5

Febbraio
5 Febbraio 2024

LA SOLI­TU­DI­NE DI DIE­GO MARA­NI

0 CommentI
83 visualizzazioni
19 min

Ubal­do Stec­co­ni par­la con Die­go Mara­ni di Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se, La nave di Teseo, 2022

Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se è una bel­la sto­ria che ti ha dato mol­te sod­di­sfa­zio­ni. Puoi ricor­da­re bre­ve­men­te ai let­to­ri di Ātman di cosa par­la?

Per rias­su­me­re la tra­ma, è la sto­ria di un cer­to Sam­po che, a cau­sa di una bot­ta in testa, per­de la memo­ria per­so­na­le e lin­gui­sti­ca a Trie­ste nel 1943. Vie­ne soc­cor­so da un medi­co tede­sco di ori­gi­ne fin­lan­de­se sbar­ca­to a Trie­ste con la nave ospe­da­le Tübin­gen. Que­sti, per un segno che gli tro­va addos­so, lo cre­de un fin­lan­de­se e lo rie­du­ca alla sua cul­tu­ra. Lo man­da poi in Fin­lan­dia e gli pre­pa­ra un atter­rag­gio mor­bi­do in un ospe­da­le mili­ta­re dove ave­va un com­pa­gno di stu­di che Sam­po non incon­tre­rà mai. A Hel­sin­ki Sam­po tro­va varie per­so­ne che lo edu­ca­no a una fin­lan­de­si­tà postic­cia, che però è tut­to quel­lo che ha. Alla fine la sto­ria si rive­la del tut­to diver­sa, ma non te la dico, per­ché lo fa meglio il libro.

Il tema è il non-luo­go e la per­di­ta del­la memo­ria, quin­di la ricer­ca di un’identità per­du­ta. Que­sta intui­zio­ne nasce da più lon­ta­no, dal mio lavo­ro di tra­dut­to­re al Con­si­glio. Si può dire che il nostro lavo­ro è fare l’Europa, ma come la met­tia­mo con gli euro­pei? L’europeo non esi­ste anco­ra; allo­ra si può pren­de­re un indi­vi­duo, toglier­gli tut­ti i ricor­di e instil­lar­gli una coscien­za euro­pea inven­ta­ta. Ciò mi ha por­ta­to a pen­sa­re che se uno non ha la lin­gua non è più nes­su­no. Ecco come ho comin­cia­to a tes­se­re que­sta sto­ria.

Ho pre­so Trie­ste e Hel­sin­ki, due luo­ghi signi­fi­ca­ti­vi sia per la mia espe­rien­za che per la sto­ria d’Europa. Trie­ste è un non-luo­go, una cit­tà che non è di nes­su­no, che non vuo­le esse­re di nes­su­no. Hel­sin­ki a guar­dar­la sem­bra una pic­co­la San Pie­tro­bur­go ma in real­tà è una cit­tà di fon­da­zio­ne sve­de­se, alme­no cul­tu­ral­men­te. Però è la capi­ta­le del­lo sta­to fin­lan­de­se, che si è sem­pre oppo­sto sia ai rus­si che agli sve­de­si. Que­sti luo­ghi era­no per­fet­ti per il mio per­so­nag­gio che dove­va smar­ri­re l’identità e ritro­var­ne un’altra. L’anno è il 1943; un anno cupo su cui non abbia­mo infor­ma­zio­ni pre­ci­se, si trat­ta di un momen­to per­fet­to per­ché pote­vo far suc­ce­de­re quel che vole­vo.

A pro­po­si­to di euro­pei­tà e fin­lan­de­si­tà, dire­sti che Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se sia un libro ita­lia­no? A leg­ger­lo ho avu­to l’impressione di un libro scrit­to solo inci­den­tal­men­te in ita­lia­no.

È una bel­la rifles­sio­ne che fai. Devo dire che io leg­go pochis­si­mo in ita­lia­no e in gene­re cose di alme­no 50 anni fa. Qua­si tut­te le mie let­tu­re sono in altre lin­gue, essen­zial­men­te fran­ce­se e ingle­se. Nel­la let­te­ra­tu­ra ita­lia­na con­tem­po­ra­nea non c’è mol­to che mi pia­ce. Mi spie­go: a me pia­ce il roman­zo, ovve­ro quel­la for­ma di scrit­tu­ra in cui c’è una sto­ria che ini­zia con qual­co­sa e fini­sce con un’altra cosa e nel mez­zo ne suc­ce­do­no tan­te altre. Ciò che non mi pia­ce del­la let­te­ra­tu­ra ita­lia­na recen­te è la ten­den­za a scri­ver­si addos­so. Non frain­ten­der­mi, la scrit­tu­ra è bel­la anche così, ma allo­ra non si deve scri­ve­re ‘roman­zo’ sul­la coper­ti­na. Le pro­ve d’orchestra non sono un con­cer­to.

Nel tuo roman­zo con­vi­vo­no gene­ri e moti­vi che non è usua­le tro­va­re assie­me: impres­sio­ni di viag­gio, note lin­gui­sti­che, il caso dell’uomo che deve inven­tar­si una per­so­na­li­tà da zero, una sto­ria d’amore fru­stra­ta, il rap­por­to fra lo scien­zia­to-demiur­go e la sua crea­tu­ra. Come ti sei posto tec­ni­ca­men­te il pro­ble­ma di armo­niz­za­re ingre­dien­ti così diver­si?

Non ero con­sa­pe­vo­le di tut­to que­sto duran­te la scrit­tu­ra; io scri­vo d’istinto, sen­to quan­do una cosa va, poi ana­liz­zan­do­la vedo le viti che la fan­no sta­re in pie­di. Quan­do mi veni­va l’idea di intro­dur­re qual­co­sa di ete­ro­ge­neo, non sta­vo a veri­fi­ca­re tec­ni­ca­men­te come fun­zio­nas­se; mi veni­va in men­te, tro­va­vo che ave­va un ruo­lo nell’economia del­la sto­ria e la svi­lup­pa­vo. Poi, rileg­gen­do, ho potu­to osser­va­re cer­ti mec­ca­ni­smi, che però ave­vo rea­liz­za­to in modo del tut­to incon­scio. Tut­ta­via, è vero che ho mes­so insie­me gene­ri ed ele­men­ti diver­sis­si­mi, ma sen­za pre­me­di­ta­zio­ne, non ho pre­pa­ra­to pri­ma gli ingre­dien­ti da met­te­re den­tro la sto­ria.

Un ami­co mi ha det­to che Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se gli è sem­bra­to un roman­zo sto­ri­co che non par­la di sto­ria ma di geo­gra­fia uma­na e cul­tu­ra­le. Cosa pen­si se ti dico che hai inven­ta­to il gene­re del ‘roman­zo geo­gra­fi­co’?

Non ci ave­vo pen­sa­to, ma è vero. Tro­vo che que­sta defi­ni­zio­ne di roman­zo geo­gra­fi­co sia bel­lis­si­ma, e di fat­to la mia è una scrit­tu­ra geo­gra­fi­ca. I miei roman­zi spa­zia­no in un ter­ri­to­rio che va dal­la Sibe­ria alla Lap­po­nia, dal­la Buco­vi­na al Bal­ti­co, dal­la Val­pa­da­na all’Albania e il cen­tro del com­pas­so è sem­pre quel­lo: Trie­ste. È vero che ho sem­pre ama­to inse­gui­re una geo­gra­fia dei luo­ghi e del­le per­so­ne anche al di fuo­ri del­le scrit­tu­re. Ci sono dei luo­ghi per me sacri e ogni vol­ta che li visi­to rifac­cio gli stes­si iti­ne­ra­ri per­ché devo vede­re cer­te cose, devo sen­ti­re cer­ti odo­ri, cer­ti rumo­ri. È vero anche che per me i luo­ghi più bel­li e più sacri sono quel­li dove qual­co­sa si mesco­la, sto par­lan­do di Trie­ste soprat­tut­to. Non so dir­ti che sen­so abbia tut­to que­sto per quel che riguar­da la mia scrit­tu­ra, però sen­to che c’è del vero in que­sto e che la pri­ma cosa che ho visto del mio roman­zo sono sta­ti i luo­ghi. Quan­do ho stret­to in pugno i luo­ghi, la sto­ria era mia. La sto­ria fun­zio­na per­ché è il luo­go che ha fat­to tut­to. Non pote­va esse­re altro che Hel­sin­ki e Trie­ste nel 1943.

Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se si com­po­ne di due rac­con­ti: di uno è respon­sa­bi­le il dot­to­re e dell’altro Sam­po. Per­ché hai scel­to una nar­ra­zio­ne su due livel­li? A cosa ti sono ser­vi­ti nell’organizzazione del­la sto­ria e del rac­con­to?

Sin dall’inizio vole­vo far veni­re fuo­ri la sto­ria da un memo­ria­le, per­ché non pote­vo far rac­con­ta­re a Sam­po la pro­pria sto­ria. Sam­po non è più capa­ce di par­la­re e non pote­va esse­re lì a rac­con­tar­la. Mi ser­vi­va quin­di un testi­mo­ne che potes­se rap­pez­za­re gli indi­zi, che ritro­vas­se il mano­scrit­to e ne rico­struis­se le par­ti oscu­re. In que­sto modo, non poten­do far vive­re il per­so­nag­gio per suo con­to, l’ho illu­mi­na­to da pun­ti diver­si e l’ho fat­to vive­re nell’evocazione del­le per­so­ne che ave­va cono­sciu­to. Quin­di, quel che non sca­tu­ri­sce da Sam­po lo appren­dia­mo dal medi­co. Lo stes­so vale per i sen­ti­men­ti tra Sam­po e Ilma, l’infermiera che incon­tra a Hel­sin­ki. Le let­te­re di Ilma sono tra­spa­ren­ti, i suoi sen­ti­men­ti sono espli­ci­ti e nar­ra­ti. Quel­li di Sam­po inve­ce sono erme­ti­ci e con­tor­ti e non ven­go­no mai fuo­ri pie­na­men­te.

Un moti­vo del roman­zo che mi ha copli­to è la con­ti­nua rifles­sio­ne sul lin­guag­gio come for­za che deter­mi­na le per­so­na­li­tà indi­vi­dua­li e col­let­ti­ve degli esse­ri uma­ni. Puoi chia­ri­re la tua posi­zio­ne su que­sto tema?

Il discor­so sul­la poten­za del­la lin­gua si inne­sta diret­ta­men­te, nel mio pen­sie­ro, sull’euro­pan­to e il suo mes­sag­gio. Vivia­mo in un’Europa fat­ta di Sta­ti nazio­ne, che è una bel­lis­si­ma inven­zio­ne fran­ce­se espor­ta­ta ovun­que, anche lì dove non ave­va ragio­ne di esi­ste­re. Ha avu­to un suc­ces­so for­mi­da­bi­le e il mon­do ne ha vis­su­to per due­cen­to anni. Lo Sta­to nazio­ne è però una per­ver­sio­ne per­ché fa coin­ci­de­re cose che non pos­so­no sta­re insie­me: un ter­ri­to­rio dise­gna­to arti­fi­cial­men­te dall’uomo e una lin­gua che inve­ce è un feno­me­no natu­ra­le. A que­sto si aggiun­ge una ban­die­ra e tut­ta una mito­lo­gia nazio­na­le che get­ta le radi­ci nell’epica che ogni nostra ter­ra ha.

Ora sia­mo nei guai per­ché cer­chia­mo la lin­gua e l’identità comu­ni per l’Europa e non riu­scia­mo a sfug­gi­re a que­sta trap­po­la del­lo sta­to nazio­ne. Que­sto è il per­cor­so che ha fat­to la Fin­lan­dia nel giro di pochi anni, un per­cor­so acce­le­ra­to per tra­sfor­mar­si da gran­du­ca­to rus­so o colo­nia sve­de­se in uno Sta­to nazio­ne nel sen­so fran­ce­se. Dun­que, cosa han­no fat­to in Fin­lan­dia? Qual­cu­no è anda­to a rac­co­glie­re i can­ti epi­ci loca­li. Si trat­ta di bal­la­te, soprat­tut­to ero­ti­che, che la gen­te si can­ta­va d’inverno, sedu­ti su una pan­ca per far­si com­pa­gnia e per non mori­re di fred­do intan­to che beve­va­no. Chi ha rac­col­to il mate­ria­le, da tut­te que­ste bal­la­te ha mes­so insie­me il Kale­va­la, un ciclo orga­niz­za­to attor­no all’eroe Väi­nä­möi­nen, che avreb­be la stes­sa fun­zio­ne di Roland ma che come per­so­nag­gio fa acqua da tut­te le par­ti. La sto­ria si osti­na a dar­gli un ciclo, una serie di con­qui­ste, di ele­men­ti uni­fi­can­ti. Natu­ral­men­te non tut­ti i can­ti sono pub­bli­ca­ti, quel­li ero­ti­ci sono chiu­si a chia­ve nel­la biblio­te­ca del­la cat­te­dra­le di Hel­sin­ki, cre­do.

Que­sta rifles­sio­ne sul­la mito­lo­gia fin­lan­de­se mi ha incu­rio­si­to e l’ho volu­ta intro­dur­re nel libro per­ché chiu­de il cer­chio del­la mia rifles­sio­ne sul­la lin­gua e sull’identità. Il mio mes­sag­gio è essen­zial­men­te que­sto: le lin­gue sono di tut­ti, non è vero che il fran­ce­se è dei fran­ce­si e l’italiano degli ita­lia­ni. Le lin­gue sono di chi le par­la. L’identità nazio­na­le non è neces­sa­ria­men­te lega­ta all’identità poli­ti­ca e lin­gui­sti­ca. Inve­ce anco­ra oggi la nostra men­ta­li­tà è for­gia­ta in quel sen­so. Si è ita­lia­ni solo se si par­la ita­lia­no, se non par­li ita­lia­no sei una mino­ran­za. A vol­te le mino­ran­ze sono con­si­de­ra­te come una malat­tia, qual­co­sa da cui si deve gua­ri­re. Ecco, nel­la Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se ho volu­to por­ta­re il mio per­so­nag­gio fino al para­dos­so. Sam­po alla fine capi­sce che per esse­re qual­cu­no deve mori­re per una patria. Non ha lin­gua, non ha memo­ria, non ha pas­sa­to, moren­do per una patria avrà un nome su una tom­ba, dove c’è scrit­to che è fin­lan­de­se. Da mor­to sarà fin­lan­de­se, da vivo no.

Ti ricor­do che que­sta è una cri­ti­ca in for­ma di inter­vi­sta. Da cri­ti­co ti dirò che non mi è pia­ciu­to il trat­ta­men­to del ‘siste­ma di miste­ri’. L’autore impli­ci­to sa una cosa che reg­ge tut­ta la sto­ria e che sia i nar­ra­to­ri-per­so­nag­gi che i let­to­ri igno­ra­no. Il libro sem­bra chiu­der­si sul miste­ro irri­sol­to e inve­ce tut­to si sco­pre nel­le ulti­me cin­que pagi­ne con dovi­zia di par­ti­co­la­ri come un gial­lo di manie­ra. Sei con­ten­to di que­sto scio­gli­men­to total­men­te con­so­la­to­rio?

Quan­do si tra­sci­na un per­so­nag­gio per due­cen­to pagi­ne a cer­ca­re la pro­pria iden­ti­tà e que­sti non rie­sce a tro­var­la e fini­sce per morir­ne, si crea una cer­ta atte­sa. Per one­stà ver­so il let­to­re dove­vo spie­ga­re quel­lo che c’è die­tro. Non pote­vo crea­re tut­ta que­sta costru­zio­ne sul nul­la e poi non sve­la­re il mec­ca­ni­smo. Che fos­se tut­to un gros­so equi­vo­co si capi­sce sin dall’inizio, ma dove­vo spie­ga­re come era archi­tet­ta­to. Inol­tre, la spie­ga­zio­ne è impor­tan­tis­si­ma per­ché si rive­la una bana­li­tà. È anco­ra più bel­lo vede­re su che erro­re infi­mo e mise­ro è inciam­pa­to un uomo fino a morir­ne. Se non aves­si sve­la­to un equi­vo­co così bana­le, la fine di Sam­po sareb­be sta­ta epi­ca, o comun­que sospe­sa nel dub­bio di chi sa qua­le sor­te, chi sa qua­le risvol­to o pro­spet­ti­va ine­nar­ra­bi­le. Inve­ce vole­vo che appa­ris­se pro­prio la pic­co­lez­za, l’insignificanza dell’incidente che ha por­ta­to Sam­po fuo­ri dal­la sua vita. Pro­prio per l’economia del­la sto­ria era capi­ta­le che appa­ris­se la cau­sa­li­tà, ed è un faz­zo­let­to da naso dimen­ti­ca­to in tasca che fa coin­ci­de­re il nome con le ini­zia­li di Sam­po e la bef­fa di que­sti due mon­di lon­ta­nis­si­mi che, per un rivol­gi­men­to momen­ta­neo del­la sto­ria, in quell’anno si toc­ca­no e fan­no sal­ta­re via la vita di un uomo.

Dopo oltre ven­ti libri pub­bli­ca­ti, cosa signi­fi­ca per te esse­re uno scrit­to­re?

Con tut­ta umil­tà, si saprà for­se fra cinquant’anni se sono mai sta­to uno scrit­to­re, per­ché scri­ve­re un libro, scri­ver­ne die­ci o ven­ti non signi­fi­ca esse­re uno scrit­to­re. È dif­fi­ci­le; uno scrit­to­re non lo si defi­ni­sce per il fat­to che vive del­la sua scrit­tu­ra. È un lavo­ro lun­go. Se pen­so al tem­po che mi ci è volu­to per cola­re den­tro di me tut­to quel­lo che in segui­to ho mes­so in Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se, devo cal­co­la­re die­ci anni. È vero che il libro è appe­na di due­cen­to pagi­ne e l’ho scrit­to in nean­che un anno, ma den­tro c’è tut­to quel­lo che mi è pas­sa­to per la testa for­se da quan­do stu­dio le lin­gue, da quan­do ho a che fare con que­stio­ni che riguar­da­no l’identità. Per que­sto non mi sen­to di poter dire di esse­re uno scrit­to­re. Sono anco­ra uno che pro­va a scri­ve­re, e l’unica cosa di cui sono cer­to è che mi pia­ce un sac­co.

Ma non sem­bre­reb­be che tu scri­va per te stes­so…

Ma che cavo­lo dici, cer­to! Scri­via­mo tut­ti per noi stes­si. La cosa che però ci fa vive­re è che spe­ria­mo che qual­cu­no ci leg­ga, altri­men­ti non scri­ve­rem­mo. È per que­sto, tor­nan­do alla let­te­ra­tu­ra in gene­re, che abbia­mo un debi­to di one­stà nei con­fron­ti del let­to­re. Per que­sto è impor­tan­te nar­ra­re una sto­ria per­ché nar­ra­re una sto­ria è la magia del roman­zo. Far vive­re un per­so­nag­gio è una cosa che quan­do lo fai una vol­ta diven­ta una dro­ga. Io ho sof­fer­to mol­to quan­do non ho più par­la­to di Sam­po, quan­do non l’ho più visto. Io sono solo sen­za Sam­po. Lui mi male­di­rà per la vita orri­bi­le e la fine ancor peg­gio­re che gli ho fat­to fare. Ma è soli­tu­di­ne que­sta, è una soli­tu­di­ne che con­ti­nui ad inse­gui­re, per­ché da allo­ra sono stre­ga­to e ho con­ti­nua­to ad ave­re biso­gno di far vive­re qual­cun altro.

AUTO­RE

Die­go Mara­ni ha lavo­ra­to per l’Unione euro­pea dal 1985 al 2021, da ulti­mo inca­ri­ca­to del­la diplo­ma­zia cul­tu­ra­le dell’UE, con­si­glie­re del Mini­stro dei Beni Cul­tu­ra­li e Diret­to­re dell’Istituto ita­lia­no di cul­tu­ra di Pari­gi.  È auto­re di roman­zi e sag­gi tra­dot­ti in più di 15 lin­gue e inven­to­re del­la lin­gua-gio­co Euro­pan­to in cui ha pub­bli­ca­to la rac­col­ta di rac­con­ti “Las adven­tu­ras des inspec­tor Cabil­lot” assie­me a cen­ti­na­ia di arti­co­li in diver­si quo­ti­dia­ni euro­pei. Con “Nuo­va gram­ma­ti­ca fin­lan­de­se” (2000) ha vin­to il Pre­mio Grin­za­ne Cavour e con “L’ultimo dei Vostia­chi” (2002) il Pre­mio Sele­zio­ne Cam­piel­lo e il Pre­mio Stre­sa. Altre sue ope­re sono “L’interprete” (2003) “Il com­pa­gno di scuo­la” (2005), vin­ci­to­re del Pre­mio Caval­li­ni-Sgar­bi, “La bici­clet­ta incan­ta­ta” (2006), con un cor­to­me­trag­gio di Eli­sa­bet­ta Sgar­bi, “Enci­clo­pe­dia tre­si­gal­le­se” (2007), “Lavo­ra­re man­ca” (2011) e “Il ritor­no di San Gior­gio” (2019).  Con “Vita di Nul­lo” (2017) è sta­to di nuo­vo fina­li­sta al Pre­mio Stre­sa. “La cit­tà cele­ste” (2021) è sta­to defi­ni­to una dichia­ra­zio­ne d’amore a Trie­ste. “L’uomo che vole­va esse­re una mino­ran­za“ è il suo ulti­mo suo roman­zo, usci­to nel 2022. Nel 2023 è usci­ta la ristam­pa del sag­gio “A Trie­ste con Sve­vo”. Die­go Mara­ni scri­ve sul­le pagi­ne del Dome­ni­ca­le del Sole 24 Ore e tie­ne un blog su eunews.it.


Con­di­vi­di:
I commenti sono chiusi