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Agosto
9 Agosto 2024

O LA PACE O LA GUER­RA

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Come comin­cia esser noto, la que­stio­ne ambien­ta­le è inse­pa­ra­bi­le dal­l’at­tua­le asset­to del­l’or­di­ne mon­dia­le, dai rap­por­ti e dai con­flit­ti tra gli sta­ti, dal­la liber­tà esle­ge del­le poten­ze finan­zia­rie pri­va­te, dal­lo sca­te­na­men­to com­pe­ti­ti­vo e bel­li­co che oggi domi­na i rap­por­ti inter­na­zio­na­li. I nostri sfor­zi di con­te­ne­re il riscal­da­men­to cli­ma­ti­co saran­no vani se non accom­pa­gna­ti da un pro­get­to di equi­li­brio mul­ti­la­te­ra­le che met­ta fine allo sfrut­ta­men­to sel­vag­gio del­la Ter­ra e alle guer­re. Come ha ricor­da­to Lui­gi Fer­ra­jo­li, in Per una Costi­tu­zio­ne del­la Ter­ra (Fel­tri­nel­li 2022), è «del tut­to inve­ro­si­mi­le che  8 miliar­di di per­so­ne, 196 Sta­ti sovra­ni die­ci dei qua­li dota­ti di arma­men­ti nuclea­ri, un capi­ta­li­smo vora­ce e   pre­da­to­rio e un siste­ma indu­stria­le eco­lo­gi­ca­men­te inso­ste­ni­bi­le pos­sa­no a lun­go soprav­vi­ve­re sen­za anda­re incon­tro alla deva­sta­zio­ne del pia­ne­ta, fino alla sua inabitabilità».Senza dire che pro­prio il pro­gre­di­re del­la distru­zio­ne del­le risor­se natu­ra­li, l’ab­bat­ti­men­to del­la fore­ste, il dis­sec­ca­men­to dei fiu­mi, l’in­qui­na­men­to dei mari, la per­di­ta di ter­re fer­ti­li ten­de­rà a esa­cer­ba­re la logi­ca del­l’ac­ca­par­ra­men­to sel­vag­gio di  ciò che resta  da par­te dì tut­ti con­tro tut­ti.

Per tale ragio­ne il per­se­gui­men­to del­la pace, al di là del­le sue nobi­li ragio­ni idea­li, del­la neces­si­tà odier­na di por­re fine alle sof­fe­ren­ze del popo­lo ucrai­no, (e di tan­ti altri popo­li), ai dan­ni inflit­ti all’e­co­no­mia mon­dia­le, si pre­sen­ta come una neces­si­tà ine­lu­di­bi­le per il futu­ro del pia­ne­ta. E non solo per i suoi pos­si­bi­li esi­ti apo­ca­lit­ti­ci.  Da tem­po si cono­sco­no non solo i dan­ni all’am­bien­te che le bat­ta­glie sul cam­po pro­du­co­no in ter­mi­ni di inqui­na­men­to chi­mi­co dei suo­li e del­le acque, incen­di di boschi, ucci­sio­ne di ani­ma­li sel­va­ti­ci, distru­zio­ne di eco­si­ste­mi, deva­sta­zio­ne dei pae­sag­gi. Ma è la stes­sa mac­chi­na mili­ta­re che in tem­po di pace costi­tui­sce una fon­te gigan­te­sca di distru­zio­ne eco­si­ste­mi­ca e di alte­ra­zio­ne del cli­ma. In una vasta ricer­ca a più mani di 12 anni fa (Mili­ta­ri­za­tion and the Envi­ron­ment: A Panel Stu­dy of Car­bon Dio­xi­de Emis­sions and the Eco­lo­gi­cal Foot­prin­ts of Nations, 1970–2000 in Glo­bal Envi­ron­men­tal Poli­tics 2010) i ricer­ca­to­ri ricor­da­no che per rea­liz­za­re  i test sul­le armi i mili­ta­ri usa­no  un’am­pia gam­ma di diluen­ti, sol­ven­ti, lubri­fi­can­ti, sgras­san­ti, car­bu­ran­ti, pesti­ci­di e pro­pel­len­ti come par­te del fun­zio­na­men­to quo­ti­dia­no e del­la manu­ten­zio­ne del­le attrez­za­tu­re mili­ta­ri. Di con­se­guen­za, con­clu­do­no gli auto­ri,  «pro­du­co­no la mag­gior quan­ti­tà di rifiu­ti peri­co­lo­si al mon­do». Ma non è tut­to: duran­te le nor­ma­li ope­ra­zio­ni, le for­ze arma­te con­su­ma­no immen­se quan­ti­tà di com­bu­sti­bi­li fos­si­li. Si sti­ma « che i pro­dot­ti petro­li­fe­ri uti­liz­za­ti da par­te del­le for­ze arma­te per vei­co­li ter­re­stri, aerei, navi marit­ti­me e altri mac­chi­na­ri mili­ta­ri rap­pre­sen­ta­no cir­ca il 75 per­cen­to di tut­to il con­su­mo di ener­gia nel mon­do. Inol­tre, il Pen­ta­go­no degli Sta­ti Uni­ti gesti­sce la flot­ta più gran­de del mon­do di aerei moder­ni, eli­cot­te­ri, navi, car­ri arma­ti, vei­co­li coraz­za­ti e siste­mi di sup­por­to, che è qua­si inte­ra­men­te ali­men­ta­to dal petro­lio. Di con­se­guen­za, il Dipar­ti­men­to del­la Dife­sa è “il prin­ci­pa­le con­su­ma­to­re mon­dia­le di petro­lio.» Non è dif­fi­ci­le cre­der­lo, visto che gli ame­ri­ca­ni man­ten­go­no cir­ca 800 basi mili­ta­ri spar­se in 60 pae­si nei vari ango­li del pia­ne­ta.

Ma ram­men­tia­mo che tali dati non ten­go­no con­to del cre­scen­te impe­gno mili­ta­re USA del­l’ul­ti­mo dodi­cen­nio. Secon­do i rap­por­ti del Con­gres­sio­nal Rea­serch Ser­vi­ce, aggior­na­ti al 2021, le ope­ra­zio­ni mili­ta­ri effet­tua­te da que­sto pae­se tra il 1945 e il 1999, cioè in 54 anni, sono  sta­ti 100. Ma tra il 1999 e il 2021, in soli 22 anni, ne sono sta­ti con­dot­ti ben 184. Cifre che denun­cia­no il cre­scen­te impat­to ambien­ta­le degli impe­gni mili­ta­ri sta­tu­ni­ten­si, ma al tem­po stes­so una linea di stra­te­gia geo­po­li­ti­ca che oggi appa­re in tut­to il suo colos­sa­le con­flit­to con le sor­ti del pia­ne­ta.  Per­ché il Pae­se più ric­co del­la ter­ra che, con il 4% cir­ca del­la popo­la­zio­ne mon­dia­le, divo­ra il 30% del­le risor­se ed è il prin­ci­pa­le agen­te di alte­ra­zio­ne del cli­ma pla­ne­ta­rio, con­ti­nua una poli­ti­ca di poten­za come a per­pe­tua­re l’e­ge­mo­nia del ‘900, in spre­gio degli inte­res­si uni­ver­sa­li?

Biso­gna por­si tale doman­da per rove­scia­re la nar­ra­zio­ne domi­nan­te che si è impo­sta per rap­pre­sen­ta­re la guer­ra in Ucrai­na, e per capi­re il futu­ro a cui ten­do­no i grup­pi che oggi deten­go­no il pote­re negli USA. Ormai appa­re evi­den­te da una con­si­sten­te let­te­ra­tu­ra inter­na­zio­na­le: la guer­ra ini­zia­ta il 24 feb­bra­io con l’in­va­sio­ne rus­sa è sta­ta lun­ga­men­te per­se­gui­ta  dagli ame­ri­ca­ni con una  mira­ta stra­te­gia . Oggi per­si­no  Ange­la Mer­kel ammet­te che gli accor­di di Min­sk tra l’U­crai­na e la Rus­sia era­no solo un pre­te­sto per pren­de­re tem­po e con­sen­ti­re a Kiev di com­ple­ta­re il suo arma­men­to soste­nu­to dagli USA (inter­vi­sta a  Die Zeit del 7 dicembre).Del resto tut­ta la sto­ria  suc­ces­si­va al 1989 non è che una con­fer­ma  di que­sto dise­gno: l’al­lar­ga­men­to a est del­la Nato, l’a­ver cir­con­da­to l’ex nemi­co di basi mis­si­li­sti­che col­lo­ca­te nei pae­si con­fi­nan­ti, non rispon­de­va  solo al fine di un’ ovvia espan­sio­ne del­la poten­za ame­ri­ca­na, ma  era la pre­mes­sa per un risul­ta­to futu­ro più sostan­zio­so: muo­ve­re guer­ra alla Rus­sia, sen­za rischia­re trop­po e per con­to ter­zi, col san­gue altrui.  Gra­zie alle riva­li­tà inte­ret­ni­che e ter­ri­to­ria­li tra due nazio­na­li­smi con­trap­po­sti, l’U­crai­na offri­va l’occasione più pro­pi­zia.  Ricor­dia­mo che quel­la stra­te­gia ha con­se­gui­to vari risul­ta­ti già pri­ma del­la guer­ra. Intan­to ha impe­di­to una evo­lu­zio­ne in sen­so demo­cra­ti­co del­la Rus­sia dopo il crol­lo del­l’URSS. Non c’è modo miglio­re di favo­ri­re il con­so­li­da­men­to al pote­re di un auto­cra­te che minac­cia­re la sicu­rez­za del suo popo­lo. Putin è in fon­do il risul­ta­to del­la poli­ti­ca ame­ri­ca­na, che ave­va biso­gno di un nemi­co, per giun­ta odia­bi­le come un tiran­no, e del­la incom­men­su­ra­bi­le pochez­za del­le éli­tes diri­gen­ti euro­pee, che ave­va­no un inte­res­se enor­me ad attrar­re la Rus­sia nel­la pro­pria orbi­ta, non solo eco­no­mi­ca.

Per capi­re l’in­so­ste­ni­bi­le poli­ti­ca impe­ria­le degli USA in un mon­do di fat­to mul­ti­po­la­re, occor­re tener pre­sen­te la sua sto­ria. Ame­ri­ca fir­st non è una novi­tà. Gli Usa han­no mes­so sem­pre i pro­pri inte­res­si davan­ti a qua­lun­que altro valo­re, a comin­cia­re dal­la demo­cra­zia di cui si fan­no pala­di­ni ingan­nan­do l’in­te­ro Occi­den­te. Basta chie­de­re alle madri argen­ti­ne, ai socia­li­sti cile­ni, a tut­ti i demo­cra­ti­ci del­l’A­me­ri­ca Lati­na. Ma anche il libe­ra­li­smo  è sta­to subor­di­na­to alle con­ve­nien­ze del­la pro­pria eco­no­mia. Un gran­de sto­ri­co, Paul Bai­roch, defi­ni­va gli USA « il pae­se più pro­te­zio­ni­sta del­la sto­ria». Lo mostra anco­ra Biden con la Infla­tion Reduc­tion Act in bar­ba a ogni rego­la di con­cor­ren­za. Ma c’è una vicen­da recen­te meno nota che spie­ga, (ma non giu­sti­fi­ca come neces­sa­ria), la poli­ti­ca espan­sio­ni­sti­ca ame­ri­ca­na. Lo illu­stra una acu­ta ana­li­si, con­dot­ta da un pun­to di vista cine­se, ma su sca­la mon­dia­le, quel­la di Qia­io Liang, L’ar­co del­l’im­pe­ro (Leg edi­zio­ni, 2021) cura­to e con una den­sa e infor­ma­tis­si­ma pre­fa­zio­ne di Fabio Mini. Negli ulti­mi decen­ni gli USA han­no per­du­to le loro mani­fat­tu­re, fon­te di ric­chez­za rea­le e di occu­pa­zio­ne, pun­tan­do sul­l’al­ta tec­no­lo­gia, civi­le e mili­ta­re e sul­la finan­za. Il dol­la­ro stac­ca­to dal­l’o­ro dopo la fine del­la sua con­ver­ti­bi­li­tà, nel 1971, ha por­ta­to i grup­pi diri­gen­ti ame­ri­ca­ni a fare del­la stam­pa di car­ta ver­de, insie­me alle armi, uno stru­men­to di sfrut­ta­men­to del­le eco­no­mie altrui. Sem­pre più il defi­cit com­mer­cia­le è uti­liz­za­to per scam­bia­re ric­chez­za rea­le da tut­ti i pae­si del mon­do in cam­bio di car­ta colo­ra­ta. E la guer­ra è uno stru­men­to di espan­sio­ne del poten­te set­to­re mili­ta­re-indu­stria­le, ma al tem­po stes­so di domi­nio poli­ti­co che legit­ti­ma il dol­la­ro e di rastrel­la­men­to dei capi­ta­li. Lad­do­ve arri­va la guer­ra, o anche solo ten­sio­ni poli­ti­che, i sol­di vola­no via, mol­ti capi­ta­li ame­ri­ca­ni tor­na­no a casa e altri ven­go­no attrat­ti. E’ quel­lo che stan­no facen­do gli USA inco­rag­gian­do i movi­men­ti sepa­ra­ti­sti a Tai­wan, a Hong Kong, e in varie altre pro­vin­cie, con le con­ti­nue eser­ci­ta­zio­ni mili­ta­ri nel Mar del­la Cina, con le pro­mes­se di Biden di difen­de­re con le armi l’au­to­no­mia  dell’ l’i­so­la di Tai­wan, ecc.

Que­ste mos­se ame­ri­ca­ne ver­so la Cina con­ti­nua­no dun­que il vec­chio copio­ne. Lo sfian­ca­men­to eco­no­mi­co e l’i­so­la­men­to del­la Rus­sia (comun­que si con­clu­de­rà la guer­ra in Ucrai­na), pre­lu­de  a una nuo­va par­ti­ta di aggres­sio­ne  per met­te­re nel­l’an­go­lo il loro più poten­te con­cor­ren­te.

Dun­que, che cosa è acca­du­to e acca­drà all’Europa? Quan­do sarà ter­mi­na­to lo slan­cio di soli­da­rie­tà (ma anche di sto­li­do bel­li­ci­smo) nei con­fron­ti del­l’U­crai­na, riu­sci­ran­no le éli­tes euro­pee a com­pren­de­re la trap­po­la in cui sono sta­ti tra­sci­na­ti insie­me alla Rus­sia? L’Eu­ro­pa impo­ve­ri­ta, che per­de un gran­de part­ner eco­no­mi­co come la Rus­sia, obbli­ga­ta ad accre­sce­re le spe­se mili­ta­ri, con l’U­crai­na distrut­ta, miglia­ia di mili­ta­ri e di civi­li ucci­si (e di sol­da­ti rus­si), e una pro­spet­ti­va  pros­si­ma di ten­sio­ni inter­na­zio­na­li e di nuo­ve guer­re? Un futu­ro di espan­sio­ne mili­ta­re che spin­ge pae­si ami­ci e nemi­ci a incre­men­ta­re gli arma­men­ti e che, come abbia­mo visto, inflig­go­no al pia­ne­ta dan­ni di pri­ma gran­dez­za anche in tem­po di pace. Allo­ra nes­su­na poli­ti­ca ambien­ta­le dell’UE sarà più cre­di­bi­le, nes­sun Next Gene­ra­tion UE, nes­su­na Cop avrà più legit­ti­mi­tà, se resta in pie­di la Nato, stru­men­to di domi­nio ame­ri­ca­no e di con­flit­ti per­pe­tui. La sua per­ma­nen­za non è com­pa­ti­bi­le con gli inte­res­si del­l’Eu­ro­pa e con il futu­ro stes­so del­l’u­ma­ni­tà.

PRE­SEN­TA­ZIO­NE AUTO­RE

Pie­tro (det­to Pie­ro) Bevi­lac­qua è nato a Catan­za­ro l’1 giu­gno 1944 e vive a Roma. Si è lau­rea­to all’Università La Sapien­za con Alber­to Asor Rosa, cor­re­la­to­re Ren­zo De feli­ce. Ha par­te­ci­pa­to alla lot­ta poli­ti­ca sin da ragaz­zo, per riven­di­ca­re l’Università in Cala­bria, per il supe­ra­men­to del­le gab­bie sala­ria­li nei con­trat­ti di lavo­ro, e poi pren­den­do par­te al movi­men­to stu­den­te­sco dell’Università di Roma. In que­sta fase ha col­la­bo­ra­to alle rivi­ste «Con­tro­pia­no» e « Labo­ra­to­rio Poli­ti­co». In segui­to ha avvia­to il suo lun­go per­cor­so di sto­ri­co, stu­dian­do il mon­do del­le cam­pa­gne cala­bre­si e meri­dio­na­li, col­la­bo­ran­do a rivi­ste ita­lia­ne e stra­nie­re, par­te­ci­pan­do a con­ve­gni inter­na­zio­na­li. In que­sta fase ha cura­to, insie­me ad A.Placanica, La Cala­bria, per la sto­ria del­le regio­ni Einau­di, e scrit­to la Bre­ve sto­ria dell’Italia meri­dio­na­le (1993), anco­ra oggi adot­ta­ta nei cor­si uni­ver­si­ta­ri. Si è inte­res­sa­to di sto­ria dell’agricoltura, curan­do una Sto­ria dell’agricoltura ita­lia­na in 3 voll per Mar­si­lio, pas­san­do poi a stu­dia­re la sto­ria dell’ambiente, pub­bli­can­do sag­gi e volu­mi fra cui Vene­zia e le acque, per Don­zel­li, tra­dot­to in Ger­ma­nia, Fran­cia, Giap­po­ne e Sta­ti Uni­ti. Nel 1986 insie­me a Car­mi­ne Don­zel­li, Augu­sto Pla­ca­ni­ca, Sal­va­to­re Lupo e altri stu­dio­si ha fon­da­to l’Istituto Meri­dio­na­le di Sto­ria e Scien­ze Socia­li (IMES) di cui è for­mal­men­te il pre­si­den­te, e la rivi­sta «Meri­dia­na», di cui è sta­to diret­to­re fino al 2004. Con l’IMES, che ha coin­vol­to in con­ve­gni e ricer­che cen­ti­na­ia di stu­dio­si ita­lia­ni e stra­nie­ri, e con i cir­ca 40 volu­mi di « Meri­dia­na», è sta­ta rea­liz­za­ta, nel cor­so di oltre 15 anni, una vasta ope­ra di rin­no­va­men­to del­la sto­ria e dell’interpretazione del­la real­tà meri­dio­na­le.

Dai pri­mi anni 2000 ha col­la­bo­ra­to con Car­lo Petri­ni, Van­da­na Shi­va, Mas­si­mo Mon­ta­na­ri, e altri stu­dio­si alla fon­da­zio­ne dell’Università di Scien­ze gastro­no­mi­che di Pol­len­zo e al pro­get­to di Slow Food di una Facol­tà di agroe­co­lo­gia. Da anni par­te­ci­pa ai semi­na­ri di Nav­da­nya Inter­na­tio­nal, coor­di­na­ti da Van­da­na Shi­va, per lo stu­dio dell’agricoltura, del cibo e dell’ambiente.

Ha inse­gna­to nell’Università di Saler­no, di Bari, di Pol­len­zo, del­la Sapien­za di Roma. Ha tenu­to lezio­ni, semi­na­ri, con­ve­gni all’Università Auto­no­ma di Bar­cel­lo­na, all’Università di Gra­na­da, di Cor­do­ba, all’Istituto uni­ver­si­ta­rio Orte­ga Y Gas­set di Ovie­do, all’University Col­le­ge di Lon­dra, alla Hum­boldt Uni­ver­si­tät di Ber­li­no, alla Casa Ita­lia­na del­la Cul­tu­ra di Dre­sda e di Vien­na, alla Colum­bia Uni­ver­si­ty di New York, all’Università di Tokyo, Hiro­schi­ma e Kobe in Giap­po­ne. E’ sta­to mem­bro del Comi­ta­to scien­ti­fi­co del Réseau Natio­nal des Mai­sons des Scien­ces de l’Homme di Pari­gi.

È in pen­sio­ne dal­la Sapien­za, ha pub­bli­ca­to vari libri di sto­ria dell’ambiente e di sag­gi­sti­ca poli­ti­ca con Later­za, un testo su Paso­li­ni. L’insensata moder­ni­tà, Jaca Book, per una col­la­na diret­ta da Ser­ge Latou­che, varie ope­re, come Eco­lo­gia del tem­po e poi roman­zi, rac­con­ti, testi tea­tra­li con Castel­vec­chi. Negli ulti­mi 16 anni, ha col­la­bo­ra­to al Mani­fe­sto, scri­ve su Left.

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