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Luglio
10 Luglio 2023

LA DIT­TA­TU­RA DI EDI­PO

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Edi­po era un prin­ci­pe, figlio di Laio, re di Tebe. Nes­su­no avreb­be mai imma­gi­na­to che il suo regno sareb­be dura­to fino ad oggi. Dopo esser­si cava­to gli occhi e dive­nu­to vaga­bon­do, nep­pu­re gli dèi avreb­be­ro mai sogna­to che le sue gesta rie­cheg­gias­se­ro per l’eternità. L’eroe deve paga­re la sua hybris (gr. Υβρις), per­ché dopo tut­to, egli è mor­ta­le. Ma per qua­le moti­vo le Erin­ni, così era­no chia­ma­te le divi­ni­tà del fato, con­ti­nua­no anco­ra oggi ad impor­tu­nar­ci?

Un’importante inter­pre­ta­zio­ne del­la sto­ria di Edi­po è data da Sig­mund Freud, il padre del­la psi­coa­na­li­si. Freud cre­de­va che i cri­mi­ni di Edi­po, l’uccisione del padre e il matri­mo­nio con la madre, coin­ci­des­se­ro con “i due desi­de­ri pri­mor­dia­li del bam­bi­no, la cui insuf­fi­cien­te rimo­zio­ne o il cui ride­star­si for­ma­no for­se il nucleo di tut­te le psi­co­ne­vro­si” (Freud 1975, 136). Que­sto nucleo è cono­sciu­to come il com­ples­so di Edi­po. Secon­do il pen­sie­ro psi­coa­na­li­ti­co, si con­si­de­ra che tut­ti i bam­bi­ni attra­ver­si­no la fase edi­pi­ca, dai tre ai sei anni cir­ca. Fino ai sei anni la per­so­na può esse­re con­si­de­ra­ta un bam­bi­no nel sen­so che è anco­ra gover­na­ta dal prin­ci­pio del pia­ce­re e il suo Io si iden­ti­fi­ca stret­ta­men­te al cor­po. Que­sta situa­zio­ne cam­bia dopo i sei anni. L’individuo diven­ta un gio­va­ne pron­to per il pro­ces­so di accul­tu­ra­zio­ne, infat­ti, nel­la mag­gior par­te del­le socie­tà l’educazione comin­cia in que­sto perio­do, nel­le scuo­le o a casa. Anche i nati­vi ame­ri­ca­ni per esem­pio, non fan­no alcu­no sfor­zo di inse­gna­re al bam­bi­no la mora­le e i modi di com­por­tar­si di un mem­bro del­la socie­tà fino all’età di sei anni. Quest’età segna la fine del perio­do d’ indul­gen­za e l’inizio di una seria istru­zio­ne.
Il con­flit­to tra pul­sio­ni e mora­le può così pro­ce­de­re sen­za pro­ble­mi.

Duran­te la fase edi­pi­ca i bam­bi­ni devo­no affron­ta­re l’attrazione ses­sua­le ver­so il geni­to­re di ses­so oppo­sto e la gelo­sia ver­so il geni­to­re del­lo stes­so ses­so. Secon­do Otto Feni­chel: “il com­ples­so edi­pi­co può defi­nir­si il cul­mi­ne del­la ses­sua­li­tà infan­ti­le” (Feni­chel 1965, 108). Ma cosa si inten­de per ses­sua­li­tà infan­ti­le? Il ter­mi­ne si rife­ri­sce effet­ti­va­men­te a tut­te le mani­fe­sta­zio­ni ses­sua­li dal­la nasci­ta fino ai sei anni cir­ca. Il pia­ce­re ero­ti­co che il neo­na­to trae dall’allattamento o dal­la situa­zio­ne del pol­li­ce è con­si­de­ra­to di natu­ra ses­sua­le. Tra i tre e i cin­que anni di età, secon­do Freud, la ses­sua­li­tà infan­ti­le si con­cen­tra sui geni­ta­li, que­sta atten­zio­ne si avvi­ci­na a quel­la che poi sarà rag­giun­ta nel­la matu­ri­tà. La dif­fe­ren­za tra ses­sua­li­tà infan­ti­le e adul­ta è che la pri­ma man­ca del­la pene­tra­zio­ne e dell’eiaculazione, ovve­ro gli aspet­ti ripro­dut­ti­vi del­la ses­sua­li­tà.

Il com­ples­so di Edi­po crea un trian­go­lo in cui la madre incar­na l’oggetto ses­sua­le per il padre e per il figlio, o il padre è l’oggetto ses­sua­le per la madre e la figlia. Secon­do lo psi­co­te­ra­peu­ta Ale­xan­der Lowen: “È abba­stan­za natu­ra­le per un ragaz­zo pro­va­re gelo­sia per la rela­zio­ne ses­sua­le che il padre ha con la madre. Que­sta gelo­sia non minac­cia il padre. Il pro­ble­ma è diver­so quan­do il padre è gelo­so del figlio” (Lowen 1982, 27).  Ecco, que­sta situa­zio­ne è vera­men­te peri­co­lo­sa per il bam­bi­no. Allo stes­so modo la gelo­sia del­la madre minac­cia seria­men­te la bam­bi­na. Tut­to ciò gene­ra un sen­so di col­pa, ma solo il bam­bi­no ne vie­ne tra­vol­to. Ai suoi occhi ogni espres­sio­ne ses­sua­le è giu­di­ca­ta dai geni­to­ri come spor­ca, cat­ti­va e col­pe­vo­le. Così facen­do i geni­to­ri pro­iet­ta­no sul bam­bi­no i loro sen­si di col­pa ses­sua­li, get­tan­do tut­to in un ciclo con­ti­nuo di com­por­ta­men­ti distrut­ti­vi. Nel­le socie­tà patriar­ca­li l’infelicità è tra­man­da­ta da una gene­ra­zio­ne all’altra.
Ma qua­li sono gli effet­ti di que­sti com­por­ta­men­ti? I sen­ti­men­ti di col­pa, pau­ra e odio sono gene­ral­men­te trop­po for­ti nel­la nostra socie­tà per poter esse­re rimos­si sen­za pro­ble­mi. Secon­do Freud, la rimo­zio­ne del com­ples­so di Edi­po avvie­ne tra­mi­te la minac­cia di castra­zio­ne. Il bam­bi­no teme che il pene gli sia taglia­to o tol­to, lo stes­so avvie­ne per le bam­bi­ne che vivo­no que­sto fat­to come una minac­cia di lesio­ni alle par­ti geni­ta­li. Si taglia la mano a per­so­ne che han­no ruba­to, non è dif­fi­ci­le capi­re per­ché i bam­bi­ni evo­chi­no que­sta imma­gi­ne dovu­ta alla con­sa­pe­vo­lez­za di esse­re in com­pe­ti­zio­ne con il padre.

Lowen dice espli­ci­ta­men­te che: “Il mec­ca­ni­smo di que­sta repres­sio­ne è lo svi­lup­po di una ten­sio­ne cro­ni­ca, che bloc­ca i movi­men­ti atti a espri­me­re un’emozione” (Lowen 1982, 31). Pri­va­ti dell’amore ver­so nostra madre o nostro padre svi­lup­pia­mo un carat­te­re gene­ral­men­te nevro­ti­co o psi­co­ti­co. Rispet­to alla nevro­si Lowen: “que­sto ter­mi­ne si rife­ri­sce a un model­lo di com­por­ta­men­to basa­to su con­flit­ti inter­ni che si mani­fe­sta con la pau­ra del­la vita, del ses­so e dell’essere” (Lowen 1982, 16). Con la rimo­zio­ne non risol­via­mo il nostro con­flit­to edi­pi­co, lo sep­pel­lia­mo sem­pli­ce­men­te nell’inconscio. Per esem­pio, se una per­so­na vuo­le pian­ge­re, ma ha repres­so l’impulso, per­ché “solo i bam­bi­ni pian­go­no”, il fat­to di non pian­ge­re diven­te­rà par­te del suo modo di esse­re, cioè par­te del suo carat­te­re. Que­ste per­so­ne si van­ta­no di non pian­ge­re quan­do pro­va­no dolo­re, ma di fat­to non potreb­be­ro pian­ge­re nean­che se voles­se­ro poi­ché l’inibizione si è strut­tu­ra­ta nel loro cor­po e sfug­ge al con­trol­lo del­la coscien­za. Esse­re ses­sua­le signi­fi­ca esse­re vivo ed esse­re vivo signi­fi­ca esse­re ses­sua­le.

Il mito di Edi­po è situa­to a un bivio cul­tu­ra­le, segna l’emergere dell’uomo moder­no, il signi­fi­ca­to sto­ri­co del figlio di Laio fu ana­liz­za­to anche da Erich Fromm. Basan­do­si sul­le famo­se tra­ge­die di Sofo­cle, Fromm dice: “Il mito può esse­re capi­to come un sim­bo­lo, non dell’amore ince­stuo­so tra madre e figlio, ma del­la ribel­lio­ne del figlio con­tro il padre auto­ri­ta­rio nel­la fami­glia patriar­ca­le” (Fromm 1962). Pri­ma dell’avvento del mito di Edi­po, secon­do Fromm la socie­tà era gui­da­ta dal prin­ci­pio matriar­ca­le, in cui uomo e natu­ra, Io e cor­po era­no in sim­bio­si per­fet­ta. Suc­ces­si­va­men­te con il domi­nio dell’Io sul­la per­so­na­li­tà dell’uomo all’inizio del­la civil­tà gre­ca si assi­stet­te alla pro­du­zio­ne del­la pri­ma situa­zio­ne edi­pi­ca.

Nono­stan­te la visio­ne di Fromm pos­sa sem­bra­re trop­po idea­li­sti­ca, un dato è appu­ra­to: dall’inizio del­la civil­tà gre­ca il con­flit­to edi­pi­co è diven­ta­to una real­tà del­la vita moder­na. Il sen­so di col­pa, le sen­sa­zio­ni ses­sua­li repres­se da par­te dei bam­bi­ni, le fru­stra­zio­ni ses­sua­li river­sa­te dai geni­to­ri ai bam­bi­ni, inca­pa­ci di lot­ta­re, sono sot­to gli occhi di tut­ti.
Per­ché anco­ra oggi il con­flit­to edi­pi­co risuo­na in manie­ra così fasti­dio­sa? Le sen­sa­zio­ni non pos­so­no esse­re repres­se per sem­pre: repri­mer­le signi­fi­ca mori­re. Esplo­de­ran­no con­tro i più inno­cen­ti e i più vul­ne­ra­bi­li, ecco per­ché il prin­ci­pio dell’odio con­ti­nua a gover­na­re le nostre vite. Abbia­mo ben pre­sen­te il tipo d’uomo che vive con la madre, non è spo­sa­to e non ha una vita ses­sua­le rego­la­re. Tut­ti sono a cono­scen­za del carat­te­re ince­stuo­so tra madre e figlio, tran­ne i due diret­ti inte­res­sa­ti. L’uomo nega cate­go­ri­ca­men­te di ave­re alcun tipo di inte­res­se ses­sua­le per la madre. Vor­rei cre­der­gli.

La mise­ria cul­tu­ra­le che imper­ver­sa intor­no al con­flit­to edi­pi­co è incom­men­su­ra­bi­le. Con que­ste poche righe vole­vo dimo­stra­re quan­to que­sto tema sia cen­tra­le nel­la sfe­ra ses­sua­le di ognu­no di noi. I gio­va­ni ven­go­no con­ta­mi­na­ti dal­la sch­wa, dal­la let­te­ra­tu­ra por­no­gra­fi­ca e dal gen­der fluid, ma un mag­gio­re pro­gres­so non è la sola rispo­sta. La stra­da per usci­re dal­la trap­po­la è quel­la che ha pre­so Edi­po, cioè il rag­giun­gi­men­to del­la sag­gez­za e dell’umiltà attra­ver­so la rinun­cia all’arroganza. Dob­bia­mo sce­glie­re: o con­ti­nua­re a vive­re in un mon­do fat­to di mise­ria psi­chi­ca oppu­re accet­ta­re la veri­tà, per quan­to cru­de­le pos­sa esse­re. Edi­po, tut­ta­via, tro­vò la pace del­la men­te che stia­mo tut­ti cer­can­do.

Biblio­gra­fia

Ale­xan­der Lowen, Pau­ra di vive­re, Astro­la­bio, Roma, 1982

Sig­mund Freud, Totem e tabù, Borin­ghie­ri, Tori­no, 1975

Otto Feni­chel, Trat­ta­to di psi­coa­na­li­si del­le nevro­si e del­le psi­co­si, Astro­la­bio, Roma, 1965

Erich Fromm, Il lin­guag­gio dimen­ti­ca­to, Bom­pia­ni, Mila­no, 1962

Foto­gra­fia di Nico­la Moscel­li

IG: @nicolamoscelli

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