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Novembre
4 Novembre 2024

CATARSI ELETTRONICHE

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Per iniziare ad analizzare l’estasi non si può che partire dalle parole di Aristotele nella Poetica:

“Tragedia è imitazione di un’azione seria e compiuta, avente una sua grandezza, in un linguaggio condito da ornamenti, separatamente e per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, che attraverso la pietà e la paura produce la purificazione di questi sentimenti” (Aristotele, 1998 [IV sec. a.C.], p. 13).

La definizione aristotelica di tragedia, nella quale fa capolino il concetto di catarsi, è stata oggetto nel corso dei secoli di un ampio dibattito su quale significato attribuirvi e cosa Aristotele volesse indicare come ultimo ingrediente fondamentale dell’opera tragica.

L’accezione più ricorrente di catarsi è purificazione, da un lato in senso religioso e mistico, dall’altro in senso medico come ‘purga’, ovvero l’effetto dell’assunzione di qualcosa che allontani le impurità dell’organismo. 

La catarsi è quel meccanismo che rende tollerabili e fecondi i sentimenti rischiosi di pietà e terrore connessi all’intuizione tragica dell’esistenza. La positività del suo effetto è stata ricondotta a volte alla tranquillizzazione emotiva o ad una solidità dal punto di vista etico e/o della coscienza razionale, ovvero ad una maggiore trasparenza di senso. 

La maggiore controversia è stata il rapporto tra le emozioni dello spettatore e quelle riportate nella performance artistica. La mediazione rappresentativa, infatti, le pone in un rapporto di affinità ma non di identità, lo spettatore vive il dramma dell’eroe in scena ma non è l’eroe stesso, ed è ciò che porta ad interrogarsi sull’entità della ‘purga’.

Una totale eliminazione delle emozioni nocive o un livellamento dell’eccesso? 

Lo spettatore, come il suo ruolo indica, subisce l’azione dell’artista/eroe in scena e attraverso lo stesso dovrebbe raggiungere un’ estasi che lo porti ad un sollievo dell’animo. 

I personaggi disegnati dal mito, che per sua natura è l’immagine concentrata del mondo infatti, come scrive lo studioso Giorgio Ieranò nel suo saggio Eroi,  “non sono immuni da tutte le passioni e i dolori degli uomini e grazie a questo ci ricordano la nostra stessa innata umanità che la società contemporanea ci blocca dal riconoscere”(Ieranò 2019, 9).

La tragedia, non può fare a meno del miracolo titanico del mito. Non può fare a meno neanche, però, di Apollo.

La cultura greca, per Nietzsche, consta di apollineo — l’elemento composto, dedito alla bellezza — e di dionisiaco — la dimensione vitalistica, estatica; lo stesso vale per la tragedia greca in cui l’ordine classico sottintende la sfrenatezza delle passioni e dei destini.

Prima, e contemporaneamente, alla tragedia, erano emerse altre forme che utilizzavano esperienze analoghe in contesti performativi e che intrattenevano legami più stretti con espressioni culturali mistico religiose. I culti mistici/religiosi dionisiaci hanno sempre fatto parte del rituale ciclico annuale, a braccetto con gli agoni teatrali e altri riti religiosi.  Molti interpreti della Poetica si sono anche riferiti a un passo della Politica che parla di catarsi e della proprietà delle arti performative, come la musica, di esercitare un ruolo terapeutico per certi stati emozionali dannosi o per momenti interrogativi e contemplativi. Nietzsche ribadisce questo effetto terapeutico dell’atto catartico in La Nascita della Tragedia (1977 [1876], 26): “cantando e danzando, l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed è pronto a volare in cielo danzando”.

Nietzsche parla del musicista dionisiaco come di colui che è il dolore originario stesso e al contempo l’eco di quel dolore: motore del mondo e non solo portatore del proprio personale io.

Solo così egli è contemporaneamente soggetto e oggetto: non vi sono distanze con il fruitore della creazione artistica.

L’effetto benefico di questa ripulitura può perciò apparire solo in un contesto congruo, libero, stimolante ma soprattutto dionisiaco. 

È mia intenzione individuare la festa come il luogo ideale per l’azione tragica completa. 

O per l’effetto di bevande narcotiche, cantate da tutti i poeti primitivi, o per l’arrivo di poderosi cambi nella natura che destano gli animi umani, gli impulsi dionisiaci prendono piede portando all’oblio di sé.

La festa è l’esperienza che ricorre ciclicamente e attraverso la quale si sperimenta una diversa dimensione vitale, è l’attimo sospeso nell’esistenza ordinaria che ordinario non è. Una sottile linea funambolica tra la limitatezza individuale e la tremenda follia mitica.

Per la sua essenza essa offre ai membri di una comunità un temporaneo sollievo che li conduce a fluire nella corrente della vita infinita per ricongiungersi ai loro antenati. L’importanza del momento festivo all’interno di una società “sana” viene affrontato lungamente da Aldous Huxley, in Le porte della percezione: Paradiso e Inferno (1954, 79) scrive che, parafrasando, un atto festivo viene compiuto su un piano di esistenza umana diverso da quello quotidiano dove tutto è come al primo giorno, dove si è uniti agli dèi dove anzi si diventa dèi.

Il significato purificatore di catarsi quindi si lega a doppio filo all’esperienza religiosa dei culti mistici e dionisiaci. Proprio da essi, infatti, doveva nascere la tragedia, già nel termine vi è il riferimento al capro e al culto di Dioniso. Il capro era l’animale a lui sacro, veniva sacrificato nelle feste in suo onore mentre i seguaci del dio danzavano e cantavano, mascherati da caproni, in cori guidati dai corifei. Pian piano questi diventarono cantori solisti e narravano, in alternanza col coro, le vicende di Dioniso – in prima persona. La tragedia, quindi, deriva dalla fusione della forma più antica di danza e canto corale (ditirambo) con i balli rituali in onore di Dioniso eseguiti da uomini, come detto, mascherati. 

Il legame arcaico/festivo è andato a scomparire sotto il peso di una purificazione imborghesita da un’erronea interpretazione del concetto aristotelico di catarsi, che ha dimenticato il dionisiaco e seguito la sola linea dell’apollineo, disgregando dunque il concetto di tragedia, e che non cerca più di strappare il dolore dall’animo e liberarlo nel mondo ma bensì di appiattire le coscienze ad un livello comune. D’altronde il maggior successo nella repressione delle passioni si ottiene garantendo ad esse uno sfogo innocuo. 

Per recuperare il senso tragico come già scrive Nietzsche in La Nascita della Tragedia (1977 [1876], 30): “dobbiamo per così dire disfare pietra per pietra il geniale edificio della cultura apollinea, fino a scorgere le fondamenta su cui esso è basato”.

È nel corso del XVI secolo che il concetto di catarsi si delinea precisamente, la definitiva legittimazione delle arti della scena nei paesi europei fa germinare l’ipotesi che il teatro sia in grado di esercitare un’influenza morale positiva sugli spettatori, e che quindi si tratti di un’attività di pubblica utilità. 

Le forze delle passioni umane che sono in noi quando sono impedite insorgono più violente; se invece si accorda ad esse un’attività breve ed entro una giusta misura, godono moderatamente e appagano e così purificate si calmano con la persuasione e non con la violenza.

Si tratta di una focalizzazione solo sul carattere omeopatico del trattamento, l’eliminazione di un eccesso emozionale potenzialmente dannoso.

Anche se sappiamo che la tragedia ha il magico compito di agire sulla condizione umana trasformando il dolore nel piacere della contemplazione e per condurre l’uomo ad una nuova consapevolezza, nella civiltà occidentale però l’esperienza dell’arte tragica ha ormai perduto l’orizzonte in cui era nata per lasciare spazio e farsi possedere dai culti ingannevoli dominati dall’illusione della materia: profitto, potere, self-made man, gerarchie, denaro, distacco dall’essere uomini.

Suscitare pietà e paura, portare alla catarsi, oggi più che mai necessita di essere visto non più solo come effetto secondario della tragedia ma come la sua stessa ragione d’essere.

L’esperienza apollinea ed estetica è solo un tassello di questa magica opera il cui scopo finale dovrebbe essere di portare l’individuo ad un cambiamento psicofisico.

Nella società moderna però lavoro e vita sono divenuti inseparabili. Il nostro sistema mentale è stato riprogrammato con gli stessi meccanismi della produzione e della distribuzione; e questo mi sembra particolarmente evidente nei film di Ken Loach, nel dramma moderno dell’eroe che le sue opere mettono in scena. La tragedia non è stata ‘vaccinata’ contro questa piaga capitalistica contemporanea, ora vi è totalmente immersa e non riesce a liberarsene. 

Come fatto notare da Mark Fisher (2009, 81–82): “ne Il capitalista egoista Oliver James fa notare come negli ultimi venticinque anni abbiamo assistito a un significativo aumento del tasso di «disturbi mentali»”.

Più che mai quindi l’uomo moderno necessita di una ‘purga’ dell’incantesimo dionisiaco che restringa i rapporti umani e in cui la terra si ricongiunga al suo figlio perduto.

Dal momento che nella moderna civiltà occidentale manca un’esperienza comparabile, specialmente nell’ambito della dimensione sociale dove le manifestazioni di catarsi o possessione sono generalmente ed unicamente associate a forme di psicosi, nasce la necessità di uno spazio e luogo, anzi un non spazio e non luogo dove questi atti possano avvenire.

Andare avanti

Nella società contemporanea: 

“Avevo conosciuto [o meglio, conosciamo, ndr] la contemplazione soltanto nelle sue forme più umili e più ordinarie: come pensiero speculativo; come concentrazione rapita nella poesia, nella pittura o nella misura; come paziente attesa di quelle ispirazioni, senza le quali anche il più prosaico scrittore non può sperare di attuare alcunché; come sprazzi fugaci nella natura del “qualche cosa molto più profondamente diffuso” (Huxley 1954, 32).

Secondo Huxley che così riflette ancora sulla possibilità di recuperare il nostro proprio io catartico in Le Porte della Percezione, le cose che si dovrebbero guardare sono le cose senza pretese, soddisfatte di essere semplicemente se stesse, cose che, come egli dice, non recitano una parte luciferina.  

Basti riferirsi a Blaise Pascal che, in Pensieri, osserva come, citato da Huxley (1954, 34): “la somma del male […] sarebbe molto diminuita solo se gli uomini potessero imparare a sedere tranquilli nelle loro stanze”.

La contemplazione, quindi, è spesso indicata come azione purificante, tendere i sensi verso il mondo per coglierne l’essenza. La contemplazione attiva dello spettatore che viene purgato davanti all’attivo performer porta la sua percezione ad essere liberata, e quindi a non avere più bisogno di ‘sedere nella sua stanza’. Lo spettatore ottiene di assistere al dolore, alla felicità, alle emozioni, alla vita, poste davanti ai suoi occhi senza dover entrare all’interno della tempesta ma assistendo ad essa da un approdo sicuro.

Egli può occuparsi delle sue faccende soddisfatto di vedere l’ordine divino delle cose e di esserne parte e non sarà tentato dagli sporchi capricci del mondo.

Nel film La belle verte si immagina un mondo evolutosi verso una perfezione cosmica tra essere umani e natura. È interessante osservare come la saggia civiltà aliena, abitante del pianeta verde e il cui compito è ‘sconnettere’ i terrestri, non abbia posto il progresso tecnologico e materiale a zenit del proprio sviluppo ma abbia superato l’attaccamento alla materialità della vita, alle regole sociali e abbia ritrovato una comunione con il cosmo abitato.

Nel saggio Realismo Capitalista, Mark Fisher ci fa riflettere sul fatto che il concetto di realismo, che un tempo si riferiva ad una presa di coscienza della realtà delle cose incontrollabili: “percepita come solida e inamovibile”, oggi “assomiglia alle infinite opzioni di un documento digitale”. (Fisher 2009, 110)

Per Fisher, non siamo più in grado di percepire la realtà del mondo nella sua purezza e continuiamo ad inciampare nell’errore fatale di costruire o consumare prodotti che parlano di realtà ma sono in sostanza tele di contraddizioni e non ‘realistiche’.

Ma, dato che il bisogno di trascendere la personalità cosciente dell’io è un’inclinazione principale dell’anima mortale e che la realtà quotidiana attuale è diventata talmente insostenibile, irrealistica e rarefatta, allora abbiamo cominciato a produrre intrattenimenti dalle parvenze reali ma in realtà fittizi.

Nutrendoci di queste storie tragiche apollinee ma che non considerano l’altra faccia della medaglia, quella legata al brutale mitico, nonché tutta l’esperienza rituale e festiva, pensiamo di alleviarci.

“Siamo stati noi, bianchi ricchi e altamente istruiti, a rimaner nudi dietro. Noi ricopriamo la nostra nudità anteriore con qualche filosofia — cristiana, marxista, freudo-fisicalista — ma dietro rimaniamo scoperti, alla mercé di tutti i venti delle circostanze. Il povero indiano, invece, ha avuto invece l’intelligenza di proteggersi posteriormente aggiungendo alla foglia di fico della teologia i calzoni rattoppati dell’esperienza trascendentale.” (Huxley 1954, 60)

L’esperienza catartica deve tornare a far vedere il mondo come infinitamente importante e gli esseri umani ancora più infinitamente importanti.

I rituali abituali festivi vengono, dagli albori, riconosciuti come utili a produrre individui più industriosi, più moderati, più pacifici: questa è la nozione da imparare da società che ancora oggi praticano questa connessione ciclica carnevalesca, intesa nell’accezione di mondo capovolto.

È dagli anni ‘50 circa — nei suburbs di Londra, saltando poi all’avvento ancora più massiccio di metà anni ‘80 con l’arrivo dell’acid house, che ne ha dato la vera e propria data di nascita — che il dionisiaco si è sfogato nel fenomeno della rave culture: il culto del non luogo in cui liberare i propri istinti e nel quale giocare con le proprie percezioni psichiche per poi uscirne alleviati.

Sicuramente possiamo individuare nella musica elettronica, che comprende un’ampia gamma di stili e varianti, l’immagine del musico dionisiaco di Nietzsche.

Si tratta di un enorme potenziale di aggregazione teso quindi a ricongiungersi all’arcaico.

Oggi svariati festival internazionali e nazionali propongono esperienze estetiche in connubio con la festa: workshop, concerti e performance live. 

La danza ha da subito preso il suo spazio in questi momenti ‘psicomagici’.

Esempi a noi vicini possono essere il Wao festival, il festival Terraforma con performance e spettacoli di danza immersivi all’interno di un labirinto naturale, Muovo Musica che a Milano promuove sperimentazioni live tra teatro e musica elettronica, il progetto Eleusi  di Davide Enia al Piccolo Teatro: una vera e propria maratona, un rave teatrale di 24 ore dal tramonto al tramonto, Orfeo Rave di Michela Lucenti ed Emanuele Conte: un Orfeo che spazia dalla prosa, alla musica elettronica, dalla danza all’arte visiva, pensato appositamente per l’ambiente che lo ospita, il padiglione Jean Nouvel a Genova, Baccanti di Filippo Renda al Teatro Litta di Milano e molti di più nelle realtà europee.

In questi riti officiati dalle ‘baccanti’, la potenza della musica elettronica e la forza delle immagini restituiscono al presente l’archetipo e lo trasformano in emozione per il pubblico.

Il pubblico deve seguire l’opera con il passo di chi non distingue più sé stesso all’interno dell’opera stessa, il passo di chi incespica nella strada del mito ed entra a far parte del rito collettivo.

E se Orfeo non fosse sceso nell’Ade per riportare in vita Euridice, ma per ritrovare una parte di sé che non esisteva più? 

Orfeo cercava il suo stesso dolore e quando lo ha trovato ha dovuto voltarsi e guardarlo, osservarlo da esterno spettatore per gettarsi alle spalle quella parte di sé che era morta insieme a Euridice. 

E le baccanti sono proprio questo: un rave che prende forma.

Orfeo rinuncia alle illusioni proprio come l’uomo che sceglie di entrare nella breccia nel muro che Aldous Huxley cita spesso come il punto di non ritorno di colui che compie il viaggio da spettatore catartico.

Entrambi non saranno mai l’uomo che era partito, l’uomo del principio:

“Più saggio ma meno presuntuoso, più felice, ma meno soddisfatto di sé, più umile nel riconoscere la sua ignoranza, eppure meglio attrezzato per capire il rapporto tra parole e cose, tra ragionamento sistematico e Mistero insondabile che egli cerca, sempre invano, di comprendere” (Huxley 1954, 63).

Se da un lato, come lo stesso Aristotele da cui si è partiti dice, l’uomo è animale sociale e perciò veniamo portati ad uno ‘stare insieme’, agire e reagire gli uni agli altri; dall’altro lato in tutte le circostanze, siamo soli. I martiri quando entrano nell’arena si tengono per mano, ma vengono crocifissi da soli.

Noi godiamo e soffriamo in una solitudine comune e abbiamo perciò necessità di esperienze altrettanto comuni da cui ci è dato osservare quel mondo imborghesito con l’occhio di chi, però, conosce il sublime.

Se riflettiamo sul meccanismo della catarsi vediamo che la lacerazione di ogni orizzonte in senso radicale non consente alle rielaborazioni qui considerate che si realizzi l’efficacia catartica. Si realizza piuttosto un’efficacia ‘reale’ del tipo di un turbamento, di una ferita aperta, di una domanda che viene messa a fuoco. Si tratta comunque di un’efficacia che ha bisogno di ritmi diversi, più profondi e individualizzati di quelli che si è soliti attribuire allo spettacolo e che in questi anni ha prodotto soluzioni radicalmente diverse sul piano della ricezione. In definitiva si tratta di una ‘drammaturgia’ in grado di accompagnare la transizione culturale degli anni che stiamo attraversando. Una ‘drammaturgia’ che assume quella antica come modello liberamente immaginato, come un paradigma per il ritrovamento di connotazioni che la ‘vera’ comunicazione teatrale ha visto depotenziate o smarrite. Si tratta quindi di manifestazioni che camminano sulle orme dell’antico: ma l’oggetto delle origini, il mito, la tragedia e dunque l’essenza dell’umano, fissata con uno sguardo nuovo, finirà per cambiarci e stupirci. 

Bibliografia

  • Aristotele, Poetica, tr.it. e introduz. G.Paduano, Laterza: Roma-Bari, 1998.
  • Aristotele, Politica, tr.it. R.Laurenti, Laterza: Roma-Bari, 2007.
  • J. Campbell, L’eroe dai mille volti, tr.it. F. Piazza, Lindau: Torino, 2016.
  • M. Fisher, Realismo capitalista, tr.it. V. Mattioli, Produzioni Nero: Roma, 2016.
  • W. Hazlitt, L’ignoranza delle persone colte, tr.it. F. de Propris, Fazi: Roma, 2015.
  • A. Huxley, Le porte della percezione- Paradiso e inferno, tr.it. L. Sautto, Mondadori: Milano, 2016.
  • O. James, Il capitalista egoista, tr.it. P. Bonini, Feltrinelli: Milano, 2009.
  • G. Ieranò, Eroi. Le grandi saghe della mitologia greca, Marsilio: Venezia, 2019.
  • G. Lapassade, Dallo sciamano al raver, tr.it. G. de Martino, Feltrinelli: Milano, 2020.
  • F. W. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr.it. S.Giametta, Adelphi: Milano, 1977 [1876].
  • M. Pollan, Come cambiare la tua mente, tr. it. Isabella C. Blum, Adelphi: Milano, 2022.

Filmografia 

  • La belle verte, Coline Serreau, 1996.
  • Le Tout Nouveau Testament, Jaco Van Dormael, 2015.
  • Climax, Gaspar Noé, 2018.
  • Dirty Lines, Pieter Bart Korthuis, 2022.
  • The Midnight Gospel, Pendleton Ward and Duncan Trussell, 2020.
  • Dope Territory, João Correa, 1986.

Playlist

  • Ic Love affair, Gaznevada, 1983                                          
  • Electric Dreams, Little Brunette, 2023.                                
  • Mario pt II, Chassol, 2015.                                                 
  • Jazz is for ordinary people, Berlioz, 2023.                     
  • People are still having sex, Latour, 1991.                         
  • Smack Jack, Nina Hagen, 1982.             

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