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Febbraio
6 Febbraio 2023

LA PRO­IE­ZIO­NE MILI­TA­RE CINE­SE NEI PAE­SI DEL­LA BELT AND ROAD INI­TIA­TI­VE

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L’elezione di Xi Jin­ping nel 2012 ha trac­cia­to una nuo­va tra­iet­to­ria di svi­lup­po e asce­sa per la Repub­bli­ca Popo­la­re Cine­se. Nono­stan­te ciò, in pochi avreb­be­ro pen­sa­to che nel 2013 la Cina si sareb­be lan­cia­ta nel­la rea­liz­za­zio­ne del più ambi­zio­so pro­get­to infra­strut­tu­ra­le, geo­po­li­ti­co e geoe­co­no­mi­co mai ten­ta­to nel cor­so del­la sto­ria: ben dodi­ci vol­te più costo­so, al net­to dell’inflazione, rispet­to al Pia­no Mar­shall lan­cia­to dagli USA al ter­mi­ne del­la Secon­da Guer­ra mon­dia­le. L’ambizioso pia­no, deno­mi­na­to BRI (Belt and Road Ini­tia­ti­ve) o One Belt One Road mira a coin­vol­ge­re via ter­ra e via mare più di 60 Nazio­ni appar­te­nen­ti ad Afri­ca, Asia, Euro­pa e Sud Ame­ri­ca, con l’obiettivo fina­le di dar vita ad una rete di infra­strut­tu­re com­mer­cia­li, eco­no­mi­che ed ener­ge­ti­che a livel­lo glo­ba­le.

Dopo l’annuncio, un gran nume­ro di Pae­si, afri­ca­ni e asia­ti­ci in pri­mis, si sono dimo­stra­ti for­te­men­te inte­res­sa­ti a far par­te del pro­get­to e han­no accet­ta­to di buon gra­do i pre­sti­ti e gli inve­sti­men­ti arri­va­ti dal­la Cina. Quest’ultima nell’ultimo ven­ten­nio ha ripre­so e inte­gra­to, alla luce del rapi­dis­si­mo svi­lup­po eco­no­mi­co nazio­na­le, la stra­te­gia idea­ta da Mao nel cam­po del­la poli­ti­ca este­ra; una stra­te­gia vol­ta fin dal­la Con­fe­ren­za di Ban­dung del 1955 a por­si come gui­da alter­na­ti­va all’URSS per l’indipendenza e la cre­sci­ta di quel­le Nazio­ni defi­ni­te “non alli­nea­te” nel con­te­sto bipo­la­re. Pechi­no fin dall’inizio del XXI seco­lo si è abil­men­te pre­sen­ta­ta come un sog­get­to dif­fe­ren­te rispet­to agli Sta­ti colo­nia­li euro­pei, non inten­zio­na­ta a impor­re rego­le in cam­po giu­ri­di­co o eco­no­mi­co. Impo­stan­do le rela­zio­ni bila­te­ra­li sul­la base di una stra­te­gia “win-win” e uti­liz­zan­do al meglio il pro­prio soft-power è riu­sci­ta in poco tem­po ad attrar­re a sé mol­ti gover­ni. L’Europa, Ita­lia inclu­sa, è sta­ta ini­zial­men­te dispo­sta a col­la­bo­ra­re con Pechi­no per svi­lup­pa­re i col­le­ga­men­ti nell’ambito del­la BRI ma negli ulti­mi anni si è nota­ta una bru­sca vira­ta dovu­ta agli enor­mi timo­ri che l’iniziativa cine­se ha sol­le­va­to nei palaz­zi del pote­re in Occi­den­te, soprat­tut­to alla Casa Bian­ca.

Osser­van­do la spre­giu­di­ca­tez­za con la qua­le Pechi­no ha por­ta­to avan­ti i suoi pro­get­ti e timo­ro­si del­la sua aggres­si­vi­tà, gli ana­li­sti han­no ini­zia­to ad appro­fon­di­re le com­po­nen­ti stra­te­gi­che e geo­po­li­ti­che insi­te nel­la Belt and Road Ini­tia­ti­ve con l’obiettivo di capi­re se e come ad un’espansione com­mer­cia­le ed eco­no­mi­ca segui­rà una con­te­stua­le pene­tra­zio­ne mili­ta­re.

Gli Sta­ti Uni­ti han­no impa­ra­to la lezio­ne dell’Ammiraglio Alfred T. Mahan[1]: è pos­si­bi­le  man­te­ne­re il con­trol­lo dei flus­si eco­no­mi­ci e com­mer­cia­li e se neces­sa­rio, iso­la­re i pro­pri avver­sa­ri gra­zie al con­trol­lo degli ocea­ni. Sareb­be irrea­li­sti­co cre­de­re che la Cina, seb­be­ne sto­ri­ca­men­te non sia una Nazio­ne par­ti­co­lar­men­te impron­ta­ta alla guer­ra, non deci­da di appro­fit­ta­re del­la BRI per aumen­ta­re le pro­prie capa­ci­tà mili­ta­ri all’estero, soprat­tut­to quel­la di pat­tu­glia­men­to del­le linee marit­ti­me dove tran­si­ta­no le mer­ci da e ver­so il Pae­se.

Già nel 2004, l’ex Pre­si­den­te Hu Jin­tao per la pri­ma vol­ta par­lò di una “nuo­va mis­sio­ne sto­ri­ca” e intro­dus­se il con­cet­to secon­do cui la Cina avreb­be dovu­to difen­de­re i suoi inte­res­si non solo sul con­ti­nen­te ma anche oltre­ma­re. Otto anni dopo, il XVIII Con­gres­so del Par­ti­to Comu­ni­sta Cine­se sta­bi­lì che la Cina doves­se diven­ta­re una “gran­de poten­za nava­le”. La diri­gen­za cine­se ha sot­to­li­nea­to la neces­si­tà di dotar­si di “pun­ti di appro­do stra­te­gi­ci” neces­sa­ri a difen­de­re gli inte­res­si cine­si e a pro­iet­ta­re la pro­pria influen­za poli­ti­ca e mili­ta­re nel­le “regio­ni influen­ti”[2].

Di fron­te alle rin­no­va­te ambi­zio­ni cine­si, nel 2004 la Booz Allen Hamil­ton, socie­tà di con­su­len­za ame­ri­ca­na, coniò il con­cet­to di “stra­te­gia del filo di per­le” per descri­ve­re la volon­tà cine­se di dar vita ad una “col­la­na” in gra­do di iso­la­re l’India, pro­teg­ge­re gli approv­vi­gio­na­men­ti ener­ge­ti­ci e com­mer­cia­li e aumen­ta­re la pre­sen­za nell’Indo-Pacifico. Le per­le più pre­gia­te di que­sta col­la­na van­no indi­vi­dua­te nei quat­tro por­ti ad uso dua­le (civi­le e mili­ta­re) di Gwa­dar, Dora­leh, Ham­ban­to­ta e Kyau­k­phyu, rispet­ti­va­men­te in Paki­stan, Gibu­ti, Sri Lan­ka e Myan­mar, quat­tro Sta­ti for­te­men­te coin­vol­ti nel­la BRI. I pri­mi due han­no una valen­za stra­te­gi­ca alla luce del­la pro­pria vici­nan­za al Medio Orien­te, men­tre gli ulti­mi svol­go­no un ruo­lo chia­ve nel set­to­re dell’Indo-Pacifico.

Innan­zi­tut­to, il por­to paki­sta­no rico­pre un ruo­lo fon­da­men­ta­le dal pun­to di vista eco­no­mi­co in quan­to costi­tui­sce il pun­to di arri­vo del Cor­ri­do­io Eco­no­mi­co Cina-Paki­stan e il pun­to di par­ten­za dell’oleodotto che por­te­rà nel­lo Xin­jiang il petro­lio del Gol­fo Per­si­co, con­sen­ten­do a Pechi­no di evi­ta­re il tur­bo­len­to Stret­to di Malac­ca, attra­ver­so cui pas­sa l’80% del petro­lio impor­ta­to dal­la Cina. Dal pun­to di vista mili­ta­re la base di Gwa­dar rap­pre­sen­ta un asset stra­te­gi­co di pri­ma­ria impor­tan­za in quan­to situa­ta vici­no al Gol­fo Per­si­co e allo Stret­to di Hor­muz, dal qua­le tran­si­ta più del 20% dell’intera pro­du­zio­ne mon­dia­le di idro­car­bu­ri; inol­tre, offre la pos­si­bi­li­tà di accer­chia­re il nemi­co india­no anche da Ove­st. Seb­be­ne il por­to sia sta­to acqui­sta­to dal­la Cina con lo sco­po ini­zia­le di uti­liz­zar­lo come sca­lo com­mer­cia­le, le imma­gi­ni satel­li­ta­ri sol­le­va­no dub­bi su qua­le sarà la vera fun­zio­ne del­la strut­tu­ra; infat­ti, dal 2019 è pos­si­bi­le nota­re come nel ter­ri­to­rio cir­co­stan­te al por­to sia­no sta­ti costrui­ti alme­no tre com­pound e alle­sti­te misu­re di sicu­rez­za inu­sua­li per un sem­pli­ce por­to com­mer­cia­le. Altri rap­por­ti indi­ca­no inve­ce la volon­tà cine­se di costrui­re basi nava­li e aeree anche sul­la peni­so­la di Jiwa­ni, a cir­ca 50 km da Gwa­dar, mos­sa che avvi­ci­ne­reb­be anco­ra di più la Cina al Gol­fo Per­si­co e soprat­tut­to al por­to di Cha­ba­har, pun­to stra­te­gi­co per l’India in Iran.

La base più impor­tan­te è sen­za dub­bio quel­la di Dora­leh, costrui­ta tra il 2016 e il 2017 in Gibu­ti, pic­co­lo e pove­ris­si­mo Sta­to del Cor­no d’Africa ma situa­to in una posi­zio­ne geo­gra­fi­ca alta­men­te stra­te­gi­ca. Il Pae­se, infat­ti, si affac­cia sul­lo stret­to di Bab el-Man­deb, uno dei prin­ci­pa­li “col­li di bot­ti­glia” mon­dia­li che rap­pre­sen­ta il pas­sag­gio obbli­ga­to­rio per l’accesso allo stret­to di Suez, dal qua­le pas­sa cir­ca il 12% del com­mer­cio marit­ti­mo mon­dia­le. In un mon­do sem­pre più inter­con­nes­so e glo­ba­liz­za­to in cui la Cina ha assun­to il ruo­lo di “fab­bri­ca del mon­do”, con­trol­la­re un pun­to nevral­gi­co per l’economia glo­ba­le è di fon­da­men­ta­le impor­tan­za per la RPC.

La posi­zio­ne occu­pa­ta dal Pae­se uni­ta alla sua estre­ma pover­tà ha reso Gibu­ti sem­pre di più uno Sta­to cusci­net­to, una posi­zio­ne che ha man­te­nu­to sin dal­la sua crea­zio­ne nel 1860. La Fran­cia, ex domi­na­tri­ce colo­nia­le, ha costi­tui­to fino al 2001 la prin­ci­pa­le poten­za impe­gna­ta nel­lo Sta­to. Suc­ces­si­va­men­te agli attac­chi ter­ro­ri­sti­ci dell’11 set­tem­bre e sul­la scia del­la Guer­ra Glo­ba­le al Ter­ro­re­por­ta­ta avan­ti da Geor­ge W. Bush, gli Sta­ti Uni­ti han­no costrui­to Camp Lem­mo­nier, uni­ca base ame­ri­ca­na per­ma­nen­te nel con­ti­nen­te afri­ca­no. Que­sta strut­tu­ra con­sen­te a Washing­ton di ave­re un van­tag­gio rispet­to ai suoi com­pe­ti­to­ri e di con­trol­la­re una regio­ne mar­to­ria­ta da guer­re e dal­la pro­li­fe­ra­zio­ne di movi­men­ti jiha­di­sti come gli Al- Sha­baab in Soma­lia. Nel cor­so degli anni altri Sta­ti come Ita­lia, Giap­po­ne e Ara­bia Sau­di­ta han­no costrui­to strut­tu­re logi­sti­che e mili­ta­ri nel ter­ri­to­rio gibu­ti­no ma la mag­gior pre­oc­cu­pa­zio­ne di Washing­ton è ovvia­men­te desta­ta dal­le mano­vre cine­si nell’area. A tal pro­po­si­to, Il Coman­dan­te del U.S. Afri­ca Com­mand, Ste­phen Town­send, ha avver­ti­to che l’acquisizione di que­sta base con­sen­ti­rà a Pechi­no di pro­iet­ta­re il pro­prio pote­re nel­la regio­ne e rap­pre­sen­ta una del­le per­le che for­ma­no la col­la­na di basi con cui la RPC mira a con­trol­la­re una vasta area trian­go­la­re di Ocea­no India­no tra Gibu­ti, Paki­stan e Sri Lan­ka.

 

Fon­te imma­gi­ne: Istoc­k­Pho­to

La base di Dora­leh è pre­sen­ta­ta da Pechi­no come una strut­tu­ra logi­sti­ca neces­sa­ria a con­dur­re le mis­sio­ni anti­pi­ra­te­ria nel Gol­fo di Aden e per offri­re ripa­ro ai car­go cine­si che ope­ra­no sul­le rot­te inter­con­ti­nen­ta­li  ma rap­pre­sen­ta in real­tà la pri­ma base mili­ta­re dell’Esercito di Libe­ra­zio­ne Popo­la­re (ELP) al di fuo­ri dei con­fi­ni cine­si. Que­sta base ospi­ta le for­ze spe­cia­li e i mari­nes che adde­stra­no le for­ze loca­li, pos­sie­de eli­por­ti e piste per gli aerei e, dopo i lavo­ri di amplia­men­to che dovreb­be­ro ter­mi­na­re nel 2026, potrà ospi­ta­re le por­tae­rei e oltre 10.000 sol­da­ti, cir­ca il dop­pio di quel­li stan­zia­ti dagli USA nel Pae­se.

Ham­ban­to­ta è un altro pun­to di enor­me inte­res­se stra­te­gi­co per la Repub­bli­ca Popo­la­re Cine­se sia eco­no­mi­ca­men­te sia mili­tar­men­te. La posi­zio­ne nell’estremo Sud del­lo Sri Lan­ka gli con­fe­ri­sce la defi­ni­zio­ne di “faro dell’Oceano India­no” e con­sen­ti­rà alla Mari­na dell’Esercito Popo­la­re di Libe­ra­zio­ne di sor­ve­glia­re le affol­la­tis­si­me linee di comu­ni­ca­zio­ne e di tran­si­to com­mer­cia­le. Allo stes­so tem­po, la posi­zio­ne geo­gra­fi­ca costi­tui­sce una spi­na nel fian­co per l’India che risul­ta sostan­zial­men­te accer­chia­ta e con gra­vi dilem­mi secu­ri­ta­ri. Teo­ri­ca­men­te, nel con­trat­to sti­pu­la­to con la Cina non era pre­vi­sto alcun tipo di uti­liz­zo mili­ta­re del por­to; teo­ri­ca­men­te, dato che a cau­sa del man­ca­to paga­men­to del debi­to nei con­fron­ti del­le ban­che cine­si, nel 2017 la Cina ha requi­si­to il por­to e il suo retro­ter­ra per 99 anni e, poten­do dispor­ne a pro­prio pia­ci­men­to, ci si aspet­ta che in futu­ro pos­sa offri­re un ulte­rio­re pun­to di sta­zio­na­men­to per le navi mili­ta­ri e com­mer­cia­li cine­si[3].

Il por­to di Kyau­k­phyu è un’al­tra per­la che la Cina ha otte­nu­to e che ha in men­te di uti­liz­za­re in manie­ra dupli­ce. Anche in que­sto caso, la scel­ta del luo­go non è sta­ta casua­le, dato che si affac­cia sul Gol­fo del Ben­ga­la e per­met­te­rà alla Cina di vigi­la­re la linea marit­ti­ma che con­du­ce allo Stret­to di Malac­ca, da cui pas­sa­no più di 16 milio­ni di bari­li di petro­lio al gior­no, ren­den­do que­sto cor­ri­do­io il secon­do più impor­tan­te per il tra­spor­to petro­li­fe­ro dopo Hor­muz. Il secon­do moti­vo che ha por­ta­to la Cina a inve­sti­re nel­la zona è che pro­prio da Kyau­k­phyu par­te l’oleodotto che ter­mi­na nel­la pro­vin­cia cine­se del­lo Yun­nan e che è fun­zio­na­le a risol­ve­re, alme­no in par­te, l’annoso “Dilem­ma di Malac­ca”[4]. Sem­bra dif­fi­ci­le che la Mari­na cine­se pos­sa arri­va­re nel bre­ve perio­do a sta­zio­na­re nel por­to, anche a cau­sa del­la Costi­tu­zio­ne del Myan­mar che impe­di­sce la per­ma­nen­za di trup­pe stra­nie­re in ter­ri­to­rio nazio­na­le; nono­stan­te ciò, vari ana­li­sti cre­do­no che in futu­ro l’opacità dei con­trat­ti sti­pu­la­ti oltre all’effettivo stra­po­te­re cine­se pos­sa com­por­ta­re un uti­liz­zo del por­to anche a sco­po mili­ta­re.

Alla luce dell’evidente com­pe­ti­zio­ne tra due super­po­ten­ze come gli Sta­ti Uni­ti e la Cina, la BRI assu­me sem­pre più impor­tan­za non solo per le pro­prie com­po­nen­ti eco­no­mi­che e com­mer­cia­li ma anche dal pun­to di vista mili­ta­re e stra­te­gi­co. Per que­ste ragio­ni negli ulti­mi anni i pae­si occi­den­ta­li, così come anche altre nazio­ni asia­ti­che, han­no mes­so sot­to la len­te di ingran­di­men­to le azio­ni com­piu­te dal­la Cina nell’ambito del­la BRI. Ci si aspet­ta che nel medio perio­do Pechi­no pos­sa acqui­si­re ulte­rio­ri basi e pun­ti di appro­do suf­fi­cien­ti a pro­iet­ta­re in manie­ra deci­sa la for­za mili­ta­re nel set­to­re dell’Indo-Pacifico; se così fos­se entre­rem­mo in un’autentica nuo­va era in cui il domi­nio ocea­ni­co a stel­le e stri­sce potrà esse­re seria­men­te sfi­da­to dal­la Repub­bli­ca Popo­la­re Cine­se.

[1] Alfred T. Mahan, “L’influenza del pote­re marit­ti­mo sul­la sto­ria”, 1890.

[2] Shou Xiao­song, “Scien­ce of Mili­ta­ry Stra­te­gy.” Bei­jing: Mili­ta­ry Scien­ce Publi­shing, as cited in Kar­don, Testi­mo­ny Befo­re the U.S.-China Eco­no­mic and Secu­ri­ty Review Com­mis­sion.”

[3] Daniel R. Rus­sel e Bla­ke H. Ber­ger, Wea­po­ni­zing the Belt and Road Ini­tia­ti­ve, “Asia Socie­ty Poli­cy Insti­tu­te”, 09/2020 pp. 24–26.

[4] Lo stret­to di Malac­ca si affac­cia sul­le acque ter­ri­to­ria­li di Male­sia, Indo­ne­sia e Sin­ga­po­re e le sue stret­to­ie e i nascon­di­gli natu­ra­li offro­no con­di­zio­ni favo­re­vo­li per l’attività pira­te­sca, oltre che la pos­si­bi­li­tà per i Pae­si cita­ti di tur­ba­re i com­mer­ci. Da que­sto pun­to tran­si­ta circal’80 % del petro­lio impor­ta­to dal­la Cina e per que­sto moti­vo si par­la di “dilem­ma” nell’ambito dell’approvvigionamento ener­ge­ti­co.

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