sie­ro e nell’interpretazione del­la real­tà dell’epoca – fu ucci­so all’i­dro­sca­lo di Ostia. 

Sul­la sua scri­va­nia fu ritro­va­ta una car­tel­la con­te­nen­te l’ab­boz­zo fram­men­ta­rio di un roman­zo, Petro­lio, al qua­le lo scrit­to­re sta­va lavo­ran­do già dal­la pri­ma­ve­ra del 1972. L’in­sie­me dei fogli, 522 in tut­to, si pre­sen­ta­va come una serie discon­ti­nua di fram­men­ti, che Paso­li­ni stes­so ave­va chia­ma­to Appun­ti, in par­te dat­ti­lo­scrit­ti, con cor­re­zio­ni auto­gra­fe, ed in par­te mano­scrit­ti; le car­te ave­va­no una nume­ra­zio­ne pro­gres­si­va con spes­so del­le inti­to­la­zio­ni. Lo sta­to del testo era flui­do: accan­to a pagi­ne ela­bo­ra­te e com­piu­te ce ne era­no mol­te appe­na accen­na­te, fat­te di bre­vi appun­ti o allo sta­to ini­zia­le. Tra i vari grup­pi di appun­ti i lega­mi era­no spes­so dif­fi­ci­li da coglie­re, oltre che per l’in­com­piu­tez­za arti­sti­ca, anche per la poca chia­rez­za strut­tu­ra­le e per la com­pli­ca­ta for­ma con­cet­tua­le.

Le diver­se edi­zio­ni cri­ti­che che si sono sus­se­gui­te – a par­ti­re dal­la pri­ma, pub­bli­ca­ta nel­la col­le­zio­ne i Super­co­ral­li di Einau­di, a dicias­set­te anni dal­la mor­te del­l’au­to­re, a cura di Gra­ziel­la Chiar­cos­si e Maria Care­ri, con la super­vi­sio­ne del filo­lo­go Aure­lio Ron­ca­glia – si disco­sta­no poco le une dal­le altre. 

Nel­la Nota filo­lo­gi­ca che accom­pa­gna l’e­di­zio­ne Einau­di del 1992, Ron­ca­glia fa pre­sen­te le dif­fi­col­tà incon­tra­te nel­la siste­ma­zio­ne dei con­te­nu­ti del testo, lega­te non solo alla inter­pre­ta­zio­ne del­le paro­le scrit­te a mano, ma anche nel­la con­se­cu­zio­ne strut­tu­ra­le tra i vari grup­pi di Appun­ti. La for­ma, inol­tre, in alcu­ni Appun­ti era sti­li­sti­ca­men­te cura­ta, in altri inve­ce prov­vi­so­ria: pas­si can­cel­la­ti, varian­ti alter­na­ti­ve, ridon­dan­ze, annun­ci non segui­ti da rea­liz­za­zio­ni, tito­li nudi, cor­re­zio­ni e pro­po­si­ti di riscrit­tu­ra. Infi­ne, lo stes­so tito­lo fu ogget­to di incer­tez­ze: i fogli ini­zia­li del­la car­tel­la pre­sen­ta­va­no, infat­ti, uno, la paro­la Roman­zo, un altro, il ter­mi­ne Vas e un ter­zo, quel­lo di Petro­lio.

La solu­zio­ne su come pre­sen­ta­re il testo nel­la sua pub­bli­ca­zio­ne, rife­ri­sce Ron­ca­glia nel­la sua Nota, è sug­ge­ri­ta, anzi impo­sta, da Paso­li­ni stes­so, che, nel­la Divi­na Mime­sis (Paso­li­ni 1975, 49), in un appun­to uti­liz­za­to poi come Nota n. 1, scri­ve: “Il libro avrà insie­me la for­ma mag­ma­ti­ca e la for­ma pro­gres­si­va del­la real­tà”.

È infat­ti dif­fi­ci­le rife­rir­si, in Petro­lio, ad una ‘for­ma’ let­te­ra­ria, ad un vero e pro­prio pro­get­to for­ma­le: l’a­do­zio­ne stes­sa del ter­mi­ne di Appun­ti, uti­liz­za­to da Paso­li­ni per desi­gna­re il tito­lo di mol­ti fram­men­ti, sug­ge­ri­sce una cer­ta prov­vi­so­rie­tà nel­la loro reda­zio­ne ma ci indi­ca anche che ognu­no di essi, pro­prio come l’o­pe­ra nel suo insie­me, deb­ba esse­re con­si­de­ra­to una ini­zia­le e tra­sfor­ma­bi­le ‘for­ma’, con­si­sten­te nel­l’ac­cu­mu­la­zio­ne di mate­ria­le testua­le. Cia­scun Appun­to, quin­di, al suo inter­no, così come nel­la sua col­lo­ca­zio­ne tra gli altri fram­men­ti, rima­ne sem­pre pas­si­bi­le di rifa­ci­men­to e di rior­ga­niz­za­zio­ne. 

Affer­ma l’au­to­re di Petro­lio nel­l’Ap­pun­to 37 (Paso­li­ni 2005, 167) :

Que­ste pagi­ne stam­pa­te ma illeg­gi­bi­li, voglio­no pro­cla­ma­re in modo estre­mo […] la mia deci­sio­ne: che è quel­la di non scri­ve­re una sto­ria, ma di costrui­re una for­ma […] for­ma con­si­sten­te sem­pli­ce­men­te in «qual­co­sa di scrit­to»”.

Si è por­ta­ti, quin­di, a con­si­de­ra­re che anche le nume­ro­se paro­le sot­to­li­nea­te o cer­chia­te dal­l’au­to­re, come le diver­se varian­ti sin­tat­ti­che e les­si­ca­li, pre­sen­ti nei fram­men­ti, sia­no par­te inte­gran­te del­la sua inces­san­te ricer­ca di una nuo­va for­ma testua­le. Egli rac­co­man­da al let­to­re un’attenta e scru­po­lo­sa valu­ta­zio­ne degli ele­men­ti for­ma­li e affer­ma (Paso­li­ni 2005, 21): 

Poi­ché non ho inten­zio­ne di scri­ve­re un roman­zo sto­ri­co, ma sol­tan­to di fare una for­ma, sono ine­vi­ta­bil­men­te costret­to a isti­tui­re le rego­le di tale for­ma. E non pos­so che isti­tuir­le in «cor­po­re vili» cioè nel­la for­ma stes­sa”.

Paso­li­ni sen­te dun­que l’e­si­gen­za di inven­ta­re una for­ma nuo­va di ope­ra let­te­ra­ria, carat­te­riz­za­ta da un insie­me di scel­te sti­li­sti­che for­ma­li e con­cet­tua­li che sia­no nel con­tem­po nar­ra­ti­ve e rifles­si­ve. La moder­ni­tà con il cita­zio­ni­smo, la mer­ci­fi­ca­zio­ne, tipi­ci di un mon­do e di valo­ri capi­ta­li­sti­ci, han­no deter­mi­na­to delu­sio­ne in mol­ti auto­ri e impo­ve­ri­men­to di con­te­nu­ti a disca­pi­to del­la let­te­ra­tu­ra.

Non si può pia­ni­fi­ca­re una vita come si fa con un pro­get­to indu­stria­le”.

Que­sto scris­se Mon­ta­le nel suo cele­bre discor­so all’Accademia di Sve­zia in occa­sio­ne dell’assegnazione del Pre­mio Nobel per la let­te­ra­tu­ra nel 1975, aggiun­gen­do: 

Qua­le con­clu­sio­ne si può trar­re da fat­ti simi­li? Evi­den­te­men­te le arti, tut­te le arti visi­ve, stan­no diven­tan­do più demo­cra­ti­che nel sen­so peg­gio­re del ter­mi­ne. L’ar­te è pro­du­zio­ne di ogget­ti di con­su­mo, da usa­re e da scar­ta­re  in atte­sa di un nuo­vo mon­do in cui l’uo­mo sarà riu­sci­to a libe­rar­si di tut­to, per­si­no del­la pro­pria coscien­za. […] Ma per­ché oggi più che mai l’uo­mo civi­liz­za­to è giun­to ad ave­re orro­re di se stes­so?”. 

Ecco quin­di che diven­ta faci­le capi­re la volon­tà, da par­te di Paso­li­ni, di dare una rispo­sta a que­sta cri­si attra­ver­so un nuo­vo ten­ta­ti­vo let­te­ra­rio, un nuo­vo modo di fare let­te­ra­tu­ra.

Il roman­zo appa­re come un macro­te­sto che non segue un pro­get­to, ma lo inven­ta e la sua strut­tu­ra è “a bru­li­chio”, a vor­ti­ce. L’au­to­re si svin­co­la dai cano­ni usua­li e pre­sta­bi­li­ti: non si nascon­de die­tro ai suoi scrit­ti o die­tro la figu­ra del nar­ra­to­re, ma si met­te in gio­co, con tut­to il suo con­trad­dit­to­rio rap­por­to di par­te­ci­pa­zio­ne-estra­nei­tà ver­so il mon­do. 

In Petro­lio, inol­tre, pro­ce­de­re secon­do un ‘ordi­ne’ pre­sta­bi­li­to è impre­sa dif­fi­ci­le ed è respin­ta dal­lo stes­so auto­re (Patri­zi 1995, 16): 

“Il disor­di­ne, la plu­ri­vo­ci­tà, l’enigmaticità si pro­fi­la­no dun­que come dati strut­tu­ra­li del testo, non sol­tan­to come con­di­zio­ni con­tin­gen­ti deri­va­te dall’incompiutezza, ma come valo­ri che dovran­no orga­niz­za­re i signi­fi­ca­ti nar­ra­ti­vi, sia sul pia­no tema­ti­co che su quel­lo for­ma­le, mol­to spes­so meta­let­te­ra­rio”.  

Si spie­ga così il signi­fi­ca­to del­lo sdop­pia­men­to e del­la dis­so­cia­zio­ne di Car­lo, il pro­ta­go­ni­sta, appar­te­nen­te alla bor­ghe­sia tori­ne­se e inge­gne­re dell’Eni, che diven­ta sim­bo­lo ideo­lo­gi­co e strut­tu­ra­le di Petro­lio e del­la socie­tà che il roman­zo inten­de rap­pre­sen­ta­re; que­st’ul­ti­mo è infat­ti pen­sa­to e crea­to nel segno del­lo sdop­pia­men­to, del­la fran­tu­ma­zio­ne, mes­so in rap­por­to con la tota­li­tà del mon­do bor­ghe­se con le sue tra­me ed i suoi risvol­ti, descrit­ti così det­ta­glia­ta­men­te nel roman­zo.  

Die­tro l’in­ces­san­te inter­ro­ga­zio­ne sul­la for­ma roman­zo e die­tro l’am­bi­zio­ne di mesco­la­re gli sti­li, le voci e i gene­ri, che carat­te­riz­za­no l’in­te­ro testo di Petro­lio, vi sareb­be, secon­do il cri­ti­co let­te­ra­rio e sto­ri­co del­la let­te­ra­tu­ra Gior­gio Patri­zi (1995, 88), una let­tu­ra di Gad­da e del­le lezio­ni sti­li­sti­che, meta­lin­gui­sti­che e reto­ri­che che deri­va­no dal­le sue pagi­ne. Paso­li­ni cer­ca un model­lo nar­ra­ti­vo che riman­da al mon­do gad­dia­no, dove il comi­co e lo sti­le alto si ricom­pon­go­no nel ruo­lo di uno scher­mo ludi­co die­tro cui lo scrit­to­re può par­la­re in pri­ma per­so­na. 

Il pro­ble­ma del rea­li­smo è sta­to per Paso­li­ni sem­pre ogget­to di lun­ghe rifles­sio­ni dal­le qua­li sca­tu­ri­va la neces­si­tà di modi­fi­ca­re gli stru­men­ti espres­si­vi per ten­ta­re il più pos­si­bi­le di avvi­ci­nar­si alla real­tà. Gli anni Ses­san­ta han­no por­ta­to nuo­ve con­di­zio­ni di vita, appa­ren­ti agia­tez­ze e dai mass-media le infor­ma­zio­ni giun­go­no ora codi­fi­ca­te, fil­tra­te, orien­ta­te da un nuo­vo codi­ce di valo­ri, e Paso­li­ni, con Petro­lio, cer­ca quin­di di recu­pe­ra­re la per­di­ta di quel mon­do di sen­ti­men­ti e valo­ri “incon­ta­mi­na­ti”. Que­sti sono crol­la­ti con l’av­ven­to del nuo­vo habi­tus men­ta­le cioè l’insieme di pre­di­spo­si­zio­ni e sche­mi di pen­sie­ro, frut­to di con­di­zio­na­men­ti socia­li del­la socie­tà moder­na e, nel roman­zo, que­sto avvie­ne attra­ver­so lo sma­sche­ra­men­to: l’uo­mo comu­ne del­la civil­tà moder­na, dal­la men­ta­li­tà aper­ta e pro­gres­si­sta, è rive­la­to nel­la con­ti­nua ricer­ca del pote­re come moti­vo del­la sua vita. Un pote­re che sia in gra­do di con­fe­rir­gli un posto ade­gua­to nel­la socie­tà e un giu­sto rico­no­sci­men­to, dal qua­le deci­de­rà poi di ‘abiu­ra­re’, per­ché vis­su­to come un vesti­to trop­po stret­to per la sua cor­po­ra­tu­ra, o come un’identità masche­ra­ta, pri­ma tra­sfor­ma­ta per poi esse­re per­du­ta e rim­pian­ta. 

Mol­ti auto­ri del Nove­cen­to si sono ser­vi­ti del­la rivi­si­ta­zio­ne di anti­chi miti per mani­fe­sta­re l’a­lie­na­zio­ne e la soli­tu­di­ne del­l’uo­mo e la sua cri­si nei con­fron­ti del­la socie­tà. Anche in Petro­lio pos­sia­mo riscon­tra­re alcu­ni rife­ri­men­ti al mito e alla reli­gio­ne, ma di cui Paso­li­ni si ser­ve per spie­ga­re, chia­ri­re, o evi­den­zia­re i dati incom­pren­si­bi­li ed oscu­ri che si nascon­do­no die­tro gli even­ti comu­ni e quo­ti­dia­ni. In Petro­lio, i due per­so­nag­gi, il Mer­da e la sua fidan­za­ta, rivi­si­ta­zio­ne del mito di Orfeo ed Euri­di­ce, rap­pre­sen­ta­no la gio­ven­tù smar­ri­ta e trin­ce­ra­ta die­tro fal­si valo­ri e model­li impo­sti dal  ‘pro­gres­so’. Il Mer­da è alle­go­ria del­la vita degli anni Ses­san­ta: egli rap­pre­sen­ta il fal­li­men­to del sot­to­pro­le­ta­ria­to che inve­ce di ribel­lar­si si è lascia­to assi­mi­la­re dal siste­ma.

L’allegoria e la paro­dia sono le for­me di scrit­tu­ra usa­te da Paso­li­ni, la pri­ma per oscu­ra­re i signi­fi­ca­ti, la secon­da per chia­ri­re e sem­pli­fi­ca­re: entram­be risul­ta­no fon­da­men­ta­li per pene­tra­re nel­l’am­bi­gui­tà di Petro­lio e del­le sue vicen­de.

Per Paso­li­ni, la socie­tà, gli uomi­ni e tut­to ciò che li riguar­da pos­so­no esse­re visti come in una sce­na dop­pia e la figu­ra reto­ri­ca che mag­gior­men­te defi­ni­sce la sua arte ed il suo sti­le è l’ossimoro, l’accostamento di ele­men­ti con­tra­ri. Petro­lio riflet­te l’im­ma­gi­ne del­l’uo­mo costret­to dal pote­re di una socie­tà mas­si­fi­ca­ta e dai valo­ri dell’omologazione a vive­re in un’i­den­ti­tà ossi­mo­ri­ca, dove tut­to è ambi­guo e ambi­va­len­te. Secon­do Rino Geno­ve­se (1992, 95), filo­so­fo e scrit­to­re, Paso­li­ni, con Petro­lio, cer­ca di pro­por­re una nuo­va for­ma di alle­go­ria: ado­pe­ra­ta non come gio­co di let­te­ra­ti, chiu­si dun­que nei loro plu­ri­lin­gui­smi, ma come ten­ta­ti­vo di anda­re oltre. E quell’ ‘oltre’ è il supe­ra­men­to del neo­rea­li­smo, inca­pa­ce di ana­liz­za­re e orga­niz­za­re la socie­tà cul­tu­ra­le. Paso­li­ni infat­ti si inter­ro­ga sul­la pos­si­bi­li­tà che si ha, nel mon­do con­tem­po­ra­neo, di rac­con­ta­re il rea­le cir­co­stan­te e sce­glie di uti­liz­za­re il lin­guag­gio dell’allegoria, che con­sen­te di dire ciò che in gene­re non può esse­re det­to.

Per quan­to riguar­da lo sti­le, Paso­li­ni affi­da alla paro­la ed al suo ruo­lo affa­bu­la­to­rio il com­pi­to di rap­pre­sen­ta­re sim­bo­li­ca­men­te la real­tà, come spie­ga in un’intervista rila­scia­ta al quo­ti­dia­no Le Mon­de nell’ottobre del 1969: “io non pos­so con­ce­pi­re nul­la che esu­li dal sen­ti­men­to del miste­ro. Non tro­vo mai natu­ra­le la natu­ra. Per me i per­so­nag­gi, gli ogget­ti e i pae­sag­gi sono sem­pre anti­na­tu­ra­li, cioè segre­ti”. Egli ama­va rein­ven­tar­si, rin­no­var­si, mesco­la­re il vec­chio con il nuo­vo, cam­bia­re spes­so i lin­guag­gi attra­ver­so i qua­li espri­mer­si e non sop­por­ta­va di esse­re eti­chet­ta­to. In quel­la stes­sa inter­vi­sta, rispo­se ai gior­na­li­sti: 

È mol­to spia­ce­vo­le, sape­te, per un auto­re, sen­tir­si sem­pre con­si­de­ra­re come una “bestia da sti­le”, anzi, ve lo dico in fac­cia: mi offen­de mol­to che tut­to quel­lo che fac­cio o dico ven­ga ricon­dot­to a spie­ga­re il mio sti­le. È un modo di esor­ciz­zar­mi, e for­se di dar­mi del­lo stu­pi­do: uno stu­pi­do nel­la vita, che è maga­ri bra­vo nel suo lavo­ro. È dun­que anche un modo per esclu­der­mi e met­ter­mi a tace­re. Incon­scia­men­te, s’intende

È duran­te gli anni del boom eco­no­mi­co, del­l’af­fer­ma­zio­ne del con­su­mi­smo e dei model­li di vita pro­po­sti dal neo­ca­pi­ta­li­smo, che Paso­li­ni cam­bia non solo il pro­prio sti­le ma anche i suoi mez­zi espres­si­vi. Il tipo di discor­so, leg­gen­do Petro­lio, non è più il discor­so libe­ro che l’autore era soli­to usa­re nei suoi roman­zi; egli, come spie­ga nel­la let­te­ra a Mora­via, inse­ri­ta a cor­re­do del­lo stes­so Petro­lio, ricor­re ad una lin­gua usa­ta soli­ta­men­te per la sag­gi­sti­ca, o per gli arti­co­li di gior­na­le. Il lin­guag­gio di cui si ser­ve è oscu­ro, non chia­ri­sce, non delu­ci­da, ma cri­ti­ca e con­dan­na. 

Il lin­guag­gio del roman­zo vie­ne defi­ni­to dal cri­ti­co let­te­ra­rio Ste­fa­no Ago­sti (1995, 80) come “eve­ne­men­zia­le”, orien­ta­to dun­que alla nar­ra­zio­ne di even­ti sin­go­li più che all’analisi di ciò che li ha pro­vo­ca­ti o con­di­zio­na­ti; non è solo il discor­so ad esse­re entra­to in cri­si, lo è anche la for­za del­la rap­pre­sen­ta­zio­ne a cui esso riman­da, una rap­pre­sen­ta­zio­ne capa­ce di descri­ve­re l’interminabilità, la fran­tu­ma­zio­ne, la non-fini­tez­za del­la paro­la.          

Qua­le sareb­be sta­ta la ‘for­ma’ defi­ni­ti­va dell’opera se il suo auto­re fos­se rima­sto in vita? Avreb­be egli nel­la ste­su­ra defi­ni­ti­va appor­ta­to dei cam­bia­men­ti o uti­liz­za­to que­gli appun­ti e quel­le boz­ze col­man­do­ne la fram­men­ta­rie­tà? Cer­to è che Paso­li­ni, duran­te la com­po­si­zio­ne del roman­zo, par­la­va di “un’o­pe­ra monu­men­ta­le”, di cir­ca due­mi­la pagi­ne, che avreb­be costi­tui­to una rac­col­ta di tut­te le sue espe­rien­ze, men­tre le pagi­ne ritro­va­te non sono che poco più di cin­que­cen­to. Ma Petro­lio è un roman­zo che rispec­chia l’e­po­ca in cui è com­po­sto e non pote­va esse­re ela­bo­ra­to diver­sa­men­te: il pro­ce­de­re per Appun­ti, per fram­men­ti, non è casua­le, ma cor­ri­spon­de, for­se, alla volon­tà del­l’au­to­re di pre­sen­ta­re l’in­co­mu­ni­ca­bi­li­tà, l’im­pos­si­bi­li­tà, la fran­tu­ma­zio­ne del­le coscien­ze e pro­ba­bil­men­te del­la stes­sa vita. Infat­ti, la rivo­lu­zio­ne del socia­le che lo scrit­to­re tan­to spe­ra­va e che sareb­be dovu­ta veni­re dal bas­so, dal sot­to­pro­le­ta­ria­to, non si era rea­liz­za­ta. In Petro­lio, Paso­li­ni descri­ve una bor­ghe­sia che, distrug­gen­do i valo­ri nei qua­li egli ave­va sem­pre cre­du­to, ha con­fu­so e lace­ra­to le coscien­ze degli uomi­ni, pri­van­do­li defi­ni­ti­va­men­te del­la pro­pria iden­ti­tà: il “mag­ma” nar­ra­ti­vo che il testo pre­sen­ta non è allo­ra casua­le ma vuo­le rap­pre­sen­ta­re un nuo­vo modo di fare let­te­ra­tu­ra, un nuo­vo lin­guag­gio let­te­ra­rio, che con­tri­bui­sce a ren­de­re il testo, con la sua com­ples­si­tà sia sul pia­no filo­lo­gi­co che su quel­lo dell’elaborazione del con­te­nu­to, un’o­pe­ra di gran­de valo­re e di viva e scon­cer­tan­te attua­li­tà, rap­pre­sen­tan­do alle­go­ri­ca­men­te le tra­sfor­ma­zio­ni antro­po­lo­gi­che e socia­li pro­dot­te dal con­su­mi­smo e dal capi­ta­li­smo. 

Paso­li­ni è sta­to un per­so­nag­gio sco­mo­do all’interno del­la “socie­tà dei con­su­mi”, auto­re con­sa­pe­vo­le di non poter svol­ge­re pie­na­men­te il pro­prio ruo­lo di intel­let­tua­le, come scri­ve­va infat­ti nel 1964 in Una dispe­ra­ta vita­li­tà, nel­la rac­col­ta Poe­sie in for­ma di rosa (1964, 132) : “La mor­te non è nel non poter comu­ni­ca­re ma nel non poter più esse­re com­pre­si”.

La mor­te pre­ma­tu­ra del­lo scrit­to­re, tut­ta­via, non ha impe­di­to alla sua ope­ra, come lui sco­mo­da, di soprav­vi­ve­re e di sve­la­re tut­te le rela­zio­ni poli­ti­che e mafio­se da lui rico­strui­te; anzi, essa sem­bre­reb­be accre­di­ta­re l’autorevolezza di un testo che ripren­de, con digres­sio­ni e sti­liz­za­zio­ni, quan­to già pub­bli­ca­to negli Scrit­ti Cor­sa­ri (1975): Petro­lio è infat­ti una vio­len­ta accu­sa ai pote­ri che han­no influen­za­to la socie­tà ita­lia­na dal Dopo­guer­ra. Paso­li­ni, nel roman­zo, con rife­ri­men­ti nean­che trop­po vela­ti, entra nei mean­dri del pote­re poli­ti­co ed eco­no­mi­co, nei suoi intrec­ci e nel­le sue respon­sa­bi­li­tà lega­te alle stra­gi e ai fat­ti cri­mi­na­li che han­no oscu­ra­to la vita poli­ti­ca del Pae­se.

L’au­to­re riper­cor­re la lot­ta con­tro le mul­ti­na­zio­na­li, quel­la com­bat­tu­ta real­men­te da Mat­tei con­tro la lob­by inter­na­zio­na­le del petro­lio e la mor­te miste­rio­sa di Bonocore/Mattei, ritro­van­do­ne le cau­se in una cospi­ra­zio­ne orga­niz­za­ta da Troya/Cefis insie­me a mafia, grup­pi fasci­sti e mas­so­ne­ria. Paso­li­ni si rifà alle teo­rie sul caso Mat­tei che vede­va­no nel­la sua mor­te non un inci­den­te, ma un omi­ci­dio, e vole­va­no Euge­nio Cefis, suc­ce­du­to­gli poi alla gui­da dell’Eni, man­dan­te dell’attentato. Il nodo pro­ble­ma­ti­co di Petro­lio è quin­di que­sto: l’accusa dell’autore a una sac­ca di pote­re occul­ta che abbrac­cia diri­gen­ti d’azienda, orga­niz­za­zio­ni cri­mi­na­li, grup­pi ter­ro­ri­sti­ci e par­ti devia­te dell’apparato sta­ta­le.

È impor­tan­te quin­di sot­to­li­nea­re il signi­fi­ca­to poli­ti­co dell’opera, che nell’allegoria del pote­re rac­chiu­de in sé anche gli aspet­ti più chia­ra­men­te ses­sua­li che tan­to ave­va­no scan­da­liz­za­to i cri­ti­ci.

Paso­li­ni, ana­liz­zan­do il model­lo di socie­tà di que­gli anni, ne ave­va pre­vi­sto gli esi­ti fino al nostro pre­sen­te, in cui il pote­re del­la civil­tà dei con­su­mi ha supe­ra­to il fasci­smo nel­la sua capa­ci­tà di omo­lo­ga­zio­ne, ne ave­va ipo­tiz­za­to il cam­bia­men­to nei costu­mi, con­di­zio­na­ti dal­la vacui­tà dell’immagine, dall’egocentrismo, dal­lo stress sul posto di lavo­ro (Paso­li­ni 2005, 535): 

“Le per­so­ne che pas­sa­va­no davan­ti a Car­lo era­no dei mise­ri cit­ta­di­ni ormai pre­si nell’orbita dell’angoscia e del benes­se­re, cor­rot­ti e distrut­ti dal­le mil­le lire che una socie­tà «svi­lup­pa­ta» ave­va infi­la­to loro in sac­coc­cia”.

Ave­va poi pre­fi­gu­ra­to le con­se­guen­ze estre­me del­lo stra­gi­smo, arri­van­do a pro­fe­tiz­za­re, con cin­que anni d’anticipo, la stra­ge di Bolo­gna del 2 ago­sto del 1980. Anche Car­lo, in Petro­lio, è testi­mo­ne, a Tori­no, degli effet­ti di una defla­gra­zio­ne che ha ridot­to la sta­zio­ne in mace­rie. Da uno squar­cio del muro egli guar­da fuo­ri (Paso­li­ni 2005, 509): 

La cit­tà non c’e­ra più. L’e­di­fi­cio del­la sta­zio­ne sor­ge­va in mez­zo a un immen­so deser­to, come, appun­to, un’an­ti­ca chie­sa ridot­ta a rude­ri soli­ta­ri, inva­si dal­le orti­che e dal sole”. 

Non ci sono solo cor­pi dila­nia­ti e mace­rie, ma un vero e pro­prio deser­to in cui sel­vag­gia­men­te e dap­per­tut­to cre­sce l’er­ba e dove “le cica­le più che fri­ni­re, infu­ria­va­no”, richia­mo alla natu­ra che sem­bra allu­de­re alla vita più che alla mor­te. Car­lo, infat­ti, incam­mi­nan­do­si incon­tra un pic­co­lo appez­za­men­to di ter­ra col­ti­va­ta, un sen­tie­ro, un pon­te e anti­che abi­ta­zio­ni. 

Ma, improv­vi­sa­men­te, tut­to diven­ta infor­me, i segni del­la pre­sen­za uma­na sva­ni­sco­no e si mostra­no per quel­lo che sono (Paso­li­ni 2005, 523): 

“Una diste­sa immen­sa di rifiu­ti, in una spe­cie di gran­de affos­sa­men­to del ter­re­no, dal­l’o­do­re aci­do, irre­spi­ra­bi­le, coi luc­ci­chii dei barat­to­li e quel­li più opa­chi del­la pla­sti­ca”.

Lo scrit­to­re sem­bra toc­ca­re dun­que il tema del disa­stro ambien­ta­le, che ricor­re anche nei viag­gi di Karl nell’Italia arcai­ca e con­ta­di­na: spec­chio di un pae­sag­gio disa­stra­to, un ambien­te inqui­na­to e razio­na­liz­za­to dal nuo­vo model­lo pro­dut­ti­vo. Allo stes­so modo Car­lo viag­gia, per con­to dell’Eni, pri­ma in Gre­cia e poi in Orien­te: qui si tro­va a con­tat­to con i resti di civil­tà scom­par­se, arri­va­te all’apice del­la pro­spe­ri­tà pri­ma di scom­pa­ri­re, qua­si un ammo­ni­men­to ai poste­ri sul rischio che si cor­re nel­lo sfi­da­re le leg­gi natu­ra­li. Così il petro­lio, che dà nome al roman­zo, assu­me la dimen­sio­ne di una sostan­za eso­te­ri­ca, una risor­sa su cui illu­so­ria­men­te la nostra socie­tà fa affi­da­men­to e per la qua­le le mul­ti­na­zio­na­li, in nome del pro­fit­to, si invi­schia­no negli affa­ri di Sta­to, influen­zan­do le eco­no­mie, smem­bran­do le comu­ni­tà e distrug­gen­do l’ambiente.

Il più gran­de nemi­co di Paso­li­ni, dun­que, è il Pote­re. Esso agi­sce in un “ter­re­no misto, natu­ra­le”; e il salot­to del­la signo­ra F., intro­dot­to nel­l’Appun­to 2, sta sot­to il “segno del misto”. Esso si tro­va infat­ti (Paso­li­ni 2005, 106):

Al pun­to di incro­cio tra un uni­ver­so e l’al­tro, metà di qua e metà di là, metà in un domi­nio e metà in un altro. E la sua ambi­gui­tà fon­de­rà il sen­so del­la sto­ria di Car­lo e del­le sue scel­te”. 

Con “misto”, Paso­li­ni vuo­le indi­ca­re quel­le rela­zio­ni di pote­re che attra­ver­sa­no dia­go­nal­men­te le oppo­si­zio­ni, di destra e di sini­stra, fasci­sti e anti­fa­sci­sti; ma esso desi­gna anche il lega­me tra pote­ri che, secon­do i pre­sup­po­sti del­la demo­cra­zia, dovreb­be­ro rima­ne­re sepa­ra­ti: la poli­ti­ca e l’in­for­ma­zio­ne. Per lo scrit­to­re, “misto” è inol­tre la tra­sver­sa­li­tà tra pote­re isti­tu­zio­na­le e azien­de pri­va­te, cioè tra inte­res­se pub­bli­co e inte­res­se pri­va­to, di cui Troya-Cefis è il rap­pre­sen­tan­te (Paso­li­ni 2005, 107):

“Troya ha da sem­pre coe­ren­te­men­te istin­ti­va­men­te agi­to sot­to il segno del Misto. Dun­que non c’è mai rea­le solu­zio­ne di con­ti­nui­tà tra ciò che è suo e ciò che è pub­bli­co”. 

Si arri­va così al vero ful­cro del pote­re per Paso­li­ni: “l’o­mo­lo­ga­zio­ne”, il vero nuo­vo pote­re che ha por­ta­to a una muta­zio­ne antro­po­lo­gi­ca e ha distrut­to le cul­tu­re pre-bor­ghe­si e con­ta­di­ne e le ha uni­for­ma­te ad uno stan­dard pic­co­lo bor­ghe­se e con­su­mi­sti­co.

Anche negli Scrit­ti cor­sa­ri, Paso­li­ni sve­la e teo­riz­za l’emersione di un nuo­vo fasci­smo del­la moder­ni­tà, mani­fe­sta­zio­ne di una rige­ne­ra­ta ver­sio­ne del Pote­re: il fasci­smo impe­ran­te sull’Italia degli anni Set­tan­ta è diver­so da quel­lo del ven­ten­nio mus­so­li­nia­no; non si trat­ta, infat­ti, di una dit­ta­tu­ra mili­ta­re, fon­da­ta sul­l’as­sog­get­ta­men­to, ma di una for­za invi­si­bi­le, occul­ta, river­sa­ta sul­la mas­sa dai mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne, pri­mo fra tut­ti la tele­vi­sio­ne, defi­ni­ta da Paso­li­ni “la cor­te dei mira­co­li d’Italia”. Un feno­me­no affi­ne al siste­ma del­la bio-poli­ti­ca di Fou­cault, dove il Pote­re non è la capa­ci­tà di eser­ci­ta­re il dirit­to di mor­te su un altro esse­re uma­no, non è la coer­ci­zio­ne pro­ve­nien­te dall’alto, ma una “pla­sma­zio­ne” sub­do­la e invi­si­bi­le, che incon­scia­men­te for­gia, omo­lo­gan­do­la, la vita dell’essere uma­no, com­por­tan­do lo spe­gni­men­to del pen­sie­ro cri­ti­co.

Le osser­va­zio­ni che fa Paso­li­ni, in Petro­lio, sui muta­men­ti del modo di vesti­re, di por­ta­re i capel­li, di espri­mer­si, di sor­ri­de­re, col­go­no appun­to un pote­re che disci­pli­na i cor­pi: que­sto pote­re non è repres­si­vo ma costrut­ti­vo, per­ché pro­po­ne sti­li di vita da imi­ta­re e per que­sto costrui­sce indi­vi­dui, sot­traen­do ‘peso’, sem­pli­fi­can­do e sche­ma­tiz­zan­do, cioè toglien­do real­tà. L’in­ten­to di Paso­li­ni è quel­lo di ren­de­re visi­bi­le il pote­re in tut­te le sue for­me: nel­la col­lu­sio­ne, riscon­tra­bi­le nei com­plot­ti che coin­vol­go­no non solo le for­ze poli­ti­che ma anche i sin­go­li indi­vi­dui, entran­do nel loro habi­tus; nel­le tra­me, con le bom­be, gli atten­ta­ti, i fin­ti sui­ci­di, gli omi­ci­di; nel nuo­vo impe­ro, che si muo­ve all’in­se­gna del Vel­lo d’O­ro (il petro­lio), per il qua­le si fan­no viag­gi in Orien­te come quel­lo miti­co di Car­lo. Per ren­de­re visi­bi­le il pote­re in tut­ti que­sti suoi aspet­ti egli si avva­le del­le Visio­ni: Petro­lio è quin­di una serie di “Visio­ni del pote­re”. Nel roman­zo la real­tà non è più rac­chiu­sa in sche­mi ma, gra­zie alle Visio­ni, si rive­la e tra­spa­re nel mon­do cir­co­stan­te, inte­gra­ta e cono­sciu­ta in tut­te le sue lan­ci­nan­ti for­me. 

Paso­li­ni inse­ri­sce le Visio­ni già all’i­ni­zio del roman­zo: in un pas­so del­l’Appun­to 3, Car­lo cade a ter­ra, sul ter­raz­zi­no di casa, e (Paso­li­ni 2005, 13):
Car­lo vede veni­re due esse­ri, di una natu­ra che non è cer­ta­men­te uma­na; ma appa­re tut­ta­via natu­ra­le, inse­ren­do­si nel­la logi­ca del­la Visio­ne. Si met­to­no uno di qua e uno di là del cor­po di Car­lo, coi pie­di all’ altez­za del­la sua testa, e comin­cia­no a par­la­re […] Il pri­mo dei due dispu­tan­ti ave­va un aspet­to ange­li­co, e Car­lo sape­va inte­rior­men­te che il suo nome era Polis: il secon­do, inve­ce, ave­va un pove­ro aspet­to infer­na­le, di mise­ra­bi­le: e il nome era Tetis”.
Era Polis che ave­va comin­cia­to a par­la­re (Paso­li­ni 2005, 14): “«Que­sto cor­po è mio, mi appar­tie­ne. Esso è il cor­po di un buo­no, di un obbediente…»”.“«Sì, ma il Peso che ha den­tro, inve­ce, è mio…» ribat­te­va Tetis”.

Fin­ché si tro­va­ro­no d’ac­cor­do: Polis avreb­be pre­so il cor­po di Car­lo, Tetis, inve­ce, l’al­tro cor­po che vi è den­tro (Paso­li­ni 2005, 15).

“Tetis non se lo fece ripe­te­re due vol­te: tira fuo­ri dal­le sue sor­di­de sac­coc­ce un col­tel­lo, ne infi­la la pun­ta nel ven­tre del cor­po di Car­lo e vi fa un lun­go taglio. Poi con le mani lo apre, e, da den­tro le visce­re ne estrae un feto. Con una mano, pas­san­do­la sul­le lab­bra san­gui­no­se del taglio, medi­ca e cica­triz­za la feri­ta; con l’al­tra alza il feto al cie­lo, come una leva­tri­ce feli­ce del­la sua ope­ra”. 

Da subi­to, il lega­me con la real­tà è quin­di rot­to. Ma non si par­la di sur­rea­li­smo – fin­ta alter­na­ti­va al rea­li­smo – ma di un’al­tra for­ma di rap­pre­sen­ta­zio­ne del­la real­tà, for­ma che la oltre­pas­sa e che nel­lo stes­so tem­po la inte­gra e la ren­de rico­no­sci­bi­le.  

E anco­ra sul Pote­re, in Petro­lio, Paso­li­ni scri­ve (2005, 137): 

Il Pote­re è eter­na­men­te gio­va­ne, dut­ti­le, spes­so dub­bio­so e in cri­si, come ogni cosa uma­na. Ora i suoi lem­mi era­no in discus­sio­ne. […] Degli uomi­ni col­ti non ci fu uno che aves­se il corag­gio di alza­re la voce per pro­te­sta­re con­tro tut­to que­sto. Il rischio dell’impopolarità face­va più pau­ra del vec­chio rischio del­la veri­tà. […] L’unica real­tà che pul­sa­va col rit­mo e l’affanno del­la veri­tà era quel­la – spie­ta­ta – del­la pro­du­zio­ne, del­la dife­sa del­la mone­ta, del­la manu­ten­zio­ne del­le vec­chie isti­tu­zio­ni anco­ra essen­zia­li al nuo­vo pote­re e non era­no cer­ta­men­te le scuo­le, né gli ospe­da­li, né le chie­se”.
Non ci sono ecce­zio­ni dun­que alla col­lu­sio­ne con il Pote­re, una for­za che non rispar­mia nes­su­no, nem­me­no gli intel­let­tua­li, che, più o meno con­sa­pe­vol­men­te, sono inte­gra­ti nel­le sue pra­ti­che che impe­di­sco­no loro di dire la veri­tà e di poter pro­va­re l’e­spe­rien­za del­la Visio­ne. La posi­zio­ne di este­rio­ri­tà e di estra­nei­tà del­l’in­tel­let­tua­le rispet­to al Pote­re è un pun­to che ritro­via­mo anche negli Scrit­ti Cor­sa­ri, in par­ti­co­la­re nel Roman­zo del­le stra­gi: solo chi non è com­pro­mes­so nel­la pra­ti­ca del pote­re, solo chi la rifiu­ta, può ave­re il corag­gio di dire la veri­tà. 

“Il corag­gio intel­let­tua­le del­la veri­tà e la pra­ti­ca del­la poli­ti­ca sono due cose incon­ci­lia­bi­li in Ita­lia”. 

E il solo modo per dire la veri­tà sul Pote­re è rifiu­tar­lo, odiar­lo. Il Pote­re per Paso­li­ni è un siste­ma che pla­sma i sog­get­ti, che alber­ga in noi, den­tro i cor­pi e le coscien­ze e se quin­di noi stes­si sia­mo la sede del­la col­lu­sio­ne e del­la par­te­ci­pa­zio­ne al Pote­re, pos­sia­mo allo stes­so modo esse­re la sede del­la resi­sten­za, del rifiu­to, del­la “asce­si” rispet­to al mon­do del Pote­re.

Petro­lio nasce allo­ra dal­la con­sa­pe­vo­lez­za che il Pote­re deve esse­re rap­pre­sen­ta­to per esse­re com­pre­so e cri­ti­ca­to, e, per rap­pre­sen­tar­lo, Paso­li­ni inven­ta que­sta nuo­va for­ma di ope­ra let­te­ra­ria, carat­te­riz­za­ta da varie for­me sti­li­sti­che, dal non fini­to, da ele­men­ti ritar­dan­ti, dal­l’al­le­go­ria. Que­sta nuo­va for­ma di scrit­tu­ra non può esse­re con­si­de­ra­ta però solo dal pun­to di vista este­ti­co, ma anche dal pun­to di vista poli­ti­co: è la scel­ta del­l’au­to­re di ricon­si­de­ra­re il pro­prio impe­gno arti­sti­co, è un moni­to per ricor­da­re in che tipo di socie­tà vivia­mo e ver­so qua­li cam­bia­men­ti stia­mo andan­do incon­tro. 

L’in­di­gna­zio­ne di Paso­li­ni ci esor­ta a non per­de­re la facol­tà di giu­di­zio e di cri­ti­ca e la capa­ci­tà di indi­vi­dua­re i seg­men­ti cor­rot­ti del­la socie­tà. In que­sto sen­so, Petro­lio è il testa­men­to spi­ri­tua­le del­lo scrit­to­re: la rap­pre­sen­ta­zio­ne di alcu­ni dei momen­ti più oscu­ri del Nove­cen­to ita­lia­no, pre­fi­gu­ran­do­ne le con­se­guen­ze a lun­go ter­mi­ne nel­la Sto­ria, che da Cefis e i gerar­chi del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na – e i rap­por­ti che ave­va­no con i pae­si ara­bi e con l’Eni – pas­san­do per l’omicidio di Mat­tei, arri­va fino alle stra­gi degli anni ‘70 e ‘80, ai ser­vi­zi segre­ti devia­ti, al lin­guag­gio ine­be­ten­te del­la tele­vi­sio­ne ber­lu­sco­nia­na e alla P2 e ai suoi tes­se­ra­ti.

Oggi pos­sia­mo valu­ta­re atten­ta­men­te le ipo­te­si di Paso­li­ni e pren­de­re atto che, in gran par­te, esse si sono avve­ra­te. Eppu­re si con­ti­nua ad evi­ta­re la sua paro­la, vene­ran­do il Paso­li­ni “ere­ti­co” e lascian­do allo stes­so tem­po che le sue denun­ce più spi­no­se e impor­tan­ti cada­no nell’oblio.

 

Foto­gra­fia di Erne­st Pignon-Erne­st

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Sito­gra­fia

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https://www.unipi.it/index.php/lista-comunicati-stampa/item/11088-a-pisa-il-convegno-internazionale-petrolio-25-anni-dopo 

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