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Settembre
4 Settembre 2023

SQUAT­TER

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Il sole bas­so allun­ga­va le sago­me degli ombrel­lo­ni, anco­ra  chiu­si. La spiag­gia davan­ti all’­ho­tel, per­fet­ta­men­te  pet­ti­na­ta, deser­ta.

Non c’era nes­su­no, tran­ne Mar­co.

Lo vede­vo cam­mi­na­re avan­ti e indie­tro, gob­bo sul tele­fo­no,  gesti­co­lan­do.

Tirai le ten­de, mi tol­si l’ac­cap­pa­to­io e andai in bagno a fare  una doc­cia. Quan­do uscii, lui era già in stan­za.

Ave­va gli occhi pic­co­li, per­si fra il nero del­le occhia­ie e  la pel­le gon­fia. Non ave­va dor­mi­to nem­me­no quel­le due ore che  ero riu­sci­ta a fare io. Eppu­re non sem­bra­va arrab­bia­to.

Non mi die­de il buon­gior­no.

«Sem­bra che abbia ragio­ne lei» — dis­se, sen­za guar­dar­mi.  Fin­ge­va di rior­di­na­re qual­co­sa sul­la scri­va­nia.

«No… Non è pos­si­bi­le… Può dav­ve­ro far­lo?»

Mar­co non nasco­se un gesto di fasti­dio:

«Fede­ri­ca, ascol­ta. Ho appe­na riat­tac­ca­to dopo un’o­ra con  l’Av­vo­ca­to» — dis­se, get­tan­do il tele­fo­no sul copri­let­to — «Secon­do te di cosa abbia­mo par­la­to? Del­le nostre vacan­ze in  Gre­cia?»

*

Dio, le vacan­ze in Gre­cia. Le aspet­ta­vo da quat­tro anni, da  quan­do ave­vo ini­zia­to il Master. Quat­tro anni sen­za muo­ve­re  il culo da Bru­xel­les per rispar­mia­re, e stu­dia­re. Poi, un mese  abbon­dan­te in Gre­cia. Era il pia­no. Lo aspet­ta­vo da anni. E  ora era­va­mo in mez­zo a tut­to que­sto.

Mi ricor­do quan­do l’ho det­to a Mar­co, che ave­vo pre­no­ta­to già  tut­to. È impaz­zi­to. Non di gio­ia, no. Lui non è il tipo da  rea­zio­ni posi­ti­ve. Ha comin­cia­to a chie­der­mi ogni par­ti­co­la­re  del­l’or­ga­niz­za­zio­ne e c’è rima­sto male, si vede­va, quan­do ho  det­to che mi ave­va dato una mano Enri­co. Era osses­sio­na­to  dal­l’i­dea che non ce la potes­si­mo per­met­te­re una vacan­za così,  di un mese pie­no, in Gre­cia. Ha comin­cia­to a fare i con­ti.

L’ho inter­rot­to e gli ho det­to:

«Sen­ti Mar­co, que­sta è la mia vacan­za. La aspet­to da quat­tro  anni e la farò. Hai inten­zio­ne di veni­re con me?»

Ha rispo­sto che sì, ma cer­to, cer­to che voglio veni­re è solo  che… Lascia­mo sta­re, ven­go, sicu­ro.

Ma si vede­va benis­si­mo che non era con­vin­to. Lasciai cade­re  il tema, aspet­tan­do che il tem­po gli faces­se accet­ta­re la mia  deci­sio­ne, e nel­le set­ti­ma­ne suc­ces­si­ve non pen­sai ad altro  che non fos­se la ste­su­ra e la discus­sio­ne del­la mia tesi.  Leg­ge­vo e scri­ve­vo. Leg­ge­vo e scri­ve­vo. Leg­ge­vo e scri­ve­vo e

a mala­pe­na man­gia­vo. Mar­co non mi for­za­va a far­lo. Tor­na­va a  casa dal labo­ra­to­rio dov’era ricer­ca­to­re e pre­pa­ra­va la cena,  in silen­zio. Man­gia­va appe­na un po’ di riso con ver­du­re in  cuci­na, con la sco­del­la in mano sul lavel­lo e guar­dan­do la  piog­gia tam­bu­rel­la­re sul­la fine­stra. Io stu­dia­vo sul tavo­lo  del salot­to, l’u­ni­co del­la casa. C’e­ra­va­mo dati la rego­la di

par­lar­si solo dopo le die­ci di sera e fino alle otto del  mat­ti­no, quan­do lui usci­va di casa. Soli­ta­men­te un minu­to dopo  le 22 lui era lì, a schioc­car­mi un bacio sul­la boc­ca dicen­do  casti­go fini­to! ma da quan­do gli ave­vo det­to del­la Gre­cia ave­va  smes­so di far­lo. O alme­no mi sem­bra che sia sta­to da quel  gior­no là.

«Ho tro­va­to una solu­zio­ne» — dis­si una sera.

Mi lan­ciò un’oc­chia­tac­cia: non era­no che le nove.

«Lascia per­de­re la rego­la, e sen­ti: met­tia­mo in affit­to que­sta  casa men­tre sia­mo via, per i turi­sti.»

«Sei paz­za? Sia­mo noi gli affit­tua­ri qui, ed è espli­ci­ta­men­te  vie­ta­to dal con­trat­to. Se lo sco­pro­no ci cac­cia­no fuo­ri, e un  altro posto dove paghia­mo così poco non lo tro­via­mo di que­sti  tem­pi.»

Lo liqui­dai con un’al­za­ta di spal­le.

«Non lo sco­pri­rà nes­su­no, vedrai. Con tre o quat­tro set­ti­ma­ne  di sog­gior­ni turi­sti­ci ci paghia­mo il mese in Gre­cia e anche  il nostro, di cano­ne. È un’idea di Enri­co, mi sem­bra che pos­sa  fun­zio­na­re.»

Sem­bra­va con­tra­ria­to. For­se, di non aver­ci pen­sa­to lui.

«Guar­da che anche con i siti di affit­to case biso­gna  regi­strar­si, e paga­re le tas­se. Hai già pen­sa­to a come fare?»

«Abbia­mo fat­to di meglio: abbia­mo già tro­va­to chi ci paghe­rà  la vacan­za.»

Igno­rai il suo abbia­mo? che masti­cò a mez­za boc­ca. Girai il por­ta­ti­le ver­so di lui e dis­si:

«Lei è Julia McAr­thur, cana­de­se. Ver­rà qui da lune­dì tre a  dome­ni­ca sedi­ci. Lo stes­so gior­no arri­ve­ran­no i Fer­nan­dez, una  cop­pia di madri­le­ni che resta le altre due set­ti­ma­ne. Ci  paghe­ran­no in con­tan­ti, abbia­mo pre­so accor­di via e‑mail. Ho  crea­to un account appo­sta, ti lascio le cre­den­zia­li per  sicu­rez­za. Per­fet­to, no?»

«Come no. Ma il tre ago­sto sare­mo già in Gre­cia: come gli  dia­mo le chia­vi, e spie­ghia­mo tut­to?»

«Ci aiu­te­rà Enri­co. Noi lascia­mo asciu­ga­ma­ni, len­zuo­la e tut­to  quan­to. Lui si occu­pe­rà di rice­ve­re gli ospi­ti e fare i giri  con le chia­vi. Per le puli­zie ho già chia­ma­to Mariel­le, al  soli­to.»

Hai pen­sa­to a tut­to, comin­ciò a dire fra sé e sé, a bas­sis­si­ma  voce, giran­do per la stan­za con le mani die­tro la schie­na. Hai  pen­sa­to pro­prio a tut­to, ripe­te­va.

Lo guar­dai un po’, poi capii che gli ero indif­fe­ren­te. Era  con­cen­tra­to su altro. Mi alzai e andai a scal­dar­mi un po’ di  riso.

Ci ritro­vam­mo nel let­to. La mia abat-jour acce­sa, sta­vo  leg­gen­do. La sua luce, inve­ce, spen­ta. Pen­sa­vo dor­mis­se. Ma a un trat­to, dis­se:

«Que­sta sto­ria non mi pia­ce, non sono d’ac­cor­do.»

Ti pre­oc­cu­pi trop­po, cre­do di aver­gli det­to, pri­ma di spe­gne­re,  e ora sia­mo qui. Qui in Gre­cia, inten­do, con una bel­la gat­ta  da pela­re.

M’e­ro cala­ta nel­la par­te del­l’al­ber­ga­tri­ce per­fet­ta, per cui  nei gior­ni pre­ce­den­ti il suo arri­vo ave­vo spes­so scrit­to a  Julia, la ragaz­za cana­de­se, con­si­gli su cosa vede­re in cit­tà,

qua­li fos­se­ro i posti miglio­ri dove man­gia­re, e cose di que­sto  gene­re. Lei ave­va sem­pre rispo­sto con gen­ti­lez­za, facen­do  doman­de e spie­gan­do qua­li fos­se­ro le cose che pre­fe­ri­va fare.

Noi par­tim­mo, lei arri­vò accol­ta da Enri­co. Si instal­lò, e  dopo una set­ti­ma­na i suoi mes­sag­gi diven­ta­ro­no mono­sil­la­bi­ci.  Teme­vo ci fos­se qual­co­sa che non le pia­ces­se in casa. Ma era peg­gio: le pia­ce­va trop­po.

Per due gior­ni non ero riu­sci­ta a con­tat­tar­la. Ave­vo chie­sto  a Enri­co di pro­va­re ad ave­re noti­zie. Lei s’e­ra limi­ta­ta a  rispon­der­gli che la tua ami­ca, a que­sto pun­to, dovreb­be aver  capi­to la situa­zio­ne.

Inve­ce non ave­vo capi­to pro­prio nien­te, o pre­fe­ri­vo non capi­re.

Ieri sera Julia ave­va invia­to un mes­sag­gio fat­to di let­te­re e  nume­ri. L’a­ve­vo fat­to vede­re a Mar­co. Era sbian­ca­to.

«Se hai capi­to di cosa si trat­ta dim­me­lo, per favo­re…» «Non ne sono sicu­ro, ma… Cer­ca un po’ sul com­pu­ter.» Mi det­tò la pri­ma sequen­za.

«È una con­ven­zio­ne del­le Nazio­ni Uni­te sul dirit­to all’a­bi­ta­re  e…»

«Ah!» — mi inter­rup­pe — «Lascia sta­re le Nazio­ni Uni­te. Quel­la  è car­ta strac­cia. Ti det­to il secon­do rife­ri­men­to.»

«Ma Mar­co, l’O­NU! Come puoi dire che è car­ta strac­cia?» «Fida­ti. Cer­ca que­sto nume­ro.»

Mi det­tò un’al­tra sequen­za.

Leg­gem­mo assie­me il testo cui face­va rife­ri­men­to.

Era una leg­ge del Regno del Bel­gio.

«Pos­si­bi­le? Capi­sci anche tu quel­lo che capi­sco io?»

Mar­co sem­bra­va voler leg­ge­re len­ta­men­te per allon­ta­na­re anco­ra  un minu­to il momen­to in cui pren­de­re atto del­la real­tà.

Quel­la stron­za ci sta­va occu­pan­do la casa. Legal­men­te. Ce la vole­va squat­ta­re, ed era entra­ta dal­la por­ta prin­ci­pa­le. Le leg­gi sem­bra­va­no dal­la sua par­te. Se l’e­ra stu­dia­ta bene.

Oh Signo­re. Oh Signo­re, fa che non sia vero. Oddio no, no, no,  ti pre­go. Non pote­vo cre­de­re che stes­se capi­tan­do dav­ve­ro. Frul­la­vo per la stan­za con le mani in testa.

«Chia­mia­mo la poli­zia» — dis­si.

Ma nei film suc­ce­de sem­pre che poi fan­no da soli. E così  facem­mo anche noi.

«La poli­zia? E che gli dicia­mo? Scu­sa­te, sta­va­mo affit­tan­do  in nero un appar­ta­men­to, ma la stron­za vuo­le resta­re. Ci  aiu­ta­te a cac­ciar­la, ma poi lascia­te per­de­re il nero e tut­to  quan­to?»

«Cosa pen­si di fare, allo­ra? Meglio bec­car­si una mul­ta per  l’af­fit­to in nero che per­de­re la casa» — dis­si.

Mi sem­bra­va tut­to tal­men­te irrea­le che reci­ta­vo bat­tu­te come  fos­si un’attrice.

«Dimen­ti­chi che la per­de­re­mo lo stes­so: è una clau­so­la  espli­ci­ta del con­trat­to. Sia­mo fuo­ri in caso di subaf­fit­to. E  per­dia­mo i tre mesi di capar­ra.»

Ave­va una gran voglia di dir­mi te l’a­ve­vo det­to, ma riu­scì a  trat­te­ner­si. Anche io mi sta­vo trat­te­nen­do dal dir­gli  qual­co­sa.

*

«Te lo ripe­to. L’Av­vo­ca­to ha det­to che ha ragio­ne lei. Ha pre­so  anche infor­ma­zio­ni su Julia. Lo fa spes­so. Lei inten­do: occu­pa  spes­so case. È una pit­tri­ce-home­less, lo scri­ve lei nel suo  stes­so sito.»

«Pit­tri­ce-home­less? Sito? Ma che sta suc­ce­den­do?»

«Sta suc­ce­den­do che ci stan­no fot­ten­do la casa, Fede­ri­ca. E  noi dob­bia­mo riu­sci­re a ripren­der­ce­la. Ho scrit­to per­si­no a  Julia stes­sa, e mi ha rispo­sto.»

«Come, come? Scrit­to? Quan­do? Scrit­to cosa, a quel­la paz­za?»

«Che sarem­mo sta­ti anche dispo­sti a dar­le una mano… A cer­car­le  una siste­ma­zio­ne… che pote­va­mo met­te­re a posto le cose. Cose  così.»

Scrol­lai la testa, incre­du­la.

«Non so come tu abbia fat­to, dav­ve­ro. Io vor­rei solo  stroz­zar­la. E cosa ha rispo­sto? Mh?»

«Che par­le­rà con Enri­co sta­se­ra.»

«Ah. Enri­co, e per­ché?»

«Pare che anche lei abbia un debo­le per lui. Sono usci­ti  assie­me in que­sti gior­ni e…»

Mi salì una vam­pa­ta ros­sa al viso. Non capi­vo più nul­la, e  teme­vo che fos­se inve­ce Mar­co, quel­lo a capi­re. Non riu­sci­vo

a dire più nul­la. Restai sedu­ta sul let­to, in accap­pa­to­io,  ine­be­ti­ta. Mar­co si mise a fare le vali­gie.

Dopo un po’ sem­brò but­ta­re lì, distrat­ta­men­te:

«Non l’a­ve­vi cer­ca­to il suo sito, quel­lo di Julia McAr­thur,  no?»

Feci segno di no con la testa.

Fece un sor­ri­set­to.

«Scen­do a fare cola­zio­ne. Dopo par­tia­mo. Se tut­to va bene  doma­ni sia­mo a casa. Ah, ho usa­to l’account che ave­vi fat­to  per comu­ni­ca­re ai Fer­nán­dez la can­cel­la­zio­ne.»

Casa, sibi­lai.

*

Mar­co pas­sò tut­to il viag­gio ver­so l’ae­ro­por­to impe­gna­to a  scam­biar­si mes­sag­gi al tele­fo­no. Face­va pro­fon­di sospi­ri pri­ma  di pre­me­re invio.

Io sta­vo pen­san­do che era pro­prio quel­la, la vacan­za che  atten­de­vo da quat­tro anni, e sta­va finen­do con due set­ti­ma­ne  di anti­ci­po. E ci sta­va­no occu­pan­do la casa. Che avrem­mo  comun­que per­so, anche se fos­si­mo riu­sci­ti a libe­rar­la. E ci  avreb­be­ro trat­te­nu­to tre mesi di capar­ra, un’e­nor­mi­tà. E ci  avreb­be­ro con­te­sta­to l’af­fit­to in nero, e avrem­mo dovu­to  paga­re del­le mul­te. E con l’assegno di ricer­ca di Mar­co non  ce l’avremmo mai fat­ta.

E nel­la mia testa c’e­ra una gran con­fu­sio­ne, men­tre in quel­la  di Mar­co chis­sà cosa.

Ave­vo limi­ta­to i con­tat­ti con Enri­co, per evi­ta­re di som­ma­re  pro­ble­ma e pro­ble­ma. Sen­ti­vo che Mar­co sape­va.

Atter­ra­ti a Zaven­tem, tro­vam­mo la poli­zia ad aspet­tar­ci. Ci pre­se­ro pri­ma anco­ra che potes­si­mo recu­pe­ra­re le vali­gie.

Nes­su­no si degnò di spie­gar­ci nul­la, fino a che ci fece­ro sali­re sul retro di un fur­go­ne, dove un Inve­sti­ga­to­re si  sedet­te di fron­te a noi e dis­se, sen­za pre­am­bo­li:

«Nel pome­rig­gio Enri­co Ber­ni­ni ha ten­ta­to di intro­dur­si in  casa vostra. A quan­to pare ave­va le chia­vi.»

«Ma che dite? Come “intro­dur­si”? È un ami­co» — mi lasciai  scap­pa­re.

«Allo­ra for­se dovrem­mo rileg­ge­re meglio, maga­ri assie­me,  alcu­ni mes­sag­gi che vi sie­te scam­bia­ti negli ulti­mi mesi,  signo­ri­na. Non so se rien­tri­no nei cano­ni dell’amicizia.»

Non riu­scii nean­che a rea­gi­re alla stu­pi­di­tà di quel­la  pro­vo­ca­zio­ne.

Mar­co inve­ce sem­bra­va tran­quil­lo, come se quel­la sce­na  l’a­ves­se già vista.

«Non ci ave­te anco­ra det­to cos’è suc­ces­so» — dis­se.

«Enri­co Ber­ni­ni è sta­to ucci­so con dicias­set­te col­tel­la­te.  Abbia­mo già rac­col­to la con­fes­sio­ne di Julia McAr­thur. Che si  tro­va­va n casa vostra.»

Un vuo­to for­tis­si­mo si impos­ses­sò del mio sto­ma­co. Sen­tii il  cor­po rico­prir­si di sudo­re. Scop­piai a sin­ghioz­za­re, qua­si  sen­za respi­ra­re.

Oh Signo­re, oh Signo­re… No. No… Enri­co…

«La cosa stra­na signo­ri» — con­ti­nuò il poli­ziot­to, men­tre il  fur­go­ne ci por­ta­va chis­sà dove — «Sarà spie­ga­re come mai non  lo abbia­te avvi­sa­to del peri­co­lo. La McAr­thur ci ha mostra­to  le email nel­le qua­li vi met­te­va in guar­dia sul­la sua volon­tà  di per­pe­tra­re un omi­ci­dio arti­sti­co — una “per­for­man­ce” che

aves­se a tema la vio­la­zio­ne dell’intimità. Vi ave­va scrit­to  espli­ci­ta­men­te che l’avrebbe fat­to. Per­ché man­da­re il Ber­ni­ni  al macel­lo? Lo chie­do soprat­tut­to a lei, signo­ri­na, vista la  sua par­ti­co­la­re rela­zio­ne con il defun­to, e visto che l’ac­count  era a suo nome…»

«Rispon­di all’Ispettore, cara, sii gen­ti­le…» — dis­se Mar­co,  gla­cia­le.

Feci appe­na in tem­po a incro­cia­re il suo sguar­do e a capi­re,  pri­ma di per­de­re i sen­si.

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