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6 Novembre 2025

L’UL­TI­MA SEN­TEN­ZA PER LA STRA­GE DI BRE­SCIA: LA CON­DAN­NA DI MAR­CO TOF­FA­LO­NI

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Mar­co Tof­fa­lo­ni, il neo­na­zi­smo e i lega­mi con gli stra­gi­sti 

È pas­sa­ta qua­si sot­to silen­zio la sen­ten­za emes­sa dal­la Cor­te d’Assise per i mino­ren­ni di Bre­scia, il 3 apri­le 2025, che ha con­dan­na­to Mar­co Tof­fa­lo­ni alla pena di 30 anni di reclu­sio­ne per il con­cor­so nel­la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia a 51 anni di distan­za dall’attentato.

La sen­ten­za nei suoi con­fron­ti costi­tui­sce lo svi­lup­po del­le inda­gi­ni e dei pro­ces­si che si era­no già con­clu­si con la con­dan­na per la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia di Car­lo Maria Mag­gi e di Mau­ri­zio Tra­mon­te. La sen­ten­za di con­dan­na nei con­fron­ti di Mag­gi e Tra­mon­te è sta­ta pro­nun­cia­ta il 22 Luglio 2015 dal­la Cor­te d’Assise d’Appello di Mila­no com­pe­ten­te, dopo l’annullamento da par­te del­la Cor­te di Cas­sa­zio­ne del­la sen­ten­za di asso­lu­zio­ne emes­sa il 14 apri­le 2012 dal­la Cor­te d’Assise d’Appello di Bre­scia. La sen­ten­za di con­dan­na nei con­fron­ti degli impu­ta­ti con la pro­nun­cia del­la Cas­sa­zio­ne del 20 giu­gno 2017 è dive­nu­ta defi­ni­ti­va a più di 40 anni dal­la stra­ge. Car­lo Maria Mag­gi è mor­to poco dopo il 26 dicem­bre 2018, men­tre Mau­ri­zio Tra­mon­te sta espian­do l’ergastolo.

Con­vie­ne, quin­di, di rias­su­me­re le moti­va­zio­ni di tale sen­ten­za sul ruo­lo attri­bui­to nel­la stra­ge ai due ordi­no­vi­sti, per com­pren­de­re come si sia giun­ti all’individuazione e all’affermazione di respon­sa­bi­li­tà anche di Mar­co Tof­fa­lo­ni che, nato nel giu­gno 1957, all’epoca dei fat­ti era mino­ren­ne.

Car­lo Maria Mag­gi, di ideo­lo­gia neo­na­zi­sta, ave­va una lea­der­ship incon­tra­sta­ta sul­le cel­lu­le di Ordi­ne Nuo­vo del Vene­to e ave­va ela­bo­ra­to una stra­te­gia stra­gi­sta fina­liz­za­ta a fun­ge­re da deto­na­to­re per l’abbattimento del siste­ma demo­cra­ti­co. È lui ad orga­niz­za­re le riu­nio­ni e gli incon­tri con i mili­tan­ti ope­ra­ti­vi in cui tale stra­te­gia vie­ne mes­sa a pun­to. Orga­niz­za­to­re è il dr. Mag­gi, non solo nel­la veste di ‘man­dan­te’ ideo­lo­gi­co, era lui a custo­di­re nel­la trat­to­ria Lo Sca­li­net­to di Vene­zia, usa­ta come base, l’esplosivo che Car­lo Digi­lio ave­va uti­liz­za­to per assem­bla­re l’ordigno da man­da­re a Bre­scia.

Il dr. Mag­gi era sta­to assol­to in pre­ce­den­za in modo for­tu­no­so dal­le accu­se, sem­pre nel ruo­lo di orga­niz­za­to­re, per la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na e dinan­zi alla Que­stu­ra di Mila­no di via Fate­be­ne­fra­tel­li, il 17 mag­gio 1973. L’assoluzione fu resa pos­si­bi­le dall’assoluta inca­pa­ci­tà del­la Pro­cu­ra di Mila­no di svi­lup­pa­re e soste­ne­re in dibat­ti­men­to le inda­gi­ni sul­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na e sul­la stra­ge alla Que­stu­ra. Asso­lu­zio­ni anche e soprat­tut­to dovu­te alla deva­stan­te ‘guer­ra’ sca­te­na­ta da tale Uffi­cio con­tro chi scri­ve, allo­ra Giu­di­ce Istrut­to­re che sta­va rac­co­glien­do gli ele­men­ti deci­si­vi per giun­ge­re alla con­dan­na dei respon­sa­bi­li.

Mau­ri­zio Tra­mon­te era ade­ren­te ad una nuo­va cel­lu­la costi­tui­ta a Pado­va, non più quel­la di Fran­co Fre­da che ave­va come pun­to di rife­ri­men­to la libre­ria Ezze­li­no, col­pi­ta dal­le inda­gi­ni su piaz­za Fon­ta­na, ma una nuo­va cel­lu­la che ave­va crea­to il dr. Mag­gi. Tra­mon­te .ave­va par­te­ci­pa­to alla stra­te­gia di orga­niz­za­zio­ne mili­ta­re del grup­po, com­pre­si spo­sta­men­ti di armi, e alle riu­nio­ni pre­pa­ra­to­rie del­la stra­ge, tra cui quel­la deci­si­va ad Aba­no Ter­me avve­nu­ta appe­na tre gior­ni pri­ma di piaz­za del­la Log­gia. 

Con­tem­po­ra­nea­men­te, Tra­mon­te era da tem­po, con il nome in codi­ce Tri­to­ne, infor­ma­to­re del Cen­tro SID di Pado­va, al qua­le rela­zio­na­va in meri­to all’evoluzione del­la stra­te­gia ever­si­va e ai nomi dei par­te­ci­pan­ti dal dr. Mag­gi in poi. In sostan­za, in uno stra­no equi­li­bri­smo, que­sti svol­ge­va un ruo­lo dop­pio che non lo sot­trae­va da una cor­re­spon­sa­bi­li­tà nel­la stra­ge e che fu carat­te­riz­za­to, anche nel cor­so del­le inda­gi­ni, da una serie con­ti­nua di con­fes­sio­ni e di ritrat­ta­zio­ni. È di rilie­vo, e anche impres­sio­nan­te dal pun­to di vista del­la coper­tu­ra dei respon­sa­bi­li del­la stra­ge, che il gen. Gia­na­de­lio Malet­ti vice­ca­po del SID sen­ti­to dal Giu­di­ce Istrut­to­re di Bre­scia, il 29 Ago­sto 1974, non abbia fat­to il mini­mo rife­ri­men­to alle noti­zie, allar­man­ti, che era­no giun­te dal­la fon­te Tri­to­ne pri­ma del 28 mag­gio.

Inol­tre, sareb­be sta­ta accer­ta­ta, tra­mi­te una foto­gra­fia, la pre­sen­za di Tra­mon­te, come quel­la di Tof­fa­lo­ni, in piaz­za del­la Log­gia subi­to dopo la stra­ge.

Non può sfug­gi­re che per la stra­ge di Bre­scia, così come per le altre stra­gi in cui si è comun­que giun­ti a sen­ten­ze di con­dan­ne defi­ni­ti­ve, sia­no sta­ti indi­vi­dua­ti e la stra­ge di Bolo­gna non fa ecce­zio­ne gli orga­niz­za­to­ri dell’operazione. Il dr. Mag­gi per la stra­ge di Bre­scia, e sog­get­ti appar­te­nen­ti ad un cer­chio ester­no cioè secon­do le sen­ten­ze gli osser­va­to­ri e i con­trol­lo­ri con­sa­pe­vo­li di quan­to sta­va per avve­ni­re, Tra­mon­te e Tof­fa­lo­ni. Tut­ta­via, mai sono sta­ti indi­vi­dua­ti gli ese­cu­to­ri mate­ria­li, cioè colo­ro che ave­va­no col­lo­ca­to gli ordi­gni.

Un atto e un ruo­lo, que­sto, che è rima­sto, in tut­ti i casi, nel­la sfe­ra dell’indicibile, anche per la sua effe­ra­tez­za.

Quan­to a Mar­co Tof­fa­lo­ni, ben­ché gio­va­nis­si­mo, il suo nome com­pa­re pre­sto nel ribol­li­re dell’estrema destra vero­ne­se e bre­scia­na. Stu­dia al liceo scien­ti­fi­co Fra­ca­sto­ro, l’istituto del­le fami­glie bene di Vero­na, la stes­sa scuo­la in cui, appe­na più gio­va­ni di lui, anche Mar­co Fur­lan e Wol­fang Abel, i pro­ta­go­ni­sti del grup­po Lud­wig   del qua­le ho scrit­to in pre­ce­den­za su Ātman han­no stu­dia­to.

Tof­fa­lo­ni ade­ri­sce al grup­po Anno Zero, nato in con­ti­nui­tà con Ordi­ne Nuo­vo dopo il decre­to di scio­gli­men­to del 1973. Nel feb­bra­io 1974, vie­ne fer­ma­to dal­la poli­zia in piaz­za del­le Erbe, nel pie­no cen­tro di Vero­na, men­tre distri­bui­sce con altri mili­tan­ti pro­prio il gior­na­le Anno Zero. In quell’occasione for­ni­sce un nome fal­so e vie­ne denun­cia­to per uso di fal­se gene­ra­li­tà.

Poi, nel feb­bra­io 1976, era sta­ta ese­gui­ta una per­qui­si­zio­ne nell’abitazione degli ordi­no­vi­sti di Vero­na, Giu­sep­pe Fisa­not­ti e Rita Sti­ma­mi­glio   sorel­la di Giam­pao­lo. 

La Sti­ma­mi­glio è indi­ca­ta nel rac­con­to del fra­tel­lo, dopo la sua scel­ta di col­la­bo­ra­zio­ne, come mol­to vici­na al mon­do di Lud­wig e alle ten­den­ze magi­co-eso­te­ri­che di quel grup­po. Nell’abitazione era­no sta­te rin­ve­nu­te armi e un labo­ra­to­rio per la pro­du­zio­ne di sostan­ze stu­pe­fa­cen­ti e anche il pas­sa­por­to   a testi­mo­nian­za del lega­me   di Mar­co Tof­fa­lo­ni.

Anco­ra più gra­ve, per illu­mi­na­re la col­lo­ca­zio­ne in que­gli anni di Tof­fa­lo­ni, è quan­to si tro­va­va nel suo bor­sel­lo rin­ve­nu­to nel 1977.

È un volan­ti­no fir­ma­to “Squa­dre d’Azione Piro Aca­sta­si”, con il qua­le ven­go­no riven­di­ca­ti atten­ta­ti incen­dia­ri a dan­no di auto­vet­tu­re e moto­ri­ni avve­nu­ti in quel perio­do a Vero­na e nel­la zona del lago di Gar­da. Tale grup­po ave­va ope­ra­to soprat­tut­to a Bolo­gna con la sigla “Ron­de Piro­ge­ne Anti­de­mo­cra­ti­che” e, nel­le inda­gi­ni con­dot­te dall’autorità giu­di­zia­ria di tale cit­tà, ne era sta­to indi­vi­dua­to qua­le ele­men­to di spic­co Luca Tuber­ti­ni. Que­sti era un estre­mi­sta di destra di Bolo­gna che si era tra­sfe­ri­to a Vero­na per ragio­ni sco­la­sti­che e si era lega­to mol­tis­si­mo a Tof­fa­lo­ni. Cer­ta­men­te il volan­ti­no “Piro Aca­sta­si” era sta­to redat­to insie­me da Tof­fa­lo­ni e Tuber­ti­ni, come del resto ha con­fes­sa­to quest’ultimo negli inter­ro­ga­to­ri resi poco pri­ma di mori­re.

Que­sti roghi non era­no infat­ti gesti di sem­pli­ce tep­pi­smo ma azio­ni impron­ta­te da un mes­sag­gio ideo­lo­gi­co mol­to vici­no a quel­lo di Lud­wig. Tut­ta­via, nel 1977, il rin­ve­ni­men­to del volan­ti­no era sta­to com­ple­ta­men­te sot­to­va­lu­ta­to dai Cara­bi­nie­ri che non ave­va­no avvia­to alcu­na inda­gi­ne su Tof­fa­lo­ni. Il bor­sel­lo e il volan­ti­no era­no tra l’altro sta­ti resti­tui­ti a Tof­fa­lo­ni pro­prio dai mili­ta­ri del­la caser­ma dei Cara­bi­nie­ri di Paro­na, di cui si dirà tra poco.

Il volan­ti­no esal­ta­va, con toni qua­si deli­ran­ti, il fuo­co puri­fi­ca­to­re che dove­va distrug­ge­re i sim­bo­li mate­ria­li degli agglo­me­ra­ti socia­li ope­rai e pic­co­lo bor­ghe­si con il pro­get­to di pas­sa­re dall’incendio dei mez­zi “vec­chi e spor­chi” che appar­te­ne­va­no a tali sog­get­ti ad una futu­ra demo­li­zio­ne del­le abi­ta­zio­ni dei pez­zen­ti, dei barac­ca­ti e degli emar­gi­na­ti e poi alla sop­pres­sio­ne fisi­ca di tali esse­ri abbiet­ti dal pun­to di vista socia­le e anche este­ti­co. Gli unter­men­schen, i sot­touo­mi­ni da can­cel­la­re in sostan­za, secon­do l’ideologia nazi­sta che echeg­gia­va anche nei volan­ti­ni di riven­di­ca­zio­ne di Lud­wig. 

Le con­fes­sio­ni di Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio sul ruo­lo di Tof­fa­lo­ni

Que­sto è il qua­dro, in cui nel­la sen­ten­za del­la Cor­te bre­scia­na, si col­lo­ca la figu­ra di Tof­fa­lo­ni che entra nel­le ulti­me inda­gi­ni sul­la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia a par­ti­re dal­le dichia­ra­zio­ni di Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio.

Nel 2009, l’ex ordi­no­vi­sta vero­ne­se Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio deci­se di col­la­bo­ra­re con la giu­sti­zia dopo aver reso negli anni pre­ce­den­ti qual­che limi­ta­ta e timi­da testi­mo­nian­za, anche sul­le inda­gi­ni di piaz­za Fon­ta­na.

Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio ave­va mili­ta­to sin dal­la gio­ven­tù nel grup­po di Ordi­ne Nuo­vo di Vero­na, di cui era a capo Rober­to Besut­ti. Sti­ma­mi­glio non è un fana­ti­co, è un uomo col­to e intel­li­gen­te, non si è mai mac­chia­to di rea­ti di san­gue ma nel cor­so del­la sua mili­tan­za ha avu­to rap­por­ti stret­ti con emi­nen­ti mem­bri del­lo stra­gi­smo. Sin da gio­va­ne con Gio­van­ni Ven­tu­ra e la sua fami­glia, a cui era stret­ta­men­te lega­to, poi con il col. Amos Spiaz­zi, coin­vol­to nei pro­get­ti di col­po di Sta­to del­la pri­ma metà degli anni ‘70 e infi­ne con per­so­nag­gi del cali­bro di Elio Mas­sa­gran­de e appun­to Rober­to Besut­ti.

Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio rac­con­ta che ave­va cono­sciu­to anche Clau­dio Biz­zar­ri sin dal­la comu­ne mili­tan­za gio­va­ni­le in Ordi­ne Nuo­vo. Biz­zar­ri era un ele­men­to di spic­co del grup­po, mol­to lega­to ad Elio Mas­sa­gran­de e Rober­to Besut­ti. Biz­zar­ri dovreb­be iden­ti­fi­car­si nel “figlio di un fun­zio­na­rio di ban­ca”, che, in un accen­no di Car­lo Digi­lio e in altre testi­mo­nian­ze rac­col­te dopo la fine del pro­ces­so, ave­va par­te­ci­pa­to mate­rial­men­te all’operazione a piaz­za Fon­ta­na il 12 dicem­bre 1969. Inol­tre, Biz­zar­ri ave­va par­te­ci­pa­to, come testi­mo­nia­to dal­la sua ex fidan­za­ta in ver­ba­li resi all’autorità giu­di­zia­ria di Vero­na già negli anni ‘70, ad atten­ta­ti a Man­to­va e Vero­na, e pro­prio nei gior­ni del­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na era sta­to assen­te per alcu­ni gior­ni da scuo­la e le ave­va poi det­to che si era reca­to a Mila­no. Come abbia­mo indi­ca­to, insie­me ad Andrea Sce­re­si­ni, in La male­di­zio­ne di piaz­za Fon­ta­na (2019, 346–364), nel qua­le tut­ta­via è sta­to indi­ca­to con lo pseu­do­ni­mo di Para­ca­du­ti­sta atti­vi­tà svol­ta da lui e altri ordi­no­vi­sti   per non pre­giu­di­ca­re pos­si­bi­li inda­gi­ni. Tut­ta­via, essen­do que­sti mor­to dopo poche set­ti­ma­ne dal­la pub­bli­ca­zio­ne de La male­di­zio­ne, il suo nome può ormai esse­re indi­ca­to.

Ad ogni modo, Biz­zar­ri, nel­la pri­ma metà degli anni ‘70, si era rifu­gia­to in Gre­cia per sot­trar­si alla giu­sti­zia dato che era impu­ta­to anche nel pro­ces­so roma­no con­tro Ordi­ne Nuo­vo. In Gre­cia ave­va cono­sciu­to Lucia, sorel­la di Elio Mas­sa­gran­de, che ave­va in segui­to spo­sa­to. Si era poi spo­sta­to in Fran­cia per alcu­ni anni ed era rien­tra­to infi­ne in Ita­lia. Ave­va, quin­di, assun­to la gestio­ne dell’Hotel Gar­da sul­la stra­da per Bus­so­len­go dove abi­ta­va con la fami­glia in un appar­ta­men­to al pia­no infe­rio­re.

Sti­ma­mi­glio era usci­to da Ordi­ne Nuo­vo nel 1974 ma ave­va sem­pre man­te­nu­to con­tat­ti per­so­na­li con i suoi ex came­ra­ti. Ave­va quin­di fat­to visi­ta più vol­te a Biz­zar­ri pres­so l’Hotel. In una di que­ste occa­sio­ni, alla fine degli anni ‘80, vi ave­va tro­va­to Mar­co Tof­fa­lo­ni che cono­sce­va già dai tem­pi del­la sua mili­tan­za in Ordi­ne Nuo­vo. Ad un cer­to momen­to, dopo il pran­zo era­no rima­sti da soli, non era­no pre­sen­ti né i fami­lia­ri né Biz­zar­ri e ave­va­no quin­di ini­zia­to a par­la­re del­le loro espe­rien­ze poli­ti­che.

Sti­ma­mi­glio ave­va com­men­ta­to il tra­sfe­ri­men­to di Tof­fa­lo­ni da mol­ti anni in Sviz­ze­ra dicen­do che ave­va fat­to bene a spo­star­si in quel pae­se, per­ché in Ita­lia ne ave­va com­bi­na­te di “vera­men­te pesan­ti”; volen­do allu­de­re, nel suo pen­sie­ro, alla mili­tan­za di Tof­fa­lo­ni nel grup­po Lud­wig.

Tof­fa­lo­ni ave­va però rispo­sto alla “pro­vo­ca­zio­ne” di Sti­ma­mi­glio dicen­do, for­se diver­sa­men­te da quan­to quest’ultimo si atten­de­va, «anche a Bre­scia c’ero io», rife­ren­do­si chia­ra­men­te alla stra­ge.

Sti­ma­mi­glio ave­va repli­ca­to dicen­do che all’epoca era solo un ragaz­zo, ma Tof­fa­lo­ni ave­va con­fer­ma­to il suo ruo­lo facen­do inten­de­re che, per quan­to gio­va­ne, ave­va le qua­li­tà neces­sa­rie. Sti­ma­mi­glio gli ave­va allo­ra chie­sto se aves­se rice­vu­to l’ordine da Rober­to, dan­do per scon­ta­to che si trat­tas­se di Rober­to Besut­ti, noto ad entram­bi come respon­sa­bi­le degli ordi­no­vi­sti vero­ne­si. Tof­fa­lo­ni ave­va allo­ra rispo­sto «Sì cer­to».

Non era sta­to aggiun­to altro. Tut­ta­via, Sti­ma­mi­glio, nel cor­so del­le sue dichia­ra­zio­ni, ha ricor­da­to che in occa­sio­ne di un incon­tro con il col. Amos Spiaz­zi, in cui si era par­la­to del­la stra­ge, que­sti gli ave­va det­to che vi era sta­ta una «coo­pe­ra­zio­ne vero­ne­se-bre­scia­na nel­la rea­liz­za­zio­ne dell’attentato». Ricor­dan­do­gli quan­to, come sape­va Sti­ma­mi­glio, fos­se­ro otti­mi i rap­por­ti tra i came­ra­ti vero­ne­si e bre­scia­ni.

Una foto­gra­fia in piaz­za del­la Log­gia

Da un pun­to di vista pro­ba­to­rio, il rac­con­to di Sti­ma­mi­glio da solo non è mol­to, poco più che uno spun­to, for­se un indi­zio, ma unen­do la sua testi­mo­nian­za con i risul­ta­ti dell’esame, dispo­sto dal­la Pro­cu­ra di Bre­scia, di tut­to il mate­ria­le foto­gra­fi­co scat­ta­to in piaz­za del­la Log­gia subi­to dopo la stra­ge, sarà deter­mi­nan­te.

La Poli­zia era riu­sci­ta a recu­pe­ra­re, tra le cen­ti­na­ia di imma­gi­ni scat­ta­te quel gior­no, una foto­gra­fia pre­sen­te nell’archivio del­lo stu­dio Cinel­li.

La foto­gra­fia era sta­ta cer­ta­men­te scat­ta­ta appe­na dopo la stra­ge per­ché davan­ti alle per­so­ne che fan­no ‘cor­do­ne’ per evi­ta­re alla fol­la di avvi­ci­nar­si si vede Man­lio Mila­ni  poi ani­ma­to­re del­la Casa del­la Memo­ria di Bre­scia   anco­ra chi­no sul cor­po del­la moglie Livia Bot­tar­di, ucci­sa sul col­po dall’esplosione.

Nel foto­gram­ma è visi­bi­le, sep­pur non a figu­ra inte­ra, un ragaz­zo mol­to gio­va­ne assai somi­glian­te e poi iden­ti­fi­ca­to in Mar­co Tof­fa­lo­ni. Era in pie­di subi­to alle spal­le del cor­do­ne di per­so­ne, pro­ba­bil­men­te appar­te­nen­ti al ser­vi­zio d’ordine del sin­da­ca­to, che trat­te­ne­va­no i mani­fe­stan­ti. 

Il gio­va­ne si tro­va­va quin­di in un pun­to pri­vi­le­gia­to di osser­va­zio­ne, a pochis­si­mi metri dall’epicentro dell’attentato.

Allo­ra gli inqui­ren­ti repe­ri­ro­no alcu­ne foto­gra­fie di Mar­co Tof­fa­lo­ni pros­si­me sul pia­no tem­po­ra­le ai fat­ti, in par­ti­co­la­re una foto­se­gna­la­zio­ne risa­len­te al 1977, com­pa­ran­do­le con l’uso di tec­ni­che avan­za­te. La pri­ma, affi­da­ta al con­su­len­te tec­ni­co dei Pub­bli­ci Mini­ste­ri, prof. Lui­gi Capas­so docen­te di Antro­po­lo­gia pres­so l’Università di Medi­ci­na di Chie­ti e Pesca­ra e la secon­da affi­da­ta, in sede di inci­den­te pro­ba­to­rio dinan­zi al GIP, a esper­ti del RIS dei Cara­bi­nie­ri di Par­ma. 

Entram­bi gli accer­ta­men­ti por­ta­va­no alla con­clu­sio­ne che, con ele­va­ta pro­ba­bi­li­tà, pros­si­ma alla cer­tez­za, il gio­va­ne tra la fol­la fos­se pro­prio Mar­co Tof­fa­lo­ni.

Depo­ne­va in tal sen­so la com­pa­ra­zio­ne mor­fo­lo­gi­ca del viso e cioè la sua for­ma gene­ra­le, quel­la dei capel­li, del­le orec­chie, del naso, del­la boc­ca e così via. In par­ti­co­la­re, risul­ta­va­no 14 carat­te­ri mor­fo­lo­gi­ci ugua­li al viso di Tof­fa­lo­ni, di par­ti­co­la­re signi­fi­ca­ti­vi­tà la fos­set­ta sul men­to e l’incisione sul lab­bro infe­rio­re, e altri 9 mol­to simi­li. Una sor­ta quin­di di impron­ta papil­la­re. Nes­sun segno mor­fo­lo­gi­co inol­tre risul­ta­va incom­pa­ti­bi­le con l’indagato por­tan­do così ad esclu­de­re un fal­so posi­ti­vo. Un qua­dro quin­di che, secon­do i più recen­ti pro­to­col­li scien­ti­fi­ci, resti­tui­sce, in assen­za di ele­men­ti con­tra­ri, una for­te pro­ba­bi­li­tà di iden­ti­fi­ca­zio­ne.

Anche la com­pa­ra­zio­ne antro­po­me­tri­ca, cioè non più la for­ma ma la distan­za tra i vari pun­ti del capo, ad esem­pio tra la pun­ta più alta del­le orbi­te e la base del naso, por­ta­va alle mede­si­me con­clu­sio­ni.

Sul­la base di tali dati, in modo cor­ret­to sul pia­no logi­co, nel­la sen­ten­za del­la Cor­te mino­ri­le, si argo­men­ta che la pre­sen­za sul luo­go di un cri­mi­ne, anche se subi­to dopo che esso è avve­nu­to, non è di per sé pro­va di una cor­re­spon­sa­bi­li­tà. Tut­ta­via tale pre­sen­za assu­me un signi­fi­ca­to diver­so se è del tut­to pri­va di spie­ga­zio­ne e lascia inve­ce intra­ve­de­re un ruo­lo nell’episodio. Infat­ti, Tof­fa­lo­ni non ave­va alcu­na ragio­ne di tro­var­si in piaz­za del­la Log­gia se non fos­se sta­to a cono­scen­za di quan­to sareb­be acca­du­to duran­te il comi­zio sin­da­ca­le. Né pote­va esse­re un tran­si­to casua­le dato che Tof­fa­lo­ni abi­ta­va a 70 chi­lo­me­tri da Bre­scia e che per rag­giun­ge­re tale cit­tà avreb­be dovu­to comun­que mari­na­re la scuo­la e ciò com­por­ta­va una ragio­ne signi­fi­ca­ti­va per far­lo. Inol­tre, non gui­da­va e quin­di a Bre­scia qual­cu­no ave­va dovu­to por­tar­lo. Non ave­va poi alcu­na logi­ca che lui, nazi­sta fana­ti­co, par­te­ci­pas­se, da solo, a un comi­zio anti­fa­sci­sta indet­to come pro­te­sta con­tro le azio­ni dell’estrema destra nel­la zona. 

Se non si vuo­le pen­sa­re ad una pre­sen­za per sem­pli­ce curio­si­tà dopo aver car­pi­to dai came­ra­ti qual­che noti­zia, la sua pre­sen­za nel­la piaz­za si spie­ga inve­ce in modo logi­co con un ruo­lo di ‘con­trol­lo­re’ , ma nem­me­no Tof­fa­lo­ni ha mai soste­nu­to qual­co­sa di simi­le. Dun­que, il livel­lo più bas­so di con­cor­so nel delit­to, ma pur sem­pre con­cor­so nell’esecuzione del­la stra­ge e nel­le sue con­se­guen­ze.

È, dun­que, mol­to pro­ba­bi­le che Tof­fa­lo­ni aves­se il com­pi­to di per­lu­stra­re la zona, in sostan­za di fare da ‘palo’, e di inter­ve­ni­re qua­lo­ra si fos­se veri­fi­ca­to qual­che incon­ve­nien­te nel pia­no ope­ra­ti­vo. Non si può nem­me­no esclu­de­re che egli aves­se, alme­no per qual­che momen­to, tra­spor­ta­to l’ordigno e l’avesse poi con­se­gna­to a chi dove­va col­lo­car­lo nel cesti­no in mez­zo ai par­te­ci­pan­ti alla mani­fe­sta­zio­ne.

È anche impor­tan­te sul pia­no del­la ‘tenu­ta’ dimo­stra­ti­va del­la pro­va che il rac­con­to di Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio abbia pre­ce­du­to la sco­per­ta del­la foto­gra­fia e non vice­ver­sa.

Nel­la scan­sio­ne del­le inda­gi­ni non è sta­ta repe­ri­ta una foto­gra­fia che è sta­ta poi sot­to­po­sta a Sti­ma­mi­glio, ma è sta­to rac­col­to il rac­con­to di que­sti. Andan­do dopo a cer­ca­re le foto­gra­fie sto­ri­che di quel 28 mag­gio 1974, sino a tro­var­ne una in cui era visi­bi­le una per­so­na iden­ti­fi­ca­bi­le in Tof­fa­lo­ni. Que­sto signi­fi­ca che Sti­ma­mi­glio, che non cono­sce­va l’esistenza del­la foto­gra­fia, non pote­va imma­gi­na­re che vi sareb­be sta­to un riscon­tro alle sue dichia­ra­zio­ni. Allo stes­so tem­po, egli non ha potu­to uti­liz­za­re la foto­gra­fia per costrui­re su di essa un rac­con­to, even­tual­men­te non veri­tie­ro e com­pia­cen­te, in meri­to alla con­fi­den­za che ave­va rice­vu­to dall’ex came­ra­ta visi­bi­le in tale imma­gi­ne.

In sostan­za, rac­con­to e foto­gra­fia han­no un effet­to con­giun­to che li valo­riz­za entram­bi sen­za pos­si­bi­li­tà da par­te del testi­mo­ne di ‘uti­liz­za­re’ qual­co­sa che non gli era sta­to mostra­to.

Vero­na: Ordi­ne Nuo­vo, Anno Zero e Mar­co Tof­fa­lo­ni

Il qua­dro pro­ba­to­rio si è raf­for­za­to quan­do le inda­gi­ni e l’istruzione dibat­ti­men­ta­le si sono diret­te ad illu­mi­na­re la figu­ra di Mar­co Tof­fa­lo­ni, rima­sta sino a quel momen­to ai mar­gi­ni del­le inchie­ste sull’eversione di destra.

Pur tra mol­te e com­pren­si­bi­li reti­cen­ze, in quan­ti i testi­mo­ni era­no in buo­na par­te ex came­ra­ti ami­ci di Tof­fa­lo­ni o con­giun­ti dell’imputato, alcu­ni di essi, che in par­te ave­va­no cam­bia­to sti­le di vita, han­no for­ni­to ele­men­ti e riscon­tri per inqua­dra­re sia l’attività di Tof­fa­lo­ni sia quel­la del grup­po di cui l’imputato face­va par­te nel perio­do del­la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia e oltre.

Nel­la can­ti­na dell’abitazione Tof­fa­lo­ni c’era, lo rac­con­ta l’ex came­ra­ta Tuber­ti­ni, un depo­si­to di armi. C’erano varie pisto­le, anche silen­zia­te, bom­be a mano SRCM, bom­be a mano di tipo ana­nas. Tof­fa­lo­ni era riu­sci­to a non far­le ritro­va­re duran­te una per­qui­si­zio­ne spo­stan­do­le nel­la can­ti­na di un vici­no, divi­sa dal­la sua solo da un tra­mez­zo di legno. Dopo la per­qui­si­zio­ne Tof­fa­lo­ni le ave­va per pru­den­za cedu­te a un mili­tan­te roma­no vici­no ai NAR.

Tof­fa­lo­ni era sta­to pro­ta­go­ni­sta nel 1977 anche dell’agguato a col­pi di pisto­la con­tro un espo­nen­te demo­cri­stia­no, l’on. Lui­gi Bac­ci­co­ni. Un atten­ta­to che pre­ten­de­va di ave­re uno spes­so­re poli­ti­co ma era nato soprat­tut­to dall’odio di Rita Sti­ma­mi­glio, cui Tof­fa­lo­ni era lega­to, per la fami­glia di Bac­ci­co­ni.

Sui pro­get­ti del­la cel­lu­la vero­ne­se, Umber­to Zam­bo­ni ha rac­con­ta­to che nel­le riu­nio­ni del grup­po si pro­get­ta­va la rea­liz­za­zio­ne di stra­gi con vit­ti­me indi­scri­mi­na­te per indur­re nel­la popo­la­zio­ne un desi­de­rio di sicu­rez­za e che tali atten­ta­ti non dove­va­no più esse­re masche­ra­ti, come in pas­sa­to, come azio­ni del­la sini­stra. Que­sto per­ché lo Sta­to, in cui gli ordi­no­vi­sti ave­va­no con­fi­da­to, li ave­va ‘tra­di­ti’ in quan­to l’atteso putsch non si era veri­fi­ca­to e, al con­tra­rio, Ordi­ne Nuo­vo era sta­to sciol­to. A quel pun­to Zam­bo­ni si era tira­to indie­tro per­ché non accet­ta­va di par­te­ci­pa­re ad atten­ta­ti in cui fos­se pre­vi­sta la mor­te di civi­li inno­cen­ti.

Un altro ordi­no­vi­sta di Vero­na, Mario Bosio, ha rac­con­ta­to di aver svol­to per­so­nal­men­te l’attività di pro­cac­cia­to­re di armi, anche da guer­ra, per Ordi­ne Nuo­vo  gra­zie ai con­tat­ti con la V Legio­ne dei Nuclei di Dife­sa del­lo Sta­to del col. Spiaz­zi. Inol­tre, Ste­fa­no Rus­so, anch’egli di Vero­na, ha a sua vol­ta nar­ra­to di aver custo­di­to armi per Bosio e di aver­lo accom­pa­gna­to alcu­ne vol­te pres­so il coman­do del­la SETAF Sou­thern Euro­pean Task For­ce, un impor­tan­te coman­do mili­ta­re dell’esercito sta­tu­ni­ten­se    di Vicen­za, ove Bosio era entra­to sen­za subi­re alcun con­trol­lo.

Infi­ne, per com­ple­ta­re il qua­dro di que­sta comu­ni­tà di fana­ti­ci, mol­ti di essi era­no iscrit­ti al Poli­go­no di Tiro di Vero­na e tra di loro anche Mar­co Tof­fa­lo­ni, ben­ché mino­ren­ne. Lo stes­so poli­go­no cui era iscrit­to, pur risie­den­do a Vene­zia, Car­lo Digi­lio, cir­co­stan­za que­sta che sem­bra più di una coin­ci­den­za.

Quel­la di Ordi­ne Nuo­vo a Vero­na era una com­pa­gi­ne nume­ro­sa e deter­mi­na­ta, pro­ta­go­ni­sta di nume­ro­se vio­len­ze con­tro avver­sa­ri poli­ti­ci e atten­ta­ti, e che ha con­ti­nua­to ad agi­re anche dopo il decre­to di scio­gli­men­to del 1973, ope­ran­do sot­to la sigla Anno Zero. Negli anni suc­ces­si­vi, alcu­ni mili­tan­ti, tra cui Tof­fa­lo­ni, han­no anche gra­vi­ta­to nell’ambiente nazi­sta-eso­te­ri­co di Lud­wig, di cui era mae­stra di ceri­mo­nie Rita Sti­ma­mi­glio, e nel­le Squa­dre d’Azione Piro Aca­sta­si.

Cer­ta­men­te, sino all’ultima inda­gi­ne a Bre­scia, è sta­ta sot­to­va­lu­ta­ta la pre­sen­za del­la cel­lu­la di Ordi­ne Nuo­vo di Vero­na nel­la stra­te­gia ever­si­va di estre­ma destra degli anni ‘60 e ‘70. Ad esem­pio, a Vero­na era pre­sen­te la V Legio­ne dei Nuclei di Dife­sa del­lo Sta­to, la più con­si­sten­te, coman­da­ta dal col. Amos Spiaz­zi. Era una strut­tu­ra for­ma­ta da civi­li e mili­ta­ri, inte­ra­men­te clan­de­sti­na e pro­get­ta­ta per un’azione di appog­gio a un muta­men­to isti­tu­zio­na­le di carat­te­re gol­pi­sta.

Il rac­con­to di Ombret­ta Gia­co­maz­zi al gen. Fran­ce­sco Del­fi­no

Ombret­ta Gia­co­maz­zi è l’altra testi­mo­ne di rilie­vo entra­ta nel­le inda­gi­ni. Una testi­mo­ne pura, in quan­to non è mai sta­ta coin­vol­ta in rea­ti.

Ombret­ta Gia­co­maz­zi era gio­va­nis­si­ma all’epoca del­la stra­ge, appe­na dicias­set­ten­ne, e per alcu­ni mesi ave­va intrat­te­nu­to una rela­zio­ne con Sil­vio Fer­ra­ri pri­ma che que­sti moris­se la not­te tra il 18 e il 19 mag­gio 1974, dila­nia­to dall’ordigno che tra­spor­ta­va sul­la sua Vespa.

La fami­glia di Ombret­ta in quell’epoca gesti­va una piz­ze­ria a Bre­scia  pro­prio dinan­zi all’abitazione di Sil­vio Fer­ra­ri.

In segui­to, Ombret­ta ave­va spo­sa­to uno dei figli di Giu­sep­pe Sof­fian­ti­ni, diven­tan­do così nuo­ra dell’imprenditore rapi­to nel 1997 e libe­ra­to dopo qua­si 8 mesi di pri­gio­nia gra­zie al paga­men­to di un riscat­to di 5 miliar­di di lire. Vi è, in que­sto rap­por­to di fami­glia, una sin­go­la­re inter­se­zio­ne con le inda­gi­ni sul­la stra­ge di Bre­scia. Si sco­pri­rà infat­ti che il gene­ra­le dei Cara­bi­nie­ri Fran­ce­sco Del­fi­no, inse­ren­do­si nel­le inda­gi­ni e nel­le trat­ta­ti­ve con i rapi­to­ri, si era appro­pria­to di alcu­ne cen­ti­na­ia di milio­ni di lire facen­ti par­te del riscat­to offer­to dal­la fami­glia. Suc­ces­si­va­men­te, per tale appro­pria­zio­ne, Del­fi­no è sta­to con­dan­na­to alla pena di 4 anni e 3 mesi di reclu­sio­ne oltre alla degra­da­zio­ne.  

Que­sti è lo stes­so Fran­ce­sco Del­fi­no di cui è ormai accer­ta­ta, dall’insieme del­le inda­gi­ni con­dot­te a Bre­scia, l’attività, quan­do rive­sti­va il gra­do di capi­ta­no diri­gen­te del Nucleo Inve­sti­ga­ti­vo, di pro­te­zio­ne in favo­re degli estre­mi­sti di destra del­la cit­tà tra­mi­te il sabo­tag­gio del­le inda­gi­ni sul­la stra­ge.

Ed è pro­prio Fran­ce­sco Del­fi­no, pre­sen­te nel rac­con­to di Ombret­ta, che ha un ruo­lo da pro­ta­go­ni­sta in  que­gli even­ti.

Infat­ti, quel­la di Sil­vio Fer­ra­ri, che ade­ri­va come Mar­co Tof­fa­lo­ni ad Anno Zero, non era una comu­ne mili­tan­za di estre­ma destra.

Ombret­ta ave­va fre­quen­ta­to il pic­co­lo appar­ta­men­to, di via Alear­do Alear­di a Bre­scia, del fidan­za­to e lì, pur sen­za por­re trop­pe doman­de, ave­va visto buste con foto­gra­fie di mili­ta­ri e civi­li duran­te degli adde­stra­men­ti e foto­gra­fie di riu­nio­ni. Inol­tre, ave­va nota­to nell’appartamento una pisto­la.

Ombret­ta ave­va anche assi­sti­to a scam­bi di buste con foto­gra­fie e dena­ro tra Sil­vio e per­so­ne in bor­ghe­se, che ave­va poi rico­no­sciu­to come appar­te­nen­ti all’arma dei Cara­bi­nie­ri.

Uno di que­sti era il cap. Fran­ce­sco Del­fi­no, che ave­va visto anche in piz­ze­ria insie­me a un altro ele­men­to dell’estrema destra bre­scia­na, Erman­no Buz­zi, con­fi­den­te dell’Arma, coin­vol­to nel­la pri­ma fase del­le inda­gi­ni sul­la stra­ge. Buz­zi è sta­to stran­go­la­to nel 1981 nel car­ce­re di Nova­ra da Pier­lui­gi Con­cu­tel­li nel timo­re che, dopo la sen­ten­za di con­dan­na all’ergastolo nel pro­ces­so in gra­do, si risol­ves­se a par­la­re nel pro­ces­so di appel­lo che sta­va per ini­zia­re.

Nei pochi mesi in cui era dura­ta la loro rela­zio­ne, Sil­vio le ave­va chie­sto di accom­pa­gnar­la più vol­te in sedi isti­tu­zio­na­li, iden­ti­fi­ca­te nel­la caser­ma dei Cara­bi­nie­ri di Paro­na Val­po­li­cel­la e nel­la sede del­la FTA­SE a Vero­na.

A Paro­na si era­no reca­ti insie­me più vol­te, una vol­ta anche con un’autovettura gui­da­ta da un Cara­bi­nie­re.

Una vol­ta Sil­vio era usci­to dal­la caser­ma con una busta pie­na di sol­di, un’altra vol­ta li aspet­ta­va all’esterno Tof­fa­lo­ni. 

Nel­la caser­ma di Paro­na si tene­va­no riu­nio­ni che non è ecces­si­vo defi­ni­re ever­si­ve.

In due occa­sio­ni era sta­to con­sen­ti­to ad Ombret­ta di assi­ste­re a que­ste riu­nio­ni, in un loca­le del semin­ter­ra­to.

Era­no pre­sen­ti, oltre a Sil­vio, Mar­co Tof­fa­lo­ni, Nan­do Fer­ra­ri, anche lui ordi­no­vi­sta di Bre­scia, il gen. Del­fi­no, anche in divi­sa, un altro cara­bi­nie­re che Ombret­ta ricor­da­va chia­mar­si Ange­lo e che ave­va rico­no­sciu­to nel capo­cen­tro del SID di Vero­na, col. Ange­lo Pigna­tel­li e altri mili­ta­ri.

Nel cor­so del­le riu­nio­ni si era par­la­to di un atten­ta­to da com­pie­re con­tro la disco­te­ca Blue Note, un loca­le fre­quen­ta­to, uno dei pri­mi all’epoca, da omo­ses­sua­li e tra­ve­sti­ti, e tale com­pi­to era sta­to affi­da­to pro­prio a Sil­vio Fer­ra­ri.

Del pro­get­to di atten­ta­to al Blue Note, Ombret­ta ave­va anco­ra sen­ti­to par­la­re poche set­ti­ma­ne pri­ma del­la mor­te di Sil­vio men­tre si tro­va­va a bor­do del­la BMW di Pao­lo Siliot­ti, un altro ordi­no­vi­sta di Vero­na, insie­me a Mar­co Tof­fa­lo­ni.

Tof­fa­lo­ni e Sil­vio ave­va­no discus­so in modo acce­so per­ché quest’ultimo ave­va espres­so la sua volon­tà di riti­rar­si dall’esecuzione dell’attentato con­tro la disco­te­ca.

Era mol­to pro­ba­bil­men­te lega­to al nasce­re di que­sto con­tra­sto quan­to Sil­vio le ave­va poi rife­ri­to.  Cioè di aver scat­ta­to, duran­te le riu­nio­ni a Paro­na, e con­ser­va­to di nasco­sto, alcu­ne foto­gra­fie, in cui era visi­bi­le anche il gen. Del­fi­no. Era­no quel­le foto­gra­fie, secon­do Sil­vio, la sua anco­ra di sal­vez­za.

L’altra sede isti­tu­zio­na­le pres­so la qua­le, in quei mesi, Sil­vio le ave­va chie­sto di accom­pa­gnar­lo era  Palaz­zo Car­li a Vero­na, sede del­la FTA­SE, uno dei più impor­tan­ti coman­di del­la NATO in Ita­lia.  La sede del­la FTA­SE era il Coman­do del­le For­ze Allea­te Ter­re­stri per il sud Euro­pa, stra­te­gi­ca­men­te col­lo­ca­to a Vero­na dagli anni ‘50 con il com­pi­to di pre­di­spor­re la dife­sa del Nord Ita­lia da un’ipotetica inva­sio­ne del­le for­ze del Pat­to di Var­sa­via e il cui coman­do era affi­da­to per sta­tu­to ad un gene­ra­le ita­lia­no affian­ca­to comun­que da mili­ta­ri sta­tu­ni­ten­si e di altri pae­si.

Ombret­ta non ave­va mai accom­pa­gna­to Sil­vio all’interno ma si era sem­pre fer­ma­ta in cor­ti­le accan­to alla Vespa del fidan­za­to. Una vol­ta ave­va visto Sil­vio usci­re dal palaz­zo insie­me al gen. Del­fi­no. Un’altra vol­ta Mar­co Tof­fa­lo­ni li aspet­ta­va fuo­ri dal coman­do, ma poi si era allon­ta­na­to lascian­do Sil­vio entra­re da solo. 

Que­sti acces­si in un Coman­do mili­ta­re di tale impor­tan­za come la sede del­la FTA­SE, ove ave­va­no sede anche i Ser­vi­zi di sicu­rez­za del­la NATO, pos­so­no spie­gar­si solo così come gli acces­si e le riu­nio­ni nell’isolata sta­zio­ne Cara­bi­nie­ri di Paro­na con l’ingaggio di Sil­vio nel ruo­lo di infor­ma­to­re e di sog­get­to pro­tet­to e anche ope­ra­ti­vo di tali strut­tu­re mili­ta­ri. L’ingaggio, si ten­ga ben pre­sen­te, di un neo­fa­sci­sta con­vin­to che face­va par­te di una cel­lu­la, come quel­la vero­ne­se, mol­to atti­va e peri­co­lo­sa.

È pro­ba­bi­le che l’ultima not­te di vita di Sil­vio Fer­ra­ri abbia visto un giro­va­ga­re in moto incer­to se com­pie­re o meno il pre­vi­sto atten­ta­to alla disco­te­ca   l’attentato era sta­to addi­rit­tu­ra pre­an­nun­zia­to da due tele­fo­na­te ano­ni­me pro­prio la sera del 18 mag­gio sino for­se a deci­de­re di ripie­ga­re su un altro obiet­ti­vo. Quest’obiettivo, come indi­ca­to da alcu­ne testi­mo­nian­ze, sareb­be l’ingresso del­la sede del Cor­rie­re del­la Sera a Bre­scia. Fer­ra­ri ave­va comun­que per­so tem­po, e per fata­li­tà o per qual­che impru­den­za nell’innesco del con­ge­gno che por­ta­va sul­la sua Vespa, que­sto era esplo­so, in piaz­za del Mer­ca­to, ucci­den­do­lo.

La testi­mo­ne, infi­ne, ha spie­ga­to di aver atte­so tan­to tem­po pri­ma di rac­con­ta­re quel­lo cui ave­va assi­sti­to per­ché anco­ra inti­mo­ri­ta dal­la figu­ra del poten­te gen. Del­fi­no le sue dichia­ra­zio­ni risal­go­no infat­ti alla nuo­va inda­gi­ne con­dot­ta a Bre­scia nel 2013 e si sono svi­lup­pa­te, in par­ti­co­la­re, dopo la scom­par­sa del gen. Del­fi­no nel 2014.                                                                     

Il gen. Del­fi­no, infat­ti, quan­do ave­va diret­to la pri­ma fase del­le inda­gi­ni sul­la stra­ge, l’aveva let­te­ral­men­te per­se­gui­ta­ta affin­ché non rive­las­se quan­to a sua cono­scen­za, in par­ti­co­la­re le riu­nio­ni nel­la caser­ma di Paro­na e la pro­te­zio­ne del gene­ra­le in favo­re di estre­mi­sti di destra. Del­fi­no pre­ten­de­va che, con testi­mo­nian­ze fal­se, Ombret­ta lo aiu­tas­se a dirot­ta­re le inda­gi­ni su piste sba­glia­te facen­do­le are­na­re. La sua fami­glia ave­va dovu­to subi­re simi­li sopru­si mol­ti anni dopo, quan­do era sta­to rapi­to il suo­ce­ro Giu­sep­pe Sof­fian­ti­ni. Solo quan­do era sta­ta sen­ti­ta nell’ambito del­la nuo­va inda­gi­ne, la testi­mo­ne ave­va capi­to di tro­var­si dinan­zi non a Cara­bi­nie­ri ‘infe­de­li’ ma a inve­sti­ga­to­ri di cui pote­va fidar­si.

Quin­di, Ombret­ta Gia­co­maz­zi non par­la in modo diret­to di un coin­vol­gi­men­to di Mar­co Tof­fa­lo­ni nel­la stra­ge, ma è testi­mo­ne del­le atti­vi­tà del grup­po di cui tan­to il suo fidan­za­to Sil­vio Fer­ra­ri quan­to Tof­fa­lo­ni face­va­no par­te. E inol­tre del­le pro­te­zio­ni di cui il grup­po gode­va e dell’alleanza stret­ta con una par­te dell’Arma dei Cara­bi­nie­ri e con il SID.

Soprat­tut­to, Ombret­ta rac­con­ta dell’interesse di Tof­fa­lo­ni per l’esecuzione dell’attentato con­tro il Blue Note, sino ad insi­ste­re con il titu­ban­te Sil­vio Fer­ra­ri. Se la mor­te di quest’ultimo è un fat­to che, nel­la visio­ne distor­ta di quel grup­po di gio­va­ni, si dove­va ‘ven­di­ca­re’, tale volon­tà col­lo­ca Tof­fa­lo­ni tra colo­ro che era­no dispo­ni­bi­li a par­te­ci­pa­re, con un ruo­lo mino­re ma con­sa­pe­vo­le, alla stra­ge. 

Inol­tre, come esat­ta­men­te rile­va­to nel­la sen­ten­za, il rac­con­to del­la testi­mo­ne con­tri­bui­sce a con­no­ta­re come non casua­le il signi­fi­ca­to del­la pre­sen­za dell’imputato in piaz­za del­la Log­gia in quel pre­ci­so gior­no.

La Cor­te mino­ri­le di Bre­scia ha giu­di­ca­to atten­di­bi­le il rac­con­to di Ombret­ta Gia­co­maz­zi scri­ven­do che la testi­mo­ne è appar­sa “una per­so­na for­se un po’ pro­va­ta dal­la sua sto­ria, ma asso­lu­ta­men­te nor­ma­le, sobria, con­te­nu­ta, cer­ta­men­te mol­to matu­ra­ta rispet­to alla ragaz­zi­na” pre­sen­te nei pri­mi pro­ces­si, e “in più di un pas­sag­gio è appar­sa ram­ma­ri­ca­ta, se non gra­va­ta dal sen­so di col­pa, di non aver capi­to quel­lo che sta­va suc­ce­den­do, di non aver par­la­to a suo tem­po come avreb­be dovu­to […] tut­to tran­ne che una mito­ma­ne”.

Infi­ne, per com­ple­ta­re la sto­ria del pro­ces­so, Mar­co Tof­fa­lo­ni, sen­ti­to in roga­to­ria a Ber­na dai magi­stra­ti bre­scia­ni, si è avval­so del­la facol­tà di non rispon­de­re e si è rifiu­ta­to di pre­sen­zia­re alle udien­ze del pro­ces­so nono­stan­te la garan­zia che non fos­se­ro emes­se misu­re restrit­ti­ve nei suoi con­fron­ti. Non ha for­ni­to quin­di nes­su­na rico­stru­zio­ne alter­na­ti­va nem­me­no in meri­to alla sua pre­sen­za nel­la piaz­za.

Cosa signi­fi­ca la sen­ten­za

Nell’affermare, in con­clu­sio­ne, la respon­sa­bi­li­tà di Mar­co Tof­fa­lo­ni per il con­cor­so nel­la stra­ge, la Cor­te d’Assise per i mino­ren­ni di Bre­scia ha descrit­to la figu­ra dell’imputato trat­teg­gian­do­la con paro­le pre­ci­se anche sul pia­no cul­tu­ra­le e psi­co­lo­gi­co. Un qua­dro uti­le anche a com­pren­de­re la per­so­na­li­tà di altri sog­get­ti, anche mol­to gio­va­ni, che sono sta­ti coin­vol­ti nel­le stra­te­gie vio­len­te ed ever­si­ve di que­gli anni. Tra l’altro, Tof­fa­lo­ni, tra­sfe­ri­to­si da mol­ti anni in Sviz­ze­ra, ove si è anche spo­sa­to e ha acqui­si­to la cit­ta­di­nan­za elve­ti­ca, non può esse­re estra­da­to sia per­ché cit­ta­di­no sviz­ze­ro, sia per­ché, secon­do il Codi­ce pena­le elve­ti­co, il rea­to di stra­ge per cui è sta­to con­dan­na­to è ormai pre­scrit­to. Nel­la sen­ten­za infat­ti si leg­ge:

“La sua mili­tan­za era una mili­tan­za con­vin­ta, esal­ta­ta, al pun­to da rite­ne­re che Ordi­ne Nuo­vo non fos­se suf­fi­cien­te­men­te radi­ca­le ed ever­si­vo e che si doves­se agi­re di più e più inci­si­va­men­te. Un neo­fa­sci­sta e un neo­na­zi­sta.

Un gio­va­ne più intel­li­gen­te del­la media, anche se non altret­tan­to dedi­to alla fati­ca del­lo stu­dio; […] mol­to orien­ta­to ver­so gli auto­ri di rife­ri­men­to del­la destra spi­ri­tua­li­sta; inte­res­sa­to all’esoterismo, all’occultismo […] ad un asce­ti­smo non tra­scen­den­te.

Una per­so­na […] con un carat­te­re for­te, duro, pre­va­ri­ca­to­re, sprez­zan­te, vio­len­to. […] 

Una per­so­na con­vin­ta del­la pro­pria supe­rio­ri­tà e del­la supe­rio­ri­tà del­la raz­za, capa­ce di disprez­za­re le per­so­ne fisi­ca­men­te non per­fet­te, gli ebrei, le per­so­ne di colo­re, gli omo­ses­sua­li, gli zin­ga­ri. […]

Un ragaz­zo che ama­va le armi, che usa­va le armi, che custo­di­va le armi.”

In sin­te­si, un “mona­co guer­rie­ro”, come egli stes­so si defi­ni­va. 

Indub­bia­men­te le inda­gi­ni e l’ultima sen­ten­za di Bre­scia non aggiun­go­no mol­to sul­la con­cre­ta ese­cu­zio­ne del­la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia: Mar­co Tof­fa­lo­ni, anche in ragio­ne del­la sua età, resta un com­pri­ma­rio, una pedi­na del grup­po ordi­no­vi­sta con un ruo­lo, quel gior­no, nem­me­no trop­po defi­ni­to. Una con­dan­na comun­que è giu­sto ricor­dar­lo che non si basa su pro­ve defi­ni­ti­ve e autoe­spli­can­ti, quin­di il gra­do di appel­lo e quel­lo even­tua­le in Cas­sa­zio­ne riman­go­no aper­ti.

L’ultimo filo­ne del­le inda­gi­ni illu­mi­na mol­to di più il back­sta­ge del­la stra­ge, i rap­por­ti che  ele­men­ti del­la destra radi­ca­le come quel­li di Anno Zero ere­di tra l’altro di un movi­men­to come Ordi­ne Nuo­vo disciol­to per decre­to   han­no potu­to col­ti­va­re con il mon­do mili­ta­re inter­no e Atlan­ti­co.

Gli acces­si di ordi­no­vi­sti come Sil­vio Fer­ra­ri alla base FTA­SE di Vero­na sono tra l’altro una con­fer­ma postu­ma del­le dichia­ra­zio­ni di Car­lo Digi­lio che ave­va rac­con­ta­to nel­le inda­gi­ni sul­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na il suo dupli­ce ruo­lo di addet­to per la cel­lu­la di Ordi­ne Nuo­vo di Mestre-Vene­zia al set­to­re logi­sti­co del­le  armi e degli esplo­si­vi e di infor­ma­to­re pro­prio dai Ser­vi­zi di sicu­rez­za mili­ta­ri sta­tu­ni­ten­si, che ave­va­no sede in quel­la base, i qua­li era­no quin­di a cono­scen­za dei pro­get­ti ever­si­vi del­le più impor­tan­ti cel­lu­le di Ordi­ne Nuo­vo del Tri­ve­ne­to.

Cer­ta­men­te può appa­ri­re poco com­pren­si­bi­le per­ché Cara­bi­nie­ri e SID abbia­no pro­tet­to il grup­po vero­ne­se diri­gen­do le inda­gi­ni su ambien­ti limi­tro­fi ma estra­nei alla stra­ge di Bre­scia ad esem­pio il Movi­men­to di Azio­ne Rivo­lu­zio­na­ria (MAR), che agi­va in Val­tel­li­na gui­da­to da Car­lo Fuma­gal­li e un “balor­do’ bre­scia­no, Ange­li­no Papa, costret­to dai Cara­bi­nie­ri a con­fes­sa­re fal­sa­men­te la sua respon­sa­bi­li­tà con pres­sio­ni e vio­len­ze. Con la con­se­guen­za che le inda­gi­ni si ridu­ces­se­ro a un insie­me di noti­zie con­fu­se e finis­se­ro in un vico­lo cie­co.

I Cara­bi­nie­ri ugual­men­te ave­va­no pro­tet­to la cel­lu­la di Pado­va in quan­to le infor­ma­zio­ni rife­ri­te da Mau­ri­zio Tra­mon­te, la fon­te Tri­to­ne, in par­ti­co­la­re rela­ti­ve alle riu­nio­ni di ‘avvi­ci­na­men­to’ all’esecuzione dell’attentato, non sono mai sta­te ogget­to di un’attività di pre­ven­zio­ne né rese acces­si­bi­li alla magi­stra­tu­ra. Ad esem­pio, al fat­to che il gen. Gia­na­de­lio Malet­ti, vice­ca­po del SID, sen­ti­to dal Giu­di­ce Istrut­to­re di Bre­scia, il 29 ago­sto 1974, non ave­va rife­ri­to alcun­ché del­le allar­man­ti noti­zie sul­la pre­pa­ra­zio­ne del­la stra­ge for­ni­te dal­la fon­te Tri­to­ne.

La stra­ge di piaz­za del­la Log­gia era, inol­tre, un’azione ‘offen­si­va’ dell’estrema destra, rivol­ta diret­ta­men­te con­tro un comi­zio sin­da­ca­le ed anti­fa­sci­sta, e non pote­va quin­di in alcun modo esse­re masche­ra­ta come avve­nu­to nel 1969 per piaz­za Fon­ta­na e gli altri atten­ta­ti col­le­ga­ti come un’azione attri­bui­bi­le al cam­po poli­ti­co oppo­sto. Come, ad esem­pio, non pote­va esser­lo nem­me­no la stra­ge di pochi mesi dopo, il 4 ago­sto 1974, sul tre­no Ita­li­cus, com­piu­ta cer­ta­men­te dal­le cel­lu­le ordi­no­vi­ste del­la Tosca­na. 

Piaz­za del­la Log­gia non era quin­di uti­liz­za­bi­le per pro­se­gui­re la stra­te­gia vol­ta all’in­stau­ra­zio­ne di un gover­no for­te con­tro la ‘sov­ver­sio­ne’ che era sta­ta per­se­gui­ta negli anni pre­ce­den­ti.

Tut­ta­via, è mol­to pro­ba­bi­le che l’individuazione dei suoi auto­ri costi­tuis­se comun­que un gra­ve ed imme­dia­to peri­co­lo per­ché con l’arresto di alcu­ni di essi e lo scom­pa­gi­na­men­to dei grup­pi che era­no sta­ti sino a quel momen­to lascia­ti agi­re e sot­trat­ti ad ini­zia­ti­ve giu­di­zia­rie, vi era il rischio che venis­se alla luce l’insieme del­le pro­te­zio­ni e del­le col­lu­sio­ni pre­ce­den­ti, a par­ti­re dal 1969, con con­se­guen­ze non con­trol­la­bi­li.

Era quin­di più pru­den­te che gli auto­ri non fos­se­ro sco­per­ti e che le inda­gi­ni giras­se­ro a vuo­to.

Que­sti sono gli ulti­mi esi­ti sul­la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia. Un’indagine sabo­ta­ta all’epoca da uffi­cia­li dei Cara­bi­nie­ri e altri mili­ta­ri e, per for­tu­na, tan­ti anni dopo, ‘ripa­ra­ta’ in qual­che modo dal­la Pro­cu­ra di Bre­scia e da ben diver­si uffi­cia­li dell’Arma fede­li alla Costi­tu­zio­ne.

                                       

Foto­gra­fia di Utu-Tuu­li Jus­si­la

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