Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo, nonché uno dei maggiori intellettuali del Novecento italiano – sicuramente il più lucido nel pensiero e nell’interpretazione della realtà dell’epoca – fu ucciso all’idroscalo di Ostia.
Sulla sua scrivania fu ritrovata una cartella contenente l’abbozzo frammentario di un romanzo, Petrolio, al quale lo scrittore stava lavorando già dalla primavera del 1972. L’insieme dei fogli, 522 in tutto, si presentava come una serie discontinua di frammenti, che Pasolini stesso aveva chiamato Appunti, in parte dattiloscritti, con correzioni autografe, ed in parte manoscritti; le carte avevano una numerazione progressiva con spesso delle intitolazioni. Lo stato del testo era fluido: accanto a pagine elaborate e compiute ce ne erano molte appena accennate, fatte di brevi appunti o allo stato iniziale. Tra i vari gruppi di appunti i legami erano spesso difficili da cogliere, oltre che per l’incompiutezza artistica, anche per la poca chiarezza strutturale e per la complicata forma concettuale.
Le diverse edizioni critiche che si sono susseguite – a partire dalla prima, pubblicata nella collezione i Supercoralli di Einaudi, a diciassette anni dalla morte dell’autore, a cura di Graziella Chiarcossi e Maria Careri, con la supervisione del filologo Aurelio Roncaglia – si discostano poco le une dalle altre.
Nella Nota filologica che accompagna l’edizione Einaudi del 1992, Roncaglia fa presente le difficoltà incontrate nella sistemazione dei contenuti del testo, legate non solo alla interpretazione delle parole scritte a mano, ma anche nella consecuzione strutturale tra i vari gruppi di Appunti. La forma, inoltre, in alcuni Appunti era stilisticamente curata, in altri invece provvisoria: passi cancellati, varianti alternative, ridondanze, annunci non seguiti da realizzazioni, titoli nudi, correzioni e propositi di riscrittura. Infine, lo stesso titolo fu oggetto di incertezze: i fogli iniziali della cartella presentavano, infatti, uno, la parola Romanzo, un altro, il termine Vas e un terzo, quello di Petrolio.
La soluzione su come presentare il testo nella sua pubblicazione, riferisce Roncaglia nella sua Nota, è suggerita, anzi imposta, da Pasolini stesso, che, nella Divina Mimesis (Pasolini 1975, 49), in un appunto utilizzato poi come Nota n. 1, scrive: “Il libro avrà insieme la forma magmatica e la forma progressiva della realtà”.
È infatti difficile riferirsi, in Petrolio, ad una ‘forma’ letteraria, ad un vero e proprio progetto formale: l’adozione stessa del termine di Appunti, utilizzato da Pasolini per designare il titolo di molti frammenti, suggerisce una certa provvisorietà nella loro redazione ma ci indica anche che ognuno di essi, proprio come l’opera nel suo insieme, debba essere considerato una iniziale e trasformabile ‘forma’, consistente nell’accumulazione di materiale testuale. Ciascun Appunto, quindi, al suo interno, così come nella sua collocazione tra gli altri frammenti, rimane sempre passibile di rifacimento e di riorganizzazione.
Afferma l’autore di Petrolio nell’Appunto 37 (Pasolini 2005, 167) :
“Queste pagine stampate ma illeggibili, vogliono proclamare in modo estremo […] la mia decisione: che è quella di non scrivere una storia, ma di costruire una forma […] forma consistente semplicemente in «qualcosa di scritto»”.
Si è portati, quindi, a considerare che anche le numerose parole sottolineate o cerchiate dall’autore, come le diverse varianti sintattiche e lessicali, presenti nei frammenti, siano parte integrante della sua incessante ricerca di una nuova forma testuale. Egli raccomanda al lettore un’attenta e scrupolosa valutazione degli elementi formali e afferma (Pasolini 2005, 21):
“Poiché non ho intenzione di scrivere un romanzo storico, ma soltanto di fare una forma, sono inevitabilmente costretto a istituire le regole di tale forma. E non posso che istituirle in «corpore vili» cioè nella forma stessa”.
Pasolini sente dunque l’esigenza di inventare una forma nuova di opera letteraria, caratterizzata da un insieme di scelte stilistiche formali e concettuali che siano nel contempo narrative e riflessive. La modernità con il citazionismo, la mercificazione, tipici di un mondo e di valori capitalistici, hanno determinato delusione in molti autori e impoverimento di contenuti a discapito della letteratura.
“Non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale”.
Questo scrisse Montale nel suo celebre discorso all’Accademia di Svezia in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1975, aggiungendo:
“Quale conclusione si può trarre da fatti simili? Evidentemente le arti, tutte le arti visive, stanno diventando più democratiche nel senso peggiore del termine. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usare e da scartare in attesa di un nuovo mondo in cui l’uomo sarà riuscito a liberarsi di tutto, persino della propria coscienza. […] Ma perché oggi più che mai l’uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso?”.
Ecco quindi che diventa facile capire la volontà, da parte di Pasolini, di dare una risposta a questa crisi attraverso un nuovo tentativo letterario, un nuovo modo di fare letteratura.
Il romanzo appare come un macrotesto che non segue un progetto, ma lo inventa e la sua struttura è “a brulichio”, a vortice. L’autore si svincola dai canoni usuali e prestabiliti: non si nasconde dietro ai suoi scritti o dietro la figura del narratore, ma si mette in gioco, con tutto il suo contraddittorio rapporto di partecipazione-estraneità verso il mondo.
In Petrolio, inoltre, procedere secondo un ‘ordine’ prestabilito è impresa difficile ed è respinta dallo stesso autore (Patrizi 1995, 16):
“Il disordine, la plurivocità, l’enigmaticità si profilano dunque come dati strutturali del testo, non soltanto come condizioni contingenti derivate dall’incompiutezza, ma come valori che dovranno organizzare i significati narrativi, sia sul piano tematico che su quello formale, molto spesso metaletterario”.
Si spiega così il significato dello sdoppiamento e della dissociazione di Carlo, il protagonista, appartenente alla borghesia torinese e ingegnere dell’Eni, che diventa simbolo ideologico e strutturale di Petrolio e della società che il romanzo intende rappresentare; quest’ultimo è infatti pensato e creato nel segno dello sdoppiamento, della frantumazione, messo in rapporto con la totalità del mondo borghese con le sue trame ed i suoi risvolti, descritti così dettagliatamente nel romanzo.
Dietro l’incessante interrogazione sulla forma romanzo e dietro l’ambizione di mescolare gli stili, le voci e i generi, che caratterizzano l’intero testo di Petrolio, vi sarebbe, secondo il critico letterario e storico della letteratura Giorgio Patrizi (1995, 88), una lettura di Gadda e delle lezioni stilistiche, metalinguistiche e retoriche che derivano dalle sue pagine. Pasolini cerca un modello narrativo che rimanda al mondo gaddiano, dove il comico e lo stile alto si ricompongono nel ruolo di uno schermo ludico dietro cui lo scrittore può parlare in prima persona.
Il problema del realismo è stato per Pasolini sempre oggetto di lunghe riflessioni dalle quali scaturiva la necessità di modificare gli strumenti espressivi per tentare il più possibile di avvicinarsi alla realtà. Gli anni Sessanta hanno portato nuove condizioni di vita, apparenti agiatezze e dai mass-media le informazioni giungono ora codificate, filtrate, orientate da un nuovo codice di valori, e Pasolini, con Petrolio, cerca quindi di recuperare la perdita di quel mondo di sentimenti e valori “incontaminati”. Questi sono crollati con l’avvento del nuovo habitus mentale – cioè l’insieme di predisposizioni e schemi di pensiero, frutto di condizionamenti sociali – della società moderna e, nel romanzo, questo avviene attraverso lo smascheramento: l’uomo comune della civiltà moderna, dalla mentalità aperta e progressista, è rivelato nella continua ricerca del potere come motivo della sua vita. Un potere che sia in grado di conferirgli un posto adeguato nella società e un giusto riconoscimento, dal quale deciderà poi di ‘abiurare’, perché vissuto come un vestito troppo stretto per la sua corporatura, o come un’identità mascherata, prima trasformata per poi essere perduta e rimpianta.
Molti autori del Novecento si sono serviti della rivisitazione di antichi miti per manifestare l’alienazione e la solitudine dell’uomo e la sua crisi nei confronti della società. Anche in Petrolio possiamo riscontrare alcuni riferimenti al mito e alla religione, ma di cui Pasolini si serve per spiegare, chiarire, o evidenziare i dati incomprensibili ed oscuri che si nascondono dietro gli eventi comuni e quotidiani. In Petrolio, i due personaggi, il Merda e la sua fidanzata, rivisitazione del mito di Orfeo ed Euridice, rappresentano la gioventù smarrita e trincerata dietro falsi valori e modelli imposti dal ‘progresso’. Il Merda è allegoria della vita degli anni Sessanta: egli rappresenta il fallimento del sottoproletariato che invece di ribellarsi si è lasciato assimilare dal sistema.
L’allegoria e la parodia sono le forme di scrittura usate da Pasolini, la prima per oscurare i significati, la seconda per chiarire e semplificare: entrambe risultano fondamentali per penetrare nell’ambiguità di Petrolio e delle sue vicende.
Per Pasolini, la società, gli uomini e tutto ciò che li riguarda possono essere visti come in una scena doppia e la figura retorica che maggiormente definisce la sua arte ed il suo stile è l’ossimoro, l’accostamento di elementi contrari. Petrolio riflette l’immagine dell’uomo costretto dal potere di una società massificata e dai valori dell’omologazione a vivere in un’identità ossimorica, dove tutto è ambiguo e ambivalente. Secondo Rino Genovese (1992, 95), filosofo e scrittore, Pasolini, con Petrolio, cerca di proporre una nuova forma di allegoria: adoperata non come gioco di letterati, chiusi dunque nei loro plurilinguismi, ma come tentativo di andare oltre. E quell’ ‘oltre’ è il superamento del neorealismo, incapace di analizzare e organizzare la società culturale. Pasolini infatti si interroga sulla possibilità che si ha, nel mondo contemporaneo, di raccontare il reale circostante e sceglie di utilizzare il linguaggio dell’allegoria, che consente di dire ciò che in genere non può essere detto.
Per quanto riguarda lo stile, Pasolini affida alla parola ed al suo ruolo affabulatorio il compito di rappresentare simbolicamente la realtà, come spiega in un’intervista rilasciata al quotidiano Le Monde nell’ottobre del 1969: “io non posso concepire nulla che esuli dal sentimento del mistero. Non trovo mai naturale la natura. Per me i personaggi, gli oggetti e i paesaggi sono sempre antinaturali, cioè segreti”. Egli amava reinventarsi, rinnovarsi, mescolare il vecchio con il nuovo, cambiare spesso i linguaggi attraverso i quali esprimersi e non sopportava di essere etichettato. In quella stessa intervista, rispose ai giornalisti:
È molto spiacevole, sapete, per un autore, sentirsi sempre considerare come una “bestia da stile”, anzi, ve lo dico in faccia: mi offende molto che tutto quello che faccio o dico venga ricondotto a spiegare il mio stile. È un modo di esorcizzarmi, e forse di darmi dello stupido: uno stupido nella vita, che è magari bravo nel suo lavoro. È dunque anche un modo per escludermi e mettermi a tacere. Inconsciamente, s’intende
È durante gli anni del boom economico, dell’affermazione del consumismo e dei modelli di vita proposti dal neocapitalismo, che Pasolini cambia non solo il proprio stile ma anche i suoi mezzi espressivi. Il tipo di discorso, leggendo Petrolio, non è più il discorso libero che l’autore era solito usare nei suoi romanzi; egli, come spiega nella lettera a Moravia, inserita a corredo dello stesso Petrolio, ricorre ad una lingua usata solitamente per la saggistica, o per gli articoli di giornale. Il linguaggio di cui si serve è oscuro, non chiarisce, non delucida, ma critica e condanna.
Il linguaggio del romanzo viene definito dal critico letterario Stefano Agosti (1995, 80) come “evenemenziale”, orientato dunque alla narrazione di eventi singoli più che all’analisi di ciò che li ha provocati o condizionati; non è solo il discorso ad essere entrato in crisi, lo è anche la forza della rappresentazione a cui esso rimanda, una rappresentazione capace di descrivere l’interminabilità, la frantumazione, la non-finitezza della parola.
Quale sarebbe stata la ‘forma’ definitiva dell’opera se il suo autore fosse rimasto in vita? Avrebbe egli nella stesura definitiva apportato dei cambiamenti o utilizzato quegli appunti e quelle bozze colmandone la frammentarietà? Certo è che Pasolini, durante la composizione del romanzo, parlava di “un’opera monumentale”, di circa duemila pagine, che avrebbe costituito una raccolta di tutte le sue esperienze, mentre le pagine ritrovate non sono che poco più di cinquecento. Ma Petrolio è un romanzo che rispecchia l’epoca in cui è composto e non poteva essere elaborato diversamente: il procedere per Appunti, per frammenti, non è casuale, ma corrisponde, forse, alla volontà dell’autore di presentare l’incomunicabilità, l’impossibilità, la frantumazione delle coscienze e probabilmente della stessa vita. Infatti, la rivoluzione del sociale che lo scrittore tanto sperava e che sarebbe dovuta venire dal basso, dal sottoproletariato, non si era realizzata. In Petrolio, Pasolini descrive una borghesia che, distruggendo i valori nei quali egli aveva sempre creduto, ha confuso e lacerato le coscienze degli uomini, privandoli definitivamente della propria identità: il “magma” narrativo che il testo presenta non è allora casuale ma vuole rappresentare un nuovo modo di fare letteratura, un nuovo linguaggio letterario, che contribuisce a rendere il testo, con la sua complessità sia sul piano filologico che su quello dell’elaborazione del contenuto, un’opera di grande valore e di viva e sconcertante attualità, rappresentando allegoricamente le trasformazioni antropologiche e sociali prodotte dal consumismo e dal capitalismo.
Pasolini è stato un personaggio scomodo all’interno della “società dei consumi”, autore consapevole di non poter svolgere pienamente il proprio ruolo di intellettuale, come scriveva infatti nel 1964 in Una disperata vitalità, nella raccolta Poesie in forma di rosa (1964, 132) : “La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”.
La morte prematura dello scrittore, tuttavia, non ha impedito alla sua opera, come lui scomoda, di sopravvivere e di svelare tutte le relazioni politiche e mafiose da lui ricostruite; anzi, essa sembrerebbe accreditare l’autorevolezza di un testo che riprende, con digressioni e stilizzazioni, quanto già pubblicato negli Scritti Corsari (1975): Petrolio è infatti una violenta accusa ai poteri che hanno influenzato la società italiana dal Dopoguerra. Pasolini, nel romanzo, con riferimenti neanche troppo velati, entra nei meandri del potere politico ed economico, nei suoi intrecci e nelle sue responsabilità legate alle stragi e ai fatti criminali che hanno oscurato la vita politica del Paese.
L’autore ripercorre la lotta contro le multinazionali, quella combattuta realmente da Mattei contro la lobby internazionale del petrolio e la morte misteriosa di Bonocore/Mattei, ritrovandone le cause in una cospirazione organizzata da Troya/Cefis insieme a mafia, gruppi fascisti e massoneria. Pasolini si rifà alle teorie sul caso Mattei che vedevano nella sua morte non un incidente, ma un omicidio, e volevano Eugenio Cefis, succedutogli poi alla guida dell’Eni, mandante dell’attentato. Il nodo problematico di Petrolio è quindi questo: l’accusa dell’autore a una sacca di potere occulta che abbraccia dirigenti d’azienda, organizzazioni criminali, gruppi terroristici e parti deviate dell’apparato statale.
È importante quindi sottolineare il significato politico dell’opera, che nell’allegoria del potere racchiude in sé anche gli aspetti più chiaramente sessuali che tanto avevano scandalizzato i critici.
Pasolini, analizzando il modello di società di quegli anni, ne aveva previsto gli esiti fino al nostro presente, in cui il potere della civiltà dei consumi ha superato il fascismo nella sua capacità di omologazione, ne aveva ipotizzato il cambiamento nei costumi, condizionati dalla vacuità dell’immagine, dall’egocentrismo, dallo stress sul posto di lavoro (Pasolini 2005, 535):
“Le persone che passavano davanti a Carlo erano dei miseri cittadini ormai presi nell’orbita dell’angoscia e del benessere, corrotti e distrutti dalle mille lire che una società «sviluppata» aveva infilato loro in saccoccia”.
Aveva poi prefigurato le conseguenze estreme dello stragismo, arrivando a profetizzare, con cinque anni d’anticipo, la strage di Bologna del 2 agosto del 1980. Anche Carlo, in Petrolio, è testimone, a Torino, degli effetti di una deflagrazione che ha ridotto la stazione in macerie. Da uno squarcio del muro egli guarda fuori (Pasolini 2005, 509):
“La città non c’era più. L’edificio della stazione sorgeva in mezzo a un immenso deserto, come, appunto, un’antica chiesa ridotta a ruderi solitari, invasi dalle ortiche e dal sole”.
Non ci sono solo corpi dilaniati e macerie, ma un vero e proprio deserto in cui selvaggiamente e dappertutto cresce l’erba e dove “le cicale più che frinire, infuriavano”, richiamo alla natura che sembra alludere alla vita più che alla morte. Carlo, infatti, incamminandosi incontra un piccolo appezzamento di terra coltivata, un sentiero, un ponte e antiche abitazioni.
Ma, improvvisamente, tutto diventa informe, i segni della presenza umana svaniscono e si mostrano per quello che sono (Pasolini 2005, 523):
“Una distesa immensa di rifiuti, in una specie di grande affossamento del terreno, dall’odore acido, irrespirabile, coi luccichii dei barattoli e quelli più opachi della plastica”.
Lo scrittore sembra toccare dunque il tema del disastro ambientale, che ricorre anche nei viaggi di Karl nell’Italia arcaica e contadina: specchio di un paesaggio disastrato, un ambiente inquinato e razionalizzato dal nuovo modello produttivo. Allo stesso modo Carlo viaggia, per conto dell’Eni, prima in Grecia e poi in Oriente: qui si trova a contatto con i resti di civiltà scomparse, arrivate all’apice della prosperità prima di scomparire, quasi un ammonimento ai posteri sul rischio che si corre nello sfidare le leggi naturali. Così il petrolio, che dà nome al romanzo, assume la dimensione di una sostanza esoterica, una risorsa su cui illusoriamente la nostra società fa affidamento e per la quale le multinazionali, in nome del profitto, si invischiano negli affari di Stato, influenzando le economie, smembrando le comunità e distruggendo l’ambiente.
Il più grande nemico di Pasolini, dunque, è il Potere. Esso agisce in un “terreno misto, naturale”; e il salotto della signora F., introdotto nell’Appunto 2, sta sotto il “segno del misto”. Esso si trova infatti (Pasolini 2005, 106):
“Al punto di incrocio tra un universo e l’altro, metà di qua e metà di là, metà in un dominio e metà in un altro. E la sua ambiguità fonderà il senso della storia di Carlo e delle sue scelte”.
Con “misto”, Pasolini vuole indicare quelle relazioni di potere che attraversano diagonalmente le opposizioni, di destra e di sinistra, fascisti e antifascisti; ma esso designa anche il legame tra poteri che, secondo i presupposti della democrazia, dovrebbero rimanere separati: la politica e l’informazione. Per lo scrittore, “misto” è inoltre la trasversalità tra potere istituzionale e aziende private, cioè tra interesse pubblico e interesse privato, di cui Troya-Cefis è il rappresentante (Pasolini 2005, 107):
“Troya ha da sempre coerentemente istintivamente agito sotto il segno del Misto. Dunque non c’è mai reale soluzione di continuità tra ciò che è suo e ciò che è pubblico”.
Si arriva così al vero fulcro del potere per Pasolini: “l’omologazione”, il vero nuovo potere che ha portato a una mutazione antropologica e ha distrutto le culture pre-borghesi e contadine e le ha uniformate ad uno standard piccolo borghese e consumistico.
Anche negli Scritti corsari, Pasolini svela e teorizza l’emersione di un nuovo fascismo della modernità, manifestazione di una rigenerata versione del Potere: il fascismo imperante sull’Italia degli anni Settanta è diverso da quello del ventennio mussoliniano; non si tratta, infatti, di una dittatura militare, fondata sull’assoggettamento, ma di una forza invisibile, occulta, riversata sulla massa dai mezzi di comunicazione, primo fra tutti la televisione, definita da Pasolini “la corte dei miracoli d’Italia”. Un fenomeno affine al sistema della bio-politica di Foucault, dove il Potere non è la capacità di esercitare il diritto di morte su un altro essere umano, non è la coercizione proveniente dall’alto, ma una “plasmazione” subdola e invisibile, che inconsciamente forgia, omologandola, la vita dell’essere umano, comportando lo spegnimento del pensiero critico.
Le osservazioni che fa Pasolini, in Petrolio, sui mutamenti del modo di vestire, di portare i capelli, di esprimersi, di sorridere, colgono appunto un potere che disciplina i corpi: questo potere non è repressivo ma costruttivo, perché propone stili di vita da imitare e per questo costruisce individui, sottraendo ‘peso’, semplificando e schematizzando, cioè togliendo realtà. L’intento di Pasolini è quello di rendere visibile il potere in tutte le sue forme: nella collusione, riscontrabile nei complotti che coinvolgono non solo le forze politiche ma anche i singoli individui, entrando nel loro habitus; nelle trame, con le bombe, gli attentati, i finti suicidi, gli omicidi; nel nuovo impero, che si muove all’insegna del Vello d’Oro (il petrolio), per il quale si fanno viaggi in Oriente come quello mitico di Carlo. Per rendere visibile il potere in tutti questi suoi aspetti egli si avvale delle Visioni: Petrolio è quindi una serie di “Visioni del potere”. Nel romanzo la realtà non è più racchiusa in schemi ma, grazie alle Visioni, si rivela e traspare nel mondo circostante, integrata e conosciuta in tutte le sue lancinanti forme.
Pasolini inserisce le Visioni già all’inizio del romanzo: in un passo dell’Appunto 3, Carlo cade a terra, sul terrazzino di casa, e (Pasolini 2005, 13):
“Carlo vede venire due esseri, di una natura che non è certamente umana; ma appare tuttavia naturale, inserendosi nella logica della Visione. Si mettono uno di qua e uno di là del corpo di Carlo, coi piedi all’ altezza della sua testa, e cominciano a parlare […] Il primo dei due disputanti aveva un aspetto angelico, e Carlo sapeva interiormente che il suo nome era Polis: il secondo, invece, aveva un povero aspetto infernale, di miserabile: e il nome era Tetis”.
Era Polis che aveva cominciato a parlare (Pasolini 2005, 14): “«Questo corpo è mio, mi appartiene. Esso è il corpo di un buono, di un obbediente…»”.“«Sì, ma il Peso che ha dentro, invece, è mio…» ribatteva Tetis”.
Finché si trovarono d’accordo: Polis avrebbe preso il corpo di Carlo, Tetis, invece, l’altro corpo che vi è dentro (Pasolini 2005, 15).
“Tetis non se lo fece ripetere due volte: tira fuori dalle sue sordide saccocce un coltello, ne infila la punta nel ventre del corpo di Carlo e vi fa un lungo taglio. Poi con le mani lo apre, e, da dentro le viscere ne estrae un feto. Con una mano, passandola sulle labbra sanguinose del taglio, medica e cicatrizza la ferita; con l’altra alza il feto al cielo, come una levatrice felice della sua opera”.
Da subito, il legame con la realtà è quindi rotto. Ma non si parla di surrealismo – finta alternativa al realismo – ma di un’altra forma di rappresentazione della realtà, forma che la oltrepassa e che nello stesso tempo la integra e la rende riconoscibile.
E ancora sul Potere, in Petrolio, Pasolini scrive (2005, 137):
“Il Potere è eternamente giovane, duttile, spesso dubbioso e in crisi, come ogni cosa umana. Ora i suoi lemmi erano in discussione. […] Degli uomini colti non ci fu uno che avesse il coraggio di alzare la voce per protestare contro tutto questo. Il rischio dell’impopolarità faceva più paura del vecchio rischio della verità. […] L’unica realtà che pulsava col ritmo e l’affanno della verità era quella – spietata – della produzione, della difesa della moneta, della manutenzione delle vecchie istituzioni ancora essenziali al nuovo potere e non erano certamente le scuole, né gli ospedali, né le chiese”.
Non ci sono eccezioni dunque alla collusione con il Potere, una forza che non risparmia nessuno, nemmeno gli intellettuali, che, più o meno consapevolmente, sono integrati nelle sue pratiche che impediscono loro di dire la verità e di poter provare l’esperienza della Visione. La posizione di esteriorità e di estraneità dell’intellettuale rispetto al Potere è un punto che ritroviamo anche negli Scritti Corsari, in particolare nel Romanzo delle stragi: solo chi non è compromesso nella pratica del potere, solo chi la rifiuta, può avere il coraggio di dire la verità.
“Il coraggio intellettuale della verità e la pratica della politica sono due cose inconciliabili in Italia”.
E il solo modo per dire la verità sul Potere è rifiutarlo, odiarlo. Il Potere per Pasolini è un sistema che plasma i soggetti, che alberga in noi, dentro i corpi e le coscienze e se quindi noi stessi siamo la sede della collusione e della partecipazione al Potere, possiamo allo stesso modo essere la sede della resistenza, del rifiuto, della “ascesi” rispetto al mondo del Potere.
Petrolio nasce allora dalla consapevolezza che il Potere deve essere rappresentato per essere compreso e criticato, e, per rappresentarlo, Pasolini inventa questa nuova forma di opera letteraria, caratterizzata da varie forme stilistiche, dal non finito, da elementi ritardanti, dall’allegoria. Questa nuova forma di scrittura non può essere considerata però solo dal punto di vista estetico, ma anche dal punto di vista politico: è la scelta dell’autore di riconsiderare il proprio impegno artistico, è un monito per ricordare in che tipo di società viviamo e verso quali cambiamenti stiamo andando incontro.
L’indignazione di Pasolini ci esorta a non perdere la facoltà di giudizio e di critica e la capacità di individuare i segmenti corrotti della società. In questo senso, Petrolio è il testamento spirituale dello scrittore: la rappresentazione di alcuni dei momenti più oscuri del Novecento italiano, prefigurandone le conseguenze a lungo termine nella Storia, che da Cefis e i gerarchi della Democrazia Cristiana – e i rapporti che avevano con i paesi arabi e con l’Eni – passando per l’omicidio di Mattei, arriva fino alle stragi degli anni ‘70 e ‘80, ai servizi segreti deviati, al linguaggio inebetente della televisione berlusconiana e alla P2 e ai suoi tesserati.
Oggi possiamo valutare attentamente le ipotesi di Pasolini e prendere atto che, in gran parte, esse si sono avverate. Eppure si continua ad evitare la sua parola, venerando il Pasolini “eretico” e lasciando allo stesso tempo che le sue denunce più spinose e importanti cadano nell’oblio.
Fotografia di Ernest Pignon-Ernest
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https://www.nazioneindiana.com/2003/10/07/quattro-porte-su-petrolio‑2/
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