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Dicembre
15 Dicembre 2022

IRAN: UNA RIVOL­TA POPO­LA­RE E FEM­MI­NI­STA

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“Ha per­so la vita per un capel­lo”, è così che il gior­na­le ira­nia­no Ham-Mihan dà la noti­zia in pri­ma pagi­na del­la mor­te di Mah­sa Ami­ni, stu­den­tes­sa di 22 anni ori­gi­na­ria di Saq­qez, cit­tà che fa par­te del Roj­hi­lat, la regio­ne del Kur­di­stan ira­nia­no.

Il 14 set­tem­bre 2022, men­tre si tro­va­va a Tehe­ran in visi­ta ai paren­ti, Ami­ni vie­ne arre­sta­ta dal­la poli­zia mora­le, che si occu­pa di far rispet­ta­re le leg­gi isla­mi­che e il codi­ce di vestia­rio impo­sto dal gover­no, con l’accusa di non indos­sa­re cor­ret­ta­men­te l’hijab, il velo dive­nu­to obbli­ga­to­rio nel 1979 per tut­te le don­ne a par­ti­re dai nove anni. Dal 5 luglio 2022 una nuo­va diret­ti­va ha reso più dure le con­se­guen­ze per chi ne fa un uso “inap­pro­pria­to”.

Il 1979 è una data fon­da­men­ta­le per il pae­se, poi­ché è l’anno del­la rivo­lu­zio­ne che cac­ce­rà dal pae­se lo Shah Reza Pahla­vi. La monar­chia dei Pahla­vi era di carat­te­re auto­ri­ta­rio, soste­nu­ta all’interno del pae­se da una temu­ta poli­zia poli­ti­ca (Savak), men­tre dall’esterno lo Shah pote­va cin­ta­re sull’appoggio degli Sta­ti Uni­ti. Negli anni di pote­re l’opposizione alla monar­chia veni­va repres­sa impla­ca­bil­men­te, e le inge­ren­ze degli sta­ti occi­den­ta­li nel­le risor­se del pae­se, soprat­tut­to per quan­to riguar­da il petro­lio, era­no sem­pre più for­ti. La fami­glia rea­le e la cor­te ad essa lega­ta era­no diven­ta­te negli anni pro­fon­da­men­te cor­rot­te, a det­ta degli oppo­si­to­ri era­no dei “ven­du­ti” ai pote­ri occi­den­ta­li. Alla monar­chia veni­va cri­ti­ca­ta anche la pro­fon­da ine­gua­glian­za eco­no­mi­ca che si era anda­ta a crea­re all’interno del pae­se a cau­sa del­le loro poli­ti­che, che mar­gi­na­liz­za­va soprat­tut­to le popo­la­zio­ni non per­sia­ne, come i kur­di, gli ara­bi, i turk­me­ni, i balu­ci e i noma­di.

Dal momen­to in cui lo Shah fug­gì dal pae­se, l’Iran si tra­sfor­mò in una Repub­bli­ca Isla­mi­ca, cam­bian­do dra­sti­ca­men­te la sua sto­ria.

L’assetto isti­tu­zio­na­le del­la Repub­bli­ca Isla­mi­ca vede le sue ori­gi­ni negli inse­gna­men­ti dell’Ayatollah Kho­mei­ni, la gui­da supre­ma che ha ispi­ra­to la rivo­lu­zio­ne e che ha pre­so il pote­re dopo la fuga del­lo Shah.

Pri­ma di diven­ta­re gui­da del­la nuo­va Repub­bli­ca, Kho­mei­ni è sta­to stu­den­te a Qom, il cen­tro di sape­re reli­gio­so del pae­se, dove nel 1936 diven­ne dot­to­re in giu­ri­spru­den­za isla­mi­ca (moj­ta­hed). Il moj­ta­hed rico­pre un ruo­lo chia­ve nell’islam scii­ta duo­de­ci­ma­no, l’attuale reli­gio­ne di Sta­to dell’Iran, poi­ché vie­ne con­si­de­ra­to come colui che è in gra­do d’interpretare i fon­da­men­ti reli­gio­si del­la fede a cui i cre­den­ti devo­no fare rife­ri­men­to. Nei pri­mi anni del­la sua car­rie­ra Kho­mei­ni ha man­te­nu­to una posi­zio­ne ambi­gua nei con­fron­ti del­lo Shah Reza Pahla­vi. Se infat­ti da un lato lo cri­ti­ca­va dura­men­te, dall’altro non face­va mai rife­ri­men­to alla sua cadu­ta. A par­ti­re dagli anni 1960 le sue cri­ti­che si ina­spri­sco­no e diven­ta un avver­sa­rio infles­si­bi­le. Per que­sto moti­vo fini­sce per esse­re espul­so nel 1964 dall’Iran ver­so la Tur­chia, che lasce­rà per poi rifu­giar­si in Iraq e infi­ne in Fran­cia, a Pari­gi, nel 1978.

Duran­te gli anni dell’esilio Kho­mei­ni ha ini­zia­to ad impor­si pro­gres­si­va­men­te come lea­der dell’opposizione, e tra­mi­te del­le audio-cas­set­te che entra­va­no ille­gal­men­te in Iran divul­gan­do la sua voce e i suoi inse­gna­men­ti, ha ini­zia­to ad influen­za­re una nuo­va gene­ra­zio­ne di gio­va­ni Imam e cre­den­ti che si oppo­ne­va­no allo Shah. I suoi discor­si era­no sem­pli­ci e diret­ti per riu­sci­re a rag­giun­ge­re anche le par­ti di popo­la­zio­ne più pove­re e meno istrui­te. Le sue cri­ti­che face­va­no rife­ri­men­to sia alla sfe­ra socio-eco­no­mi­ca, per quan­to riguar­da la pover­tà e le pes­si­me con­di­zio­ni di vita in cui si tro­va­va par­te del­la popo­la­zio­ne, sia a que­stio­ni di carat­te­re inter­na­zio­na­le, cri­ti­can­do aspra­men­te gli Sta­ti Uni­ti e Israe­le, con­si­de­ra­ti com­pli­ci e burat­ti­nai del gover­no del­lo Shah, incol­pan­do l’influenza occi­den­ta­le del deca­di­men­to mora­le del pae­se.

Nono­stan­te la figu­ra di spic­co dell’Ayatollah, non biso­gna dimen­ti­ca­re che la rivo­lu­zio­ne scop­pia­ta nel 1979 e che ha por­ta­to l’Iran ad esse­re lo sta­to-nazio­ne che cono­scia­mo oggi, era nata in ori­gi­ne come rivol­ta popo­la­re che uni­va tan­te fazio­ni con un uni­co obiet­ti­vo: rove­scia­re la monar­chia asso­lu­ta ormai cor­rot­ta dei Pahla­vi e por­ta­re al pote­re la voce del popo­lo, che vole­va scri­ve­re un nuo­vo desti­no per il pae­se, ren­den­do­si indi­pen­den­te da inge­ren­ze ester­ne. In que­sta fol­la in rivol­ta era­no pre­sen­ti vari grup­pi, diver­si movi­men­ti e fazio­ni poli­ti­che, dai socia­li­sti ai mar­xi­sti ai nazio­na­li­sti e  reli­gio­si.

Tra tut­ti que­sti atto­ri alla fine è sta­to il fron­te rivo­lu­zio­na­rio rac­col­to intor­no a Kho­mei­ni ad ave­re la meglio e così la rivo­lu­zio­ne di tut­ti si è tra­sfor­ma­ta in rivo­lu­zio­ne isla­mi­ca. Quan­do nel 1979 lo Shah Reza Pahla­vi è sta­to costret­to a lascia­re il pae­se, Kho­mei­ni è final­men­te potu­to tor­na­re dall’esilio a cui era sta­to con­dan­na­to per anni, otte­nen­do il ruo­lo di gui­da supre­ma a cui ambi­va.

È sta­to lo stes­so Kho­mei­ni ad invi­ta­re la umma isla­mi­ca a unir­si per com­bat­te­re con­tro il nemi­co comu­ne, ossia l’Occidente, e la cor­ru­zio­ne dila­gan­te che ha por­ta­to nel pae­se. A par­ti­re da un testo scrit­to da Kho­mei­ni e dif­fu­so clan­de­sti­na­men­te in Iran nel 1973, vie­ne espo­sta la neces­si­tà del­la costi­tu­zio­ne di un gover­no isla­mi­co per l’Iran, affi­dan­do­ne la gui­da ai dot­to­ri del­la leg­ge isla­mi­ca. La rivo­lu­zio­ne di Kho­mei­ni vuo­le crea­re uno Sta­to in cui i cit­ta­di­ni sono allo stes­so tem­po fede­li, gover­na­ti da una gui­da che deve esse­re scel­ta seguen­do la dot­tri­na del velayat‑e faqih: secon­do cui la gui­da supre­ma cor­ri­spon­de alla mas­si­ma auto­ri­tà in fat­to di reli­gio­ne e leg­ge isla­mi­ca, che gra­zie alle pro­prie doti di sapien­za abbia allo stes­so tem­po anche un ruo­lo di lea­der­ship poli­ti­ca per tut­ta la comu­ni­tà.

Il nuo­vo gover­no ha pro­gres­si­va­men­te eli­mi­na­to tut­ti i par­ti­ti e i movi­men­ti non reli­gio­si che ave­va­no pre­so par­te alla rivo­lu­zio­ne, dan­do ini­zio ad anni di ter­ro­re in cui si rischia­va facil­men­te di esse­re arre­sta­ti e giu­sti­zia­ti se con­si­de­ra­ti nemi­ci del­lo Sta­to.

In segui­to a que­sti avve­ni­men­ti, nel dicem­bre 1979 vie­ne adot­ta­ta anche una nuo­va Costi­tu­zio­ne, in cui vie­ne spe­ci­fi­ca­to che il gover­no sarà rap­pre­sen­ta­to da una gui­da e dal con­si­glio dei guar­dia­ni del­la costi­tu­zio­ne. L’articolo 109 del­la Costi­tu­zio­ne indi­ca che il capo del­lo Sta­to deve esse­re un moj­ta­hed, vir­tuo­so ed equo, che pos­sa esse­re da esem­pio per tut­ta la popo­la­zio­ne, e che ha il com­pi­to di defi­ni­re la poli­ti­ca gene­ra­le del­lo Sta­to, e di arbi­tra­re i rap­por­ti tra pote­re legi­sla­ti­vo, ese­cu­ti­vo e giu­di­zia­rio. Tra le altre cose, è anche capo dell’esercito e ha il pote­re di nomi­na­re i mem­bri del con­si­glio di sor­ve­glian­za del­la costi­tu­zio­ne, così come il capo del pote­re giu­di­zia­rio e il diret­to­re del siste­ma audio­vi­sua­le, che si occu­pa di deci­de­re qua­li pro­gram­mi tra­smet­te­re alla tele­vi­sio­ne e qua­li film far entra­re nel­le sale cine­ma­to­gra­fi­che.

Tale siste­ma è diven­ta­to un nuo­vo meto­do di con­trol­lo sul­la popo­la­zio­ne, in cui i capi reli­gio­si al gover­no dispon­go­no dei mas­si­mi pote­ri, legi­fe­ran­do su qual­sia­si aspet­to del­la vita pri­va­ta e pub­bli­ca dei cit­ta­di­ni. Il siste­ma poli­ti­co mes­so in atto rispon­de in par­te ad una volon­tà di stru­men­ta­liz­za­re la reli­gio­ne per difen­de­re l’identità nazio­na­le di fron­te alle aggres­sio­ni “impe­ria­li­ste” e “occi­den­ta­li”.

Par­te di que­sto nuo­vo siste­ma di gover­no e la riper­cus­sio­ne del­la nuo­va Costi­tu­zio­ne e dell’adozione del­la leg­ge isla­mi­ca pas­sa in modo vio­len­to e siste­ma­ti­co sui cor­pi e sul­le vite del­le don­ne. Le restri­zio­ni mora­li e reli­gio­se più seve­re col­pi­sco­no gra­ve­men­te que­sta fet­ta del­la popo­la­zio­ne, che si tro­va improv­vi­sa­men­te costret­ta a com­por­tar­si e vestir­si secon­do rigo­ro­si det­ta­mi reli­gio­si. Le nuo­ve leg­gi sono den­se di discri­mi­na­zio­ni a sfon­do ses­sua­le e han­no un impat­to nega­ti­vo sul­le capa­ci­tà di vive­re vari aspet­ti del­la vita quo­ti­dia­na.

Per por­ta­re un caso esem­pla­re, secon­do la Shari(legge isla­mi­ca) la testi­mo­nian­za di una don­na in tri­bu­na­le vale la metà di quel­la di un uomo; ciò signi­fi­ca che per leg­ge una don­na vale metà di un uomo, limi­tan­do­ne così l’accesso alla giu­sti­zia e ai mez­zi di ricor­so lega­li.

Le disu­gua­glian­ze e le discri­mi­na­zio­ni riguar­da­no anche il cor­po e l’abbigliamento, impo­nen­do alle don­ne sul ter­ri­to­rio, ira­nia­ne e non, dei codi­ci di com­por­ta­men­to e di vestia­rio ben pre­ci­si, met­ten­do in atto un con­trol­lo a 360 gra­di. Stan­do all’articolo 638 del codi­ce pena­le, “le don­ne che appa­io­no in pub­bli­co sen­za gli abi­ti isla­mi­ci pre­scrit­ti (hejab-e-shar’i), ver­ran­no arre­sta­te per un perio­do tra i 10 gior­ni e 2 mesi, o costret­te a paga­re una mul­ta tra i 50,000 e i 500,000 rial”. Secon­do il cam­bio attua­le, 1 rial cor­ri­spon­de a 0,000022 euro. Il valo­re del rial ira­nia­no è crol­la­to dra­sti­ca­men­te negli ulti­mi anni, accom­pa­gna­to da un’alta infla­zio­ne e da un alto tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne che han­no cau­sa­to un ulte­rio­re aumen­to del­lo scon­ten­to tra la popo­la­zio­ne.

Un altro cam­bia­men­to degra­dan­te riguar­da l’abolizione del Codi­ce del­la fami­glia, in vigo­re negli anni di gover­no del­lo Shah, che assi­cu­ra­va un cer­to nume­ro di dirit­ti alle don­ne qua­li poter richie­de­re il divor­zio, la limi­ta­zio­ne del­la poli­ga­mia per i mari­ti e la pos­si­bi­li­tà di otte­ne­re la custo­dia dei figli in caso di neces­si­tà.

Negli anni seguen­ti la rivo­lu­zio­ne, la mes­sa in atto del­le nuo­ve leg­gi attra­ver­sa varie fasi. In un pri­mo momen­to, l’imposizione dell’hijab non vie­ne rispet­ta­ta da tut­ti allo stes­so modo.

L’antropologa fran­co-ira­nia­na Fari­ba Adel­khah par­la di “geo­gra­fia dell’islamizzazione”, in quan­to le nuo­ve leg­gi han­no un impat­to diver­so rispet­to ai luo­ghi in cui ci si tro­va a vive­re, che sia in cit­tà o in cam­pa­gna, in un quar­tie­re cen­tra­le o peri­fe­ri­co, che si lavo­ri in un’amministrazione sta­ta­le o in una com­pa­gnia pri­va­ta. Così nei pri­mi mesi dopo la rivo­lu­zio­ne pote­va suc­ce­de­re che un’insegnante faces­se lezio­ne ad una clas­se di stu­den­tes­se sen­za velo, o che una don­na met­tes­se il velo sul luo­go di lavo­ro e non all’esterno, o vice­ver­sa. Que­sta situa­zio­ne è dovu­ta alle dif­fe­ren­ze di pen­sie­ro all’interno del pae­se, all’instabilità poli­ti­ca post rivo­lu­zio­na­ria e alla resi­sten­za pas­si­va del­la socie­tà civi­le urba­na e del­le don­ne ad una rifor­ma mes­sa in atto in modo auto­ri­ta­rio. Nei pri­mi mesi era anche dif­fi­ci­le tro­va­re del­le sosti­tu­zio­ni di per­so­na­le qua­li­fi­ca­to in deter­mi­na­ti set­to­ri, a cau­sa degli arre­sti di mas­sa e del­le per­so­ne che sono anda­te in esi­lio dopo la vit­to­ria di Kho­mei­ni.

A par­ti­re dal­la guer­ra in Iraq scop­pia­ta nel 1980 e che sarà la cau­sa del­la mor­te di miglia­ia di ira­che­ni e ira­nia­ni, la mis­sio­ne mili­ta­re e la mobi­liz­za­zio­ne del pae­se han­no gene­ra­to un aumen­to dei con­trol­li tra la popo­la­zio­ne. Da que­sto momen­to, l’utilizzo dell’hijab vie­ne richie­sto anche in ono­re del san­gue ver­sa­to dai mar­ti­ri per la nazio­ne, e per il rispet­to del­le loro fami­glie. Come con­se­guen­za di que­ste leg­gi, le don­ne non ven­go­no esclu­se dal­la vita pub­bli­ca ma, nel rispet­to del­le nuo­ve nor­me, ven­go­no inco­rag­gia­te a par­te­ci­pa­re atti­va­men­te alla tra­sfor­ma­zio­ne di que­sto nuo­vo model­lo di socie­tà. In mol­ti casi sono le don­ne stes­se a diven­ta­re le guar­dia­ne di que­ste restri­zio­ni, e a fer­ma­re per stra­da le loro sorel­le che non sono vesti­te in modo con­for­me, col­la­bo­ran­do con i guar­dia­ni del­la rivo­lu­zio­ne.

Pri­ma di diven­ta­re una costri­zio­ne, l’hijab veni­va con­si­de­ra­to dal­le don­ne isla­mi­che come un valo­re socia­le, una scel­ta per­so­na­le e reli­gio­sa che le distin­gue dal resto del­la popo­la­zio­ne. Allo stes­so tem­po, per le don­ne cre­den­ti, il fat­to di impor­re l’uso del velo a tut­te le don­ne, anche le non cre­den­ti, è una bana­liz­za­zio­ne di un sim­bo­lo sacro per l’Islam. Una par­te di esse, infat­ti, pen­sa che non pos­sa diven­ta­re un obbli­go, ma che dovreb­be dipen­de­re esclu­si­va­men­te da una con­vin­zio­ne rea­le e da una scel­ta per­so­na­le di fede. Allo stes­so tem­po, par­te del­la popo­la­zio­ne sostie­ne sen­za indu­gi le azio­ni del gover­no.

Cul­tu­ral­men­te il velo rimar­ca anche la sepa­ra­zio­ne tra lo spa­zio pri­va­to e quel­lo pub­bli­co, il luo­go in cui la don­na è al sicu­ro e può mostrar­si e il luo­go in cui la sua figu­ra deve rima­ne­re più nasco­sta per non crea­re squi­li­bri e non met­ter­la in peri­co­lo. Per esem­pio, sul luo­go di lavo­ro l’hijab vie­ne visto anche come un modo per aumen­ta­re la pro­dut­ti­vi­tà di uomi­ni e don­ne che lavo­ra­no nel­lo stes­so ambien­te: sen­za mostra­re le pro­prie for­me e la pro­pria bel­lez­za, l’aspetto del­la don­na non rischia di ral­len­ta­re i rit­mi di lavo­ro dell’uomo e  tur­ba­re que­sta col­la­bo­ra­zio­ne.

A sup­por­to di colo­ro che difen­do­no il dirit­to di poter sce­glie­re o meno di met­te­re il velo e vestir­si secon­do la leg­ge isla­mi­ca, nel Cora­no l’hijab non vie­ne nomi­na­to se non tre vol­te: se ne par­la soprat­tut­to in ter­mi­ni di decen­za e mode­stia nell’interazione tra i due ses­si. Le stes­se fem­mi­ni­ste isla­mi­che riven­di­ca­no i pro­pri dirit­ti basan­do­si sul fat­to che il Cora­no non è un testo discri­mi­na­to­rio rispet­to al gene­re fem­mi­ni­le, ma che il dete­rio­ra­men­to del­la con­di­zio­ne del­la don­na nel­la socie­tà isla­mi­ca vie­ne piut­to­sto da un retag­gio cul­tu­ra­le che si è evo­lu­to nel tem­po, ele­men­to che non ha a che fare con il testo sacro del­la loro reli­gio­ne.

A que­sto pro­po­si­to, Fari­ba Adel­khah rimar­ca una cri­ti­ca allo spet­ta­to­re occi­den­ta­le, che spes­so si fa pala­di­no dell’emancipazione del­la don­na con­dan­nan­do l’uso del velo come oppres­sio­ne alla sua liber­tà per­so­na­le: il velo è una scel­ta e come tale va rispet­ta­ta. Le don­ne che lo indos­sa­no non sono meno eman­ci­pa­te di quel­le che non lo usa­no. Saran­no piut­to­sto più con­sa­pe­vo­li del­la loro scel­ta se vie­ne lascia­ta a loro la pos­si­bi­li­tà di far­lo libe­ra­men­te.

Le don­ne ira­nia­ne, nono­stan­te il regi­me di con­trol­lo e l’obbligo di coprir­si il capo, in deter­mi­na­te situa­zio­ni deci­do­no di indos­sar­lo a pro­prio pia­ci­men­to. Non è un caso gira­re per le stra­de del­le cit­tà ira­nia­ne e vede­re don­ne che indos­sa­no un cha­dor nero affian­co a don­ne con un leg­ge­ro hijab che lascia intra­ve­de­re i capel­li.

Men­tre l’hijab, indu­men­to obbli­ga­to­rio, è un velo che copre solo il capo, lascian­do sco­per­to viso e spal­le, il cha­dor è un indu­men­to isla­mi­co tipi­co dell’Iran che vie­ne indos­sa­to facol­ta­ti­va­men­te dal­le don­ne più cre­den­ti o in par­ti­co­la­ri con­te­sti. Con­si­ste in un lun­go man­tel­lo che copre inte­ra­men­te il cor­po del­la don­na, lascian­do sco­per­to solo il viso. Gene­ral­men­te è di colo­re nero ma esi­ste anche in altri varian­ti, e spes­so vie­ne indos­sa­to insie­me ad un altro velo pog­gia­to su testa e spal­le in modo da inqua­dra­re il vol­to.

La vio­len­za del­le poli­ti­che del­la Repub­bli­ca Isla­mi­ca sui codi­ci di vestia­rio con­si­ste pro­prio nel fat­to che la pos­si­bi­li­tà di sce­glie­re indi­vi­dual­men­te non vie­ne con­ces­sa e un uti­liz­zo non con­so­no dell’hijab può por­ta­re a con­se­guen­ze mol­to gra­vi.

È ciò che è suc­ces­so nel caso di Mah­sa Ami­ni che, il 16 set­tem­bre, tre gior­ni dopo l’arresto per con­to del­la poli­zia mora­le, muo­re nell’ospedale Kasra di Tehe­ran. Il gover­no e la poli­zia giu­sti­fi­ca­no il deces­so per un attac­co al cuo­re, incol­pan­do la salu­te cagio­ne­vo­le del­la dete­nu­ta.

Le ragio­ni del deces­so sono sta­te con­te­sta­te fin da subi­to e il gover­no ha tar­da­to a dare ulte­rio­ri spie­ga­zio­ni sul caso.

Alcu­ne imma­gi­ni del cor­po del­la ragaz­za, scat­ta­te in ospe­da­le e rese poi pub­bli­che, ren­do­no dif­fi­ci­le cre­de­re alla ver­sio­ne uffi­cia­le di una mor­te natu­ra­le. Il padre smen­ti­sce la noti­zia dichia­ran­do che la figlia gode­va di otti­ma salu­te e che non ha mai sof­fer­to di distur­bi car­dia­ci.

Secon­do fon­ti non gover­na­ti­ve, la mor­te vie­ne ricon­dot­ta alle tor­tu­re e alle vio­len­ze subi­te nei gior­ni di car­ce­re, in par­ti­co­la­re a dei col­pi rice­vu­ti sul cra­nio che han­no gene­ra­to una frat­tu­ra, visi­bi­le dai refer­ti medi­ci, che l’avrebbero por­ta­ta al coma e poi alla mor­te.

Non è la pri­ma vol­ta che un epi­so­dio simi­le ha luo­go nel pae­se. La poli­zia mora­le e il regi­me di repres­sio­ne han­no cau­sa­to nume­ro­se mor­ti negli anni e secon­do i dati di diver­se orga­niz­za­zio­ni per i dirit­ti uma­ni l’Iran risul­ta come uno dei pae­si con più ese­cu­zio­ni e con­dan­ne a mor­te al mon­do, secon­do solo alla Cina. La sezio­ne ira­nia­na di Human Rights Watch denun­cia che dal 2010 ad oggi sono sta­te ese­gui­te 6894 ese­cu­zio­ni, aumen­ta­te in par­ti­co­lar modo a par­ti­re dal 2021.

A poche ore dal­la noti­zia del­la mor­te di Masha Ami­ni ini­zia­no le pro­te­ste, pri­ma davan­ti all’ospedale dove era sta­ta rico­ve­ra­ta, poi duran­te i fune­ra­li nel­la cit­tà nata­le di Saq­qez, per poi dila­ga­re nel­la regio­ne del Kur­di­stan e in tut­to il pae­se.

Non è la pri­ma vol­ta che in Iran pren­de pie­de un movi­men­to di pro­te­sta così for­te. Nel 2019 c’era sta­to un sol­le­va­men­to popo­la­re in tut­ta la nazio­ne a cau­sa di un aumen­to dei prez­zi del car­bu­ran­te, che ave­va poi fini­to per diven­ta­re una rivol­ta in cui si chie­de­va il rove­scia­men­to del gover­no e del­la gui­da in cari­ca Ali Kha­me­nei. Le pro­te­ste, ini­zia­te paci­fi­ca­men­te, sono sta­te poi ricor­da­te con il nome di Bloo­dy Novem­ber. Per rispon­de­re alle mobi­li­ta­zio­ni, il gover­no ha taglia­to la rete inter­net in tut­to il pae­se, cau­san­do un blac­kout gene­ra­le dura­to sei gior­ni, duran­te i qua­li, secon­do i report di alcu­ne asso­cia­zio­ni per i dirit­ti uma­ni, tra cui Amne­sty Inter­na­tio­nal e Human Rights Watch, i pro­te­stan­ti sono sta­ti ucci­si a col­pi di arma da fuo­co spa­ra­ti da cec­chi­ni posi­zio­na­ti su tet­ti ed eli­cot­te­ri, oltre che da mitra­glia­tri­ci. Alla fine del­le rivol­te i pro­te­stan­ti rima­sti ucci­si in quei sei gior­ni sono sta­ti cir­ca 1500, secon­do alcu­ne fon­ti addi­rit­tu­ra 3000.

Il 15 novem­bre 2022, tre anni dopo l’accaduto, gli ira­nia­ni sono anco­ra in rivol­ta, e han­no com­me­mo­ra­to l’anniversario del Bloo­dy Novem­ber con­ti­nuan­do le pro­te­ste con­tro il gover­no per la mor­te di Mah­sa Ami­ni. Anche que­sta vol­ta la poli­zia non si è rispar­mia­ta, con­tan­do che dall’inizio del­le rivol­te sono sta­te ucci­se 451 per­so­ne, di cui 51 bam­bi­ni, e cir­ca 18,000 arre­sta­te. La dif­fe­ren­za è che que­sta vol­ta il movi­men­to resta costan­te, le per­so­ne non voglio­no arren­der­si. La mor­te di Mah­sa Ami­ni riguar­da tut­ti, ma è diven­ta­ta in par­ti­co­lar modo una lot­ta fem­mi­ni­sta e stu­den­te­sca. Le uni­ver­si­tà sono diven­ta­te luo­ghi di resi­sten­za, in par­ti­co­la­re la Sha­rif Uni­ver­si­ty di Teh­ran. In otto­bre gli stu­den­ti che si tro­va­va­no all’interno sono sta­ti bloc­ca­ti dal­le for­ze di sicu­rez­za, e la popo­la­zio­ne si è river­sa­ta ver­so il cam­pus per soste­ne­re gli stu­den­ti intrap­po­la­ti, chie­den­do­ne il rila­scio e gri­dan­do “mor­te al dit­ta­to­re”. Dai video pub­bli­ca­ti ven­go­no mostra­ti gli stu­den­ti che scap­pa­no men­tre la poli­zia spa­ra su di loro col­pi di arma da fuo­co. Le pro­te­ste han­no rag­giun­to anche la pri­gio­ne di Evin a Tehe­ran, dove sono dete­nu­ti nume­ro­si pri­gio­nie­ri poli­ti­ci. La pri­gio­ne, che è sta­ta denun­cia­ta varie vol­te per gra­vi vio­la­zio­ni dei dirit­ti uma­ni, ha pre­so fuo­co nel­la not­te del 15 otto­bre, cau­san­do otto mor­ti e una ses­san­ti­na di feri­ti.

Nono­stan­te il gover­no abbia cer­ca­to anco­ra una vol­ta di iso­la­re il pae­se taglian­do la rete inter­net, le imma­gi­ni e le noti­zie di ciò che sta acca­den­do han­no rag­giun­to ogni par­te del mon­do: don­ne in stra­da sen­za velo che sal­go­no sul­le mac­chi­ne per dare fuo­co agli hijab che non voglio­no esse­re costret­te a indos­sa­re, altre che a testa sco­per­ta si taglia­no cioc­che di capel­li e le mostra­no orgo­glio­se alle foto­ca­me­re. Le don­ne ira­nia­ne ripren­do­no il pro­prio pote­re, occu­pa­no le stra­de, scin­til­la­no come il fuo­co degli hijab che ten­go­no tra le mani.

“Zan, Zan­de­gi, Aza­di”, don­na, vita, liber­tà. Que­sta fra­se è diven­ta­ta un sim­bo­lo del­le rivol­te, e vede la sua ori­gi­ne nel­lo slo­gan del­le don­ne libe­re cur­de, che nel­la lin­gua ori­gi­na­le sareb­be “Jin, Jian, Aza­di”. Nasce dal­la Jineo­lo­jì, la scien­za del­le don­ne: l’insieme di teo­rie e pra­ti­che del movi­men­to del­le don­ne del Kur­di­stan, che oltre a lot­ta­re per la libe­ra­zio­ne e l’autodeterminazione del pro­prio popo­lo, por­ta avan­ti una fer­ma volon­tà di rot­tu­ra radi­ca­le con il siste­ma di Sta­to-nazio­ne patriar­ca­le, capi­ta­li­sta e colo­nia­le. Aso Kho­mei­ni, atti­vi­sta di que­sto movi­men­to, ne par­la in un’intervista per l’espresso con Maria Edgar­da Mar­cuc­ci, che nel 2017 si è uni­ta alle Ypj, l’unità di pro­te­zio­ne del­le don­ne, per soste­ne­re la lot­ta cur­da e il pro­get­to poli­ti­co del con­fe­de­ra­li­smo demo­cra­ti­co del Roja­va (Kur­di­stan siria­no), e per la qua­le è sta­ta con­dan­na­ta in Ita­lia a due anni di sor­ve­glian­za spe­cia­le. Come Mah­sa Ami­ni, Aso Kho­mei­ni è ori­gi­na­ria del Kur­di­stan Ira­nia­no e nono­stan­te viva da anni a Lon­dra, con­ti­nua le sue atti­vi­tà con il Kjar, la comu­ni­tà del­le don­ne libe­re del Roj­he­lat. Aso Kho­mei­ni ci ricor­da che le don­ne dell’Iran e del Roj­he­lat sono sot­to­po­ste da anni a trat­ta­men­ti disu­ma­ni e degra­dan­ti, tra cui fem­mi­ni­ci­di, man­can­za di istru­zio­ne e man­can­za di dirit­ti di base. L’applicazione del­la Sha­ri­ha mar­gi­na­liz­za­to la posi­zio­ne e il ruo­lo del­le don­ne nel­la socie­tà, sof­fo­can­do­ne le iden­ti­tà indi­vi­dua­li e col­let­ti­ve.

«Non è sta­ta solo la mor­te di un’altra don­na; è sta­ta il sim­bo­lo del­la mor­te del­le don­ne e dei gio­va­ni in Iran», dichia­ra Aso Kho­mei­ni.

Attra­ver­so que­sta rivol­ta stan­no mostran­do a tut­ti la loro resi­sten­za, gene­ran­do pro­te­ste in tut­to il mon­do. È sta­to crea­to un movi­men­to inter­na­zio­na­le mol­to ampio che orga­niz­za mani­fe­sta­zio­ni in soli­da­rie­tà con il popo­lo ira­nia­no, soprat­tut­to gra­zie alla mobi­li­ta­zio­ne del­la comu­ni­tà ira­nia­na inter­na­zio­na­le. Secon­do Mah­mood Ami­ry-Moghad­dam, cofon­da­to­re e por­ta­vo­ce dell’organizzazione Iran Human Rights, le pro­te­ste svol­te all’estero pos­so­no svol­ge­re un ruo­lo fon­da­men­ta­le nel for­ma­re l’opinione pub­bli­ca in meri­to a ciò che sta suc­ce­den­do in Iran, facen­do in modo che anche i gover­ni este­ri sosten­ga­no il popo­lo ira­nia­no. Ami­ry-Moghad­dam ha dichia­ra­to che la repres­sio­ne dei mani­fe­stan­ti da par­te del gover­no ira­nia­no rap­pre­sen­ta­no gra­vi cri­mi­ni con­tro l’u­ma­ni­tà, e la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le ha il dove­re di con­dan­na­re e inve­sti­ga­re tali vio­len­ze impe­den­do che ne ven­ga­no com­mes­se altre.

A par­ti­re da novem­bre ci sono sta­te le pri­me sen­ten­ze di con­dan­ne a mor­te per alcu­ni mani­fe­stan­ti, con l’accusa di due cri­mi­ni capi­ta­li: mof­sed-e-filarz (cor­ru­zio­ne) e moha­re­beh (guer­ra con­tro Dio e con­tro lo Sta­to). Secon­do Iran Human Rights sono alme­no 20 le per­so­ne con­dan­na­te. Con­si­de­ran­do che il gover­no ira­nia­no ha già uti­liz­za­to la pena di mor­te per gene­ra­re pau­ra all’interno del­la socie­tà, si teme la mes­sa in atto di ese­cu­zio­ni appros­si­ma­ti­ve sen­za pre­av­vi­so. Per impe­di­re che que­sto avven­ga, la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le non deve igno­ra­re ciò che sta suc­ce­den­do, ma con­ti­nua­re a cri­ti­ca­re il regi­me e a chie­de­re che ven­ga fat­ta luce sul­le vio­len­ze e le vio­la­zio­ni dei dirit­ti uma­ni che sta com­met­ten­do, sen­za abban­do­na­re le don­ne e gli uomi­ni che stan­no lot­tan­do con­tro un gover­no assas­si­no.

Le pro­te­ste van­no avan­ti ormai da tre mesi, e anco­ra è dif­fi­ci­le imma­gi­na­re a cosa por­te­rà di con­cre­to que­sta mobi­li­ta­zio­ne. Un’effettiva cadu­ta del gover­no signi­fi­che­reb­be tro­va­re un nuo­vo asset­to poli­ti­co per il pae­se, ma que­sta rivol­ta è popo­la­re e spon­ta­nea, non ha par­ti­ti poli­ti­ci o figu­re di spic­co alle spal­le che pos­sa­no pren­de­re il pote­re una vol­ta rove­scia­to il regi­me. Resta il fat­to che que­sti mesi han­no segna­to la sto­ria del pae­se, ne stan­no scri­ven­do un capi­to­lo impor­tan­te. Nei suoi discor­si uffi­cia­li, Ali Kha­me­nei con­ti­nua a minac­cia­re i mani­fe­stan­ti dicen­do che il gover­no non ha anco­ra mes­so in atto tut­te le sue for­ze, e che se voles­se potreb­be met­te­re fine alla rivol­ta in qual­sia­si momen­to. La real­tà sem­bra esse­re ben diver­sa, e pur aven­do mes­so in atto misu­re di for­za e di vio­len­za, que­sta vol­ta le for­ze di sicu­rez­za non sono riu­sci­te ad argi­na­re la marea di rab­bia e insof­fe­ren­za dei mani­fe­stan­ti.

Sem­bra che que­sta vol­ta, al gri­do di “Zan, Zan­de­gi, Aza­di”, per tut­te le don­ne, i gio­va­ni e gli uomi­ni oppres­si dal regi­me, la socie­tà ira­nia­na sia dispo­sta ad un prez­zo mol­to alto pur di non retro­ce­de­re sul­le pro­prie richie­ste.

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