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Maggio
21 Maggio 2025

LE DÎNEUR DE POSEUR. MEC­CA­NI­CA DEI CARAT­TE­RI MORA­LI

Nel 1998 esce una com­me­dia fran­ce­se inti­to­la­ta Le Dîner de cons di Fran­cis Veber. Più che come Cena dei Cre­ti­ni, biso­gne­reb­be tra­dur­lo con: Cena di Cre­ti­ni, come se come di fat­to suc­ce­de il cre­ti­no fos­se la pie­tan­za prin­ci­pa­le. Lo spun­to del film è mol­to sem­pli­ce: cosa suc­ce­de­reb­be se dei bor­ghe­si alto­lo­ca­ti orga­niz­zas­se­ro del­le cene in cui cia­scu­no por­ta uno sce­mo come suo cam­pio­ne, in una gara in cui la pal­ma del vin­ci­to­re vie­ne asse­gna­ta a colui che ha invi­ta­to il più idio­ta fra i vari con­cor­ren­ti?

La com­me­dia, tut­ta­via, per quan­to nell’ultimissima sce­na riba­di­sca l’idiozia del cre­ti­no in que­stio­ne, ha anche trat­ti mora­li­sti­cheg­gian­ti che sot­to­li­nea­no la cat­ti­ve­ria di un tale pas­sa­tem­po in cui ci si diver­te a disca­pi­to dei più sce­mi. E, in effet­ti, la sce­men­za non è una col­pa, per cui sareb­be effet­ti­va­men­te sen­za cuo­re orga­niz­za­re una cena del gene­re. Esi­ste, però, una varian­te del cre­ti­no nei con­fron­ti del­la qua­le lo scher­no sem­bra mag­gior­men­te legit­ti­ma­to: si trat­ta del poser (let­te­ral­men­te: colui che posa). Per que­sti, in effet­ti, è dif­fi­ci­le pro­va­re empa­tia. Se si voles­se dun­que orga­niz­za­re una cena di posers, qua­li cri­te­ri dovrem­mo segui­re per rico­no­sce­re il nostro “cam­pio­ne” e poter­lo così invi­ta­re? 

Per poter rispon­de­re a que­sto que­si­to, dob­bia­mo innan­zi­tut­to doman­dar­ci: chi è il poser? Pos­sia­mo nota­re feno­me­ni­ca­men­te che il poser ha un rap­por­to pri­vi­le­gia­to con l’apparenza: il poser è colui che non si inte­res­sa di esse­re auten­ti­ca­men­te in un cer­to modo, ma che con­cen­tra i suoi sfor­zi nell’apparire. Ma cosa, nel­lo spe­ci­fi­co, ci si pre­oc­cu­pa di far appa­ri­re? 

Ini­zia­mo dicen­do che il poser cer­ca, come chiun­que altro, di rag­giun­ge­re un fine —  telos/τέλος. Tut­ta­via, il fine di un’azione è rara­men­te sem­pli­ce, ma spes­so si com­po­ne da un lato del fine pro­prio dell’azione o del pro­ces­so, e dall’altro di un fine soprag­giun­gen­te - epi­gi­no­me­non/ἐπιγινόμενον -, cioè un fine che si aggiun­ge a quel­lo pro­prio come un di più (vd. Ari­sto­te­le, EN, X, 1174b). Que­sta com­pre­sen­za dei fini — pro­pri e soprag­giun­gen­ti — vale per la mag­gior par­te del­le azio­ni. Pren­dia­mo ad esem­pio la let­tu­ra. Leg­ge­re ha un fine pro­prio — l’ap­pro­pria­zio­ne da par­te del let­to­re del pen­sie­ro del­lo scrit­to­re — e fini soprag­giun­gen­ti, tra cui il pia­ce­re stes­so del­la let­tu­ra o il valo­re socia­le che si trae dal fat­to di esse­re una per­so­na che leg­ge. 

Potrem­mo dire che, per un poser, l’importante non è il risul­ta­to in quan­to fine pro­prio di un pro­ces­so deter­mi­na­to: il risul­ta­to, pro­prio in quan­to risul­ta­to, tro­va il pro­prio sen­so sol­tan­to in seno al pro­ces­so che lo ha pro­dot­to — non si può ad esem­pio rag­giun­ge­re il fine pro­prio del­la let­tu­ra sen­za aver let­to il libro. Qua­lo­ra inve­ce il fine ven­ga astrat­to dal pro­ces­so che natu­ral­men­te lo pro­du­ce, esso diven­ta sol­tan­to il simu­la­cro di un fine: il poser non ricer­ca i fini del­le atti­vi­tà che fin­ge di per­se­gui­re, ma sol­tan­to il loro simu­la­cro. Il pro­ces­so vie­ne tra­scu­ra­to per­ché trop­po fati­co­so e, ipso fac­to, il risul­ta­to stes­so non è apprez­za­to in quan­to fine, per­ché, se così fos­se, il poser dovreb­be assu­mer­si l’onere di inve­stir­si anche nel pro­ces­so che, solo, può pro­dur­lo , ma sol­tan­to nei fini soprag­giun­gen­ti che accom­pa­gna­no il fine auten­ti­co di un’attività. Det­to altri­men­ti, il poser non è inte­res­sa­to ai bene­fi­ci rea­li e intrin­se­ci dell’attività nel­la qua­le posa, ma ricer­ca quei bene­fi­ci estrin­se­ci che deri­va­no, in seno ad una socie­tà, dall’apparire come un mem­bro che la pra­ti­ca. Per esem­pio, il poser-arti­sta non ricer­ca nell’attività arti­sti­ca i bene­fi­ci che la crea­zio­ne di un’opera d’arte può appor­ta­re al suo auto­re, ben­sì desi­de­ra quel­li che all’artista deri­va­no dal fat­to stes­so di esse­re arti­sta, in una socie­tà in cui esse­re arti­sti costi­tui­sce un valo­re. 

Ma per­ché il poser pre­fe­ri­sce l’apparenza alla real­tà, ave­re l’aria dell’artista, sen­za esser­lo vera­men­te? Per rispon­de­re a que­sta doman­da, dob­bia­mo cer­ca­re di coglie­re i trat­ti fon­da­men­ta­li del­la natu­ra del poser. Abbia­mo ini­zia­to dicen­do che il poser è una varian­te del cre­ti­no. Qual è, però, la dif­fe­ren­za spe­ci­fi­ca del poser rispet­to al resto dei cre­ti­ni? I cre­ti­ni, in gene­ra­le, sono per­so­ne medio­cri. In che modo spe­ci­fi­co, quin­di, i posers sono medio­cri? Un poser-arti­sta, per esem­pio, è colui che non è suf­fi­cien­te­men­te (o nien­te affat­to) capa­ce di fare arte, cioè di desi­de­ra­re il fine che l’attività arti­sti­ca può for­ni­re e, in vir­tù di que­sta medio­cri­tà, rivol­ge il pro­prio desi­de­rio, come un second best, non già sull’attività stes­sa, ma sul­la par­ven­za di que­sta atti­vi­tà. La sua medio­cri­tà, insom­ma, non gli fa desi­de­ra­re l’arte, ma l’apparenza dell’arte. Si desi­de­ra, infat­ti, ciò che si può; come il pit­to­re natu­ra­li­sta che  “fini­sce per dipin­ge­re sol­tan­to quel­lo che pia­ce a lui. E cosa gli pia­ce? Quel che dipin­ge­re sa” (Nie­tzsche 1967, 46). Non dun­que vole­re è pote­re, ma piut­to­sto pote­re è vole­re.  

Né i cre­ti­ni né i posers sono capa­ci di rag­giun­ge­re dei risul­ta­ti impor­tan­ti. Ciò che li distin­gue, tut­ta­via, è che il poser, nono­stan­te la sua medio­cri­tà, è ambi­zio­so, poi­ché vuo­le ave­re quei bene­fi­ci di cui par­la­vo sopra, men­tre il cre­ti­no sta bene così. Nel Dîner de cons, il cre­ti­no pro­ta­go­ni­sta pas­sa il suo tem­po libe­ro a rico­strui­re dei monu­men­ti impor­tan­ti con dei fiam­mi­fe­ri. È un’attività da cre­ti­no ci dice il film , ma il cre­ti­no la fa per­ché gli pia­ce e non per­ché spe­ra, da que­sta atti­vi­tà, di trar­re un van­tag­gio di imma­gi­ne. Il poser, inve­ce, è colui che, pur essen­do medio­cre, rie­sce non­di­me­no a coglie­re lo spi­ri­to del tem­po, ovve­ro ciò che, nel luo­go e nel tem­po in cui vive, ren­de una per­so­na attraen­te, e cer­ca quin­di di appro­priar­si del­la par­ven­za di que­sto carat­te­re.

Que­sti inse­gue l’apparenza per­ché da un lato è inca­pa­ce di appro­priar­si del­la real­tà, ma dall’altro desi­de­ra ave­re i bene­fi­ci che l’appartenenza ad una deter­mi­na­ta cate­go­ria socia­le può dare. La medio­cri­tà la qua­le può esse­re il frut­to di un coa­cer­vo di ele­men­ti: il dato bio­lo­gi­co, l’educazione, la pigri­zia carat­te­ria­le, l’assenza di meto­do… uni­ta all’ambizione è dun­que la misce­la che pro­du­ce il poser: egli non coglie i rea­li bene­fi­ci per cui l’essere uma­no ha ini­zia­to e ha con­ti­nua­to a pra­ti­ca­re cer­te atti­vi­tà, però nota i van­tag­gi appa­ren­ti e secon­da­ri che que­ste atti­vi­tà por­ta­no a chi le pra­ti­ca. Biso­gna allo­ra che anch’egli le pra­ti­chi. 

Ades­so che abbia­mo enu­clea­to gli ele­men­ti prin­ci­pa­li che com­pon­go­no la figu­ra del poser, dob­bia­mo coglie­re il mec­ca­ni­smo attra­ver­so cui tali per­so­ne met­to­no in ope­ra il loro per­so­nag­gio. Det­to altri­men­ti, qual è la leg­ge che rego­la la for­ma­zio­ne di un poser? Come avvie­ne che, data la sua medio­cri­tà e ambi­zio­ne, il poser si com­por­ti come tale? 

Chiun­que aspi­ra al meglio, per cui anche il poser ten­ta di imi­ta­re del­le gran­di figu­re e non già dei medio­cri come lui. Ma come avvie­ne que­sta imi­ta­zio­ne? La leg­ge che domi­na que­sto pro­ces­so può esse­re col­ta in una cer­ta inver­sio­ne del rap­por­to di cau­sa­li­tà. In bre­ve, il poser scam­bia la cau­sa con l’effetto. Chia­ria­mo que­sta idea con qual­che esem­pio. 

Abbia­mo det­to che il poser vuo­le assu­me­re le sem­bian­ze di un gran­de per­so­nag­gio. Ora capi­ta tal­vol­ta che i gran­di geni sia­no, in vir­tù del loro genio stes­so, paz­zi  il ter­mi­ne paz­zo non ha qui né un’accezione cli­ni­ca né tan­to­me­no dispre­gia­ti­va, ma piut­to­sto il sen­so neu­tro di eccen­tri­co. Pren­dia­mo ad esem­pio per­so­nag­gi come Era­cli­to, Dio­ge­ne il Cane, Miche­lan­ge­lo, Cara­vag­gio, Mozart, Bee­tho­ven, Höl­der­lin, Nie­tzsche, Witt­gen­stein… È com­pren­si­bi­le come il genio pos­sa por­ta­re i ner­vi di talu­ni ma, e ci ritor­ne­re­mo, non di tut­ti ad impaz­zi­re. Ecco, il poser è colui che inver­te il rap­por­to di cau­sa-effet­to e, in man­can­za del genio (cau­sa), si pro­cu­ra arbi­tra­ria­men­te e arti­fi­cial­men­te l’effetto (paz­zia): fa dun­que il paz­zo o l’eccentrico, cer­can­do così di per­sua­de­re, soprat­tut­to e innan­zi­tut­to sé stes­so, di esser fuo­ri dal­la nor­ma, un’eccezione. 

L’esempio di Era­cli­to è inte­res­san­te e può fare da pon­te per un’altra esem­pli­fi­ca­zio­ne. Era­cli­to era det­to l’oscuro, in vir­tù del­la dif­fi­ci­le sin­tas­si del­le sue fra­si. Que­sta sin­tas­si era intrin­se­ca­men­te deter­mi­na­ta dall’ambiguità che – nel­la sua filo­so­fia – tra­va­glia il rea­le e che egli, da genio qual era, vole­va tra­sfe­ri­re allo sti­le del­la sua ope­ra. Que­sto rap­por­to tra sin­tas­si e filo­so­fe­ma, tra for­ma e con­te­nu­to, lo ritro­via­mo, espli­ci­ta­to, in Hei­deg­ger, il qua­le all’inizio di Esse­re e Tem­po (1971, 55) scri­ve : 

“Per quan­to con­cer­ne la gof­fag­gi­ne e la “ine­le­gan­za” di espres­sio­ne del­le ana­li­si che seguo­no, si può aggiun­ge­re che un con­to è infor­ma­re sull’ente rac­con­tan­do, e un altro è coglie­re l’ente nel suo esse­re. Per que­sta secon­da impre­sa man­ca­no non solo la mag­gior par­te del­le paro­le, ma, pri­ma di tut­to, la “gram­ma­ti­ca”. Se ci è leci­to richia­ma­re pre­ce­den­ti ana­li­si sull’essere, impa­reg­gia­bi­li quan­to al loro livel­lo, si para­go­ni­no le sezio­ni onto­lo­gi­che del Par­me­ni­de di Pla­to­ne o il quar­to capi­to­lo del set­ti­mo libro del­la Meta­fi­si­ca di Ari­sto­te­le con qual­che pas­so nar­ra­ti­vo di Tuci­di­de, e si vedrà qua­le sfor­zo inau­di­to fu richie­sto ai gre­ci dai loro filo­so­fi in fat­to di for­mu­la­zio­ni lin­gui­sti­che. Quan­do le for­ze sia­no essen­zial­men­te infe­rio­ri e, per di più, l’ambito onto­lo­gi­co da esplo­ra­re assai più arduo di quel­lo che fu pre­sen­ta­to ai gre­ci, è ine­vi­ta­bi­le che cre­sca­no anche la pro­lis­si­tà del­la ela­bo­ra­zio­ne con­cet­tua­le e la durez­za dell’espressione.

Lo sti­le, insom­ma, deve ade­guar­si all’oggetto di cui si deve trat­ta­re. È dun­que que­sto che cau­sa e deter­mi­na un cer­to sti­le, tal­vol­ta oscu­ro quan­do l’oggetto di inda­gi­ne è esso stes­so oscu­ro. Ma una per­so­na medio­cre, che non può affat­to avven­tu­rar­si in una tale gigan­to­ma­chia, inver­ti­rà il rap­por­to di cau­sa­li­tà, cer­can­do di spac­cia­re il pro­prio brut­to sti­le per pro­fon­di­tà intel­let­tua­le: “e poi per me non sono nep­pu­re abba­stan­za puli­ti: essi tut­ti intor­bi­da­no le pro­prie acque per far­le sem­bra­re pro­fon­de” (Nie­tzsche 1968, 148). 

I posers cer­ca­no, insom­ma, di com­pra­re a buon mer­ca­to il genio con la mone­ta del­la cat­ti­va sin­tas­si e, per­ché no, tal­vol­ta anche del­la cat­ti­va orto­gra­fia o, più gene­ral­men­te, del­la cat­ti­va for­ma. 

Altra carat­te­ri­sti­ca del genio tra­sver­sa­le a qual­sia­si genio è una cer­ta ori­gi­na­li­tà. Si può esse­re ori­gi­na­li, cioè usci­re dal­la visio­ne comu­ne del­le cose, per dar vita, se non ad un nuo­vo para­dig­ma come New­ton, Ein­stein, Bohr , quan­to­me­no a nuo­ve idee. L’originalità è, for­se, la cifra più essen­zia­le del genio: il genio, ci pare, è pro­prio colui che è ori­gi­na­le par excel­len­ce. Ma, anco­ra una vol­ta, l’originalità dipen­de dal genio e non, vice­ver­sa, il genio dall’originalità: non si è genia­li per­ché si è ori­gi­na­li, ma si è ori­gi­na­li per­ché genia­li. Allo­ra, il nostro pic­co­lo poser, che vuo­le esse­re un genio ma non lo è, pro­va ad acqui­sir­ne la par­ven­za cer­can­do di esse­re ori­gi­na­le. Que­sto si tra­du­ce nel com­por­ta­men­to più fasti­dio­so del poser, ovve­ro l’anticonformismo. Non riu­scen­do, in man­can­za di intel­li­gen­za, a coglie­re idee o a crea­re costu­mi nuo­vi, nel dub­bio il poser nega tut­ti quel­li cor­ren­ti. Così facen­do, il poser non solo man­ca di intel­li­gen­za, ma per­de anche il buon­sen­so neces­sa­rio per esse­re tol­le­ra­to dal­la socie­tà. La sua paro­la d’ordine è: no! E il suo com­por­ta­men­to stra­va­gan­te. Ovvia­men­te poi, quan­do gli vie­ne chie­sto di ren­de­re con­to del suo esse­re sem­pre con­tro, egli può rifu­giar­si nell’oscurità di cui sopra, e pro­pi­na­re spie­ga­zio­ni e teo­rie incom­pren­si­bi­li che, ai suoi occhi e anche a quel­li del­le per­so­ne meno atten­te, non solo non lo con­fu­ta­no, ma lo for­ti­fi­ca­no nel­la sua idea di esse­re un genio. 

Una postil­la all’esempio pre­ce­den­te è costi­tui­ta dal con­cet­to di poste­ri­tà. Una mini­ma par­te dei gran­di geni dell’umanità furo­no, in effet­ti, postu­mi. Ragio­ne del loro suc­ces­so postu­mo fu la loro inat­tua­li­tà; e ragio­ne del­la loro inat­tua­li­tà fu, appun­to, il loro genio che, pro­prio in quan­to ecce­zio­na­le, non pote­va esse­re com­pre­so dal­la men­ta­li­tà cor­ren­te, o alme­no non dal­la mag­gior par­te di essa. Il loro pen­sie­ro ave­va biso­gno, insom­ma, di tem­po per esse­re dige­ri­to. Cosa fa il poser quan­do, in vir­tù del suo anda­re sem­pre con­tro, del suo atteg­gia­men­to eccen­tri­co e del­la sua espres­sio­ne oscu­ra, vie­ne cri­ti­ca­to da tut­ti colo­ro che lo cir­con­da­no e che gli dico­no espli­ci­ta­men­te che è nel tor­to, se non nell’assurdo? Ebbe­ne costui rispon­de­rà, para­fra­san­do Nie­tzsche: non ho tor­to, sono postu­mo: sono giun­to trop­po pre­sto, ma le gene­ra­zio­ni futu­re mi capi­ran­no

Va det­to che il caso del­la poste­ri­tà, a dif­fe­ren­za dei tre pre­ce­den­ti, non vuo­le esse­re per­for­ma­ti­vo: essi non voglio­no, con la poste­ri­tà, pro­dur­re il genio come avve­ni­va, inve­ce, per la fol­lia, l’o­scu­ri­tà e l’originalità , ben­sì inter­pre­ta­no sin­to­ma­ti­ca­men­te la loro inat­tua­li­tà come segno del loro genio, non veden­do, però, che la poste­ri­tà è l’eccezione alla rego­la. 

Un altro trat­to carat­te­ria­le che tal­vol­ta si riscon­tra nei gran­di uomi­ni del­la sto­ria è la loro pre­sun­zio­ne. Essi sono capa­ci non solo di gran­di pen­sie­ri e azio­ni, ma anche, rifles­si­va­men­te, dell’autocoscienza di tale gran­dez­za. Si potreb­be­ro sicu­ra­men­te fare sva­ria­ti nomi a riguar­do, in ambi­to teo­ri­co Scho­pe­n­hauer, Nie­tzsche, Car­te­sio, Par­me­ni­de ma anche pra­ti­co Ales­san­dro e Napo­leo­ne ad esem­pio, o potrem­mo cita­re i tito­li dei capi­to­li 2, 3, 4, 15 di Ecce Homo di Nie­tzsche, che sono inti­to­la­ti rispet­ti­va­men­te: Per­ché sono così sag­gio; Per­ché sono così accor­to; Per­ché scri­vo libri così buo­ni; Per­ché sono un desti­no

Ma per varia­re i nostri esem­pi, è pos­si­bi­le vol­ger­si al padre del­la nostra lin­gua, Dan­te, che nel can­to quar­to del­la Com­me­dia (Infer­no, IV, vv. 85–93), scri­ve: 

Lo buon mae­stro comin­ciò a dire:

«Mira colui con quel­la spa­da in mano,

che vien dinan­zi ai tre sì come sire:

quel­li è Ome­ro poe­ta sovra­no;

l’altro è Ora­zio sati­ro che vene;

Ovi­dio è ‘l ter­zo, e l’ultimo Luca­no.

Però che cia­scun meco si con­ve­ne

nel nome che sonò la voce sola,

fan­no­mi ono­re, e di ciò fan­no bene»”.

Così facen­do, Dan­te si para­go­na ai cin­que gran­di poe­ti pre­cri­stia­ni  “ch’e’ sì mi fecer de la loro schie­ra, /sì ch’io fui sesto tra cotan­to sen­no” (Com­me­dia, Infer­no, IV, vv. 101–2). Ora una tale pre­sun­zio­ne è giu­sti­fi­ca­ta e accet­ta­ta nei con­fron­ti di un gran­de poe­ta come Dan­te. Per­ché? Per­ché il suo genio fu tale da pro­dur­re un’opera così gran­de da legit­ti­ma­re un’auto-riconoscenza del gene­re. Tut­ta­via il poser, veden­do come un genio sia, in quan­to genio, coscien­te del­la pro­pria gran­dez­za, cer­ca di emu­la­re egli stes­so una tale auto­co­scien­za, dive­nen­do così altret­tan­to arro­gan­te. Ma, anco­ra una vol­ta, egli si inte­res­sa dell’effetto, e non del­la cau­sa, e ten­ta, con quel­lo, di rag­giun­ge­re que­sta. 

È per que­sta ragio­ne – in aggiun­ta al suo carat­te­re illu­so­rio – che il poser è una figu­ra così spre­ge­vo­le: non solo vive nell’apparenza, ma ha l’arroganza dei gran­di. Oltre il dan­no, insom­ma, la bef­fa. 

Que­sti esem­pi ser­vo­no ad illu­stra­re la mec­ca­ni­ca del pro­ces­so con cui il poser si appro­pria dell’apparenza di un carat­te­re genia­le. Allo stes­so tem­po, egli mani­fe­sta anche un altro aspet­to. Il poser non può pren­de­re come model­li geni il cui tem­pe­ra­men­to fu però mode­ra­to e sta­bi­le. Ari­sto­te­le fu sicu­ra­men­te un genio ma la sua logi­ca algi­da e fer­rea non può attrar­re un poser, per­ché essa, pur per­mean­do tut­to il siste­ma filo­so­fi­co del­lo Sta­gi­ri­ta e sicu­ra­men­te anche il suo sti­le di vita non ha trat­ti appa­ren­ti. In altre paro­le, essa pro­du­ce un rea­le bene­fi­cio se e solo se la si pos­sie­de vera­men­te, ma non è pos­si­bi­le imi­tar­la per inse­gui­re un fetic­cio. Nes­su­no vuo­le esse­re G. Fre­ge il fon­da­to­re del­la logi­ca mate­ma­ti­ca con­tem­po­ra­nea , ma tut­ti voglio­no esse­re Witt­gen­stein, e que­sto non per ragio­ni filo­so­fi­che, ma sem­pli­ce­men­te per­ché Witt­gen­stein, scrit­to il Trac­ta­tus Logi­co-phi­lo­so­phi­cus, pen­sa­va di aver risol­to tut­ti i pro­ble­mi del­la filo­so­fia, e poté così riti­rar­si a fare il giar­di­nie­re in un mona­ste­ro. Que­sto è un com­por­ta­men­to imi­ta­bi­le, col qua­le il poser può spe­ra­re di com­prar­si l’etichetta di genio. Ciò può ser­vi­re come ulte­rio­re chia­ve per inter­pre­ta­re l’attitudine del poser: per rico­no­scer­lo, un ulte­rio­re con­si­glio è sbir­cia­re le sue let­tu­re. Dif­fi­cil­men­te sarà appas­sio­na­to di auto­ri come Ansel­mo, Tom­ma­so, Hume, Leib­niz, Fre­ge, Rus­sell. Ma pre­fe­ri­rà auto­ri i cui trat­ti sti­li­sti­co-carat­te­ria­li sono mag­gior­men­te spu­meg­gian­ti. Il poser ha biso­gno di pren­de­re in giro innan­zi­tut­to se stes­so, per que­sto non può sce­glie­re figu­re trop­po diver­se da un fol­le genio incom­pre­so nel­la sua gene­ra­zio­ne; il con­fron­to deve reg­ger­si innan­zi­tut­to nel­la sua testa. E per que­sto moti­vo, se inve­ce di imma­gi­na­re una cena dei cre­ti­ni imma­gi­nas­si­mo una cena di posers, quest’ultima avreb­be una pro­ba­bi­li­tà mino­re di esse­re sco­per­ta come tale dagli invi­ta­ti. I cre­ti­ni pos­so­no comun­que riu­sci­re a iden­ti­fi­ca­re altri cre­ti­ni, come suc­ce­de nel Dîner de cons, men­tre il poser avreb­be par­ti­co­la­re dif­fi­col­tà nel rico­no­sce­re i suoi simi­li. Aven­do fat­to lo sfor­zo di sce­glie­re come model­li del­le figu­re par­ti­co­lar­men­te uni­che,  non pos­so­no loro stes­si tro­var­si in una cate­go­ria che con­ten­ga più di una per­so­na.

La cena dei cre­ti­ni non si vede mai nel film, si rima­ne peren­ne­men­te in un pre sera­ta. Un pre sera­ta con un poser sareb­be comun­que mol­to più stan­can­te dell’avere a che fare con un cre­ti­no, in quan­to il poser richie­de la tua com­ple­ta atten­zio­ne. Non per­ché rie­sca­no a cat­tu­ra­re il nostro inte­res­se, quan­to a susci­ta­re in noi il timo­re di poter esse­re come loro. Ognu­na di que­ste discus­sio­ni ci ren­de più cini­ci, meno capa­ci di apprez­za­re mol­ti di quei pia­ce­ri a cui si può acce­de­re solo se non si sono mai cono­sciu­te per­so­ne che apprez­za­no la stes­sa cosa per i moti­vi sba­glia­ti. Gli orga­niz­za­to­ri del­la cena avreb­be­ro, a tur­no ovvia­men­te, un momen­to in cui inte­rior­men­te avreb­be­ro biso­gno di con­vin­cer­si di non esse­re un poser. Il diver­ti­men­to del­la sera­ta non var­reb­be la spia­ce­vo­le con­se­guen­za di non poter più anda­re assie­me ad una let­tu­ra di poe­sia sen­za sen­tir­si irri­me­dia­bil­men­te spor­chi e biso­gno­si di assi­ste­re a qual­co­sa su cui nes­su­no ha mai posa­to. Bre­ve­men­te, il poser logo­ra chi non lo è.

Anche il poser non tol­le­ra del tut­to la com­pa­gnia dei pro­pri simi­li. Se infat­ti que­sto pseu­do-intel­let­tua­le si cir­con­das­se di que­sti ulti­mi, sareb­be par­ti­co­lar­men­te impro­ba­bi­le che ci sia­no cin­que geni che nasco­no una vol­ta ogni cen­to anni tut­ti nel­lo stes­so grup­po e tut­ti ingiu­sta­men­te non rico­no­sciu­ti. Il poser a quel pun­to avrà un sen­ti­men­to di ina­de­gua­tez­za, ma avrà dif­fi­col­tà a defi­ni­re gli altri come tali, a meno che non stia­no appli­can­do un fetic­cio di una figu­ra dia­me­tral­men­te oppo­sta alla loro. Infi­ne, il poser riu­sci­rà comun­que a rico­no­sce­re gli altri come tali, ma non se stes­so, banal­men­te per­ché lui può con­ta­re sul fat­to che ha una rap­pre­sen­ta­zio­ne men­ta­le del pro­prio sen­ti­re mag­gio­re di quel­la degli altri. Come spie­ga Hob­bes (Levia­ta­no, I, 13), cia­scu­no si repu­ta più sag­gio degli altri per il sem­pli­ce fat­to che vede la pro­pria intel­li­gen­za da vici­no, e quel­la degli altri da lon­ta­no. Il poser potrà sem­pre sen­tir­si come il vian­dan­te davan­ti al mare con neb­bia poi­ché rela­ti­va­men­te al sen­ti­men­to degli altri che lui non rie­sce a per­ce­pi­re il suo sen­ti­men­to, anche se minu­sco­lo, risul­ta enor­me, e quin­di lo met­te in una posi­zio­ne di gran­dez­za di fron­te agli altri posers. Inol­tre, come per il cre­ti­no, è sem­pre pos­si­bi­le tro­va­re uno genui­na­men­te più poser di te, “da Olim­pia­di” come si dice nel Dîner de cons. In una even­tua­le cena di posers, quin­di, si potreb­be­ro per­si­no ave­re del­le discus­sio­ni agi­ta­te, ma nes­su­no degli ospi­ti avrà modo di capi­re di esse­re par­te di una cate­go­ria, essen­do il loro obiet­ti­vo quel­lo di esse­re UNI­CI.

                                                                                                                                        Gior­gio Andreo­ni (gior­gion­dr)

Biblio­gra­fia

Ari­sto­te­le, 1999. Eti­ca Nico­ma­chea, trad., introd. e note di C. Nata­li, Later­za, Roma-Bari. 

Ali­ghie­ri, D. [1314] 2016. Divi­na Com­me­dia. Infer­no, com­men­to di A. M. Chia­vac­ci Leo­nar­di, Mon­da­do­ri, Mila­no. 

Hei­deg­ger, M. [1927] 1971. Esse­re e Tem­po, Intro­du­zio­ne: §7, a cura di F. Vol­pi, trad. P. 

Chio­di, Lon­ga­ne­si & C., Mila­no.

Nie­tzsche, F. [1882; 1887] 1967. La Gaia Scien­za e Idil­li di Mes­si­na, intr. G. Col­li, trad. F. Masi­ni, Adel­phi, Mila­no.

Nie­tzsche, F. [1885]1968. Così par­lò Zara­thu­stra, II, Dei Poe­ti, Adel­phi, Mila­no. 

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