7

Dicembre
7 Dicembre 2022

IMPRES­SIO­NI DI FINE ESTA­TE

0 CommentI
75 visualizzazioni
34 min

Il suo­no del­le cica­le si impo­se, strap­pan­do Lui­gi da un son­no leg­ge­ro. Leg­ge­ro era pure il ven­to, che, spi­ran­do, sol­le­va­va le ten­de in un sua­den­te spet­ta­co­lo di tes­su­ti. Apren­do gli occhi, Lui­gi ebbe un sus­sul­to, come di quan­do non si rico­no­sce il posto in cui ci si risve­glia. Poi si ricor­dò di non esse­re nel sog­gior­no del­la sua casa di Mila­no. E il 30 d’agosto non pote­va che esse­re una for­tu­na.

La came­ra da let­to del­la casa di sua non­na lo accol­se con un silen­zio­so buon­gior­no, bian­co come le pare­ti del sof­fit­to. La vec­chia ave­va lascia­to la casa ai geni­to­ri di Lui­gi, dopo la sua mor­te. Era una di quel­le case in cui ogni ogget­to era dota­to di un’immobilità auste­ra, come in tut­te le case dei vec­chi; dove le cose sem­bra­no esse­re in una cer­ta posi­zio­ne, in un cer­to luo­go, per volon­tà divi­na e immu­ta­bi­le.  Era vent’anni esat­ti che Lui­gi non vede­va quel­la stan­za da let­to. Andan­do in bagno, i gra­nel­li di sab­bia sul pavi­men­to gli sol­le­ti­ca­ro­no le pal­me dei pie­di.

Sedu­to sul­la taz­za del water, salu­tò la cena e fece spa­zio per la cola­zio­ne. A destra del ces­so, da una fine­stra si scor­ge­va il mare, sol­ca­to da una lumi­no­sa scia di sole già cal­do; di fron­te sta­va uno spec­chio, stra­na­men­te bas­so. Da gio­va­ne, nel cuo­re del­la puber­tà, pote­va con­tem­plar­ci­si col­pe­vo­le e sedu­to al ter­mi­ne di ogni mastur­ba­zio­ne. Ora, inve­ce, nel­lo spec­chio si riflet­te­va un uomo adul­to, dal­la pel­le già abbron­za­ta per le poche ore di sole del gior­no pri­ma, peli e capel­li ormai più bian­chi che cor­vi­ni, la bar­ba cor­ta e ispi­da. Lui­gi ebbe per un atti­mo l’illusione di esse­re redu­ce da un lun­ghis­si­mo viag­gio nel tem­po. Diver­ti­to dal gio­co, fin­se un’espressione stu­pi­ta, e comin­ciò a com­por­tar­si come se le fan­ta­sie fos­se­ro sta­te non tali, ben­sì una real­tà miste­rio­sa e inspie­ga­bi­le. Dove­va esse­re sve­nu­to su quel­lo stes­so water all’età di quin­di­ci anni, nel cor­so di un autoe­ro­ti­smo tal­men­te vigo­ro­so da lasciar­lo sen­za sen­si per ven­ti­cin­que lun­ghi anni! Riu­sci­va per­si­no a sen­ti­re l’antica ecci­ta­zio­ne, l’antico fuo­co risa­lir­gli dal bas­so ven­tre. La fati­ca dei pri­mi istan­ti del­la gior­na­ta impe­dì a Lui­gi di pas­sa­re ad una nuo­va e più frut­tuo­sa seque­la di pen­sie­ri. L’unico modo fu quel­lo di dar ret­ta al sé di ven­ti­cin­que anni pri­ma, e mastur­bar­si. Libe­ro dall’incantesimo, poté final­men­te usci­re dal bagno.

Dopo aver mes­so sul fuo­co la moka, Lui­gi uscì in mutan­de sul bal­co­ne del­la cuci­na, per gustar­si il pae­sag­gio men­tre atten­de­va il gor­go­glìo del­la vec­chia caf­fet­tie­ra. L’interno di Sco­léa Mari­na bril­la­va del­la sua soli­ta medio­cri­tà mat­tu­ti­na. Il pae­se, figlio defor­me del mare e del boom edi­li­zio, era abi­ta­to da un cen­ti­na­io di abi­tan­ti, più una cin­quan­ti­na di turi­sti nel perio­do più affol­la­to dei mesi esti­vi. Que­sti gode­va­no sicu­ra­men­te del­le sue spiag­ge vuo­te di gior­no e dell’atmosfera tran­quil­la sul lun­go­ma­re la sera; meno, di un pae­se costrui­to sen­za che vi fos­se una piaz­za, un luo­go di ritro­vo, ma sola­men­te una diste­sa di bloc­chi bian­chi, gial­li e azzur­ri­ni, e una sgra­zia­ta chie­sa moder­na, che, come sagra­to, ave­va un par­cheg­gio. Nono­stan­te fos­se­ro anni che Lui­gi non tor­na­va su quel bal­co­ne – e come era­no pas­sa­ti que­gli anni impie­to­si sul vol­to che poco pri­ma ave­va visto rifles­so nel­lo spec­chio — Sco­lèa Mari­na sem­bra­va usci­ta dal con­ge­la­to­re del­la memo­ria di Lui­gi, tale e qua­le a come vi era entra­ta ven­ti­cin­que anni pri­ma: inge­nua e inno­cen­te, tut­to som­ma­to, nel­la sua brut­tez­za sec­ca­ta dal sole.

Dopo aver bevu­to il caf­fè, Lui­gi pas­sò la mat­ti­na­ta sbri­gan­do un po’ di fac­cen­de di lavo­ro. Lavo­ra­va qua­si da die­ci anni per una gros­sa agen­zia del­le Nazio­ni Uni­te, occu­pan­do­si di svi­lup­po agri­co­lo e rura­le. Guar­dan­do le foto di un pro­get­to in Tuni­sia, ven­ne per un atti­mo arrem­ba­to da un ricor­do: una casa in cam­pa­gna, non lon­ta­no dal cen­tro di Sco­lèa Mari­na, appar­te­nen­te alla sua fami­glia da gene­ra­zio­ni, che era sta­ta ven­du­ta esat­ta­men­te l’anno dopo la pan­de­mia. Era pre­ci­sa­men­te da allo­ra che Lui­gi non met­te­va pie­de in pae­se.

A mez­zo­gior­no ven­ne il momen­to di pen­sa­re al pran­zo. Di fron­te al fri­go vuo­to, Lui­gi deci­se di usci­re a com­pe­ra­re qual­che cosa da man­gia­re al mare. Non gli dispia­ce­va per altro usci­re a quell’ora. Fin da pic­co­lo l’afa gli pro­vo­ca­va un sen­so di pia­ce­re maso­chi­sti­co. Per un atti­mo la vista e i sen­si gli si anneb­bia­va­no, e poi velo­ce­men­te tut­to spa­ri­va, lascian­do­gli trac­ce di ebbrez­za nel cra­nio. Nel tra­git­to, pas­sò di fian­co ai bina­ri del­la sta­zio­ne. Un tem­po, a fian­co ai bina­ri, cre­sce­va­no sel­va­ti­ci albe­ri di fico e di vite, e pian­te di more in un let­to di can­ne sec­che e alte, che bal­la­va­no quan­do s’alzava la brez­za di mare. Di quel­la natu­ra viva, ora non rima­ne­va che un bana­le e tri­ste trat­to di fer­ro­via, sen­za can­ne, more, fichi o viti. Una fila di mac­chi­ne atten­de­va a moto­ri acces­si che si alzas­se il pas­sag­gio a livel­lo. Una vol­ta arri­va­te, inve­ce di pas­sa­re oltre come ave­va­no sem­pre fat­to (e soprat­tut­to, come Lui­gi si aspet­ta­va) le car­roz­ze del tre­no di fer­ma­ro­no alla sta­zio­ne di Sco­lèa, sca­ri­can­do sul­la ban­chi­na un grup­po di ragaz­zi diret­ti in spiag­gia e qual­che ven­di­to­re ambu­lan­te, cari­co di mer­ci fri­vo­le. Que­sto tra­di­men­to del tre­no tur­bò non poco Lui­gi, rischian­do di far crol­la­re qua­si del tut­to la sen­sa­zio­ne di tro­var­si in un por­to sicu­ro. Le pic­co­le feri­te dell’animo, che ama­va stuz­zi­car­si come un bam­bi­no con i suoi den­ti da lat­te sul pun­to di cade­re, si leni­ro­no, due­cen­to metri più in là. Da sem­pre il mare ave­va il pote­re di tran­quil­liz­za­re l’animo sen­nò tor­men­ta­to di Lui­gi; e, alme­no quel­lo, sem­brò non esse­re cam­bia­to.

Il suo­no del­le onde, da pro­mes­sa sus­sur­ra­ta in sot­to­fon­do, era diven­ta­to un man­to blu sol­ca­to dal­la bian­ca spu­ma del sole, fascia cen­tra­le di un qua­dro sem­pli­ce ma inten­so come quel­li dei mac­chia­io­li: in bas­so l’oro del­la sab­bia, in alto un cie­lo lim­pi­do e sen­za nuvo­le. La spiag­gia era pra­ti­ca­men­te deser­ta. Nell’aria c’era un for­te odo­re di frit­to. Seguen­do­lo, Lui­gi si ritro­vò di fron­te ad una pic­co­la barac­ca di legno, dove un bari­sta di mez­za età toz­zo e con un visto­so neo sul col­lo sta­va siste­man­do degli aran­ci­ni appe­na sfor­na­ti in una teca di pla­sti­ca. Lui­gi ne acqui­stò uno e poi andò in spiag­gia. Ma una vol­ta mes­so pie­de nel­la sab­bia, but­tò disor­di­na­ta­men­te tut­to per aria, e cor­se a capo­fit­to ver­so il bagna­sciu­ga, da cui si tuf­fò in acqua sen­za più for­za nel­le gam­be.

Aves­se aspet­ta­to anco­ra qual­che secon­do pro­ba­bil­men­te sareb­be stra­maz­za­to al suo­lo. Lui­gi se ne rese con­to sola­men­te una vol­ta rie­mer­so, rivi­ta­liz­za­to dal­la fre­scu­ra dell’acqua mari­na. Fece qual­che brac­cia­ta ver­so il lar­go per toni­fi­car­si. Quan­do si fer­mò, il lito­ra­le del Gol­fo di Sco­lèa gli si aprì di fron­te come un ven­ta­glio. A Nord il Mar Jonio si per­de­va fin oltre Iso­la Capo Riz­zu­to, ter­ra pro­mes­sa indi­stin­ta sull’orizzonte, but­te­ra­ta dai pro­fi­li sot­ti­li del­le pale eoli­che; a Sud la vista era impe­di­ta dal soli­to pro­mon­to­rio attra­ver­sa­to un po’ dal­la mac­chia medi­ter­ra­nea, un po’ dal­la sta­ta­le. Guar­dan­do ver­so la spiag­gia, Lui­gi notò che dei quat­tro colo­ri che ricor­da­va, sola­men­te uno resi­ste­va sui tes­su­ti degli ombrel­lo­ni, il bian­co dell’immortale Lido Bor­bo­ne. Tor­na­to a riva, man­giò il suo aran­ci­no, e deci­se di avvi­ci­nar­si al Lido. Di fian­co si tro­va­va, da sem­pre, una fila di umi­li e poco spa­zio­se caset­te con vista mare. Que­ste era­no sta­te il sogno proi­bi­to di Lui­gi, quan­do da ragaz­zi­no anda­va a vede­re l’alba in com­pa­gnia degli inqui­li­ni di quei pic­co­li fab­bri­ca­ti in cemen­to, can­di­di e sem­pli­ci, una vera e pro­pria linea di fron­tie­ra fra la spiag­gia di ago­sto e il mon­do rea­le. Non c’era segno di pre­sen­za uma­na, ecce­zion fat­ta per un tavo­lo su cui lan­gui­va­no gli avan­zi di un pasto alla mer­cé del­le mosche.

Dopo aver pre­so un po’ di sole, Lui­gi ven­ne distur­ba­to dai ricor­di un’ultima vol­ta. Un pal­lo­ne da beach vol­ley lo urtò sul­la spal­la destra. Alzò lo sguar­do e incon­trò due occhi spau­ri­ti, di un ragaz­zo esi­le e abbron­za­to, che timi­da­men­te chie­de­va

“Pal­la…”.

Per un atti­mo fu ten­ta­to di chie­der­gli di gio­ca­re, pre­so dall’entusiasmo. Ma qual­co­sa lo ini­bì da espri­me­re quel desi­de­rio insi­gni­fi­can­te, la pau­ra di tur­ba­re un ordi­ne pic­co­lo, eppu­re per­fet­to e da pre­ser­va­re. Lui­gi resti­tuì la pal­la al ragaz­zo, e dopo­di­ché comin­ciò a osser­va­re atten­ta­men­te la par­ti­ta, in manie­ra discre­ta, da die­tro gli occhia­li da sole. Nien­te avreb­be potu­to detur­pa­re quel pic­co­lo ango­lo di para­di­so ter­re­stre più di un qua­ran­ten­ne leg­ger­men­te scot­ta­to, che, per ingo­ia­re la sua cri­si di mez­za età, chie­de a quat­tro ragaz­zi di gio­ca­re a squa­dre dispa­ri, e sen­za umi­liar­lo ecces­si­va­men­te.

Ver­so le sei del pome­rig­gio Lui­gi deci­se di sali­re al Lido a ber­si un drink. Per rag­giun­ger­ne la ter­raz­za, il per­cor­so pas­sa­va dal­la veran­da comu­ne del­le caset­te sul­la spiag­gia. Que­sta era ora popo­la­ta dai figli dell’unica fami­glia anco­ra lì in vacan­za, i qua­li cor­re­va­no su e già dal­la veran­da alla spiag­gia in un moto vor­ti­co­so di gio­chi e risa­te. Dal­la por­ta dell’abitazione arri­va­va del­la musi­ca. Era una vec­chia can­zo­ne, un reg­gae­ton dimen­ti­ca­to da tut­ti. Sta­va anco­ra osser­van­do diver­ti­to l’irrequietezza dei bam­bi­ni, quan­do la madre uscì di casa per dir­gli di anda­re a fare la doc­cia. Lui­gi si girò, e non appe­na i bam­bi­ni entra­ro­no in casa anco­ra rapi­ti dal gio­co, il suo sguar­do incon­trò quel­lo del­la don­na.

I suoi gran­di occhi casta­ni non rico­nob­be­ro subi­to il viso ros­so e incre­du­lo che li fis­sa­va, inve­ce, sbi­got­ti­to. Mai Lui­gi avreb­be potu­to con­fon­de­re que­gli zigo­mi per­fet­ti, igno­ra­ti dal tem­po, e quel­le lab­bra sot­ti­li, per quel­le di qual­cu­n’al­tra. I capel­li era­no solo leg­ger­men­te acca­rez­za­ti da un velo can­di­do, che sem­bra­va esal­ta­re più che fiac­ca­re la sfu­ma­tu­ra dora­ta che Lui­gi ricor­da­va. Anche la don­na ave­va rico­no­sciu­to Lui­gi, e gli ave­va rivol­to un sor­ri­so sma­glian­te ed entu­sia­sta, che lo stor­dì defi­ni­ti­va­men­te.

“Lui­gi?”

“Miriam…come…come stai?” rispo­se incer­to Lui­gi, mes­so in sog­ge­zio­ne dagli sguar­di impau­ri­ti dei bam­bi­ni accor­si a spia­re, pro­tet­ti dal pareo rosa del­la madre, quel­lo sco­no­sciu­to che sem­bra­va cono­scer­la.

“Chi è quel­lo mam­ma?” chie­se il più pic­co­lo, un gra­zio­so esse­ri­no bian­co, bion­do e con gli occhi azzur­ri.

“Veni­va qua al mare insie­me alla mamma…adesso anda­te a pre­pa­rar­vi che fra un po’ pas­sa la non­na a pren­der­vi!” e det­to que­sto i bam­bi­ni obbe­di­ro­no imme­dia­ta­men­te, lascian­do Miriam e Lui­gi da soli.

“Cosa ci fai qui? Non ti vede­vo da un sac­co di tem­po” dis­se lei sen­za smet­te­re di sor­ri­de­re.

“Ho deci­so di ripo­sar­mi un po’…a dif­fe­ren­za degli ulti­mi anni…ho lavo­ra­to mol­to, ecco…” rispo­se Lui­gi ten­tan­do mal­de­stra­men­te di giu­sti­fi­car­si, per poi aggiun­ge­re:

“C’è qual­cu­no degli altri?”

“Non cre­do, pen­so sia­no ripar­ti­ti tut­ti ormai…calabresi e non”. Poi fu il tur­no di Lui­gi.

“E tu inve­ce? Sei in vacan­za?”

“Sì…preferisco veni­re quan­do c’è meno gen­te…”.

A quel pun­to, Lui­gi non sep­pe più cosa dire. Un fuo­co lo divo­ra­va dal bas­so ven­tre fino alla boc­ca del­lo sto­ma­co, e da un lato lo implo­ra­va di poter sen­ti­re anco­ra una vol­ta la sua voce, dall’altro glie­lo impe­di­va bru­cian­do a Lui­gi le paro­le e la luci­di­tà. La fuga gli sem­brò l’opzione miglio­re.

“È sta­to bel­lo veder­ti…” abboz­zò Lui­gi ten­tan­do di gira­re i tac­chi e andar­se­ne, ma subi­to Miriam lo incal­zò

“Ma come, vai già? Quan­to rima­ni?”. Per rispon­der­le Lui­gi si con­tor­se in una cam­mi­na­ta da gam­be­ro, per com­bat­te­re la ten­ta­zio­ne di rima­ne­re lì a far­si tra­via­re dall’attrazione e dall’imbarazzo.

“Sto anco­ra qual­che gior­no”

“Allo­ra sta­se­ra ti andreb­be di bere qual­co­sa? I bim­bi sono dal­la non­na a dor­mi­re, potrem­mo veder­ci al Lido per…le die­ci e mez­za?”. Incre­du­lo, Lui­gi ribat­té:

“Io e te? Va benissimo…alle die­ci e mez­za allo­ra!” e si vol­tò per andar­se­ne, dopo esser­si stam­pa­to bene in testa il sor­ri­so con cui Miriam lo ave­va salu­ta­to.

Tor­na­to a casa, Lui­gi aprì feb­bril­men­te l’armadio cer­can­do qual­co­sa di indos­sa­bi­le per l’appuntamento di quel­la sera. Dopo aver tro­va­to in una magliet­ta bian­ca e dei ber­mu­da bei­ge l’abbinamento meno tra­san­da­to, si deci­se a far­si una doc­cia. Pre­so dal moto di pre­pa­ra­ti­vi e pre­mu­re este­ti­che, si dimen­ti­cò di cena­re; tan­ta era sta­ta l’attenzione nei con­fron­ti del­le unghie del­la mano destra, lascia­te soli­ta­men­te libe­re di cre­sce­re, o del­la con­giun­tu­ra del mono­ci­glio, disgra­zia ere­di­ta­ta da qual­che ramo fami­lia­re sar­do. Per l’ansia dell’appuntamento, finì per arri­va­re leg­ger­men­te in anti­ci­po. La ter­raz­za dove ser­vi­va­no gli avven­to­ri sera­li dava sul mare not­tur­no; quel­la vista, e la ten­sio­ne che gli con­tor­ce­va le budel­la, pro­vo­ca­ro­no qual­che ver­ti­gi­ne a Lui­gi, che si imma­gi­nò ad un pas­so dal vuo­to side­ra­le del­lo spa­zio, su un bar inter­ga­lat­ti­co con vista Andro­me­da. Il loro tavo­lo si tro­va­va al lato oppo­sto del­la ter­raz­za rispet­to alle caset­te sul mare. Sen­za saper­lo, Lui­gi ave­va scel­to il posto miglio­re per ammi­ra­re, per inte­ro, la sfi­la­ta che Miriam fece uscen­do dal­la penom­bra, raf­fi­na­ta come la luna sot­to i poten­ti lam­pio­ni bian­chi del Lido.

Ave­va un vesti­to blu not­te, cor­to sul­le cosce lisce e aper­to sul pet­to. Una pic­co­la col­la­na argen­ta­ta le cin­ge­va il col­lo, dan­do­le un toc­co di rega­li­tà, bilan­cia­ta da un san­da­lo nero dal­la tra­ma essen­zia­le. Una bel­lez­za di una sem­pli­ci­tà scon­vol­gen­te. Pre­so dal­la con­tem­pla­zio­ne, Lui­gi ci mise qual­che secon­do a nota­re che Miriam lo sta­va cer­can­do con lo sguar­do per i quat­tro ango­li del­la ter­raz­za. Le fece un cen­no con la mano per atti­rar­ne l’attenzione, e quan­do arri­vò al tavo­lo, la col­se di sor­pre­sa alzan­do­si per sco­star­le la sedia.

“Gra­zie…” rispo­se, diso­rien­ta­ta, Miriam.

“Pre­go, prin­ci­pes­sa” repli­cò Lui­gi, ten­tan­do di masche­ra­re die­tro ad una fin­ta iro­nia quel pic­co­lo pas­so fal­so, dovu­to alla sma­nia di com­pia­cer­la.

“Lo sai che vuol dire pro­prio que­sto Miriam? Signi­fi­ca ‘prin­ci­pes­sa’!” dis­se. ‘E for­se l’ho sem­pre sapu­to’ ebbe la decen­za di pen­sa­re, e basta.

“Cosa pren­dia­mo?” chie­se Miriam di fron­te al silen­zio di Lui­gi. I due si guar­da­ro­no, cer­can­do, die­tro le rispet­ti­ve espres­sio­ni inter­ro­ga­ti­ve, di com­pren­de­re se anche l’altro ave­va inten­zio­ne di arri­va­re ubria­co a fine sera­ta.

“Io avrei pro­prio voglia di un Lon­don Mule” rup­pe il ghiac­cio Lui­gi, sfrut­tan­do un suo vec­chio asso nel­la mani­ca: sfog­gia­re la cono­scen­za di un drink diver­so dal Gin Tonic, pur non sapen­do distin­gue­re un whi­sky da una limo­na­ta.

“Anche io pren­de­rò un drink, dai…” rispo­se Miriam quat­tro secon­di pri­ma di ordi­na­re al came­rie­re uno Sba­glia­to.

Nell’attesa del drink, i due si mise­ro vicen­de­vol­men­te al cor­ren­te del­lo sta­to del­le rispet­ti­ve esi­sten­ze. Miriam ave­va intra­pre­so una car­rie­ra da impie­ga­ta in un’agenzia turi­sti­ca a Tori­no, per lo più rivol­ta ai vil­leg­gian­ti stra­nie­ri in cit­tà. Lui­gi susci­tò la soli­ta rea­zio­ne mera­vi­glia­ta quan­do rife­rì di esse­re entra­to a lavo­ra­re in una gros­sa agen­zia del­le Nazio­ni Uni­te, e che gra­zie a quel magni­fi­co lavo­ro ave­va avu­to l’opportunità di viag­gia­re in tut­ti i con­ti­nen­ti del glo­bo.

“E’ una cosa bel­lis­si­ma!” giu­di­cò sin­ce­ra­men­te Miriam. Lui­gi qua­si si pen­tì di aver omes­so tut­ta la delu­sio­ne e la stan­chez­za che negli anni ave­va accu­mu­la­to in tut­ti quei viag­gi, in tut­ti quei pro­get­ti dove impo­ten­te ave­va dovu­to assi­ste­re ad ogni gene­re di meschi­ni­tà o avi­di­tà, a disca­pi­to di ogni nobi­le obiet­ti­vo. Dopo qual­che sor­so, la con­ver­sa­zio­ne si fece più sciol­ta. Lui­gi intrat­ten­ne Miriam con qual­che sto­ria afri­ca­na di virus inte­sti­na­li e fune­ra­li tri­ba­li, chie­den­do­le poi curio­so l’entità del turi­smo asia­ti­co nel cen­tro di Tori­no. Alla fine del pri­mo giro, e subi­to all’inizio del secon­do, a Lui­gi sem­brò il momen­to giu­sto per pilo­ta­re la con­ver­sa­zio­ne lì dove ser­vi­va.

“Sono bel­lis­si­mi”

“Chi?”

“Inten­do i tuoi bam­bi­ni, scu­sa…”

Miriam rise.

“Solo il ragaz­zi­no bion­do è mio figlio, gli altri due sono i miei nipo­ti­ni, sono i figli di mia sorel­la”.

Ora che la brec­cia era sta­ta aper­ta, fin dove si sareb­be potu­to spin­ge­re? Era già arri­va­to il momen­to di tem­po­reg­gia­re?

“Ma i capel­li bion­di e gli occhi azzurri…li ha pre­si dal­la tua fami­glia?” doman­dò, auto-con­ce­den­do­si il bene­fi­cio del dub­bio.

“No, no…” rispo­se Miriam, tron­can­do il discor­so con un lun­go sor­so del suo secon­do Negro­ni.

“Quan­ti anni sono che non veni­vi più a Sco­lèa?” si sen­tì doman­da­re Lui­gi.

“L’ultima vol­ta è sta­ta l’estate del 2020, ai tem­pi del­la pan­de­mia”

“È vero! Che tem­pi, ci pen­si? Ma per­ché poi non sei più sce­so?”. Lui­gi in que­sto caso fu qua­si one­sto. Non lo sape­va. O, alme­no, non lo ave­va sapu­to fino a quel pome­rig­gio. Era dall’anno del­la pan­de­mia che aspet­ta­va il momen­to in cui quell’incontro sareb­be sta­to meno leta­le; evi­den­te­men­te quel momen­to non era anco­ra arri­va­to.

“Guar­da Miriam, è suc­ces­so qua­si per caso…prima il Ser­vi­zio Civi­le, poi lo scam­bio con la Cina, poi lo stage…e poi ho ini­zia­to subi­to a lavorare…è anda­ta così. Tu inve­ce? Sarai sem­pre venu­ta imma­gi­no…”

“In veri­tà no” lo sopre­se Miriam. Esi­tò un secon­do pri­ma di pro­se­gui­re.

“Sem­pre da quell’anno, ho pas­sa­to tut­te le esta­ti nel­le Mar­che con il mio ragazzo…tu lo hai mai cono­sciu­to?”. Lui­gi rin­trac­ciò nel­la memo­ria la foto di un ragaz­zo bion­do con gli occhi azzur­ri, vista ven­ti­cin­que anni pri­ma sul­lo scher­mo di un vec­chio IPho­ne.

“Allo­ra come fai a sape­re che non sono più venu­to?”,

“Me lo han­no rac­con­ta­to gli altri, quan­do li ho rivi­sti in que­sti gior­ni. Ma anche non me l’avesse det­to nes­su­no, te lo si leg­ge­va in fac­cia que­sto pome­rig­gio. Ave­vi la stes­sa espres­sio­ne che pen­so di aver fat­to quan­do sono fini­ta di nuo­vo qui”

“Sta­vo solo per sve­ni­re dal caldo…perché non mi hai salu­ta­to se mi hai visto?” doman­dò Lui­gi a metà fra il curio­so e l’innervosito.

Miriam si fece di col­po più fred­da. Il viso le si irri­gi­dì, e il suo sguar­do si fis­sò sul fon­do del bic­chie­re, in cui rime­sta­va il cock­tail con i cubet­ti di ghiac­cio pros­si­mi allo scio­gli­men­to. Poi fece un respi­ro pro­fon­do e si libe­rò dal peso che la tur­ba­va.

“L’ultima vol­ta che ci sia­mo visti, se ci pensi…insomma, l’anno del­la pan­de­mia è sta­to l’anno in cui hai pro­va­to a baciar­mi, in discoteca…se ci pen­si non ci par­lia­mo pra­ti­ca­men­te da allo­ra”. Ter­mi­nò quel­la con­fes­sio­ne con un sor­ri­so sere­no e libe­ra­to­rio, ammet­ten­do con can­do­re.

“Ero un po’ in imba­raz­zo, se devo esse­re sincera…scusami, non è sta­to un atteg­gia­men­to mol­to matu­ro”.

Lui­gi, nel rispon­der­le, fu com­pren­si­vo quan­to sub­do­lo.

“Avrei dovu­to imma­gi­nar­lo, non ti pre­oc­cu­pa­re lo capisco…spero che ades­so non ti ver­go­gne­rai di pre­sen­tar­mi a tuo mari­to!”

Lui­gi era soli­to rea­gi­re con scher­zi o bat­tu­te alle situa­zio­ni che lo face­va­no inner­vo­si­re, ed era que­sta un’arte in cui si sen­ti­va piut­to­sto navi­ga­to. Tut­ta­via, com­pli­ce for­se il secon­do Lon­don Mule, que­sta vol­ta l’esperienza non lo ave­va aiu­ta­to a com­pren­de­re, dal viso e dal­le espres­sio­ni di Miriam, che era il caso di por­re un limi­te alle pro­vo­ca­zio­ni. Dopo quell’uscita, lei ini­zial­men­te girò lo sguar­do ver­so il mare, poi si mise una mano di fron­te agli occhi, nascon­den­do­li; di modo che fu trop­po tar­di quan­do Lui­gi, intrap­po­la­to in un’espressione face­ta, si accor­se che gli occhi di Miriam luc­ci­ca­va­no di un pian­to pros­si­mo. Per la veri­tà, fu neces­sa­rio che Miriam si giras­se per sco­la­re in un sol sor­so il resto del suo Negro­ni; dopo­di­ché si alzò, e recu­pe­ra­to un mini­mo di con­te­gno si con­ge­dò da Lui­gi con un for­za­to ‘gra­zie per la sera­ta’. Andan­do­se­ne a pas­so spe­di­to ver­so casa, fece risuo­na­re nel cer­vel­lo di Lui­gi il sec­co suo­no dei suoi san­da­li, uni­co rumo­re udi­bi­le, oltre alla risac­ca del­le onde del mare, in quel­la ter­raz­za ormai vuo­ta. Ci mise qual­che secon­do, ma infi­ne si deci­se e, paga­ti i drink, si alzò per inse­guir­la.

La ritro­vò esat­ta­men­te come imma­gi­na­va, sedu­ta al tavo­lo dove quel pome­rig­gio ave­va visto gli avan­zi, a fuma­re una siga­ret­ta. Il mari­to di Miriam dove­va esse­re mor­to, e poco tem­po pri­ma. Lo sen­tì arri­va­re, sen­za girar­si.

“Non tro­vi anche tu che di fron­te a que­sto mare anche le più gran­di pre­oc­cu­pa­zio­ni, i più gran­di dolo­ri per­da­no all’improvviso impor­tan­za? L’ho pre­sa appo­sta, que­sta casa…”

Lui­gi pre­se posto all’altro lato del tavo­lo, e sfi­lò una siga­ret­ta dal pac­chet­to che vi era pog­gia­ta sopra. L’accese con l’accendino che tene­va in tasca.

“Fa con como­do!” scher­zò Miriam.

“Mi hai lascia­to i Negro­ni da paga­re, fai poco la tir­chia…” rispo­se Lui­gi, strap­pan­do­le una pic­co­la risa­ta. Per qual­che secon­do rima­se­ro soli in com­pa­gni del fumo del­le siga­ret­te, Miriam ricer­can­do, nel rit­mo del­la boc­ca­ta, di ripor­ta­re il respi­ro ad una fre­quen­za nor­ma­le, Lui­gi nel dispe­ra­to ten­ta­ti­vo di tran­su­ma­re nel­la cene­re, che pian pia­no con­su­ma­va la siga­ret­ta, la fine di un desi­de­rio che, bef­far­do, sem­bra­va inve­ce avvol­ger­lo, ora più che mai.

“Mi dispia­ce mol­to Miriam…”

“No, dispia­ce a me. Non pote­vi saper­lo” e si girò, per ras­si­cu­rar­lo nuo­va­men­te con uno sguar­do.

“Ho rea­gi­to in modo iste­ri­co solo per­ché que­sto posto ha il pote­re di alie­nar­mi dal­la realtà…poi però a vol­te la real­tà ritor­na…”

“Già…” rispo­se Lui­gi.

“Sai, cre­do fos­se anche il moti­vo per cui pro­vai a baciar­ti quel­la sera. Ti implo­rai di baciar­mi, a dire il vero…”. Miriam rise, com­pia­cen­do non poco l’ego di Lui­gi.

“Men­tre scri­ve­vo la tesi, al mare, in quel­la casa mera­vi­glio­sa in cam­pa­gna…”

“Mi han det­to che l’avete ven­du­ta!”

“…sì, pur­trop­po. Ti sta­vo dicen­do, con i pome­rig­gi pas­sa­ti a gio­ca­re a beach vol­ley, e le sere a bal­la­re tut­ti appic­ci­ca­ti, assie­me a mil­le altri sco­no­sciu­ti subi­to dopo una pan­de­mia globale…io mi ero sen­ti­to per un atti­mo fuo­ri, o anzi, al di sopra del­la real­tà.”

“Aggiun­ge­rei che eri anche mol­to ubria­co” cer­cò di scher­za­re Miriam. Ma que­sta vol­ta, fu lei a non com­pren­de­re real­men­te le paro­le di Lui­gi, che repli­cò con un sor­ri­so di rara ama­rez­za.

“Anche i gior­ni dopo, in veri­tà, non riu­sci­vo a smet­te­re di pen­sa­re a te…”, e Miriam nuo­va­men­te lo inter­rup­pe, cre­den­do­la anco­ra una con­ver­sa­zio­ne inno­cen­te.

“Poi però sei tor­na­to dal­la tua ragaz­za, no?”

Lui­gi non rispo­se alla doman­da del­la don­na, e cad­de in silen­zio tan­to lun­go e assor­to, che finì per incu­rio­sir­la.

“A cosa stai pen­san­do?”

“Quel­la sera, tu, mi hai fat­to una doman­da. Una doman­da che mi ha tor­men­ta­to alme­no fino a quan­do Giu­lia non mi ha lascia­to”. Lui­gi fece una pau­sa per vede­re se i ricor­di di Miriam era­no niti­di quan­to i suoi.

“Mi hai chie­sto se cre­des­si nell’amore. Sul momen­to ti rispo­si di no, sicu­ro. Ma per tut­ti i gior­ni suc­ces­si­vi, ho con­ti­nua­to a pen­sar­ci. Men­tre scri­ve­vo la tesi, face­vo il bagno o gio­ca­vo a beach vol­ley, oppu­re men­tre ubria­co ti guar­da­vo bal­la­re da lontano…e sono arri­va­to alla con­clu­sio­ne che non pote­vo rispon­de­re a quel­la doman­da, per­ché in real­tà io non ave­vo la mini­ma idea di che cosa fos­se que­sto ‘amo­re’”

“Sì che lo sape­vi” rispo­se Miriam. Final­men­te ras­se­re­na­ta, sta­va guar­dan­do il rifles­so del­la luna sul mare.

“Lo sta­vi viven­do, quin­di lo sape­vi”.

“L’unica cosa che sta­vo viven­do era un dub­bio lace­ran­te, tal­men­te inten­so che mi rese com­ple­ta­men­te assen­te, pau­ro­so, tie­pi­do e insi­cu­ro nei con­fron­ti del­la ragaz­za che, per pri­ma e uni­ca, soste­ne­va inve­ce con asso­lu­ta cer­tez­za di esser­si inna­mo­ra­ta di me”

“E qual era que­sto dub­bio?”

“Con­ti­nua­men­te io mi chie­de­vo se l’amore fos­se ciò che mi spin­ge­va alla fedel­tà, alla tena­cia, alla sicu­rez­za e alla sta­bi­li­tà che dopo quat­tro anni Giu­lia signi­fi­ca­va per me, o se inve­ce era quel bru­cio­re ado­le­scen­zia­le che ogni vol­ta che bal­la­vi mi anneb­bia­va la vista e mi implo­ra­va di pren­der­ti e far­ti mia, sen­za pen­sar­ci!”

“E ora? Lo hai capi­to?” gli chie­se Miriam, paca­ta. Lui­gi fis­sò Miriam con una tale inten­si­tà che que­sta si girò ver­so di lui, disto­glien­do per un atti­mo lo sguar­do dal cre­pi­tio luna­re.

“Ades­so sì, pen­so di sì, Miriam”

Miriam guar­dò Lui­gi con uno stra­no sguar­do, pri­vo di qua­lun­que volut­tà o com­pli­ci­tà, com­pren­si­va quan­to distac­ca­ta dai pate­mi di quel ragaz­zo invec­chia­to nel cor­po, ma non nel­lo spi­ri­to, rima­sto irre­quie­to e agi­ta­to per una que­stio­ne da ven­ten­ni.

“Io inve­ce ho vis­su­to, e quin­di so e saprò per sem­pre cos’è, l’amore”

“E’ cos’è?” le chie­se Lui­gi.

“E’ ciò che resi­ste a tut­to, anche alla mor­te, come un faro in mez­zo al mare, lumi­no­so e sal­do sul suo sco­glio con­tro la peg­gio­re del­le tem­pe­ste”

Lui­gi rima­se di sas­so, di fron­te a quell’inaspettata sag­gez­za. In un estre­mo atto di dispe­ra­zio­ne, fece a Miriam una doman­da, con­scio che a pre­scin­de­re dal­la rispo­sta pro­ba­bil­men­te sareb­be sta­ta l’ultima.

“Ti sei mai chie­sta cosa sareb­be suc­ces­so se quel­la sera mi aves­si bacia­to? “

“Asso­lu­ta­men­te no, Lui­gi”. Det­to que­sto si alzò, e dopo aver­gli dato un dol­ce bacio sul­la fron­te gli mor­mo­rò:

“Buo­na­not­te, Lui­gi”

E rien­trò in casa, sen­za aspet­ta­re che l’ospite se ne andas­se.

Rima­sto solo, Lui­gi si alzò per rin­ca­sa­re. All’improvviso, un blac­kout ful­mi­nò i lam­pio­ni, e la stra­da si fece buia. Tut­to ciò era per­fet­ta­men­te in linea con il suo sta­to d’animo: né tri­ste, né sol­le­va­to, sem­pli­ce­men­te imper­scru­ta­bi­le. A un cer­to pun­to del­la stra­da, sen­za nem­me­no ren­der­si con­to di dove si tro­va­va, deci­se di appro­fit­ta­re del buio per sca­var­si den­tro guar­dan­do le stel­le, e assor­to nell’astronomia, cre­det­te di recu­pe­ra­re un poco di sere­ni­tà. For­se era final­men­te giun­to il momen­to di abban­do­na­re quel­la pagi­na del­la sua vita, pen­sò di fron­te alla mae­sto­si­tà del Gran­de Car­ro. Un gat­to ran­da­gio gli si stro­fi­nò sul­le gam­be, disto­glien­do­lo dal­la con­tem­pla­zio­ne cele­ste.

Fu allo­ra che il tre­no lo inve­stì con vio­len­za inau­di­ta, sca­ra­ven­tan­do il cor­po deci­ne di metri più in là, in una ribrez­zan­te poz­za di san­gue. Pri­ma di per­de­re i sen­si, Lui­gi cre­det­te di vede­re il vol­to di Miriam, e di risen­ti­re le sue paro­le, seb­be­ne fos­se sola­men­te il gat­to che, scam­pa­to all’impatto, curio­sa­va su quel curio­so cor­po para­liz­za­to. Ma l’ultimo mia­go­lio suo­nò sicu­ra­men­te così:

“Buo­na­not­te, Lui­gi”.

Con­di­vi­di:
TAGS:
I commenti sono chiusi