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Ottobre
16 Ottobre 2023

LE OTTO MON­TA­GNE, LEG­GE­RE E VEDE­RE

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Quan­do si adat­ta un roman­zo per far­ci un film gli osta­co­li da supe­ra­re si rad­dop­pia­no, rispet­to al lavo­ro da fare su di una sce­neg­gia­tu­ra ori­gi­na­le. Imma­gi­na­te­vi quan­to il tut­to diven­ti più com­pli­ca­to se il roman­zo ha vin­to il Pre­mio Stre­ga ed è un best-sel­ler. È il caso di Le otto mon­ta­gne di Pao­lo Cognet­ti, un roman­zo dal suc­ces­so pre­ve­di­bi­le, eppu­re stra­me­ri­ta­to, ed un film che sostan­zial­men­te non ha tra­di­to le atte­se, ma che ripro­po­ne in manie­ra macro­sco­pi­ca il con­tra­sta­to, dif­fi­ci­le rap­por­to tra cine­ma e let­te­ra­tu­ra, tra l’esperienza di un let­to­re e quel­la di uno spet­ta­to­re.

Comin­cia­mo col dire che l’elemento del film che col­pi­sce all’istante non sono solo i pae­sag­gi, ripre­si con una tec­ni­ca che ricor­da i vec­chi docu­men­ta­ri di mon­ta­gna, quan­do, per non appe­san­tir­si, ci si arram­pi­ca­va con una mac­chi­na da pre­sa in 16 mm, ma la bra­vu­ra dei due atto­ri pro­ta­go­ni­sti, Ales­san­dro Bor­ghi e Luca Mari­nel­li. Ce li ricor­da­va­mo insie­me dai tem­pi di Non esse­re cat­ti­vo, il film del 2015 diret­to dal com­pian­to Clau­dio Cali­ga­ri che li ha fat­ti cono­sce­re ed apprez­za­re; e pro­ba­bil­men­te mol­ti si saran­no chie­sti, a ragio­ne: per­ché si è aspet­ta­to tan­to per met­ter­li insie­me un’altra vol­ta? In Le otto mon­ta­gne i due sem­bra­no com­ple­tar­si a vicen­da, come del resto vie­ne richie­sto dal­la sto­ria del roman­zo e dal­la con­se­guen­te sce­neg­gia­tu­ra del film. Luca Mari­nel­li, in un video che accom­pa­gna la ver­sio­ne Cri­te­rion del film, ci dice che sia lui che Bor­ghi aspet­ta­va­no l’occasione per tor­na­re insie­me e che que­sta occa­sio­ne glie­l’­ha for­ni­ta il film di van Groe­nin­gen e Char­lot­te Van­der­meer­sch.

Il roman­zo di Cognet­ti esce nel 2016, ed è un suc­ces­so imme­dia­to: 250.000 copie in Ita­lia, 34 tra­du­zio­ni, qua­si un milio­ne di copie in tut­to il mon­do e i rico­no­sci­men­ti del­la cri­ti­ca, fino al Pre­mio Stre­ga del 2017. Le otto mon­ta­gne è una sto­ria dal­la strut­tu­ra mol­to tra­di­zio­na­le, un esem­pio per­fet­to di “roman­zo di for­ma­zio­ne”: i temi dell’impronta auto­bio­gra­fi­ca, dell’amicizia viri­le, del pas­sag­gio dall’adolescenza alla matu­ri­tà, dell’amore e del­la mor­te ci sono tut­ti. Sono i segre­ti (nean­che poi tan­to segre­ti) del suo suc­ces­so. Eppu­re (o for­se pro­prio per il suo esse­re così imme­dia­ta­men­te iden­ti­fi­ca­bi­le) è una sto­ria che pren­de il let­to­re per la gola e lo tra­sci­na attra­ver­so tut­te le sue pagi­ne, dall’inizio alla fine. Il per­so­nag­gio che con­vin­ce più di tut­ti è infat­ti la “mon­ta­gna”, qua­si un’entità astrat­ta e alle­go­ri­ca che sovra­sta e per­va­de l’intero libro, ed è allo stes­so tem­po pre­sen­te fisi­ca­men­te, nar­ra­ta attra­ver­so la pro­spet­ti­va dei per­so­nag­gi: Pie­tro, Bru­no, il padre e la madre di Pie­tro, Lara, la ragaz­za nepa­le­se, per­so­nag­gi che si con­fron­ta­no in manie­ra diver­sa e com­ple­men­ta­re con essa. Il roman­zo ha anche un’altra impor­tan­te carat­te­ri­sti­ca: è pie­no di pic­co­li det­ta­gli, paro­le, osser­va­zio­ni, fra­set­te, ele­men­ti nar­ra­ti­vi che arric­chi­sco­no la visio­ne che ci vie­ne pre­sen­ta­ta, quel­la che Cognet­ti vuo­le con­di­vi­de­re con i let­to­ri, det­ta­gli impos­si­bi­li da ren­de­re in un film. In que­sto sen­so, il film per­de, e si potreb­be pen­sa­re che inve­ce gua­da­gni posi­zio­ni con la rap­pre­sen­ta­zio­ne visi­va del­le mon­ta­gne intor­no a Gra­na, il tea­tro del­la vita di Bru­no e (in par­te) di Pie­tro. Ma non sono trop­po con­vin­to dell’ovvietà di quest’affermazione. Per­ché qui entra in bal­lo una del­le discus­sio­ni più com­ples­se intor­no alla rela­zio­ne tra paro­la scrit­ta e imma­gi­ne audio­vi­si­va: vale di più, è più evo­ca­ti­vo, quel­lo che il let­to­re crea con la sua imma­gi­na­zio­ne quan­do leg­ge, oppu­re quel­lo che ci vie­ne mostra­to su di uno scher­mo, lascian­do poco (o nes­su­no) spa­zio a quell’immaginazione? Non ci resta che rispon­de­re con le paro­le che han­no usa­to un po’ tut­ti in que­sta com­pli­ca­ta ed eter­na discus­sio­ne cri­ti­ca: sono due testi diver­si, espres­si con il tra­mi­te di due mez­zi diver­si, lega­ti tra di loro, ma allo stes­so tem­po auto­no­mi l’uno dall’altro… Insom­ma è una doman­da mal posta.

Un giu­di­zio sul film deve poi fare i con­ti con altri ele­men­ti: il rit­mo, per esem­pio. Di nuo­vo, ne par­la­no ampia­men­te Mari­nel­li e Bor­ghi nel video di pre­sen­ta­zio­ne a cui accen­na­vo più sopra. I tem­pi del libro e del film – affer­ma­no – sono estre­ma­men­te simi­li: i regi­sti li han­no ricrea­ti con gran­de accu­ra­tez­za. Vale anche la pena nota­re – gra­zie al video – che Cognet­ti, oltre a col­la­bo­ra­re atti­va­men­te alla ste­su­ra dei dia­lo­ghi, ha fre­quen­ta­to il set del film per tut­ta la dura­ta del­la lavo­ra­zio­ne, una sor­ta di “garan­zia di fedel­tà” per i regi­sti bel­gi e per gli atto­ri ita­lia­ni.

Non è ovvia­men­te pos­si­bi­le cita­re tut­ti i momen­ti in cui il film si con­net­te al roman­zo, esal­tan­do­ne il con­te­nu­to con le imma­gi­ni che appar­ten­go­no esclu­si­va­men­te al mez­zo audio­vi­si­vo, armo­niz­zan­do­si con il testo scrit­to attra­ver­so l’estrema pre­ci­sio­ne dei dia­lo­ghi, ma vor­rei alme­no sof­fer­mar­mi bre­ve­men­te su alcu­ni momen­ti: la sali­ta al ghiac­cia­io di Pie­tro, di suo padre e di Bru­no. Le ripre­se del dro­ne che li segue lun­go il costo­ne sono uno degli esem­pi più con­vin­cen­ti di come i regi­sti sia­no sta­ti capa­ci di ren­de­re il sen­so di fati­ca estre­ma da par­te del nar­ra­to­re, Pie­tro, così insi­sten­te nel roman­zo e così evi­den­te nel film. Il fina­le che ripor­ta (sen­za mostrar­la) la mor­te di Bru­no rima­ne un momen­to essen­zia­le dell’intera sto­ria, e si col­le­ga alla leg­gen­da del­le otto mon­ta­gne, quel­la che Luca ha impa­ra­to a cono­sce­re in Nepal. I suoi viag­gi sull’Himalaya gli han­no anche fat­to cono­sce­re la pra­ti­ca del­la “mor­te cele­ste”. I nepa­le­si sono una popo­la­zio­ne mol­to pove­ra, e spes­so non han­no i mez­zi per il legna­me neces­sa­rio alla costru­zio­ne di una pira fune­bre suf­fi­cien­te­men­te gran­de da cre­ma­re com­ple­ta­men­te un cor­po. I cor­pi ven­go­no quin­di espo­sti, diven­tan­do cibo per gli uccel­li. Lo sco­po del­la distru­zio­ne del cor­po, così impor­tan­te per la rein­car­na­zio­ne, è ugual­men­te rag­giun­to. Pie­tro ne par­la ampia­men­te, e nel film ambe­due i suoi rac­con­ti nepa­le­si, quel­lo del­le otto mon­ta­gne in cer­chio, con la nona mon­ta­gna al cen­tro, e quel­lo del­la mor­te cele­ste, han­no una rile­van­za note­vo­le. Anche le cir­co­stan­ze del­la mor­te di Bru­no, il cui cor­po non può esse­re tro­va­to fino alla pri­ma­ve­ra, sug­ge­ri­sco­no per lui una “mor­te cele­ste”, che acco­mu­na la vita dei due uomi­ni al di là dell’ultima soglia.

Le otto mon­ta­gne-film è una copro­du­zio­ne tra Ita­lia, Bel­gio, Fran­cia e Regno Uni­to. Il pro­dut­to­re prin­ci­pa­le è tut­ta­via Mario Gia­na­ni, atti­vo e impe­gna­tis­si­mo, tan­to da obbli­gar­ci a ricor­da­re altri suoi tito­li: da L’amica genia­le a Vin­ce­re di Bel­loc­chio, da La mafia ucci­de solo d’estate e E noi come stron­zi rima­nem­mo a guar­da­re di Pif, a Sic­ci­tà di Pao­lo Vir­zì.

Felix van Groe­nin­gen è for­se poco cono­sciu­to, ma è un regi­sta che si è affer­ma­to con for­za e con meri­to negli ulti­mi 10–15 anni. I suoi film rea­liz­za­ti in Bel­gio sono sta­ti scel­ti per rap­pre­sen­ta­re il suo Pae­se agli Oscar, han­no pre­so pre­mi a nume­ro­si festi­val inter­na­zio­na­li, ma han­no anche sban­ca­to il bot­te­ghi­no, regi­stran­do incas­si da record. Dob­bia­mo ricor­da­re The Misfor­tu­na­tes del 2009, pre­mia­to a Can­nes e non distri­bui­to in Ita­lia; The Bro­ken Cir­cle Brea­k­do­wn del 2012 (Ala­ba­ma Mon­roe-Una sto­ria d’amore in Ita­lia), con una nomi­na­tion all’Academy come film stra­nie­ro, e pre­mi spar­si in tut­to il mon­do, da Ber­li­no ai David di Dona­tel­lo in Ita­lia. Il film che vor­rei ricor­da­re come il più inten­so e il più cari­co di momen­ti emo­ti­vi (è in que­sto sen­so che vor­rei col­le­gar­lo a Le otto mon­ta­gne) è cer­ta­men­te Beau­ti­ful Boy, del 2018, gira­to negli Sta­ti Uni­ti, con Ste­ve Carell. Anche Beau­ti­ful Boy (è anche il tito­lo di una can­zo­ne di John Len­non, pre­sen­te nel film) è un adat­ta­men­to, trat­to dal­le memo­rie di David e Nic Sheff, la sto­ria di un padre e di un figlio che lot­ta­no per far usci­re il gio­va­ne Nic dal­la dro­ga. Van Groe­nin­gen usa gli stes­si col­la­bo­ra­to­ri da decen­ni: Ruben Impens per la foto­gra­fia, Nico Leu­nen per il mon­tag­gio, pre­sen­ti anche nei cre­di­ti di Le otto mon­ta­gne, che rap­pre­sen­ta quin­di un’importante e visi­bi­lis­si­ma con­ti­nui­tà con le tap­pe pre­ce­den­ti del­la sua car­rie­ra di cinea­sta. Char­lot­te Van­der­meer­sch ha col­la­bo­ra­to in manie­ra deci­si­va alla scrit­tu­ra di The Bro­ken Cir­cle Brea­k­do­wn ed ha con­di­vi­so con il mari­to Felix gli innu­me­re­vo­li pre­mi e rico­no­sci­men­ti asse­gna­ti a Le otto mon­ta­gne.

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