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Gennaio
9 Gennaio 2023

LA META­MOR­FO­SI DEL­LA SINI­STRA

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Dal­le lot­te ver­ti­ca­li a quel­le oriz­zon­ta­li

La sini­stra non esi­ste più. O alme­no quel­la occi­den­ta­le. Non come iden­ti­tà del sin­go­lo o come pic­co­li movi­men­ti o par­ti­ti sem­pre più oscu­ra­ti dai media capi­ta­li­sti­ci, ben­sì come movi­men­to di mas­sa, in gra­do di rico­no­sce­re e far pro­pri i biso­gni e le neces­si­tà del popo­lo e por­si alla sua testa come una vera e pro­pria avan­guar­dia.

Svi­li­ta, assas­si­na­ta e sot­ter­ra­ta da un sus­se­guir­si di rea­zio­ni ed agen­ti ester­ni (e inter­ni) che, come in una muta­zio­ne gene­ti­ca, ne han­no ine­so­ra­bil­men­te alte­ra­to la strut­tu­ra fino a ren­der­la irri­co­no­sci­bi­le da quel­la che una vol­ta era la sua clas­se di rife­ri­men­to, che è com­ple­ta­men­te disil­lu­sa ver­so tut­to quel­lo che è poli­ti­ca o migra­ta ver­so altri lidi, svuo­tan­do­ne i nume­ri.

Ma come sia­mo arri­va­ti a que­sto pun­to? Come que­sto muta­men­to ha coin­vol­to sia le sini­stre mode­ra­te che quel­le radi­ca­li por­tan­do­le, chi più chi meno coscien­te­men­te, a col­la­bo­ra­re con la cul­tu­ra libe­ra­le nel­la legit­ti­ma­zio­ne e nel man­te­ni­men­to del nuo­vo capi­ta­li­smo glo­ba­li­sta? E infi­ne come si è pas­sa­ti dal­le lot­te ver­ti­ca­li a stam­po socia­le a quel­le oriz­zon­ta­li di tipo civi­le e, di con­se­guen­za, all’ab­ban­do­no del­la pro­spet­ti­va di clas­se che ha sem­pre con­trad­di­stin­to la sini­stra?

Il fune­ra­le del­la sini­stra è la con­se­guen­za di una cate­na di even­ti che si sus­se­guo­no dal secon­do dopo guer­ra e arri­va­no fino agli albo­ri del nuo­vo seco­lo. Tre in par­ti­co­lar modo sono gli sno­di cru­cia­li del­la meta­mor­fo­si: la fine del pro­ces­so di deco­lo­niz­za­zio­ne nei pae­si più pove­ri; l’e­sau­ri­men­to del­le lot­te pro­le­ta­rie in occi­den­te; infi­ne, il crol­lo del siste­ma socia­li­sta nel­la ex Unio­ne Sovie­ti­ca. Quest’ultimo in par­ti­co­la­re è il vero e pro­prio spar­tiac­que per il movi­men­to socia­li­sta e comu­ni­sta dei pae­si occi­den­ta­li: di lì in poi si è spen­ta la spe­ran­za mar­xi­sta che il capi­ta­li­smo pre­pa­ri ed avvi­ci­ni, attra­ver­so la sua acce­le­ra­zio­ne tem­po­ra­le, la tran­si­zio­ne al comu­ni­smo.

Così, l’u­ma­niz­za­zio­ne del siste­ma vigen­te è diven­ta­to il trat­to distin­ti­vo del­le for­ze pro­gres­si­ste occi­den­ta­li.

Si ten­go­no in pie­di slo­gan e distin­zio­ni ormai desue­te come sinistra/destra vol­te a rap­pre­sen­ta­re gli anti­chi ter­mi­ni di com­pa­ra­zio­ne progresso/conservazione. La real­tà dei fat­ti è mol­to più sem­pli­ce di quel­lo che sem­bra. Il siste­ma capi­ta­li­sti­co, men­tre un tem­po si ser­vi­va di for­ze con­ser­va­tri­ci, ades­so usa quel­le pro­gres­si­ste con il mede­si­mo ed uni­co sco­po: repri­me­re ed annien­ta­re la lot­ta di clas­se.

Cen­tro­de­stra e cen­tro­si­ni­stra, in Ita­lia come nei prin­ci­pa­li pae­si occi­den­ta­li, rap­pre­sen­ta­no i due lati del­la stes­sa meda­glia. A con­fer­ma di que­sto fat­to, si guar­di come è cam­bia­ta la legi­sla­zio­ne del lavo­ro nel nostro pae­se: negli ulti­mi ven­ti­cin­que anni si è assi­sti­to ad un pro­gres­si­vo arre­tra­men­to dei dirit­ti dei lavo­ra­to­ri, indi­pen­den­te­men­te dagli schie­ra­men­ti che si sono sus­se­gui­ti al gover­no.

Può esse­re uti­le, in que­sta fase, riper­cor­re­re per som­mi capi, le prin­ci­pa­li tap­pe di que­sta restau­ra­zio­ne, o con­tro­ri­vo­lu­zio­ne che dir si voglia: il pac­chet­to Treu (1997, Gover­no Pro­di I) e la leg­ge Bia­gi (2003, gover­no Ber­lu­sco­ni II) che intro­du­co­no i cosid­det­ti con­trat­ti di lavo­ro ati­pi­co; il decre­to legi­sla­ti­vo 368/2001 (sem­pre gover­no Ber­lu­sco­ni) che nor­ma­liz­za il con­trat­to a tem­po deter­mi­na­to; la leg­ge For­ne­ro del 2012 (gover­no Mon­ti) ed infi­ne il Jobs Act del 2015 (gover­no Ren­zi) che con l’abolizione dell’articolo 18 e la dram­ma­ti­ca limi­ta­zio­ne del dirit­to alla rein­te­gra in caso di licen­zia­men­to ille­git­ti­mo ha com­ple­ta­men­te libe­ra­liz­za­to per­fi­no il con­trat­to a tem­po inde­ter­mi­na­to, rein­tro­du­cen­do il pote­re illi­mi­ta­to del dato­re di lavo­ro sui lavo­ra­to­ri ed eli­mi­nan­do qua­si del tut­to le dif­fe­ren­za tra pre­ca­ria­to e sta­bi­li­tà. Inu­ti­le dire che ciò è avve­nu­to die­tro la spin­ta di nume­ro­se diret­ti­ve euro­pee.

Anto­nio Gram­sci, in una del­le sue più cele­bri fra­si, par­la del vec­chio mon­do che sta moren­do e del nuo­vo che tar­da a com­pa­ri­re. Da ciò deri­ve­reb­be la nasci­ta di veri e pro­pri mostri. Sep­pur non ori­gi­na­ria­men­te adot­ta­ta in que­sto con­te­sto, il male­fi­co desti­no ha volu­to che pro­prio l’as­sun­to gram­scia­no si adat­tas­se per­fet­ta­men­te alla meta­mor­fo­si che ha riguar­da­to la sini­stra, sia nel­le for­ze più mode­ra­te che in quel­le radi­ca­li.

Gli ex par­ti­ti comu­ni­sti, dopo la cadu­ta del muro di Ber­li­no, han­no com­ple­ta­to l’o­pe­ra di ade­sio­ne agli idea­li libe­ri­sti — un pro­ces­so già ini­zia­to sul fini­re degli anni Set­tan­ta — e di fron­te al pro­ces­so di ristrut­tu­ra­zio­ne capi­ta­li­sti­ca vol­to ad inde­bo­li­re nume­ri­ca­men­te la clas­se ope­ra­ia han­no deli­be­ra­ta­men­te scel­to di indi­riz­za­re le pro­prie vel­lei­tà ver­so i ceti medio alti.

Esem­pio per­fet­to è il per­cor­so del cen­tro-sini­stra ita­lia­no che ha abban­do­na­to gli idea­li di un tem­po:  un cam­mi­no inco­min­cia­to dal­la svol­ta del­la Bolo­gni­na del 12 novem­bre 1989, quan­do l’al­lo­ra segre­ta­rio del PCI Achil­le Occhet­to die­de il via al pro­ces­so poli­ti­co che por­tò allo scio­gli­men­to del par­ti­to nel 1991 e pro­se­gui­to con una serie di rot­tu­re che han­no tra­sfor­ma­to l’ex Par­ti­to Comu­ni­sta, pri­ma in Par­ti­to Demo­cra­ti­co del­la Sini­stra (PDS), poi in Demo­cra­ti­ci di Sini­stra (DS) ed infi­ne nel­l’o­dier­no Par­ti­to Demo­cra­ti­co, par­ti­to che ha rac­col­to più l’e­re­di­tà del­la vec­chia Demo­cra­zia Cri­stia­na che del­le sue ori­gi­ni comu­ni­ste. Nel mez­zo una serie di cata­cli­smi e figu­re bar­bi­ne dovu­ti ad una clas­se diri­gen­te total­men­te ina­de­gua­ta e suc­cu­be dei nuo­vi pote­ri, finan­za su tut­ti, che da anni det­ta­no l’a­gen­da poli­ti­ca dei pae­si occi­den­ta­li.

Dall’altro lato la cosid­det­ta sini­stra radi­ca­le ha subi­to, dal pun­to di vista par­ti­ti­co, una sor­te per­fi­no peg­gio­re: miria­di di pic­co­le for­ma­zio­ni, più o meno strut­tu­ra­te, che paga­no lo scot­to di bat­ta­glie inte­sti­ne ai vec­chi grup­pi diri­gen­ti, con il risul­ta­to che, ad oggi, que­sto tipo di sini­stra si tro­va distan­te anni luce dai biso­gni del popo­lo e qua­si total­men­te inca­pa­ce “del­l’a­na­li­si con­cre­ta del­la situa­zio­ne con­cre­ta” (Lenin).

Dal pun­to di vista socio­lo­gi­co e cul­tu­ra­le il pro­ces­so di decli­no del­la sini­stra radi­ca­le ha radi­ci ben più pro­fon­de. Una tra­sfor­ma­zio­ne ine­so­ra­bi­le e per­tur­ban­te che non ha gene­ra­to una nuo­va crea­tu­ra ma ha bru­tal­men­te assas­si­na­to il cor­po e le idee che la ospi­ta­va­no pri­ma.

Que­sta dra­sti­ca inver­sio­ne di rot­ta è luci­da­men­te descrit­ta da Car­lo For­men­ti nel suo “Il Socia­li­smo è mor­to, viva il Socia­li­smo” e ha ori­gi­ne, stra­no a dir­si, nel movi­men­to del ’68.

I gio­va­ni del ’68 non pote­va­no cer­to imma­gi­na­re che le loro riven­di­ca­zio­ni di liber­tà avreb­be­ro pre­pa­ra­to il ter­re­no ad una disfat­ta di così ampia por­ta­ta, tut­ta­via è impos­si­bi­le non nota­re come tale esi­to fos­se iscrit­to nel­le paro­le d’or­di­ne del­la pro­te­sta, che met­te­va­no al cen­tro di tut­to l’in­di­vi­duo e la libe­ra scel­ta indi­vi­dua­le. Da ciò si capi­sce come il capi­ta­li­smo abbia sfrut­ta­to a pro­prio van­tag­gio le riven­di­ca­zio­ni di liber­tà indi­vi­dua­le che la pro­te­sta avan­za­va per far­le pro­prie e inglo­bar­le nel pro­prio fun­zio­na­men­to, tra­sfor­man­do­le in stru­men­ti di con­trol­lo e domi­nio.

I figli del ’68 sono quei movi­men­ti che ne han­no ampli­fi­ca­to e con­ser­va­to il “par­te­ci­pa­zio­ni­smo”, rifiu­tan­do la for­ma par­ti­to e che han­no fat­to del­l’an­ti­sta­ta­li­smo un vero e pro­prio caval­lo di bat­ta­glia.

Nuo­vi movi­men­ti che, aven­do qua­si del tut­to abban­do­na­to la pro­spet­ti­va socia­li­sta, han­no fat­to da spal­la alla rivo­lu­zio­ne oriz­zon­ta­li­sta libe­ra­le, quel­la che ha scis­so la lot­ta di clas­se ver­ti­ca­le in tan­te lot­te sepa­ra­te tra loro ma oriz­zon­ta­li, che non mira­no cioè al cam­bia­men­to del siste­ma eco­no­mi­co vigen­te ma si muo­vo­no all’in­ter­no di esso per riven­di­ca­re dirit­ti civi­li più che socia­li.

Ciò ha gene­ra­to, anche in que­sto caso, un cam­bia­men­to del­la fascia socia­le di rife­ri­men­to, anch’es­sa diven­ta­ta di medio-alta estra­zio­ne, per­lo­più civi­le, che non mira alla pre­sa del pote­re poli­ti­co ma vuo­le solo limi­tar­ne l’in­va­den­za.

Le ana­li­si pre­ce­den­ti in meri­to alle muta­zio­ni del­la sini­stra si pos­so­no appli­ca­re a diver­si feno­me­ni e movi­men­ti sali­ti alla ribal­ta negli ulti­mi decen­ni: è il caso del fem­mi­ni­smo, del­l’am­bien­ta­li­smo, del­la gen­der theo­ry e del “poli­ti­ca­men­te cor­ret­to” (can­cel cul­tu­re).

Il fem­mi­ni­smo meri­ta una trat­ta­zio­ne spe­ci­fi­ca e una con­te­stua­liz­za­zio­ne sto­ri­ca diver­sa, pro­prio in vir­tù del suo pas­sa­to. Pos­sia­mo distin­gue­re tre fasi prin­ci­pa­li che han­no con­trad­di­stin­to il movi­men­to fem­mi­ni­sta dal­la nasci­ta a oggi: la pri­ma è quel­la del fem­mi­ni­smo anti­ca­pi­ta­li­sta degli anni Sessanta/Settanta al qua­le si deve mol­to nel­l’a­na­li­si del ruo­lo del pro­ces­so ripro­dut­ti­vo nel­le dina­mi­che del siste­ma capi­ta­li­sti­co. A que­sta fase ne segue un’al­tra di tran­si­zio­ne dove le riven­di­ca­zio­ni di clas­se ven­go­no a mano a mano sosti­tui­te dal­la crea­zio­ne di un pro­ces­so iden­ti­ta­rio (uomi­ni vs don­ne), spin­gen­do la cul­tu­ra fem­mi­ni­sta nel­l’e­sclu­si­va riven­di­ca­zio­ne di dirit­ti civi­li e indi­vi­dua­li. L’ul­ti­ma fase, quel­la odier­na, è rap­pre­sen­ta­ta dal fem­mi­ni­smo come feno­me­no di mas­sa, con riven­di­ca­zio­ni esclu­si­va­men­te eman­ci­pa­to­rie che, fat­ta ecce­zio­ne per alcu­ne mino­ran­ze che anco­ra ten­ta­no di orien­ta­re le lot­te in sen­so anti­ca­pi­ta­li­sti­co, han­no spin­to l’in­te­ro movi­men­to ad esse­re una leva fun­zio­na­le del­l’or­di­ne libe­ra­le.

Esem­pio ne è l’al­lean­za ormai asso­da­ta tra buo­na par­te dei movi­men­ti fem­mi­ni­sti (insie­me a quel­li per i dirit­ti del­le mino­ran­ze ses­sua­li LGB­TQ+ e movi­men­ti per l’am­bien­te) e set­to­ri del­l’al­to busi­ness (moda, media, indu­stria ecc.), che ormai garan­ti­sce da anni soste­gno, più o meno indi­ret­to, a que­ste “lot­te” da par­te di poli­ti­ci “pro­gres­si­sti” ed éli­tes occi­den­ta­li.

Il fem­mi­ni­smo eman­ci­pa­zio­ni­sta spo­sa in toto l’i­deo­lo­gia libe­ra­le meri­to­cra­ti­ca del “far­si avan­ti”, così le aspi­ra­zio­ni tipi­ca­men­te “maschi­li” come avi­di­tà, fame di suc­ces­so e car­rie­ri­smo diven­ta­no pro­prie del gene­re fem­mi­ni­le in un con­te­sto sem­pre più sle­ga­to dal­la con­sa­pe­vo­lez­za di dif­fe­ren­ze di clas­se, che ven­go­no sosti­tui­te da fal­si miti di “sorel­lan­za” e di pari­tà tra per­so­ne solo per­ché acco­mu­na­te dal­lo stes­so ses­so.

Fal­si miti, per l’ap­pun­to, che fan­no a pugni con la real­tà dei fat­ti: una super mana­ger di una mul­ti­na­zio­na­le può defi­nir­si fem­mi­ni­sta sep­pur la pro­pria azien­da sfrut­ti il lavo­ro mino­ri­le nei pae­si del ter­zo mon­do.

Discor­so ana­lo­go può esse­re fat­to per par­te del movi­men­to ambien­ta­li­sta, anch’es­so diven­ta­to feno­me­no di mas­sa in occi­den­te con l’av­ven­to di Gre­ta Thun­berg. Una visi­bi­li­tà media­ti­ca sen­za pre­ce­den­ti tri­ste­men­te eva­po­ra­ta dopo la spac­ca­tu­ra tra mon­do euroa­tlan­ti­co e Rus­sia, con con­se­guen­te spe­cu­la­zio­ne sui prez­zi del­l’e­ner­gia, che ha por­ta­to la mag­gior par­te dei pae­si occi­den­ta­li a rivol­ge­re le pro­prie for­ze eco­no­mi­che ver­so fon­ti di ener­gia non pro­prio così “green”, ripor­tan­do alla real­tà anni di discor­si vacui e fal­se pro­mes­se.

Ciò che acco­mu­na cul­tu­ra libe­ra­le, cen­tro-sini­stra e sini­stra radi­ca­le è rap­pre­sen­ta­to pla­sti­ca­men­te dal­la neo­lin­gua del poli­ti­ca­men­te cor­ret­to.

Feno­me­no nato all’in­ter­no del mon­do acca­de­mi­co sta­tu­ni­ten­se (espres­sio­ne quin­di del soft power che gli Sta­ti Uni­ti eser­ci­ta­no sul resto dei pae­si occi­den­ta­li) assie­me alla gen­der theo­ry e che le éli­te media­ti­che d’ol­treo­cea­no ed euro­pee han­no usa­to per con­so­li­da­re il loro pote­re.

Il con­cet­to di poli­ti­ca­men­te cor­ret­to si basa sul­l’as­sun­to che l’at­to del deni­gra­re, non rispec­chia ma let­te­ral­men­te crea la real­tà (Car­lo For­men­ti, Il Socia­li­smo è mor­to, Viva il Socia­li­smo).

Il pote­re del lin­guag­gio ren­de dif­fi­cil­men­te con­te­sta­bi­li le affer­ma­zio­ni e le idee poli­ti­ca­men­te cor­ret­te, gene­ran­do una spi­ra­le deci­sa­men­te con­tro­pro­du­cen­te per lo svi­lup­po e il man­te­ni­men­to del pen­sie­ro cri­ti­co: si evi­ta o si esi­ta a cri­ti­ca­re que­ste “veri­tà asso­lu­te” per pau­ra di esse­re eti­chet­ta­ti come intol­le­ran­ti.

Le fem­mi­ni­ste eti­chet­ta­no come disu­ma­ni tut­ti colo­ro che met­to­no in dub­bio la pro­ver­bia­le supe­rio­ri­tà mora­le del mon­do fem­mi­ni­le (soprat­tut­to maschi ete­ro­ses­sua­li e bian­chi), la gen­der theo­ry bol­la come ses­si­sti e raz­zi­sti tut­ti colo­ro che assu­mo­no posi­zio­ni di ade­sio­ne iden­ti­ta­ria (che sia ad una nazio­ne o ad un ses­so), il neo­li­be­ri­smo eti­chet­ta come rea­zio­na­rio chiun­que si oppon­ga alle sue incon­fu­ta­bi­li veri­tà, infi­ne chiun­que si oppon­ga alle éli­te nazio­na­li e inter­na­zio­na­li del capi­ta­li­smo e alla loro visio­ne mul­ti­cul­tu­ra­le e cosmo­po­li­ta vie­ne defi­ni­to popu­li­sta, sovra­ni­sta o peg­gio anco­ra.

Pro­prio come nel­la flui­di­tà di gene­re, dove la dif­fe­ren­za ses­sua­le vie­ne eli­mi­na­ta e ridu­ce que­st’ul­ti­ma alla libe­ra scel­ta indi­vi­dua­le per­fi­no rever­si­bi­le, la socie­tà odier­na e del futu­ro sem­bra desti­na­ta alla libe­ra­zio­ne dal­le iden­ti­tà nazio­na­li, da con­cet­ti desue­ti come con­trat­ti a tem­po inde­ter­mi­na­to che fan­no spa­zio a ter­mi­ni anglo­fo­ni come fle­xi­bi­li­ty e in ulti­mo dal­l’af­fran­ca­men­to del­le dif­fe­ren­ze di clas­se che, nono­stan­te si stia­no acuen­do sem­pre di più, ven­go­no omes­se dal dibat­ti­to pub­bli­co e quin­di dal­le men­ti del­le per­so­ne.

Da un cer­to pun­to in avan­ti, non c’è modo di tor­na­re indie­tro. La sini­stra che fu è un cor­po, un orga­ni­smo ormai distan­te anni luce da quel­lo che ha rap­pre­sen­ta­to nel cor­so del­la Sto­ria e che va abban­do­na­to a sé stes­so.

Le idee, gli idea­li e le per­so­ne che han­no lot­ta­to per essi però riman­go­no, impres­se nel­le coscien­ze di chi anco­ra pen­sa che un altro mon­do, più giu­sto ed equo, sia pos­si­bi­le.

Mai guar­dar­si indie­tro se si è soste­nu­ti da soli­di prin­ci­pi.

Fat­to un fune­ra­le non esi­sto­no resur­re­zio­ni.

Quel­le lascia­mo­le a chi cre­de che un rivo­lu­zio­na­rio pos­sa sede­re alla destra del padre sen­za pri­ma aver­lo ucci­so.

Biblio­gra­fia

  • Vla­di­mir Lenin, L’im­pe­ria­li­smo fase supre­ma del Capi­ta­li­smoEdi­to­re Riu­ni­ti, Roma, 1969.
  • Car­lo For­men­ti, Il socia­li­smo è mor­to. Viva il socia­li­smo! Dal­la disfat­ta del­la sini­stra al momen­to popu­li­sta, Mel­te­mi Edi­to­re, Mila­no, 2019.
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