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Ottobre
30 Ottobre 2025

IL VIAG­GIO DEL­LA SUBAL­TER­NI­TÀ

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Intro­du­zio­ne: ver­so un nuo­vo meri­dio­na­li­smo

Un’indagine sul­la subal­ter­ni­tà meri­dio­na­le richie­de di usci­re dal bina­ri­smo Nord-Sud inter­no all’Italia per amplia­re lo sguar­do al siste­ma-mon­do colo­nia­le e alla par­ti­co­la­re posi­zio­ne in cui il Sud Ita­lia si col­lo­ca, alle allean­ze con altri Sud e alla sto­ria incre­di­bil­men­te trans­na­zio­na­le  del con­cet­to stes­so di subal­ter­ni­tà. Segui­re la tra­iet­to­ria del­la subal­ter­ni­tà – dal­la con­cet­tua­liz­za­zio­ne di Anto­nio Gram­sci in rife­ri­men­to alla Sar­de­gna e al Meri­dio­ne, pas­san­do per i cul­tu­ral stu­dies ingle­si e ai subal­tern stu­dies in India per poi tor­na­re, sol­tan­to a fine anni Novan­ta, in Ita­lia – ci aiu­ta a guar­da­re oltre i con­fi­ni del dibat­ti­to nazio­na­le e a costrui­re una pro­spet­ti­va sul Sud ita­lia­no che sia deco­lo­nia­le e all’altezza del­le com­ples­si­tà con­tem­po­ra­nee.

Per fare ciò, oggi ser­ve un meri­dio­na­li­smo tut­to nuo­vo, capa­ce di supe­ra­re sia la reto­ri­ca del­lo ‘svi­lup­po del Mez­zo­gior­no’ sia del­la sua ‘dife­sa’. Un meri­dio­na­li­smo che par­te dagli stu­di post­co­lo­nia­li e dagli stu­di sul­la subal­ter­ni­tà e che, intrec­cian­do­si con il fem­mi­ni­smo e la queer­ness, recla­ma l’autodeterminazione del Sud. Si trat­ta di met­te­re al cen­tro i pen­sie­ri e le pra­ti­che del Meri­dio­ne, non ciò che que­sto dovreb­be esse­re o ci si aspet­ta che sia rispet­to a un model­lo pre­de­ter­mi­na­to di svi­lup­po. Ed è que­sto che Fran­co Cas­sa­no, socio­lo­go bare­se, pro­po­ne nel suo Pen­sie­ro meri­dia­no (2005), la costru­zio­ne di un pen­sie­ro auto­no­mo del Meri­dio­ne che pos­sa pen­sa­re se stes­so come par­te di una con­ti­nui­tà medi­ter­ra­nea piut­to­sto che come anti­te­si del Nord.

“Al sud e al pen­sie­ro meri­dia­no […] chi scri­ve non è arri­va­to dal noi, da un’improvvisa pas­sio­ne iden­ti­ta­ria, ma dal­la cate­go­ria dell’altro” (Cas­sa­no 2005, 10). Nomi­nan­do la cate­go­ria dell’alterità come ele­men­to chia­ve per pen­sa­re al Sud Ita­lia, Cas­sa­no sol­le­va alme­no due que­stio­ni cru­cia­li: il lun­go pro­ces­so di alte­riz­za­zio­ne subi­to dal Meri­dio­ne e la con­ti­gui­tà con gli altri “popo­li del­le peri­fe­rie” (Cas­sa­no 2005, 10). Così facen­do, segna la distan­za tra il suo meri­dio­na­li­smo, che per­se­gue allean­za e soli­da­rie­tà tra diver­si Sud, e un meri­dio­na­li­smo essen­zia­li­sta d’impronta svi­lup­pi­sta e nazio­na­li­sta. In tal sen­so, la com­pli­ci­tà con altre subal­ter­ni­tà non è un’operazione reto­ri­ca o una buo­na inten­zio­ne, ma una scel­ta meto­do­lo­gi­ca e poli­ti­ca: leg­ge­re la con­di­zio­ne meri­dio­na­le come par­te del­le logi­che del colo­nia­li­smo glo­ba­le e non come sem­pli­ce ano­ma­lia inter­na alla nazio­ne. 

Ciò non impli­ca equi­pa­ra­re il Meri­dio­ne ita­lia­no agli altri Sud, quan­to riflet­te­re sul­la par­ti­co­la­re posi­zio­ne del Sud ita­lia­no nel siste­ma-mon­do colo­nia­le. Se è quin­di poco accu­ra­to – e anche peri­co­lo­so – par­la­re di un’indistinta subal­ter­ni­tà dei Sud, può esse­re uti­le situar­si nel tra­git­to del­la subal­ter­ni­tà. La posi­zio­ne del Meri­dio­ne è ambi­gua e per cer­ti ver­si opa­ca: è un Sud limi­na­le, in bili­co tra pri­vi­le­gi e oppres­sio­ni, che non si inte­gra per­fet­ta­men­te nei para­dig­mi occi­den­ta­li ma rifug­ge anche la tota­le este­rio­ri­tà. 

Il Meri­dio­ne è par­te di un pae­se del ‘Pri­mo mon­do’ colo­niz­za­to­re che ha atti­va­men­te agi­to vio­len­za colo­nia­le su altri pae­si e che con­ti­nua a met­te­re in atto poli­ti­che raz­zi­ste e pre­va­ri­ca­tri­ci, ma è al con­tem­po peri­fe­ria dell’Occidente, defi­ni­to “colo­nia inter­na” (Ver­dic­chio 1997) e acco­sta­to a una “raz­za male­det­ta” di lom­bro­sia­na memo­ria (Teti 1993). Se non è sem­pre chia­ro se sia “respon­sa­bi­le” – nel sen­so dell’accoun­ta­bi­li­ty di Judith Butler – usa­re que­sti ter­mi­ni per il Sud Ita­lia, è sì cru­cia­le rin­trac­cia­re un rap­por­to di con­ti­nui­tà tra il pas­sa­to colo­nia­le ita­lia­no, l’emigrazione, l’immigrazione e la subal­ter­ni­tà del Sud, in quan­to par­te inte­gran­te del­la con­di­zio­ne post­co­lo­nia­le e in quan­to feno­me­ni chia­ve per la for­ma­zio­ne iden­ti­ta­ria del­la nazio­ne ita­lia­na (Lom­bar­di-Diop e Romeo, 2012). 

Il viag­gio del­la subal­ter­ni­tà

Ini­zia­re a segui­re il viag­gio del­la ‘subal­ter­ni­tà’ impli­ca tene­re pre­sen­te come, muo­ven­do­si nel tem­po e nel­lo spa­zio, que­sta paro­la sia cam­bia­ta, si sia arric­chi­ta, e che, per que­ste ragio­ni, par­la­re di subal­ter­ni­tà meri­dio­na­le oggi non può non tene­re pre­sen­te tut­te le inter­se­zio­ni che que­sta paro­la ha attra­ver­sa­to. Que­sto iti­ne­ra­rio di viag­gio, più arti­co­la­to e meno linea­re di quan­to io pos­sa resti­tui­re in que­ste pagi­ne, è spie­ga­to nei suoi mec­ca­ni­smi dal­lo stu­dio­so pale­sti­ne­se-sta­tu­ni­ten­se Edward W. Said, che par­la di Tra­ve­ling Theo­ry per descri­ve­re ‘i viag­gi del­le teo­rie’ (Said 1983, 226). Secon­do Said le teo­rie non viag­gia­no mai intat­te: una vol­ta incon­tra­ti nuo­vi con­te­sti, cam­bia­no for­ma, si pie­ga­no alle real­tà loca­li e, pro­prio in que­ste tra­sfor­ma­zio­ni, fini­sco­no per modi­fi­ca­re anche la loro iden­ti­tà ori­gi­na­ria. 

La subal­ter­ni­tà di Gram­sci tra Sar­de­gna, Meri­dio­ne e post­co­lo­nia­le

È sicu­ra­men­te Gram­sci il pri­mo a riflet­te­re sul­la subor­di­na­zio­ne del Meri­dio­ne e del­la Sar­de­gna in ter­mi­ni di “colo­nia­li­smo”: già nel 1920 auspi­ca l’unione tra le mas­se con­ta­di­ne del Sud e il pro­le­ta­ria­to del Nord affin­ché entram­bi si eman­ci­pi­no dall’ “indu­stria­li­smo paras­si­ta­rio del Set­ten­trio­ne”, e riflet­te sul fat­to che “la bor­ghe­sia set­ten­trio­na­le ha sog­gio­ga­to l’Italia meri­dio­na­le e le iso­le e le ha ridot­te a colo­nie di sfrut­ta­men­to” (Gram­sci 1991, 4). A quest’affermazione, emble­ma­ti­ca del­la sua visio­ne del­la rela­zio­ne tra le due par­ti del pae­se, si aggiun­ge la con­sa­pe­vo­lez­za che il pro­le­ta­ria­to set­ten­trio­na­le aves­se ormai assor­bi­to la reto­ri­ca anti­me­ri­dio­na­li­sta che per tan­ti anni — attra­ver­so la cul­tu­ra popo­la­re, la scien­za e la stes­sa poli­ti­ca — ave­va decre­ta­to l’assoluta infe­rio­ri­tà del­le per­so­ne meri­dio­na­li. Per que­sta ragio­ne, esor­ta i com­pa­gni pro­le­ta­ri del Nord a rifug­gi­re i pre­giu­di­zi anti­me­ri­dio­na­li­sti del­la bor­ghe­sia set­ten­trio­na­le, usan­do la famo­sa meta­fo­ra che iro­ni­ca­men­te asso­cia il Meri­dio­ne a una “pal­la di piom­bo che impe­di­sce più rapi­di pro­gres­si allo svi­lup­po civi­le dell’Italia” (Gram­sci 1991, 9).

I suoi Qua­der­ni del car­ce­re (1975) intro­du­co­no al dibat­ti­to pub­bli­co con­cet­ti allo­ra inno­va­ti­vi, come “subal­ter­ni­tà”, “ege­mo­nia”, “rivo­lu­zio­ne pas­si­va”, “socie­tà civi­le e poli­ti­ca”, i qua­li han­no tro­va­to ter­re­no fer­ti­le soprat­tut­to in Inghil­ter­ra, in mol­ti pae­si dell’America Lati­na e in India, dove sono sta­ti via via decli­na­ti in modi diver­si a secon­da dei con­te­sti. 

In Ita­lia, inve­ce, gli stu­di gram­scia­ni sono sta­ti (ri)applicati al Meri­dio­ne e alla Sar­de­gna sol­tan­to alla fine del­lo scor­so seco­lo, dopo il con­tri­bu­to cru­cia­le che essi han­no dato all’estero per dare il via a movi­men­ti cul­tu­ra­li e cam­pi di stu­dio. 

Cri­stia­no Sabi­no (2021, 51), sot­to­li­nean­do l’importanza rico­per­ta dal­la subal­ter­ni­tà sar­da nel­la rifles­sio­ne gram­scia­na, sot­to­li­nea come nel­la sua rice­zio­ne all’estero ogni par­ti­co­la­ri­tà sar­da sia sta­ta siste­ma­ti­ca­men­te espun­ta per non met­te­re in dub­bio il carat­te­re ‘uni­ver­sa­le’ del suo pen­sie­ro. Tut­ta­via, la que­stio­ne sar­da e meri­dio­na­le è cen­tra­le nel­le rifles­sio­ni del filo­so­fo sar­do: seb­be­ne i grup­pi subal­ter­ni di cui par­la nei Qua­der­ni non coin­ci­da­no total­men­te con spe­ci­fi­che clas­si né costi­tui­sca­no un grup­po omo­ge­neo e ben iden­ti­fi­ca­bi­le, riman­da­no sicu­ra­men­te alle mas­se con­ta­di­ne meri­dio­na­li e alla loro inca­pa­ci­tà di costi­tui­re un’opposizione siste­ma­ti­ca all’egemonia (Caru­so 2015, 15–17). 

Gram­sci ela­bo­ra le cate­go­rie di ege­mo­nia e subal­ter­ni­tà per spie­ga­re l’esercizio del pote­re nel­la socie­tà capi­ta­li­sta: nel­lo spe­ci­fi­co, l’egemonia cul­tu­ra­le, eser­ci­ta­ta da un grup­po di pres­sio­ne gui­da­to dal­la clas­se intel­let­tua­le, mano­vra il popo­lo ver­so una deter­mi­na­ta ideo­lo­gia attra­ver­so l’introiezione del ‘sen­so comu­ne’. Stuart Hall, par­ten­do pro­prio dal pen­sie­ro di Gram­sci, spe­ci­fi­ca che è nel sen­so comu­ne che si for­ma la coscien­za del­le mas­se popo­la­ri ed è pro­prio la sua qua­li­tà di spon­ta­nei­tà, tra­spa­ren­za e natu­ra­li­tà il per­no su cui le ideo­lo­gie devo­no pun­ta­re per rag­giun­ge­re la supre­ma­zia e modi­fi­ca­re la visio­ne che le mas­se han­no del mon­do. 

Uno dei pri­mi viag­gi all’estero del­la subal­ter­ni­tà gram­scia­na è lega­to pro­prio a Stuart Hall: gra­zie alla pri­ma tra­du­zio­ne ingle­se dei Qua­der­ni nel 1971 e la media­zio­ne del Cen­tre for Con­tem­po­ra­ry Cul­tu­ral Stu­dies (CCCS) all’U­ni­ver­si­tà di Bir­min­gham — di cui uno dei mem­bri più influen­ti fu pro­prio il socio­lo­go gia­mai­ca­no-bri­tan­ni­co – la rice­zio­ne di Gram­sci con­du­ce alla nasci­ta dei cul­tu­ral stu­dies. Que­sto ambi­to, in cui gran­de cen­tra­li­tà han­no le cate­go­rie di raz­za e di gene­re in quan­to costru­zio­ni cul­tu­ra­li, ispi­re­rà mol­te stu­dio­se e stu­dio­si post­co­lo­nia­li – tra cui Edward Said –  e darà un’importante impron­ta agli stu­di di gene­re. 

Negli stes­si anni, l’eredità gram­scia­na è rac­col­ta dal col­let­ti­vo Subal­tern Stu­dies Col­lec­ti­ve, fon­da­to in India da Rana­jit Guha negli anni Ottan­ta. Tale col­let­ti­vo, com­po­sto da sto­ri­che e sto­ri­ci india­ni, nasce con l’obiettivo di recu­pe­ra­re la memo­ria dei grup­pi subal­ter­ni india­ni che era­no sta­ti igno­ra­ti dal­la sto­rio­gra­fia uffi­cia­le di matri­ce nazio­na­li­sta e colo­nia­le (Caru­so 2015, 26). Al grup­po si uni­rà qual­che anno dopo Gaya­tri Cha­kra­vor­ty Spi­vak – con­si­de­ra­ta, insie­me a Said e Homi Bha­b­ha, una del­le prin­ci­pa­li espo­nen­ti degli stu­di post­co­lo­nia­li – la qua­le decli­ne­rà per la pri­ma vol­ta la subal­ter­ni­tà al fem­mi­ni­le e al sin­go­la­re. 

La subal­ter­na può par­la­re? 

“La subal­ter­na” fa la sua entra­ta in sce­na nel 1988 con l’articolo di Spi­vak Can the subal­tern speak?” La sua mos­sa inno­va­ti­va – rispet­to alle “clas­si subal­ter­ne” o “grup­pi subal­ter­ni” di Gram­sci, sem­pre nomi­na­ti al plu­ra­le – con­si­ste nell’incarnare la subal­ter­ni­tà in un sog­get­to sin­go­la­re di gene­re fem­mi­ni­le capa­ce di com­pie­re scel­te indi­vi­dua­li. Spi­vak, par­ten­do dal­la sto­ria del­la mor­te di Bhu­ba­ne­swari Bha­du­ri, gio­va­ne don­na india­na le ragio­ni del cui sui­ci­dio sono silen­zia­te tan­to dall’oppressione del patriar­ca­to india­no quan­to del colo­nia­li­smo ingle­se, riflet­te sull’impossibilità del­la subal­ter­na di par­la­re. Ciò si tra­du­ce, da una par­te, nel rico­no­sci­men­to dell’incapacità del­la subal­ter­na di agi­re col­lo­can­do­si al di là di un ordi­ne sim­bo­li­co pre­co­sti­tui­to e, dall’altra, nel­la cri­ti­ca al ruo­lo degli intel­let­tua­li che rap­pre­sen­ta­no i grup­pi subal­ter­ni par­lan­do al loro posto e pre­ten­den­do di ave­re uno sguar­do neu­tro e ogget­ti­vo. La subal­ter­na di Spi­vak è, dun­que, para­liz­za­ta dal rac­con­to altrui, sia quel­lo del­la cul­tu­ra patriar­ca­le india­na, sia quel­lo dei bene­vo­li intel­let­tua­li occi­den­ta­li, sia — aggiun­ge­rei — quel­lo del­le ben inten­zio­na­te fem­mi­ni­ste bian­che.

Ange­la D’Ottavio nota che, se è vero che il capi­ta­li­smo glo­ba­le ha pro­dot­to nuo­ve e mol­te­pli­ci for­me di subal­ter­ni­tà, allo stes­so tem­po si ten­de sem­pre più ad abu­sa­re del ter­mi­ne, cer­can­do “la subal­ter­na” come un tem­po si cer­ca­va “la pri­mi­ti­va”. È, quin­di, essen­zia­le ricor­da­re che la subal­ter­ni­tà appar­tie­ne a uno spa­zio colo­niz­za­to estre­ma­men­te ete­ro­ge­neo e che il rischio di com­pie­re vio­len­za epi­ste­mi­ca rima­ne alto, soprat­tut­to quan­do ci si appro­pria del­le cono­scen­ze e del­le espe­rien­ze di grup­pi socia­li mar­gi­na­liz­za­ti (D’Ottavio 2012, 273). In tal sen­so, un anti­do­to meto­do­lo­gi­co con­si­ste nell’individuare l’agentività del­le per­so­ne subal­ter­ne piut­to­sto che dedi­car­si alla ricer­ca feti­ci­sti­ca del­la subal­ter­ni­tà. L’agentività — da agen­cy - non indi­ca un gene­ri­co ‘agi­re’, ma la capa­ci­tà di azio­ne all’interno di pre­ci­si vin­co­li strut­tu­ra­li ed è col­le­ga­ta al con­cet­to di loca­tion, vale a dire il posi­zio­na­men­to del sog­get­to all’interno di una gri­glia di pri­vi­le­gi e oppres­sio­ni e di un deter­mi­na­to spa­zio sto­ri­co, geo­gra­fi­co e socia­le (De Petris 2005, 259). Ste­fa­nia De Petris, par­ten­do pro­prio dal­la dop­pia oppres­sio­ne cui fa rife­ri­men­to Spi­vak a pro­po­si­to del­la subal­ter­na fino ad arri­va­re a discor­si a lei con­tem­po­ra­nei, pro­po­ne un cam­bio di para­dig­ma: da quel­lo del­la sorel­lan­za a quel­lo del­la soli­da­rie­tà (De Petris 2005, 279). Sostie­ne, infat­ti, che “l’oppressione sta alla sorel­lan­za come l’agency sta alla soli­da­rie­tà”, sot­to­li­nean­do la neces­si­tà di com­pie­re uno sfor­zo di rico­no­sci­men­to dell’agentività del­le don­ne anche nel­le con­di­zio­ni appa­ren­te­men­te di mag­gio­re subor­di­na­zio­ne, pre­stan­do par­ti­co­la­re atten­zio­ne ai lega­mi del­le don­ne con le comu­ni­tà che le cir­con­da­no (De Petris 2005, 279). D’altro can­to, secon­do Rache­le Bor­ghi biso­gna anda­re anco­ra oltre la doman­da “La subal­ter­na può par­la­re?” e chie­der­si inve­ce: “per­ché sei tu a con­ce­de­re lo spa­zio per­ché l’altro (che sei tu ad aver crea­to e di cui legit­ti­mi l’esistenza) pro­prio come altro pos­sa par­la­re?” (Bor­ghi 2020, 71). 

In tal modo si pone l’accento su una que­stio­ne già sol­le­va­ta da Spi­vak, ovve­ro che la vio­len­za epi­ste­mi­ca che col­pi­sce la subal­ter­na coin­ci­de con il pro­ces­so stes­so che la ren­de sen­za voce e che dun­que mar­ca la sua subal­ter­ni­tà. La subal­ter­na è dun­que una pro­du­zio­ne discor­si­va del sog­get­to ege­mo­ni­co ed è crea­ta in quan­to fun­zio­na­le all’esistenza di quest’ultimo, come la don­na lo è per l’uomo e il colo­niz­za­to per il colo­niz­za­to­re. 

La subal­ter­ni­tà tor­na nel Meri­dio­ne

Sol­tan­to negli anni Novan­ta il con­cet­to di subal­ter­ni­tà ver­rà decli­na­to in otti­ca post­co­lo­nia­le per tor­na­re a par­la­re di Meri­dio­ne, gra­zie a stu­di come quel­li di Pasqua­le Ver­dic­chio e Iain Cham­bers. Secon­do Ver­dic­chio, la posi­zio­ne ambi­gua e limi­na­le del Meri­dio­ne può esse­re un ter­zo spa­zio che per­met­ta agli stu­di post­co­lo­nia­li di supe­ra­re un loro gran­de limi­te, quel­lo di rica­de­re nel­le oppo­si­zio­ni bina­rie tra “bian­co e nero”, “Pri­mo e Ter­zo Mon­do”, domi­na­to­ri e domi­na­ti, apren­do così le por­te alla pos­si­bi­li­tà che vi sia­no — e vi sia­no sta­te — situa­zio­ni meno chia­re ed evi­den­ti. Ver­dic­chio, facen­do rife­ri­men­to a Gram­sci, sostie­ne che la sto­ria del Sud Ita­lia sia sta­ta segna­ta dal­la colo­niz­za­zio­ne e che “colo­nia­li­sm was the unspo­ken agen­da when Ita­ly was ‘uni­ted’ by Pied­mon­te­se for­ces in the 1860s” (Ver­dic­chio 1997, 191). Cham­bers sug­ge­ri­sce, inve­ce, di “pro­vin­cia­liz­za­re” l’Italia: cioè smet­te­re di guar­da­re al Meri­dio­ne come a un pro­ble­ma solo nazio­na­le e inse­rir­lo in un con­te­sto glo­ba­le di dise­gua­glian­ze, migra­zio­ni e mar­gi­na­li­tà (Cham­bers 2012, 17). 

Se, dun­que, la subal­ter­ni­tà tor­na a rife­rir­si al Meri­dio­ne, non può far­lo igno­ran­do il viag­gio che essa ha com­piu­to. Ciò che por­ta sul­le sue spal­le è un prin­ci­pio di inter­se­zio­na­li­tà, la neces­si­tà di amplia­re lo sguar­do a più oppres­sio­ni siste­mi­che e di ricer­ca­re l’agentività dei sog­get­ti in gio­co, sen­za fer­mar­si a un’ontologica impos­si­bi­li­tà di pre­sa di paro­la. 

Il sog­get­to impre­vi­sto: il Meri­dio­ne par­la

Ad oggi, sono nume­ro­si gli stu­di e le pra­ti­che poli­ti­che che, per tema­tiz­za­re il Meri­dio­ne, ten­go­no con­to di mol­te altre cate­go­rie, tra le qua­li la raz­za, la clas­se, l’orientamento ses­sua­le e la cit­ta­di­nan­za. Ne sono un esem­pio gli stu­di di Gof­fre­do Poliz­zi (2022) sul­la fun­zio­ne bio­po­li­ti­ca del­le cate­go­rie di gene­re e ses­sua­li­tà nel per­for­ma­re discor­si­va­men­te il Meri­dio­ne, le inda­gi­ni di Car­la Pani­co (2022) sull’agentività del­le don­ne meri­dio­na­li in una pro­spet­ti­va sto­ri­ca,  le ricer­che socio­lo­gi­che di Fran­ce­sca R. Amma­tu­ro (2025) sul­le ses­sua­li­tà meri­dia­ne o  quel­le di Ali­ce Par­ri­nel­lo (2024) sugli intrec­ci tra Meri­dio­ne, queer­ness e migra­zio­ne nel­la let­te­ra­tu­ra ita­lia­na con­tem­po­ra­nea. Ma si pen­si anche alle nume­ro­se assem­blee fem­mi­ni­ste ter­ro­ne e meri­dio­na­li­ste queer, come la Con­vo­ca­to­ria Eco­lo­gi­sta Taran­to che, par­ten­do dal dram­ma eco­lo­gi­co che ne attra­ver­sa i cor­pi-ter­ri­to­ri, sta svi­lup­pan­do una pro­spet­ti­va cri­ti­ca sull’intersezione tra la Que­stio­ne meri­dio­na­le, il ricat­to salu­te-lavo­ro e le nar­ra­zio­ni del pro­gres­so, per imma­gi­na­re nuo­ve eco­lo­gie dal mar­gi­ne; oppu­re all’“assem­blea ter­ro­na tran­sfem­mi­ni­sta” nata recen­te­men­te a Tori­no, luo­go sto­ri­co di emi­gra­zio­ne meri­dio­na­le. 

Nel­le pagi­ne del­la rivi­sta Mene­li­que, espe­rien­za edi­to­ria­le che ha con­tri­bui­to a una rifles­sio­ne deco­lo­nia­le, fem­mi­ni­sta e queer sul Sud, Gio­van­ni Tateo espri­me chia­ra­men­te la dire­zio­ne di un nuo­vo meri­dio­na­li­smo che fac­cia del­la subal­ter­ni­tà meri­dio­na­le ter­re­no di dia­lo­ghi inter­se­zio­na­li:

“Il con­cet­to di Sud nascon­de un poten­zia­le rivo­lu­zio­na­rio ine­spres­so. In Ita­lia abbia­mo biso­gno di una for­ma con­tem­po­ra­nea di meri­dio­na­li­smo che non guar­di solo all’origine del­la nostra subor­di­na­zio­ne ter­ro­na e che non cer­chi la restau­ra­zio­ne di un pas­sa­to idea­liz­za­to, quan­to piut­to­sto sti­mo­li la ricer­ca di inter­se­zio­ni con altre lot­te poli­ti­che con­tem­po­ra­nee” (Tateo 2022, 10).

In tal sen­so, il “poten­zia­le rivo­lu­zio­na­rio ine­spres­so” del Sud coin­ci­de for­se con quell’impossibilità di pre­sa di paro­la del­la subal­ter­na che, a ben vede­re, non è altro che l’incapacità di ascol­ta­re le voci dei Sud se non attra­ver­so un’idea già pre­sta­bi­li­ta di che cosa il Sud deb­ba esse­re. All’interno di un siste­ma strut­tu­ral­men­te anti­me­ri­dio­na­li­sta, in cui è sta­to costrui­to un discor­so ben pre­ci­so sul Meri­dio­ne – quel­lo dell’arretratezza, dell’ignoranza, dell’immobilità, del Sud come ‘non-anco­ra-Nord’ – quan­do esso si fa sog­get­to e pren­de paro­la è anco­ra un ‘Sud impre­vi­sto’.  

Se per Car­la Lon­zi a esse­re “impre­vi­sta” era l’emersione del­la sog­get­ti­vi­tà fem­mi­ni­sta in una tra­di­zio­ne patriar­ca­le in cui il sog­get­to impli­ci­to è sem­pre maschi­le (Lon­zi 2023, 60), il Sud è un sog­get­to impre­vi­sto ogni qual­vol­ta disat­ten­de le aspet­ta­ti­ve fon­da­te sul­la sua rap­pre­sen­ta­zio­ne ste­reo­ti­pi­ca e si auto­de­ter­mi­na a par­ti­re dai pro­pri biso­gni e dal­le pro­prie sto­rie. 

Se, dun­que, qual­cu­no si doman­da anco­ra se la subal­ter­na pos­sa par­la­re, pos­sia­mo dire con cer­tez­za che il Meri­dio­ne sta già – e anco­ra – par­lan­do: si schie­ra in allean­za con il popo­lo pale­sti­ne­se, si rico­no­sce come que­stio­ne fem­mi­ni­sta e si col­lo­ca den­tro gli oriz­zon­ti queer.  Stia­mo in ascol­to.

Foto­gra­fia di Gre­ta Valen­te

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