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Giugno
22 Giugno 2023

RIBEL­LAR­SI PER IL SISTE­MA

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Cos’è più tri­ste: un ribel­le che fal­li­sce moren­do per la sua cau­sa o uno che vie­ne inglo­ba­to dal siste­ma e vede il sen­so del­la sua cau­sa diluir­si fino a scom­pa­ri­re?

Tut­to ciò che cir­con­da il tema del­la ribel­lio­ne è mate­ria deli­ca­ta. Se il suo signi­fi­ca­to vie­ne frain­te­so la ribel­lio­ne rischia non sol­tan­to di esse­re inu­ti­le, ma soprat­tut­to con­tro­pro­du­cen­te. A vol­te ini­zia­re ragio­nan­do sul­le paro­le è uti­le a capi­re in che modo usia­mo i con­cet­ti che que­ste paro­le dovreb­be­ro espri­me­re. Que­sto è quel­lo che cer­che­rò di fare con il con­cet­to di ribel­lio­ne.

La paro­la “ribel­lio­ne”

Il ter­mi­ne “ribel­lio­ne” è rela­ti­vo al ver­bo “ribel­lar­si” che, come tut­ti i ver­bi rifles­si­vi, è ambi­guo. La rifles­si­vi­tà coin­vol­ge il sog­get­to, un’a­zio­ne auto­ri­fe­ri­ta che tut­ta­via richie­de sem­pre un ogget­to per ese­guir­si. Dal pun­to di vista lin­gui­sti­co, l’at­to del­la ribel­lio­ne riguar­da quin­di in pri­mo luo­go chi si ribel­la. In un cer­to sen­so, la ribel­lio­ne non nasce tan­to nel­l’at­to del­la ribel­lio­ne, quan­to nel pen­sie­ro del ribel­le, o, meglio anco­ra, nel­la sua emo­zio­ne.

C’è inol­tre un’an­co­ra più affa­sci­nan­te ambi­gui­tà nel­le pre­po­si­zio­ni: il popo­lo si ribel­la al gover­no o con­tro il gover­no? Si trat­ta di un movi­men­to dia­lo­gi­co che ten­de in qual­che modo la mano o c’è sem­pre ine­vi­ta­bil­men­te la misu­ra del­lo scon­tro? Sem­bre­reb­be natu­ra­le pro­pen­de­re per la secon­da alter­na­ti­va, soste­ne­re che la ribel­lio­ne è sem­pre un atto di scon­tro, meglio anco­ra se vio­len­to. Eppu­re, a vol­te, il ribel­le non deve per for­za sca­gliar­si con­tro il suo ogget­to di ribel­lio­ne: l’a­do­le­scen­te che si ribel­la ai suoi geni­to­ri può alza­re la voce, ma può anche fug­gi­re. Insom­ma, men­tre altri ter­mi­ni atti­gui (”disob­be­dien­za”, “som­mos­sa”, “insur­re­zio­ne”, “rivo­lu­zio­ne”, “rivol­ta”…) sem­bra­no inca­sel­lar­si per bene in un appa­ra­to seman­ti­co, fat­to di vio­len­za o paci­fi­smo, scon­tro o allon­ta­na­men­to, la ribel­lio­ne in sen­so astrat­to gal­leg­gia su una super­fi­cie più inde­ter­mi­na­ta.

Pren­dia­mo ad esem­pio la disob­be­dien­za: volen­do inten­de­re que­sto ter­mi­ne nel suo signi­fi­ca­to più let­te­ra­le pos­si­bi­le cre­do che inten­da un atto di per sé neu­tro: la sem­pli­ce del­la rot­tu­ra del­l’ob­be­dien­za, fos­s’an­che taci­ta e pas­si­va, nei con­fron­ti di una nor­ma, di un pac­chet­to di nor­me, o di un siste­ma inter­no. La disob­be­dien­za non ha in sé un valo­re di alcun segno. Può esse­re orien­ta­ta all’e­goi­sti­co tor­na­con­to per­so­na­le, che pro­li­fi­ca nel­le pie­ghe del siste­ma stes­so; come può esse­re orien­ta­ta al sov­ver­ti­men­to di que­st’ul­ti­mo. Ma anche in que­sto caso il sov­ver­ti­men­to può esse­re indi­riz­za­to ver­so la distru­zio­ne cao­ti­ca, il van­tag­gio indi­vi­dua­le — o del pro­prio grup­po ristret­to — o ver­so la giu­sti­zia di tut­ti. Sono tre casi mol­to diver­si fra di loro. Insom­ma, sia lo schia­vo che fug­ge dal­la sua con­di­zio­ne di schia­vi­tù, sia il delin­quen­te che vuo­le arric­chir­si pro­li­fe­ran­do nel­lo sta­tus quo, sia il rivo­lu­zio­na­rio e il diser­to­re sono ugual­men­te disob­be­dien­ti.

Ma se la disob­be­dien­za è strap­par­si la fle­bo dal brac­cio, la ribel­lio­ne è far­lo nel­la con­vin­zio­ne che il far­ma­co sia sba­glia­to. Dal pun­to di vista stret­ta­men­te eti­mo­lo­gi­co (dal lati­no rebel­lum) la ribel­lio­ne indi­ca una vera e pro­pria guer­ra, non sol­tan­to com­bat­tu­ta, ma ri-com­bat­tu­ta, con­tro il risul­ta­to di una guer­ra pre­ce­den­te, anche anti­chis­si­ma nel tem­po; risul­ta­to che si avver­te come insod­di­sfa­cen­te. In que­sto sen­so la disob­be­dien­za può rap­pre­sen­ta­re al mas­si­mo una bat­ta­glia. Per diven­ta­re ribel­lio­ne, per diven­ta­re guer­ra, ser­vo­no alcu­ni attri­bu­ti in più. Ogni ribel­lio­ne, innan­zi­tut­to, è stret­ta­men­te con­nes­sa al pro­prio siste­ma.

Ribel­lar­si per il siste­ma

Quel­la che all’apparenza può sem­bra­re una ste­ri­le pole­mi­ca su una que­stio­ne lin­gui­sti­ca, è inve­ce un pun­to cru­cia­le al cen­tro del tema del­la ribel­lio­ne. Un frain­ten­di­men­to a riguar­do non com­por­ta sol­tan­to un disgui­do teo­ri­co, ma rap­pre­sen­ta un peri­co­lo e un osta­co­lo per tut­te le ribel­lio­ni rea­li. Chia­ri­re la natu­ra del­la ribel­lio­ne è quin­di di impor­tan­za radi­ca­le.

Innan­zi­tut­to, in un cer­to sen­so, una vol­ta ela­bo­ra­to il momen­to sog­get­ti­vo, la ribel­lio­ne non si rivol­ge tan­to a un ogget­to, con il por­ta­to di defi­ni­zio­ne e con­no­ta­zio­ne che que­sto ter­mi­ne com­por­ta, quan­to piut­to­sto a un siste­ma, qual­co­sa di più ampio, rizo­ma­ti­co e inde­fi­ni­to. Per quan­to i geni­to­ri o il gover­no pos­sa­no sem­bra­re gli ogget­ti uni­vo­ci del­la ribel­lio­ne, sono più che altro feno­me­ni di siste­mi come la geni­to­ria­li­tà o il pote­re poli­ti­co. Più o meno con­sa­pe­vol­men­te il ribel­le intrat­tie­ne una rela­zio­ne con  que­sti siste­mi, è con que­sti siste­mi che fa i con­ti.

Ciò non smi­nui­sce l’importanza degli ogget­ti, ma la inclu­de in un cam­po più ampio. Ovvia­men­te l’adolescente si ribel­la al padre, non alla geni­to­ria­li­tà, ma a un livel­lo più pro­fon­do e spes­so incon­scio, lo fa per diven­ta­re egli stes­so un poten­zia­le padre miglio­re, ciò a pre­scin­de­re dal suo effet­ti­vo atto pro­crea­ti­vo. Il sud­di­to si ribel­la al monar­ca per diven­ta­re cit­ta­di­no.

Men­tre l’atto con­flit­ti­vo in sé può esse­re disob­be­dien­za, rivol­ta o som­mos­sa a secon­da del­le moda­li­tà con cui si espli­ca, e il cam­bia­men­to repen­ti­no, strut­tu­ra­le e defi­ni­ti­vo del siste­ma si chia­ma rivo­lu­zio­ne, sol­tan­to il con­cet­to di ribel­lio­ne è in gra­do di espri­me­re quel­la dan­za ambi­gua che sus­si­ste fra ribel­le e siste­ma

Ad ogni modo, se in rela­zio­ne a un ogget­to, l’atto di ribel­lio­ne è un con­tro, non lo è qua­si mai in rife­ri­men­to al siste­ma che quell’oggetto rap­pre­sen­ta. Non è nep­pu­re det­to che ci si deb­ba ribel­la­re da un siste­ma, come se si trat­tas­se di una for­ma di libe­ra­zio­ne. Spes­so è pos­si­bi­le che la ribel­lio­ne avven­ga per il siste­ma, a suo favo­re.

Esi­sto­no anche alcu­ni spe­ci­fi­ci casi in cui que­sto tipo di rela­zio­ne fra ribel­lio­ne e siste­ma vie­ne espli­ci­ta­ta. Alcu­ni sono con­fi­na­ti alle rap­pre­sen­ta­zio­ni media­ti­che, per le qua­li l’esplicitazione è asser­vi­ta a neces­si­tà nar­ra­ti­ve, ma in altri casi que­ste espli­ci­ta­zio­ni sono vere e pro­prie pro­fes­sio­ni. È il caso, ad esem­pio, dei cosid­det­ti Ethi­cal Hac­ker.

Ethi­cal Hac­ker

La nostra socie­tà ha un rap­por­to con­fu­so con la figu­ra dell’hacker. Nell’immaginario col­let­ti­vo que­sto “cri­mi­na­le infor­ma­ti­co” lavo­ra sol­tan­to di not­te, al buio, con il cap­puc­cio sul­la testa e la masche­ra di Ano­ny­mous sul vol­to. Ovvia­men­te, lo sce­na­rio è un po’ più com­ples­so. Come per i pira­ti, gli hac­ker sono cir­con­da­ti da un’au­ra media­ti­ca che da un lato li nobi­li­ta dall’altra li ste­reo­ti­piz­za.

Esi­sto­no ovvia­men­te gli hac­ker sciol­ti, più o meno ano­ni­mi, più o meno orga­niz­za­ti, che met­to­no le pro­prie abi­li­tà a ser­vi­zio di nobi­li cau­se ribel­li. Ma ci sono ovvia­men­te anche hac­ker che si allon­ta­na­no da que­sta figu­ra. Da un lato, ad esem­pio, abbia­mo i cosid­det­ti hac­ker black hat: cri­mi­na­li veri e pro­pri che vio­la­no siste­mi infor­ma­ti­ci con l’intento di trar­re un gua­da­gno da un riscat­to, dif­fon­de­re un virus, distrug­ge­re dati o comun­que arre­ca­re un dan­no. Dall’altro lato ci sono i whi­te hat hac­ker, spes­so defi­ni­ti ethi­cal hac­ker. Que­sti ulti­mi, pur uti­liz­zan­do le stes­se tec­ni­che dei pri­mi, non han­no come obiet­ti­vo quel­lo di dan­neg­gia­re una rete infor­ma­ti­ca, ma, al con­tra­rio, di raf­for­zar­la. Gli hac­ker whi­te hat ven­go­no diret­ta­men­te assun­ti da ban­che, azien­de o altri tipi di enti, con la man­sio­ne spe­ci­fi­ca di ten­ta­re di vio­la­re i pro­pri siste­mi di sicu­rez­za infor­ma­ti­ca, per poi con­se­gna­re un rap­por­to con tut­te le fal­le ripor­ta­te. Nell’organico dell’azienda, del­la ban­ca o dell’ente ci saran­no poi una o più figu­re spe­cia­liz­za­te in cyber­se­cu­ri­ty che avran­no il com­pi­to di pro­teg­ge­re il siste­ma, ren­den­do sem­pre più dif­fi­ci­le l’accesso agli hac­ker. Una sor­ta di guar­dia e ladri infor­ma­ti­ca, codi­fi­ca­ta e con­trol­la­ta.

In casi come que­sto è evi­den­te che sia pro­prio il siste­ma stes­so a bene­fi­cia­re dal ten­ta­ti­vo di ribel­lio­ne, dall’atto di sfi­da, addi­rit­tu­ra dal­la rot­tu­ra for­za­ta del­le rego­le. Più il ten­ta­ti­vo di ribel­lio­ne buo­na e pro­gram­ma­ta, ope­ra­to però con le stes­se strut­tu­re tec­ni­che di quel­la malin­ten­zio­na­ta, va a buon fine, più il siste­ma tro­va ener­gia per raf­for­zar­si.

Chia­ra­men­te quel­lo appe­na cita­to è un caso limi­te. E si potreb­be anche facil­men­te obiet­ta­re che il lavo­ro svol­to da un Ethi­cal Hac­ker non sia una vera ribel­lio­ne, pro­prio per­ché svol­to di comu­ne accor­do con il siste­ma. Ma lo sco­po di que­sto esem­pio non è tan­to quel­lo di ritro­va­re l’operatività del model­lo nel­la vita rea­le, quan­to sug­ge­ri­re che anche nel­la vita rea­le esi­sto­no model­li para­dig­ma­ti­ci che espli­ci­ta­no que­sta strut­tu­ra.

Hang The DJ

Come sem­pre acca­de, lì dove non arri­va la real­tà ci pen­sa l’arte, e in par­ti­co­lar modo la nar­ra­zio­ne, a model­liz­za­re vari tipi di rela­zio­ne. Quel­la fra siste­ma e ribel­lio­ne non fa ecce­zio­ne.

Hang The DJ è un epi­so­dio del­la popo­la­re serie tv bri­tan­ni­ca Black Mir­ror, anda­to in onda per la pri­ma vol­ta nell’inverno del 2017. Come in mol­ti altri epi­so­di del­la serie, al cen­tro del­la tra­ma c’è una deri­va disto­pi­ca di una tec­no­lo­gia con­tem­po­ra­nea.

[SPOI­LER ALERT]

Le rela­zio­ni amo­ro­se sono gesti­te da un siste­ma di intel­li­gen­za arti­fi­cia­le chia­ma­to Coach. I pro­ta­go­ni­sti del­la sto­ria sono Amy e Frank, accop­pia­ti dal Coach per poco tem­po, desti­na­ti poi ad altre rela­zio­ni disa­stro­se e fat­ti rin­con­tra­re anni dopo. Desti­na­ti nuo­va­men­te all’abbandono i due deci­do­no di ribel­lar­si e scap­pa­re. A que­sto pun­to capi­sco­no che tut­ta la loro real­tà è una simu­la­zio­ne vir­tua­le. Nel mon­do rea­le l’algoritmo di un’app di incon­tri ha simu­la­to la loro sto­ria per mil­le vol­te. Nove­cen­to novan­tot­to Amy e Frank si sono ribel­la­ti, sta­bi­len­do dun­que una per­cen­tua­le di com­pa­ti­bi­li­tà del 99.8% fra Amy e Frank in car­ne ed ossa. Non potreb­be esser­ci esem­pio più espli­ci­to.

Sol­tan­to con l’atto di ribel­lio­ne nei con­fron­ti dell’algoritmo i pro­ta­go­ni­sti di que­sta sto­ria pos­so­no con­fer­ma­re il sen­so dell’algoritmo stes­so, e addi­rit­tu­ra la sua effi­ca­cia. Il siste­ma stes­so con­tem­pla la pos­si­bi­li­tà del­la ribel­lio­ne come suo sen­so ulti­mo; e la ribel­lio­ne, a sua vol­ta, inve­ce di fug­gi­re dal siste­ma o di lot­tar­ci con­tro, gli è total­men­te asser­vi­ta, esi­ste affin­ché il siste­ma abbia signi­fi­ca­to.

Un posto al sol dell’avvenire

Fac­cia­mo anche un paio di esem­pi più con­cre­ti:

Il pri­mo è quel­lo del­le “comu­ni­tà auto­ge­sti­te”. Con que­sta espres­sio­ne s’intendono quel­le comu­ni­tà che si orga­niz­za­no auto­no­ma­men­te, sen­za la neces­si­tà di una gerar­chia o di un’au­to­ri­tà cen­tra­le. Que­ste comu­ni­tà cer­ca­no di crea­re un siste­ma alter­na­ti­vo a quel­lo domi­nan­te, in cui le deci­sio­ni sono pre­se in modo demo­cra­ti­co e le risor­se sono con­di­vi­se equa­men­te. Le comu­ni­tà auto­ge­sti­te esi­sto­no già oggi in tut­to il mon­do, dal­le coo­pe­ra­ti­ve agri­co­le ai col­let­ti­vi urba­ni, e in mol­te occa­sio­ni rap­pre­sen­ta­no un’al­ter­na­ti­va con­cre­ta all’attuale siste­ma capi­ta­li­sti­co occi­den­ta­le.

Una cosa simi­le acca­de con le piat­ta­for­me peer-to-peer. Si trat­ta di siste­mi di con­di­vi­sio­ne e scam­bio infor­ma­ti­ci che per­met­to­no agli uten­ti di col­la­bo­ra­re in modo diret­to, sen­za l’in­ter­me­dia­zio­ne di una qual­che for­ma di cen­tro. Que­ste piat­ta­for­me cer­ca­no di crea­re un siste­ma in cui le risor­se sono con­di­vi­se equa­men­te e il pote­re è distri­bui­to in modo più demo­cra­ti­co. Esem­pi di piat­ta­for­me peer-to-peer sono Bit­Tor­rent e Nap­ster. Sul­la stes­sa ideo­lo­gia liber­ta­ria si basa­no anche gli usi più con­tem­po­ra­nei e popo­la­ri del­la tec­no­lo­gia bloc­k­chain, pri­mo fra tut­ti l’immensa dif­fu­sio­ne del­le crip­to­va­lu­te come Bit­coin.

In entram­bi i casi risul­ta evi­den­te come que­ste for­me di ribel­lio­ne ai siste­mi domi­nan­ti — socie­tà capi­ta­li­sti­ca, siste­ma tele­ma­ti­co cen­tra­liz­za­to —  non abbia­no asso­lu­ta­men­te come obiet­ti­vo quel­lo di distrug­ge­re i siste­mi in cui ope­ra­no- socie­tà, siste­ma tele­ma­ti­co ‑ma voglio­no modi­fi­car­ne la dire­zio­ne, l’aggettivo che a quel siste­ma può esse­re attac­ca­to.

Entram­bi gli esem­pi, inol­tre, dimo­stra­no come il ter­mi­ne “ribel­lio­ne” non impli­chi obbli­ga­to­ria­men­te il cam­bia­men­to com­ple­to e defi­ni­ti­vo dell’aggettivo in que­stio­ne, ma pos­sa limi­tar­si a per­se­gui­re la con­qui­sta di uno spa­zio di auto­no­mia e di alter­na­ti­va nel qua­le un agget­ti­vo diver­so pos­sa ave­re sen­so di esi­ste­re. In que­sto sen­so, si può leg­ge­re la ribel­lio­ne come un gio­co di attri­bu­zio­ne di istan­ze a degli ogget­ti che già ne pos­sie­do­no altre, e il con­se­guen­te rifiu­to dell’imposizione di que­ste ulti­me. Ma ciò non com­por­ta obbli­ga­to­ria­men­te la distru­zio­ne del­le istan­ze pre­e­si­sten­ti.

Nei casi cita­ti, la ribel­lio­ne diven­ta in un cer­to sen­so il siste­ma stes­so, cam­bian­do il sen­so del­le sue fun­zio­ni basi­la­ri. Tut­ta­via, que­sti siste­mi devo­no affron­ta­re mol­te sfi­de, come la resi­sten­za dei pote­ri costi­tui­ti, la man­can­za di risor­se e di sup­por­to e la dif­fi­col­tà di coin­vol­ge­re la mag­gio­ran­za del­le per­so­ne nel­la loro attua­zio­ne. Non per que­sto non sono ribel­lio­ni, ma non agi­sco­no per il siste­ma.

Quan­do nel 2013 Edward Sno­w­den ha rive­la­to al mon­do il pro­gram­ma di sor­ve­glian­za glo­ba­le mes­so in atto dal­la NSA (Natio­nal Secu­ri­ty Agen­cy) non lo ha fat­to per­ché odias­se gli Sta­ti Uni­ti o il suo gover­no. Il suo non era un atto di disob­be­dien­za con­tro il “Siste­ma Ame­ri­ca”. Al con­tra­rio, stan­do alle sue dichia­ra­zio­ni, Sno­w­den ha deci­so di rive­la­re quel­le infor­ma­zio­ni al pub­bli­co per­ché cre­de­va che fos­se impor­tan­te per la socie­tà sape­re cosa il gover­no stes­se facen­do in suo nome. Sno­w­den ha agi­to in nome del­la sua leal­tà ver­so i valo­ri costi­tu­zio­na­li ame­ri­ca­ni, come liber­tà e pri­va­cy, ha agi­to con­tro la malat­tia del siste­ma, per la cura del­lo stes­so. La stes­sa iden­ti­ca cosa avvie­ne nel­le pro­te­ste di piaz­za, con la disob­be­dien­za civi­le. Gli atti­vi­sti del Black Lives Mat­ter non sono con­tro il siste­ma sicu­rez­za, sono con­tro la sua devia­zio­ne mala­ta rap­pre­sen­ta­ta dal­la poli­zia ame­ri­ca­na.

Chia­ra­men­te è un fra­mework che si può allar­ga­re sem­pre. Gli anar­chi­ci si ribel­la­no allo Sta­to non per­ché voglia­no il caos, la dise­gua­glian­za e il males­se­re gene­ra­le, ma per­ché cre­do­no che il siste­ma gerar­chi­co, di cui fra tut­ti gli esem­pi lo Sta­to è l’epitome, sia un siste­ma di oppres­sio­ne dell’uomo sull’uomo.

Non frain­ten­de­te­mi, ve ne pre­go

Ho let­to Rea­li­smo Capi­ta­li­sta di Mark Fisher due vol­te. L’ho cita­to, per iscrit­to e oral­men­te, mol­te di più. In mate­ria di teo­ria poli­ti­ca quel sag­gio è il mio faro. Se c’è un’utopia che per­se­guo è il ten­ta­ti­vo di usci­re dall’angosciante trap­po­la per cui non ci sia più alcu­na alter­na­ti­va, e ogni fan­ta­sma di quest’ultima fini­sca per esse­re assor­bi­ta e inglo­ba­ta dal siste­ma domi­nan­te. Voglio quin­di evi­ta­re con tut­to me stes­so che quan­to ho scrit­to fino­ra pos­sa esse­re let­to come un’apologia rea­zio­na­ria.

Riten­go che Il The­re is no alter­na­ti­ve di Mar­ga­ret That­cher con­te­sta­to, ma allo stes­so tem­po con­fer­ma­to, da Fisher riguar­di gli agget­ti­vi, non i sostan­ti­vi. Quan­do pone­va l’attenzione su esem­pi come la musi­ca alter­na­ti­ve che veni­va fago­ci­ta­ta dal­l’in­du­stria cul­tu­ra­le main­stream, cre­do che l’attenzione di Fisher fos­se rivol­ta al main­stream, non all’industria cul­tu­ra­le. Il pro­ble­ma non è che la musi­ca indie sia in cima alle clas­si­fi­che, al fian­co di quel­la pop, il pro­ble­ma è che a distri­buir­la sia la stes­sa major che pro­du­ce e distri­bui­sce la musi­ca pop. Allo stes­so modo, il dram­ma vero non è che la sini­stra non sia più in gra­do di vin­ce­re le ele­zio­ni, il pro­ble­ma è che quan­do le vin­ce non è sini­stra e attua le stes­se poli­ti­che neo­li­be­ri­ste degli altri. Ma, a costo di ripe­ter­mi, in que­sto sce­na­rio il pro­ble­ma non è il siste­ma demo­cra­ti­co, è il siste­ma demo­cra­ti­co neo­li­be­ri­sta, in una socie­tà domi­na­ta dal capi­ta­li­smo.

C’è uno stra­to in più da met­te­re a fuo­co e c’è sem­pre spa­zio per agget­ti­vi che si affian­ca­no a sostan­ti­vi tal­men­te a lun­go da sfu­ma­re i con­fi­ni fra i due, da far cre­de­re che non sia pos­si­bi­le sosti­tui­re l’aggettivo sen­za per­de­re il sen­so del nome, da far cre­de­re che non ci sia più alter­na­ti­va pos­si­bi­le.

Ripri­sti­na­re

Ma se “ribel­lar­si” è un ver­bo rifles­si­vo, e il focus del­la ribel­lio­ne deve esse­re pun­ta­to innan­zi­tut­to sul ribel­le, tor­nia­mo un atti­mo den­tro di lui e vedia­mo cos’è che lo muo­ve. Sul­la base di quel­lo che abbia­mo det­to pre­ce­den­te­men­te cre­do che si pos­sa dire che il ribel­le pro­pria­men­te det­to (dun­que né il disob­be­dien­te, né tan­to meno il rivo­lu­zio­na­rio) sia mos­so soprat­tut­to da un’impellente voglia di ripri­sti­no, da un’esigenza di ordi­ne.

Il ribel­le è uno che, al pari dell’ossessivo-compulsivo, pro­va una spe­cie di pru­ri­to al nota­re che le cose sono fuo­ri posto. Quan­do dun­que si ren­de con­to che affian­co a un siste­ma c’è un agget­ti­vo che lui ritie­ne ina­dat­to, non rie­sce a resi­ste­re e ini­zia a nasce­re den­tro di lui il moto di ribel­lio­ne. Cer­to, se il pas­sag­gio dell’aggettivo sba­glia­to a fian­co al sostan­ti­vo è sol­tan­to una tem­po­ra­nea con­tin­gen­za, il ribel­le sareb­be anche dispo­sto a tol­le­rar­ne la pre­sen­za, come l’ossessivo può accet­ta­re che le sue pen­ne non sia­no tut­te in fila, se le ha spo­sta­te un atti­mo per spol­ve­ra­re. Il pro­ble­ma sus­si­ste quan­do l’aggettivo ini­zia a sta­bi­lir­si e radi­car­si in quel pun­to dell’espressione, quan­do al fian­co del­la geni­to­ria­li­tà il figlio ini­zia a riscon­tra­re con un po’ trop­pa fre­quen­za trat­ti che non gli piac­cio­no, quan­do a “socie­tà” segue un po’ trop­po spes­so “capi­ta­li­sta” o “con­su­mi­sta” o “del con­trol­lo”. Quan­do, insom­ma, l’attributo diven­ta nor­ma.

Nel sen­so di sfi­da alla nor­ma, la ribel­lio­ne non è quin­di un caos con­tro l’ordine. Seb­be­ne ven­ga comu­ne­men­te vista come un atto di rot­tu­ra, la vera ribel­lio­ne è inve­ce un atto di ricon­giun­zio­ne e riap­pa­ci­fi­ca­zio­ne, è la nega­zio­ne del­la nega­zio­ne (quest’ultima rap­pre­sen­ta­ta dal­la nor­ma con­si­de­ra­ta sba­glia­ta) in nome di un posi­ti­vo uni­ta­rio e giu­sto.

Da que­sto pun­to di vista è inne­ga­bi­le che uno dei più gran­di ribel­li del­la Sto­ria sia sta­to Gesù Cri­sto. Egli non ha sol­tan­to dif­fu­so il ver­bo del Padre; il suo vero atto dirom­pen­te fu ele­va­re il con­cet­to di ricon­giun­zio­ne a nor­ma in sé. Come sot­to­li­nea Hegel nei suoi Scrit­ti Teo­lo­gi­ci Gio­va­ni­li, in sosti­tu­zio­ne alla nor­ma del­la leg­ge e del­la puni­zio­ne, Gesù pro­po­se la nor­ma del per­do­no, l’atto più paci­fi­ca­to­re che esi­sta. Il con­te­nu­to stes­so del ripri­sti­no era, ed è tut­to­ra nel­la più pura fede cri­stia­na, un ele­men­to di ripri­sti­no paci­fi­co, in uno slan­cio di meta-signi­fi­ca­ti rara­men­te rag­giun­to nel­la sto­ria.

Per una ribel­lio­ne effi­ca­ce

Quan­do, fra gli anni ‘50 e ‘60 il capi­ta­li­smo e il con­su­mi­smo si impo­se­ro come ege­mo­ni­ci negli Sta­ti Uni­ti e in tut­to l’Occidente effet­ti­va­men­te mon­tò un sen­ti­men­to di ribel­lio­ne col­let­ti­va, che potrem­mo chia­ma­re “con­tro­cul­tu­re”, nel sen­so che Jose­ph Heath e Andrew Pot­ter asse­gna­no a que­sta paro­la nel sag­gio Rebel Sell. Per gli auto­ri, il movi­men­to Hip­pie ne è chia­ra­men­te l’esempio mag­gio­re. Ebbe­ne, sin da subi­to nel­le inten­zio­ni dei movi­men­ti con­tro­cul­tu­ra­li non c’era un vero ten­ta­ti­vo di con­tra­sta­re o met­te­re in discus­sio­ne l’aggettivo del “siste­ma”, “capi­ta­li­sta” o “con­su­mi­sta” che fos­se; la con­tro­cul­tu­ra si pose fin da subi­to l’obiettivo di con­tra­sta­re il “siste­ma” tout court. Come han­no scrit­to Heath e Pot­ter, quei movi­men­ti han­no sostan­zial­men­te rifiu­ta­to i temi tra­di­zio­nal­men­te asso­cia­ti alla sini­stra, come pover­tà, stan­dard di vita e acces­so al siste­ma sani­ta­rio per­ché con­si­de­ra­ti trop­po “super­fi­cia­li”. (p. 32) La ribel­lio­ne che con­tem­pla l’aggettivo, per come l’abbiamo inte­sa fino­ra era accu­sa­ta di super­fi­cia­li­tà. Allo sta­to più pro­fon­do, quel­lo a cui ribel­lar­si dav­ve­ro c’era l’oppressione psi­chi­ca, da cui libe­rar­si.

A me pare evi­den­te che l’in­di­vi­dua­li­smo tema dell’oppressione psi­chi­ca, per quan­to legit­ti­mo e degno di atten­zio­ne, non sia altro che il ten­ta­ti­vo gof­fo di attri­bui­re un signi­fi­ca­to, uno qua­lun­que, a una bat­ta­glia per­sa in par­ten­za, per­ché com­bat­tu­ta ver­so un ber­sa­glio sba­glia­to. Spo­stan­do il focus del­lo scon­tro su un ter­re­no più pro­fon­do si è per­so ogni appi­glio di con­cre­tez­za, la con­se­guen­za è sta­ta, secon­do Heath e Pot­ter che la con­tro­cul­tu­ra ha qua­si com­ple­ta­men­te sosti­tui­to il socia­li­smo alla base del pen­sie­ro poli­ti­co radi­ca­le.

Ma i pro­po­si­ti del­la con­tro­cul­tu­ra han­no dovu­to, a un cer­to pun­to, fare i con­ti con i limi­ti del mon­do rea­le: il fal­li­men­to di con­tra­sta­re un gene­ri­co siste­ma ha com­por­ta­to l’obbligo di tener­si il siste­ma capi­ta­li­sta e con­su­mi­sta, il qua­le nel frat­tem­po si è raf­for­za­to inglo­ban­do al suo inter­no le sue stes­se con­trad­di­zio­ni. Pro­prio all’inizio del loro sag­gio, Heath e Pot­ter scri­vo­no chia­ra­men­te che la ribel­lio­ne cul­tu­ra­le non è una minac­cia al siste­ma, è il siste­ma stes­so (p. 8). Più nel­lo spe­ci­fi­co l’ideologia Yup­py e quel­la Hip­pie si sono rive­la­te esse­re la stes­sa cosa (p. 9), varian­ti este­ti­che del­lo stes­so pro­dot­to.

Anco­ra una vol­ta, è meglio non cor­re­re il rischio di vede­re in tut­to que­sto discor­so astrat­tez­za o inat­tua­li­tà. Quarant’anni fa Robert M. Pir­sing, nel­lo splen­di­do Lo Zen e l’arte del­la manu­ten­zio­ne del­la moto­ci­clet­ta, lamen­ta­va la ste­ri­li­tà del­lo scon­tro al “siste­ma”, che por­ta­va dei gio­va­ni hip­pie a rifiu­ta­re i prin­ci­pi mec­ca­ni­ci di manu­ten­zio­ne del­la moto. Un prin­ci­pio non trop­po distan­te da quel­lo che oggi, in alcu­ne cir­co­scrit­te zone del mon­do, por­ta a met­te­re in discus­sio­ne la mate­ma­ti­ca come disci­pli­na in nome del­la lot­ta alla dise­gua­glian­za raz­zia­le.

Pri­ma di con­clu­de­re, ci ten­go a met­te­re di nuo­vo le mani avan­ti. Il fat­to che di recen­te, da qual­che par­te in Cali­for­nia, sia­no anda­ti trop­po in là con la can­cel cul­tu­re, non signi­fi­ca ovvia­men­te che esi­sta una dit­ta­tu­ra del poli­ti­ca­men­te cor­ret­to, come pia­ce gri­da­re ad alcu­ni nell’enorme mega­fo­no del­le pri­me pagi­ne dei quo­ti­dia­ni o del­la pri­ma sera­ta tele­vi­si­va.

Signi­fi­ca sol­tan­to che met­te­re a fuo­co i ber­sa­gli del­le ribel­lio­ni è fon­da­men­ta­le, e che attac­ca­re i siste­mi in toto spes­so com­por­ta il rischio di per­de­re il buo­no per sal­va­guar­da­re il mar­cio. Quel­la del­le con­tro­cul­tu­re degli anni ‘60 è sta­ta sol­tan­to la pri­ma tap­pa di un pro­ces­so di mesco­la­men­to ambi­guo che negli anni è diven­ta­to espo­nen­zia­le. Ad oggi il ribel­le appa­re spes­sis­si­mo come una del­le opzio­ni fra cui sce­glie­re, non come il sog­get­to in gra­do di rico­strui­re del­le opzio­ni nuo­ve. Ciò è avve­nu­to per­ché per trop­po tem­po si è cre­du­to che com­pi­to del­la ribel­lio­ne fos­se scar­di­na­re tut­to dal­le fon­da­men­ta, rade­re al suo­lo. Un’impresa tal­men­te ardi­ta da scon­for­ta­re con l’evidenza del­la pro­pria irrea­liz­za­bi­li­tà. Ma l’impresa, quel­la vera, quel­la del­la riqua­li­fi­ca­zio­ne del­le alter­na­ti­ve, del­la rise­man­tiz­za­zio­ne del­la ribel­lio­ne, del­la ristrut­tu­ra­zio­ne del siste­ma — inve­ce che del suo cie­co abbat­ti­men­to — è un’impresa anco­ra rea­liz­za­bi­le, in quan­to mai vera­men­te ten­ta­ta.

FON­TI

Mark Fisher, Rea­li­smo Capi­ta­li­sta, NERO Edi­tions, Roma 2018

Hegel, Georg W. F. Scrit­ti teo­lo­gi­ci gio­va­ni­li, a cura di N. Vac­ca­ro, E. Mir­ri, Gui­da, Napo­li 1972

Pir­sing Robert M. Zen & The Art Of Motor­cy­cle Main­te­nan­ce, Vin­ta­ge, Lon­don, 2004, pri­ma edi­zio­ne: 1974

Heath J. et Pot­ter A., Rebel Sell, Cap­sto­ne Publi­shing Limi­ted, Chic­ke­ster

Hang The DJ, scrit­to da Char­lie Broo­ker, diret­to da Tim Van Pat­ten. Quar­to epi­so­dio del­la quar­ta sta­gio­ne di Black Mir­ror. Rila­scia­to da Net­flix il 29 dicem­bre 2017.

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