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Ottobre
6 Ottobre 2022

SOUS L’EAU

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“Ti ricor­di come ci sia­mo cono­sciu­ti?”

“Cer­to che me lo ricor­do”

I due del­fi­ni piroet­ta­ro­no fra i cam­pa­ni­li di Notre Dame, in un gio­co di spu­me e spi­ra­li azzur­ri­ne. Con­chi­glie di ogni for­ma e colo­re arric­chi­va­no di bas­so­ri­lie­vi le cam­pa­ne di bron­zo del­la vec­chia cat­te­dra­le, men­tre solo le soglio­le piso­la­va­no sul fon­da­le del­la piaz­za. Un gam­be­ro saet­tò in una dire­zio­ne ma con la testa rivol­ta al lato oppo­sto, come tor­men­ta­to allo stes­so tem­po da una gran fret­ta e dal timo­re di una dimen­ti­can­za. Intan­to, i del­fi­ni riav­vol­ge­va­no il nastro del­la loro sto­ria.

“Rac­con­ta­me­lo di nuo­vo…”

“Sta­vo scap­pan­do da quel­la rete a stra­sci­co. A un cer­to pun­to, una gros­sa ener­gia mi ha spin­to ver­so l’alto, e ho fat­to un sal­to pro­di­gio­so! Quan­do sono riat­ter­ra­to in acqua, l’orrendo pesche­rec­cio era anco­ra lì al mio fian­co; ma capo­vol­to, e con la rete che ora gli sta­va sopra come una nuvo­la scu­ra di piog­gia. Vi ho visto scap­pa­re a miglia­ia, e fra que­ste miglia­ia di ton­ni, ora­te, spi­go­le, tar­ta­ru­ghe e rifiu­ti di pla­sti­ca, c’era anche la del­fi­na più bel­la del mon­do…”.

I due del­fi­ni si scam­bia­ro­no un tene­ro bacio, si but­ta­ro­no in uno dei due cam­pa­ni­li e poi giù per gli sca­li­ni inter­ni. Una vol­ta fuo­ri, anda­ro­no a sgran­chir­si un po’ la coda per Quai de la Tour­nel­le. Le pale del Mou­lin Rou­ge, in lon­ta­nan­za, era­no tut­te coper­te di alghe, e den­tro si annun­cia­va uno spet­ta­co­lo per soli mam­mi­fe­ri, ma i due del­fi­ni ave­va­no altri pro­gram­mi. “Pari­gi coper­ta dall’acqua, tut­ta per noi: cosa potrem­mo desi­de­ra­re di più?”.

Mol­to più lon­ta­no, all’altezza di Ivry-sur-Sei­ne, un vec­chio pol­po ave­va deci­so di far­la fini­ta. In una stan­za all’ultimo pia­no dell’albergo più squal­li­do del quar­tie­re, aprì la fine­stra. Tirò fuo­ri i ten­ta­co­li, e per l’ultima vol­ta sen­tì il rumo­re del traf­fi­co, del­la con­fu­sio­ne, dell’indifferenza. Quin­di uscì, facen­do atten­zio­ne che le ven­to­se fos­se­ro ben sal­de sui vetri. Qual­che pas­san­te indi­cò la stra­na sago­ma appe­sa al muro del vec­chio hotel,  le mas­sa­ie ai bal­co­ni del­le case popo­la­ri comin­cia­ro­no a stre­pi­ta­re, e pian pia­no i giar­di­ni con­do­mi­nia­li e i ter­raz­zi si riem­pi­ro­no di curio­si: scor­fa­ni appe­na tor­na­ti dal lavo­ro, pic­co­le acciu­ghi­ne distrat­te anco­ra una vol­ta dai com­pi­ti per l’indomani, ric­ci di mare sor­pre­si nel mez­zo di una labo­rio­sa ceret­ta.

Arri­vò la poli­zia, e subi­to avvi­si al mega­fo­no giun­se­ro ai ten­ta­co­li del pol­po, le cui ven­to­se, pri­ma impau­ri­te, ora fre­me­va­no di ecci­ta­zio­ne all’idea di lascia­re la pre­sa. Il pol­po avver­tì che qual­cu­no si sta­va avvi­ci­nan­do cor­ren­do a per­di­fia­to sul­le ram­pe dell’albergo; atte­se che il per­so­na­le arri­vas­se al pia­no, che capis­se qual era la sua stan­za, che giras­se­ro la chia­ve nel­la ser­ra­tu­ra del­la por­ta, che affer­ras­se­ro la mani­glia, che spa­lan­cas­se­ro l’anta…E final­men­te, tro­vò il corag­gio di lasciar­si anda­re.

Pur­trop­po, o per for­tu­na, il pol­po comin­ciò sem­pli­ce­men­te ad affon­da­re, con gra­zia. Da quan­do il livel­lo del­le acque si era innal­za­to, sui­ci­dar­si non era mica affa­re così sem­pli­ce. Per il ner­vo­si­smo comin­ciò a emet­te­re una nuvo­la di inchio­stro neris­si­ma e den­sa, con il qua­le alme­no spe­ra­va di rovi­na­re l’ora del varie­tà a qual­che alle­gra fami­glio­la di car­pe, delu­sa da que­sto suo enne­si­mo fal­li­men­to. Non sapen­do cosa fare, si girò ver­so la Tour Eif­fel. La cima del­la Tor­re sfug­gi­va alle acque, a cui con­ce­de­va sol­tan­to un’immagine sfug­gen­te dai con­tor­ni rifrat­ti. Dal nul­la, lo col­se un’illuminazione, e si lasciò quin­di tra­spor­ta­re dal­la cor­ren­te ver­so Tro­ca­de­ro. L’avrebbe fat­ta fini­ta, una vol­ta per tut­te.

A Pla­ce De La Con­cor­de , due luc­ci enor­mi e argen­ta­ti pas­seg­gia­va­no, con l’intenzione poi di risa­li­re lun­go il Jar­di­ne des Tui­lie­res. Era­no a cac­cia di qual­che bel­la soglio­la, o anche una spi­go­la, ma sareb­be anda­ta bene anche una capa­san­ta, o una coz­za qual­sia­si. Di cer­to, c’era che non si sen­ti­va­no par­ti­co­lar­men­te schiz­zi­no­si.

Era sta­ta una for­tu­na per loro che l’acqua aves­se improv­vi­sa­men­te alla­ga­to tut­ta la cit­tà. Non era­no più obbli­ga­ti a guaz­za­re nel­la Sen­na a e guar­da­re la Vil­le solo dal bas­so, dove mai capi­ta­va di imbat­ter­si nel­le sinuo­se for­me di una mure­na; al limi­te, qual­che pesce gat­ta baf­fu­ta dai faci­li costu­mi. Quan­do il mare ave­va inva­so Pari­gi, dal­la feli­ci­tà in quat­tro e quattr’otto ave­va­no con­tri­bui­to a ren­der­la vivi­bi­le anche per le sue nuo­ve abi­tan­ti. Ini­zial­men­te, le pescio­li­ne, le cro­sta­ci­ne e le mam­mi­fe­ri­ne acqua­ti­che appe­na arri­va­te dal­le coste dell’Oceano Atlan­ti­co e dal­le fred­de acque del­la Mani­ca si era­no dimo­stra­te mol­to gra­te ver­so i gros­si e pra­ti­ci luc­ci pari­gi­ni, ipno­tiz­za­te com’erano dal loro sguar­do amma­lian­te, dal­la loro loqua­ci­tà pro­di­gio­sa; i due com­pa­ri non pote­va­no dire di non aver­ne appro­fit­ta­to. Ma una vol­ta pas­sa­to il fasci­no del­la novi­tà, le nuo­ve arri­va­te comin­cia­ro­no a esse­re con­qui­sta­te dal­le for­me e dai mera­vi­glio­si colo­ri dei pesci tro­pi­ca­li che ave­va­no comin­cia­to a flui­re a Pari­gi da altri lidi ben più eso­ti­ci, appro­fit­tan­do dell’inondazione di ogni ter­ra emer­sa. I pove­ri luc­ci non pote­ro­no nul­la con­tro le gran­di code ele­gan­ti e vario­pin­te dei pesci com­bat­ten­ti, l’autorità squa­dra­ta e mas­sic­cia degli ido­li more­schi, o le tro­va­te stra­va­gan­ti dei pesci Picas­so; una vol­ta com­pa­ri nel­la for­tu­na, ver­sa­va­no in un momen­to di disgra­zia.

Pre­se­ro due pomo­do­ri di mare al barac­chi­no di fian­co al Lou­vre. Men­tre man­gia­va­no, una nuvo­la di fumo nero si alzò dal­la peri­fe­ria sud del­la cit­tà.

“Ci deve esse­re sta­to un inci­den­te” dis­se una pic­co­la stel­la mari­na alla sua ami­ca ostri­ca, poco lon­ta­no.

“Oh come vor­rei anda­re a vede­re…” rispo­se lei. “Fam­mi con­trol­la­re sul­la map­pa…”

“Mi dispia­ce delu­der­vi” dis­se il luc­cio più spi­glia­to, “ma quel­lo non è un inci­den­te”

“Scu­si?” rispo­se­ro loro due.

“Fida­te­vi” inter­ven­ne l’altro, non eccel­len­te nel pri­mo approc­cio, ma otti­ma spal­la “Sapreb­be rico­no­sce­re il sui­ci­dio di un pol­po da due­cen­to chi­lo­me­tri di distan­za. E di soli­to sa indo­vi­na­re anche l’indirizzo esat­to in cui si tro­va”

“Ma suc­ce­de spes­so da que­ste par­ti?” chie­se curio­sa l’ostrica, che comin­cia­va pian pia­no ad aprir­si ai due nuo­vi inter­lo­cu­to­ri.

“Con­ti­nua­men­te signo­ri­na, i vec­chi pol­pi si rin­co­glio­ni­sco­no al pun­to da dimen­ti­car­si che non è più pos­si­bi­le but­tar­si dai palaz­zi, e quin­di ci pro­va­no e ci ripro­va­no e ci ripro­va­no ogni vol­ta, sen­za suc­ces­so. Pomo­do­ro di mare?”

“Io ave­vo sen­ti­to che i pol­pi era­no inve­ce ani­ma­li mol­to intelligenti…deve esse­re un pol­po mol­to tor­men­ta­to per fare un gesto così effe­ra­to, sen­za con­si­de­ra­re que­ste assur­de amne­sie…” dis­se l’ostrica con tono pro­fon­do, qua­si cli­ni­co, sgra­noc­chian­do poi un po’ di pomo­do­ro. Il luc­cio spi­glia­to rise con lei quan­do uno schiz­zo di suc­co le mac­chiò il guscio, facen­do­la arros­si­re.

“Biso­gne­reb­be anda­re a veri­fi­car­lo di per­so­na” dis­se il luc­cio spal­la con non­cha­lan­ce, qua­si pen­sie­ro­so.

“Oh, voi quin­di potre­ste por­tar­ci là?” abboc­ca­ro­no subi­to le due pre­de, rinun­cian­do a un poco d’innocenza ed esa­ge­ran­do con l’ingenuità.

“Cer­ta­men­te, è di sicu­ro dal­le par­ti di Saint Denis”, e così i due luc­ci indi­ca­ro­no galan­te­men­te la stra­da alle due gio­va­ni inver­te­bra­te, che volen­tie­ri si fece­ro accom­pa­gna­re nel­la dire­zio­ne esat­ta­men­te oppo­sta a quel­la del­la gros­sa nuvo­la nera. Nes­su­no pro­te­stò per que­sto cam­bio di dire­zio­ne. Né quell’allegra com­pa­gnia fece caso alla sago­ma nera del pol­po, che arri­va­ta fino alla cima del­la Tor­re Eif­fel, era miste­rio­sa­men­te scom­par­sa.

I due del­fi­ni si tro­va­va­no a Tro­ca­de­ro, ai pie­di del­la mae­sto­sa tor­re d’acciaio sim­bo­lo del­la cit­tà, ormai sem­pre più rosic­chia­ta dal­la rug­gi­ne. Deci­se­ro di far­si una foto, per non dimen­ti­ca­re quel momen­to mera­vi­glio­so. Ma nel ten­ta­ti­vo di met­ter­si in posa, ingag­gia­ro­no una lun­ga e smie­la­ta serie di sman­ce­rie, lascian­do che la mac­chi­na foto­gra­fi­ca vol­teg­gias­se per qual­che secon­do nell’acqua. Non si accor­se­ro quin­di dell’amo bef­far­do che, aggan­cia­ta la mac­chi­na foto­gra­fi­ca, la por­ta­va rapi­da­men­te ver­so la cima del­la Tor­re.

“Ce l’ho fat­ta!” esul­tò il ragaz­zo, quan­do dall’acqua emer­se l’estremità del filo con appe­sa all’amo la mac­chi­na. “Te l’avevo det­to che era ana­lo­gi­ca! Che clas­se que­sti pesci” dis­se, par­lan­do ad un batuf­fo­lo di cap­pel­li bion­do bagna­ti e scu­ri che emer­ge­va­no dal mare. “Bel­lis­si­mo, ma sono mam­mi­fe­ri” dis­se lei, arram­pi­can­do­si sul­la ter­raz­za per andar­si ad asciu­ga­re. Quan­do tor­nò da lui, il tra­mon­to tin­ge­va di ros­so quell’enorme diste­sa di mare, che insie­me alla col­li­na di Mont­mar­tre era ora­mai l’unica cosa che pote­va­no vede­re da quan­do le acque ave­va­no com­ple­ta­men­te inva­so le ter­re emer­se, e a loro era venu­ta la paz­za idea di rifu­giar­si sul­la cima del loro monu­men­to pre­fe­ri­to a Pari­gi. Ter­ri­bi­li ter­re­mo­ti ave­va­no deva­sta­to il loro pae­se d’origine, e in veri­tà qua­lun­que luo­go del­la ter­ra che non fos­se Pari­gi. Il ragaz­zo scat­tò una foto di sfug­gi­ta alla ragaz­za, che sor­ri­se più splen­den­te del sole copren­do­si con una mano lo sguar­do acce­ca­to da un flash non neces­sa­rio, vista l’intensità di quel tra­mon­to insan­gui­na­to. Lui si per­se nel suo nuo­vo pas­sa­tem­po. Soli­ta­men­te, non face­va altro che pesca­re con quell’enorme len­za che si era pro­cu­ra­to rovi­stan­do in un pesche­rec­cio capo­vol­to emer­so una sera all’orizzonte; o cuci­na­re il pesce e i frut­ti di mare che si avven­tu­ra­va­no fino alla loro nuo­va casa. Dopo aver fini­to il rul­li­no, per l’entusiasmo il ragaz­zo si con­ces­se un bagno al tra­mon­to. Quan­do rie­mer­se dall’acqua, lei lo guar­da­va sor­ri­den­te con la testa appog­gia­ta ai pal­mi del­le mani.

“Ti pia­ce­ran­no tan­tis­si­mo le foto, te ne ho fat­ta qual­cu­na men­tre nuo­ta­vi!” dis­se lui. Lei intan­to ride­va, diver­ti­tis­si­ma da qual­co­sa che gli sfug­gi­va.

“Per­ché ridi?”

“Dove hai inten­zio­ne di svi­lup­par­le?”

Il ragaz­zo si rese con­to del pro­ble­ma. Si girò ver­so il sole che tra­mon­ta­va, poi di nuo­vo ver­so la balau­stra, e poi anco­ra dirim­pet­to al sole, in un moto qua­si ondo­so. Non c’era in effet­ti nient’altro da guar­da­re. Gli era anda­ta male? Fino­ra, era abba­stan­za sicu­ro di no. Le foto soli­ta­men­te ser­vo­no a con­ser­va­re ricor­di che altri­men­ti si per­de­reb­be­ro nel nul­la. Ma Pari­gi era ormai subac­quea, e non c’era il peri­co­lo di dimen­ti­car­si come dove­va esse­re il tra­mon­to sul mare, visto che lo vede­va ogni san­to gior­no. Per un secon­do si fece pren­de­re dal­la malin­co­nia. Ma poi un gab­bia­no si posò sull’antenna del­la Tor­re. Ogni mat­ti­na si sve­glia­va e par­ti­va alla ricer­ca di qual­co­sa, ogni sera tor­na­va. Il ragaz­zo non sape­va se il gab­bia­no aves­se mai tro­va­to quel­lo che cer­ca­va. Eppu­re, l’uccello sem­bra­va estre­ma­men­te tran­quil­lo, qua­si sag­gio.

“Sei tri­ste? Non avrei dovu­to dir­te­lo”

Il ragaz­zo si ricor­dò di non esse­re da solo. Sor­ri­se, e uscì dall’acqua, non pri­ma di aver schiz­za­to quel­la sim­pa­ti­ca bion­di­na.

“Sta­se­ra pol­po, quin­di?”

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