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Maggio
20 Maggio 2024

IL COLO­RE DEL­LE PARO­LE

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Pri­ma di comin­cia­re a inda­ga­re sul colo­re del­le paro­le, sarà uti­le con­cor­da­re qua­li paro­le usa­re per indi­ca­re spes­so con­tro­ver­si colo­ri e fare un pic­co­lo inven­ta­rio di quel che si nascon­de inve­ce die­tro tan­te paro­le appa­ren­te­men­te inco­lo­ri. I colo­ri dell’arcobaleno sono sei. Gial­lo, ros­so e blu i fon­da­men­ta­li; aran­cio­ne, ver­de e vio­let­to i com­ple­men­ta­ri. Più l’indaco, colo­re pre­te­stuo­so, che ser­ve solo a fare set­te, nume­ro per­fet­to. In real­tà, il vero set­ti­mo colo­re dell’arcobaleno dovreb­be esse­re il bian­co, il colo­re del­la luce che li con­tie­ne tut­ti.

Comin­cia­mo con il blu o azzur­ro, colo­re del cie­lo, che è anche il colo­re dei lapi­slaz­zu­li, una paro­la che vie­ne dal per­sia­no. Si distin­gue dal cele­ste che è più chia­ro e dal tur­chi­no che è più scu­ro. Cele­ste pren­de il nome dal cie­lo, ceru­lo e ceru­leo sono suoi sino­ni­mi. Ma c’è anche il cile­stro e il mavì, di ori­gi­ne tur­ca. E il let­te­ra­rio cesio, non quel­lo radioat­ti­vo. Il tur­chi­no è un azzur­ro scu­ro e vie­ne dal tur­che­se, pie­tra tur­ca. Un suo sino­ni­mo è il blu comu­ne, dal pro­ven­za­le blau, che in ita­lia­no anti­co die­de bia­vo e bia­do: azzur­ri chia­ri. Di qui vie­ne sbia­di­re e sbia­di­to, all’inizio det­to d’un azzur­ro impal­li­di­to. Il blua­stro inve­ce ten­de al blu e vie­ne dal­lo pseu­do fran­ce­se bluet­te, trat­to dal­la paro­la fran­ce­se per fior­da­li­so: bluet. Ma l’azzurro non è fini­to qui. D’Annunzio scri­ve: “Una bel­la mat­ti­na d’ottobre, pie­na di cobal­to e di sole”. Il cobal­to è l’azzurro inten­so e vie­ne dal tede­sco Kobalt, trat­to da Kobold, fol­let­to, per­ché i mina­to­ri pen­sa­va­no che un dispet­to­so fol­let­to faces­se loro tro­va­re cobal­to al posto del pre­zio­so argen­to che cer­ca­va­no. Un azzur­ro non ben defi­ni­to è il glau­co, cele­ste con sfu­ma­tu­re ver­di o gri­gie. Glau­co figlio di Posei­do­ne, da pesca­to­re diven­ne crea­tu­ra mari­na man­gian­do un’erba mira­co­lo­sa e for­se que­sto è il colo­re del­le sue squa­me. Il blu è il colo­re del­la spi­ri­tua­li­tà, del­la tra­scen­den­za e del­le for­ze cele­sti. Per i mon­go­li, Gen­gis Khan era figlio di una cer­va e di un lupo blu. Gesù Cri­sto, come la Ver­gi­ne, por­ta un man­tel­lo blu. Ma in Cina il blu è un colo­re mal visto. Anti­ca­men­te, in cine­se non c’era una paro­la per dir­lo. L’ideogramma Ch’ing cor­ri­spon­de­va a tut­ti i colo­ri dal gri­gio scu­ro al ver­de. Ma sen­za il blu. In Cina i fio­ri, gli occhi blu e i tes­su­ti o i nastri riga­ti di blu por­ta­no sfor­tu­na. In Euro­pa cen­tra­le il blu è sim­bo­lo di fedel­tà.

Ma pas­sia­mo al ver­de, defi­ni­to come colo­re dell’erba fre­sca. Sco­pria­mo subi­to che il ver­de può esse­re anche un colo­re del vino. Ver­dic­chio del­le Mar­che, Ver­di­so del Tre­vi­gia­no, Ver­dèa del Pia­cen­ti­no. Per non par­la­re del Vin­ho ver­de por­to­ghe­se. La ver­de­sca è un tipo di squa­lo, il ver­del­lo o ver­do­ne è un uccel­lo, ma ver­do­ne è anche un fun­go chia­ma­to anche colom­bi­na ver­de. Col ver­de quin­di uccel­li e fun­ghi si con­fon­do­no. I ver­del­li sono i limo­ni che matu­ra­no fra mag­gio e ago­sto e il ver­zel­li­no è un pas­se­ra­ceo.

Il ver­de è il colo­re del­la spe­ran­za, dell’effimero, del­la for­tu­na, del­la pre­ca­rie­tà del­le cose. Per l’Islam è il colo­re del para­di­so. In Cina è asso­cia­to al legno che esce a pri­ma­ve­ra dal­la ter­ra nera. Tal­vol­ta il Dia­vo­lo appa­re di colo­re ver­de, un resto del­le anti­che divi­ni­tà del­la vege­ta­zio­ne. Anche la cro­ce di Cri­sto è tal­vol­ta raf­fi­gu­ra­ta in ver­de, come il Graal e lo sme­ral­do, pie­tra ambi­gua. L’Apocalisse è domi­na­ta dal colo­re ver­de. Il tro­no del giu­di­ce del­la fine del mon­do è “cir­con­da­to da un arco­ba­le­no dall’aspetto di sme­ral­do”. Per gli Azte­chi il ver­de è asso­cia­to alla fer­ti­li­tà e all’uccello Que­tzal, dal­le piu­me ver­di. In alchi­mia il ver­de è “l’acqua regia”, il vetrio­lo, che si pro­du­ce appe­na dopo la nigri­do, fase ini­zia­le del pro­ces­so alche­mi­co.

Il gial­lo vie­ne dal lati­no gal­bi­nus, che era un ver­de-gial­lo. È un colo­re di varie tona­li­tà. C’è per esem­pio il bion­do che è un gial­lo non mol­to acce­so. Fla­vo è il bion­do poe­ti­co, dal lati­no Fla­vus. Inve­ce ful­vo è il bion­do ten­den­te al ros­sa­stro, dal lati­no Ful­vus. Il gial­lo è il colo­re dell’invidia e del­la gelo­sia. È il colo­re di Giu­da, del­la stel­la che i nazi­sti obbli­ga­va­no gli ebrei a por­ta­re cuci­ta addos­so, dei cru­mi­ri e dei tra­di­to­ri. In Fran­cia si dipin­ge­va­no di gial­lo le impo­ste di chi tra­di­va la patria. I fran­ce­si dico­no rire jau­ne per “riso ama­ro”, gial­lo è oltral­pe anche il colo­re del mari­to cor­nu­to, ma la maglia gial­la è l’ambìto tro­feo del Tour de Fran­ce. Nel Medioe­vo il gial­lo e il ver­de era­no i colo­ri di cui veni­va­no vesti­ti i paz­zi. In alchi­mia, la cini­tri­ti­tas era la pri­ma fase di tran­si­zio­ne del­la mate­ria dal­la nigre­do ver­so la rube­do. Ver­de e gial­lo pre­sta­no la tin­ta alla bile, all’invidia, alla pau­ra e alla malat­tia. In Cina il gial­lo è il colo­re riser­va­to alle vesti dell’imperatore. È il colo­re del­la ter­ra, ma anche del sacro Fiu­me Gial­lo.

Vie­ne poi il ros­so, che inve­ce è il colo­re del­la for­za e del­la salu­te. Rob­bio e Rog­gio sono sue for­me anti­che. Roven­te signi­fi­ca stret­ta­men­te ros­seg­gian­te. Anche la quer­cia det­ta rove­re, la quer­cia ros­sa, (in lati­no robur-robo­ris) ha crea­to paro­le che han­no tra­va­li­ca­to il cam­po del colo­re per pas­sa­re a quel­lo del­la for­za: robu­sto, cor­ro­bo­ra­re. La ter­ra ros­sa usa­ta per scri­ve­re i tito­li dei capi­to­li era la ter­ra rubri­ca ed è così che si è arri­va­ti alla rubri­ca tele­fo­ni­ca. Ros­so era il colo­re di cui l’uomo di Nean­der­thal spal­ma­va i suoi mor­ti, qua­si per resti­tui­re loro il colo­re del san­gue. Ros­so è il colo­re di Mar­te e del dio egi­zia­no Seth. Ma gli egi­zia­ni dipin­ge­va­no di ros­so quel che dete­sta­va­no. In Mes­si­co si usa­va il ros­so solo per san­gue, sole e fuo­co. Per i Maya era sim­bo­lo dell’oriente. In Cina ros­so è Yang e nero è Ying. Il ros­so Yang è sim­bo­lo di poten­za ses­sua­le, di gio­ia e di immor­ta­li­tà. Da noi il ros­so è il colo­re del­la pas­sio­ne ma vesti­to di ros­so è anche il car­di­na­le che si vota alla chie­sa. Ros­sa era Babi­lo­nia nel­le paro­le dell’Apocalisse: “Babi­lo­nia, la gran­de pro­sti­tu­ta, madre del­le cor­ti­gia­ne e di tut­ti i vizi ter­re­stri è vesti­ta di por­po­ra e di scar­lat­to e caval­ca un mostro a set­te teste, una crea­tu­ra scar­lat­ta e vizio­sa”. Mad­da­le­na, la pec­ca­tri­ce, ha i capel­li ros­si e i roma­ni vole­va­no che le pro­sti­tu­te indos­sas­se­ro par­ruc­che ros­se. Ros­se era­no le lan­ter­ne che indi­ca­va­no le case chiu­se. A luci ros­se sono oggi i film por­no­gra­fi­ci. In alchi­mia il ros­so, la rube­do è la fase fina­le del­la tran­smu­ta­zio­ne del­la mate­ria.

Il bian­co è il colo­re che non c’è. Per gli Azte­chi, bian­co era il colo­re dell’occidente, dove tut­to muo­re. Bian­co è il colo­re dell’innocenza ma anche del­la mor­te. Lo Spi­ri­to San­to è rap­pre­sen­ta­to sot­to for­ma di colom­ba bian­ca. In Cina il bian­co è il colo­re del­la vec­chia­ia, dell’occidente e del male. Ma è anche il colo­re del lut­to, nel sen­so di man­can­za di colo­ri. In alchi­mia, l’albedo è la fase inter­me­dia fra la nigre­do e la rube­do.

Il bian­co vie­ne dal ger­ma­ni­co blank. Per­ché il bian­co dei lati­ni era albus. Ma anche quan­do si par­la di bian­co si fini­sce ine­vi­ta­bil­men­te nel vino. Alba­na di Roma­gna e Alba­ro­la del­la Rivie­ra del Levan­te. Anche albe­ro vuol dire bian­co: era il nome del piop­po bian­co. Albe­di­ne o albe­do è la par­te inter­na del­la buc­cia dell’arancia. Albà­sia è anti­ca voce per bonac­cia, deri­va­to da alba, cioè ven­to che si leva all’alba. Così alba­gia: boria, alte­ri­gia. Albo era una tavo­la bian­ca su cui a Roma si scri­ve­va­no i nomi dei magi­stra­ti, le feste solen­ni, le leg­gi. Oggi c’è quel­lo dei gior­na­li­sti o quel­lo del­le figu­ri­ne. Per non par­la­re di albu­me, albu­mi­na. Ma scial­bo era anti­ca­men­te lo stra­to di cal­ce e into­na­co con cui si copri­va­no gli affre­schi. Scial­bo è oggi quel che è sbia­di­to e mor­to.

Il nero è il colo­re dell’infinito e dell’assoluto. In psi­ca­na­li­si è il sim­bo­lo del più pro­fon­do incon­scio. Ma è anche il colo­re dell’inferno, del­le mes­se nere, è la nega­zio­ne del­la vani­tà e del lus­so nel­le toghe dei sacer­do­ti. Nera è la malin­co­nia, in gre­co let­te­ral­men­te “umo­re nero”. Miste­rio­so è il cul­to del­le Madon­ne nere – Cze­sto­cho­v­wa, Tar­ra­go­na, Char­tres, Gua­da­lu­pa. Sem­bra sia da ricon­dur­re a divi­ni­tà fem­mi­ni­li del neo­li­ti­co, che vive­va­no nel ven­tre del­la ter­ra e che quin­di era­no sim­bo­lo di fer­ti­li­tà. Nera è la pie­tra del­la Mec­ca e la dea india­na Kali, man­gia­tri­ce del­la mor­te. Sarah-la-Kali, è la pro­tet­tri­ce degli zin­ga­ri che ogni anno van­no in pel­le­gri­nag­gio alle Sain­tes-Maries-de-la-Mer per ado­rar­la assie­me alle altre: Maria Gia­co­bea, Maria Salo­mé e Maria Mad­da­le­na.

Non abbia­mo cer­to esau­ri­to l’arcobaleno e già vedia­mo che colo­ri e paro­le for­te­men­te si com­pe­ne­tra­no, si con­ta­gia­no. Ma pro­via­mo ora ad affron­ta­re la que­stio­ne da un altro pun­to di vista.

I colo­ri e le paro­le for­te­men­te si com­pe­ne­tra­no, si con­ta­gia­no. Da un pun­to di vista scien­ti­fi­co, il colo­re è luce, è un’onda. Più pre­ci­sa­men­te, il colo­re è quel­la par­te di luce che un ogget­to non assor­be. In altri ter­mi­ni, quel che resta del­la luce. Il colo­re del­le paro­le dovreb­be quin­di esse­re quel che resta del­le cose una vol­ta nomi­na­te. Nul­la. Il silen­zio. Le paro­le sono for­se bian­che, inco­lo­ri? Ogni colo­re ha una diver­sa fre­quen­za e si misu­ra in nano­me­tri. Ma l’occhio uma­no vede solo i colo­ri che si tro­va­no fra i 400 e i 700 nano­me­tri. Vi sono dun­que colo­ri per noi invi­si­bi­li. Allo stes­so modo, esi­sto­no sicu­ra­men­te paro­le per noi incom­pren­si­bi­li, che ci stan­no attor­no sen­za che noi pos­sia­mo udir­le. Se il nano­me­tro è l’unità di misu­ra del­la luce, esi­ste­rà sicu­ra­men­te anche un’unità di misu­ra del­le paro­le. Quan­do l’avremo sco­per­ta, ogni equi­vo­co sarà impos­si­bi­le. Si potrà misu­ra­re il signi­fi­ca­to e il sot­tin­te­so, il det­to, il non det­to e per­fi­no quel­lo che avrem­mo volu­to dire. Sarà pos­si­bi­le sco­pri­re la lin­gua uni­ver­sa­le da cui tut­te le altre ema­na­no, quel­la che ser­ve per comu­ni­ca­re non solo con tut­ti gli uomi­ni, ma anche con la mate­ria. Potre­mo ascol­ta­re e par­la­re con le pie­tre e gli ani­ma­li.

Quan­do ogni luce scom­pa­re, i colo­ri scom­pa­io­no. Ma le paro­le no. Vivo­no anche al buio. Quin­di si può con­clu­de­re che il buio sta ai colo­ri come il silen­zio sta alle paro­le. Ser­vi­rà veri­fi­ca­re. Si pre­su­me che i colo­ri sia­no sem­pre esi­sti­ti, anche pri­ma che l’uomo potes­se veder­li. Le paro­le sem­bra inve­ce di no. Nasco­no con il lin­guag­gio, che è un’invenzione uma­na.

In cer­te lin­gue ser­vo­no die­ci paro­le per dire tut­ti i tipi di bian­co che esi­sto­no men­tre in altre lin­gue man­ca­no dei colo­ri. For­se anche que­sto è un segno, una remi­ni­scen­za del­la loro pro­ve­nien­za chi­mi­ca. Pare che i gre­ci anti­chi, davan­ti all’impossibilità di tro­va­re tut­te le paro­le  per descri­ve­re ogni tipo di blu, ne aves­se­ro solo una. Cia­no (kau­nos), era quin­di il colo­re del mare e del cie­lo, del gia­cin­to e del vele­no. Un colo­re ambi­guo, ma anche ras­si­cu­ran­te. For­se que­sto è un segno che i colo­ri, come le lin­gue, si sono mol­ti­pli­ca­ti e che c’è sta­ta una tor­re di Babe­le cro­ma­ti­ca. Dio ha man­da­to l’arcobaleno a con­fon­der­ci e for­se nell’Eden c’era un uni­co colo­re. Sareb­be inte­res­san­te inda­ga­re qua­le.

Per i Nava­jo i colo­ri par­la­no dav­ve­ro e la loro lin­gua distin­gue la real­tà secon­do i colo­ri. Nell’universo nava­jo, la vita si divi­de in cin­que mon­di. Il pri­mo è il più buio, è nero, il secon­do è blu, il ter­zo gial­lo e il quar­to ros­so. Solo nel quin­to mon­do il sole com­bi­na tut­ti i colo­ri dei mon­di infe­rio­ri per dar­ci la luce. La not­te è un ritor­no al nero, al caos, ma anche alle ori­gi­ni del mon­do, quan­do tut­to era anco­ra pos­si­bi­le. Il mon­do nero pri­mor­dia­le ave­va quat­tro ango­li in cui si tro­va­va­no quat­tro nubi: una nera, una bian­ca, una blu e una gial­la. Ad est, dove la nuvo­la nera si fuse con quel­la bian­ca, nac­que l’uomo. Ad ove­st, dove la nuvo­la blu si fuse con quel­la gial­la nac­que la don­na. I sin­go­li colo­ri o pig­men­ti pos­so­no esse­re con­si­de­ra­ti come dei fone­mi nel­la lin­gua dei nava­jo. Per que­sto gli scien­zia­ti per descri­ve­re il nava­jo par­la­no di “pig­me­mi”, un con­cet­to a metà fra suo­no e colo­re. Blu e gial­lo sem­bra­no ave­re un valo­re voca­li­co. Nero, bian­co, ros­so e mul­ti­co­lo­re sono inve­ce con­so­nan­ti. C’è un lega­me costan­te in nava­jo fra colo­re e dire­zio­ne, meno fis­so fra colo­re e gene­re.

Bian­co è l’est

Blu è il sud

Gial­lo è l’ovest

Nero è il nord

Gial­lo e blu sono gene­ral­men­te fem­mi­ni­li. Ma diven­ta­no maschi­li se asso­cia­ti al con­cet­to di tra­iet­to­ria del­la frec­cia sca­glia­ta. Il nero è il colo­re del caos, del nul­la, del­la madre da cui tut­to pro­vie­ne e quin­di del­la don­na. Il bian­co è il maschio, l’incerto futu­ro, la fug­ge­vo­le luce.

Nel­le nostre lin­gue le paro­le appa­ren­te­men­te non han­no colo­re. Sono spu­gne: assor­bo­no il colo­re che noi uomi­ni le attri­buia­mo. Ma Roland Bar­thes (1996) scri­ve­va:

“Il colo­re è la pul­sio­ne, e noi abbia­mo pau­ra d’insinuarne la trac­cia nei nostri mes­sag­gi; per que­sto scri­via­mo in nero e non ci per­met­tia­mo che ecce­zio­ni sor­ve­glia­te e banal­men­te emble­ma­ti­che: del blu per met­te­re in evi­den­za, del ros­so per cor­reg­ge­re. Ogni sbal­zo di colo­re risul­ta più che mai incon­gruo: si pos­so­no imma­gi­na­re del­le mis­si­ve gial­le o rosa, o anche gri­gie? Dei libri in ros­so bru­cia­to, in ver­de bru­ghie­ra, in azzur­ro inda­co? E tut­ta­via, chi può sape­re se il sen­so del­le paro­le non ne sareb­be muta­to? Non cer­to, s’intende, il sen­so les­si­co­gra­fi­co che, in fon­do, è ben poca cosa, ma il sen­so moda­le; poi­ché i nomi han­no dei modi, come i ver­bi, una manie­ra di por­ta­re, di dischiu­de­re o di con­trar­re il sog­get­to che li enun­cia. Il colo­re dovreb­be far par­te di que­sta gram­ma­ti­ca subli­me del­la scrit­tu­ra, che pur non esi­ste: gram­ma­ti­ca uto­pi­ca e nien­te affat­to nor­ma­ti­va”.

In un fan­ta­scien­ti­fi­co futu­ro lin­gui­sti­co, si potreb­be­ro quin­di imma­gi­na­re signi­fi­ca­ti diver­si per le paro­le a secon­da del loro colo­re. Ci sarà un indi­ca­ti­vo gial­lo, diver­so da quel­lo ros­so. Mesco­lan­do il con­giun­ti­vo ver­de con quel­lo ros­so si avrà un con­giun­ti­vo mar­ro­ne. Ma che ne sarà allo­ra dei colo­ri? Che signi­fi­ca­to avrà un gial­lo scrit­to in blu? Un roman­zo rosa scrit­to in ver­de? Biso­gne­rà mesco­la­re i due colo­ri per saper­lo. Ad esem­pio, un gial­lo scrit­to in blu sarà sicu­ra­men­te un ver­de, men­tre un roman­zo rosa scrit­to in ver­de sarà un noc­cio­la. Solo un gial­lo scrit­to in gial­lo sarà ine­qui­vo­ca­bil­men­te gial­lo. Il silen­zio sarà inve­ce scrit­to in bian­co. Ma non è det­to che non si pos­sa leg­ge­re. Oppu­re i colo­ri saran­no for­se le lin­gue del futu­ro e ser­vi­rà tra­dur­re dall’uno all’altro. Impre­ve­di­bi­li saran­no allo­ra le tra­du­zio­ni di libri come The Scar­let Let­ter.

Le paro­le, come i colo­ri, non resi­sto­no all’effetto del tem­po. Di cer­ti affre­schi rina­sci­men­ta­li non vedia­mo oggi che stin­te trac­ce. Ma altre pit­tu­re han­no inve­ce acqui­sta­to bel­lez­za col tem­po. La chi­mi­ca dei pig­men­ti ha fat­to sì che cer­ti gial­li oggi sco­lo­ri­ti sia­no più bel­li di quan­do furo­no ste­si sul­la tela. O for­se è solo una que­stio­ne di gusto, che cam­bia coi tem­pi. Ma anche le paro­le, con l’uso si tra­sfor­ma­no. Cer­te sco­lo­ri­sco­no irri­me­dia­bil­men­te e biso­gna restau­rar­le per tor­na­re a capir­le. Il cam­po seman­ti­co di altre si allar­ga o si restrin­ge come una mac­chia. Per anni sem­bra­no scom­par­se, invi­si­bi­li nel bru­li­ca­re del­la lin­gua, e poi improv­vi­sa­men­te riaf­fio­ra­no, intat­te e lucen­ti, o cari­che d’un tutt’altro signi­fi­ca­to.

Tut­ti cono­sco­no il liquo­re Alcher­mes, indi­spen­sa­bi­le per la pre­pa­ra­zio­ne del­la clas­si­ca zup­pa ingle­se. Vie­ne dall’arabo al qir­miz, pas­sa­to nel­lo spa­gno­lo alquer­mes. Che vuol dire “coc­ci­ni­glia”, per­ché era facen­do cuo­ce­re que­sti inset­ti che nel Medioe­vo si otte­ne­va una tin­tu­ra ros­sa. Ma il ter­mi­ne più anti­co è il san­scri­to kir­mi­d­ja, che signi­fi­ca “deri­va­to da un ver­me”, da cui vie­ne la radi­ce ker­mes, che è all’origine dell’inglese crim­son, del fran­ce­se cra­moi­se e dell’italiano cre­mi­si. Ecco una paro­la che, anche cam­bian­do signi­fi­ca­to, ha con­ser­va­to il suo colo­re nei seco­li.

Non pos­sia­mo più vede­re oggi i colo­ri del­le sta­tue gre­che, eppu­re il dia­fa­no bian­co dei loro mar­mi sem­bra esse­re più elo­quen­te dei gial­li e dei ros­si che un tem­po lo rico­pri­va­no. Quan­do il colo­re si ritrae resta dun­que un signi­fi­ca­to. Allo­ra deve esse­re vero che anche quan­do le paro­le si sec­ca­no e non han­no più suo­no, il loro signi­fi­ca­to resta, il loro suo­no, comun­que spe­so, vibra nell’atmosfera ter­re­stre che nei mil­len­ni s’è riem­pi­ta di voci. Sono for­se anco­ra tut­te qui nell’aria le paro­le pro­nun­cia­te dall’uomo, e noi non fac­cia­mo che assem­blar­le in sem­pre diver­se com­bi­na­zio­ni.

Come i pit­to­ri del Rina­sci­men­to si fab­bri­ca­va­no i loro colo­ri, così anche l’uomo può arri­va­re a fab­bri­car­si le sue paro­le. Ripen­san­do alle offi­ci­ne dei pit­to­ri rina­sci­men­ta­li che chi­mi­ca­men­te inven­ta­va­no nuo­vi colo­ri, come non pen­sa­re agli inven­to­ri di lin­gue. Ogni epo­ca uma­na ha avu­to i suoi inven­to­ri di lin­gue. Con­si­de­ra­ti alla stre­gua degli alchi­mi­sti medie­va­li che ricer­ca­va­no la pie­tra filo­so­fa­le, non han­no mai avu­to buo­na repu­ta­zio­ne. Men­tre il blu inven­ta­to da Yves Klein spa­lan­ca all’animo sco­no­sciu­te ed esi­la­ran­ti emo­zio­ni, men­tre i pig­men­ti cru­di di Anish Kapoor sono impos­si­bi­li da ugua­glia­re con le nor­ma­li ver­ni­ci, men­tre Leo­nar­do o Rubens sono con­si­de­ra­ti dei geni per­ché han­no crea­to colo­ri mai visti, l’uomo che s’azzarda a inven­ta­re paro­le mai udi­te è sem­pre sta­to trat­ta­to da paz­zo. Gli psi­chia­tri clas­si­fi­ca­no addi­rit­tu­ra fra le malat­tie men­ta­li la glos­so­la­lia, l’irresistibile impe­to che por­ta un uomo a inven­ta­re una lin­gua. Pare che i pri­mi a sof­frir­ne furo­no i Dodi­ci Apo­sto­li, quan­do sce­se su di loro lo Spi­ri­to San­to. E per­fi­no loro furo­no trat­ta­ti con dif­fi­den­za.

“A Geru­sa­lem­me c’erano ebrei e uomi­ni mol­to reli­gio­si venu­ti da tut­te le par­ti del mon­do. Cia­scu­no li sen­ti­va par­la­re nel­la pro­pria lin­gua, per cui era­no pie­ni di mera­vi­glia e di stu­po­re e dice­va­no: “Que­sti uomi­ni che par­la­no sono tut­ti gali­lei? Come mai allo­ra li sen­tia­mo par­la­re nel­la nostra lin­gua nati­va? Se ne sta­va­no lì pie­ni di mera­vi­glia e non sape­va­no che cosa pen­sa­re. Dice­va­no gli uni agli altri: “Che signi­fi­ca­to avrà tut­to que­sto?” Altri inve­ce ride­va­no e dice­va­no: “Sono com­ple­ta­men­te ubria­chi”. (Atti degli Apo­sto­li 2:5–13).

Con i colo­ri si può scher­za­re, si pos­so­no fare espe­ri­men­ti, con le paro­le no. Dei colo­ri è leci­to, anzi auspi­ca­bi­le il miscu­glio, del­le paro­le no. Cre­dia­mo che le lin­gue del mon­do sia­no i colo­ri fon­da­men­ta­li del lin­guag­gio e ci infa­sti­di­sce, ci urta il loro pro­mi­scuo mesco­lar­si. Sia­mo spin­ti ad impe­dir­lo, a tene­re ogni lin­gua nel suo tubet­to, e anche nell’affresco naïf del nostro cosmo­po­li­ti­smo euro­peo, ten­dia­mo ad aspet­ta­re che ogni lin­gua sia bene asciut­ta pri­ma di aggiun­ger­ne accan­to un’altra. In real­tà le lin­gue, come i colo­ri, si sono sem­pre mesco­la­te. Così, come il gial­lo non è sem­pre gial­lo a secon­da del­la lati­tu­di­ne, anche la paro­la che lo descri­ve cam­bia e fini­sce per indi­ca­re un gial­lo lon­ta­nis­si­mo dal nostro. Ci sono lin­gue in cui il gial­lo è più gial­lo, in altre meno. Per esem­pio,  sal­ta all’occhio che kel­tai­nen, il gial­lo fin­lan­de­se, è mol­to meno gial­lo del nostro, che inve­ce è qua­si gial­lo come il jau­ne fran­ce­se. Ma l’ama­ril­lo spa­gno­lo è già un’altra sfu­ma­tu­ra. Il gelb tede­sco va spe­gnen­do­si nel gri­gio, si rav­vi­va inve­ce diluen­do­si l’inglese yel­low. Fin qui stia­mo anco­ra nel­la tavo­loz­za, ma dove andia­mo a fini­re con il rume­no, che è il gial­lo slo­ve­no? Inve­ce nul­la è più bian­co del val­koi­nen fin­lan­de­se. Ma ci sono dicias­set­te paro­le diver­se per dire “neve” in lap­po­ne. Anche se sem­pre di bian­co si trat­ta. Ser­vo­no dun­que tut­ti i gial­li e i bian­chi del mon­do per far bril­la­re il gial­lo e il bian­co che li con­ten­go­no tut­ti.

Ogni lin­gua ha la sua sca­la cro­ma­ti­ca, una spe­cie di gram­ma­ti­ca del colo­re. Si costrui­sce non solo attra­ver­so lo spec­chio del mon­do mate­ria­le, ma anche con le meta­fo­re. In ingle­se si è col­ti red-han­ded, con le mani nel sac­co direm­mo noi. I fran­ce­si diven­ta­no bleu de rage, blu di rab­bia, men­tre noi diven­tia­mo ver­di. Noi per la pau­ra ci sbian­chia­mo, i fran­ce­si han­no une peur bleue. Ma in tede­sco blau sein vuol dire esse­re ubria­co. Jau­ne in fran­ce­se è un “cru­mi­ro”. La bile è ver­de in ita­lia­no ma gial­la in fran­ce­se. Dal­la stes­sa radi­ce del fla­vus lati­no, che vuol dire gial­lo, vie­ne il blau tede­sco, il bleu fran­ce­se e anche il nostro blu. Il gial­lo dun­que in cer­te lin­gue richia­ma il blu.

Tut­to que­sto fa pen­sa­re che paro­le e colo­ri sia­no due diver­se strut­tu­re di per­ce­zio­ne del mon­do, due regni per­cet­ti­vi. Il ter­zo è senz’altro la musi­ca. Lin­gua, colo­re e musi­ca sono for­se i cor­ri­spet­ti­vi di mon­do ani­ma­le, vege­ta­le e mine­ra­le. Ma nel­la noo­sfe­ra di Thei­lard de Char­din, non c’è dif­fe­ren­za fra l’uno e l’altro. In diver­sa manie­ra, da diver­se distan­ze, tut­ti e tre ten­do­no a Dio. Allo­ra anche lin­gua, colo­re e musi­ca ten­do­no ver­so una loro riso­lu­zio­ne. Ver­so una per­fe­zio­ne dove la luce non riflet­te più nul­la, la paro­la non indi­ca più nul­la, la musi­ca si eli­de nel silen­zio.

Per pro­dur­re pig­men­ti colo­ra­ti, gli anti­chi egi­zi uti­liz­za­va­no tec­ni­che di cor­ro­sio­ne dei metal­li. Piom­bo e rame veni­va­mo espo­sti a vapo­ri d’aceto che col tem­po si tra­sfor­ma­va­no in sali. Anche le nostre paro­le sono l’effetto di una cor­ro­sio­ne. Una leg­ge del­la lin­gui­sti­ca dice che il pri­mo moto­re dell’evoluzione di una lin­gua è la sua sem­pli­fi­ca­zio­ne. Pre­va­le sem­pre la solu­zio­ne più eco­no­mi­ca, quel­la che dà il mas­si­mo risul­ta­to con il mini­mo sfor­zo. Con l’uso, le paro­le di una lin­gua si accor­cia­no nel­la for­ma più bre­ve pos­si­bi­le che sia tut­ta­via anco­ra capa­ce di con­te­ne­re un signi­fi­ca­to. In rus­so, zup­pa di cavo­lo si dice s’cì, in dane­se anguil­la si dice el. Que­sto esem­pio dimo­stra quan­ta zup­pa di cavo­lo e quan­ta anguil­la devo­no aver man­gia­to rispet­ti­va­men­te rus­si e dane­si.

Tor­nan­do alle malat­tie del lin­guag­gio, anche io sono uno di quei paz­zi che sof­fro­no di glos­so­la­lia. Mi sono inven­ta­to le mie paro­le, come i pit­to­ri del Rina­sci­men­to i loro colo­ri. Addi­rit­tu­ra, mi sono fat­to tut­ta la tavo­loz­za: ho costrui­to una lin­gua, l’europanto. Non c’è una scuo­la di pit­tu­ra dove andar­la ad impa­ra­re. Non so nep­pu­re io come si dipin­ga. Vado a occhio. Ecco un bre­ve esem­pio:

Orlan­do furio­so

1
Le don­ne, i caval­lier, l’ar­me, gli amo­ri,
le cor­te­sie, l’au­da­ci impre­se io can­to,
che furo al tem­po che pas­sa­ro i Mori
d’A­fri­ca il mare, e in Fran­cia noc­quer tan­to,
seguen­do l’i­re e i gio­ve­nil furo­ri
d’A­gra­man­te lor re, che si diè van­to
di ven­di­car la mor­te di Tro­ia­no
sopra re Car­lo impe­ra­tor roma­no.

2
Dirò d’Or­lan­do in un mede­smo trat­to
cosa non det­ta in pro­sa mai, né in rima:
che per amor ven­ne in furo­re e mat­to,
d’uom che sì sag­gio era sti­ma­to pri­ma;
se da colei che tal qua­si m’ha fat­to,
che ‘l poco inge­gno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tan­to con­ces­so,
che mi basti a finir quan­to ho pro­mes­so.

3
Piac­cia­vi, gene­ro­sa Ercu­lea pro­le,
orna­men­to e splen­dor del secol nostro,
Ippo­li­to, aggra­dir que­sto che vuo­le
e dar­vi sol può l’u­mil ser­vo vostro.
Quel ch’io vi deb­bo, pos­so di paro­le
paga­re in par­te e d’o­pe­ra d’in­chio­stro;
né che poco io vi dia da impu­tar sono,
che quan­to io pos­so dar, tut­to vi dono.

4
Voi sen­ti­re­te fra i più degni eroi,
che nomi­nar con lau­de m’ap­pa­rec­chio,
ricor­dar quel Rug­gier, che fu di voi
e de’ vostri avi illu­stri il cep­po vec­chio.
L’al­to valo­re e’ chia­ri gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orec­chio,
e vostri alti pen­sie­ri cedi­no un poco,
sì che tra lor miei ver­si abbia­no loco.

5
Orlan­do, che gran tem­po inna­mo­ra­to
fu de la bel­la Ange­li­ca, e per lei
in India, in Media, in Tar­ta­ria lascia­to
avea infi­ni­ti ed immor­tal tro­fei,
in Ponen­te con essa era tor­na­to,
dove sot­to i gran mon­ti Pire­nei
con la gen­te di Fran­cia e de Lama­gna
re Car­lo era atten­da­to alla cam­pa­gna

Ludo­vi­co Ario­sto

Rolan­do furio­se

1

Don­nas, vel cabal­le­ros, armas, amo­res
sala­me­lek, auda­cious gestas can­to
des tem­po quan­do vucum­prà tre­spas­sed
der afri­can­se mar Fran­za infe­stan­te,
die rabi­do­se und juve­nil furo­re
van Agra­man­te sei­ne king descri­be
qui pre­ten­ded der mor­te van Tro­ia­no
reven­ge con­tra Car­lo rex roma­no.

2
Shal van Rolan­do racon­te in eine tem­po
wat never pro­sa never rima dixit:
que psi­co­pa­ti­sche por amor beca­me
so wise hom­bre was esti­ma­do antes;
si moi inspi­ran­te bastan­te paro­las
shal qui mei­ne poe­sia nou­ri­shin­gan­te
per­mit­te moi de finish wat pro­mes­se.

3
Hope, gene­ro­se son van Her­cu­les,
splen­di­de star van die­se nostro tem­po,
Ippo­li­to, que gusta wat toi desi­re
und solo can offer tei­ne ser­vus.
Mei­ne debt uni­que­ly mit paro­las
can beza­le und vola­ti­le ope­ras;
but accu­se moi not de give poco,
por­qué wat habe, toi Ich offer todo

4
Tu shal enten­de intra gran­de heroes
que pre­sto shal mit gros­se lau­des men­tion
remem­ber dat Rug­gie­ro qui van tei­ne
fami­lia illu­stre was old anthe­na­to.
Maxi­me vir­tue sei­ne bel­le gestas
shal Ich racon­te, si patien­te auscul­te
si nobles refle­xio­nes poco aban­don,
por make pla­tz aan mei­ne futil ver­sos.

5
Orlan­do qui por mucho tem­po in love
van beau­ti­ful Ange­li­ca und por ella
in India, in Media, in Tar­ta­rìa col­lec­ted
muy num­be­ro­se und immor­tal tro­pheios,
op occi­den­te mit ella zubac­ked,
waar unter die mon­tes Pire­neios
mit van Ger­ma­nia und Fran­za mucha gen­te was in cam­pa­gne Car­lo cam­pin­gan­te.)

(tra­du­zio­ne in euro­pan­to di Die­go Mara­ni)

So che que­sto è un eser­ci­zio peri­co­lo­so: rischio di mesco­la­re pig­men­ti incom­pa­ti­bi­li, di crea­re sfu­ma­tu­re che potreb­be­ro con­fon­de­re la mia men­te. Già sono puni­to per la mia inso­len­za dall’insopportabile fasti­dio che pro­vo a rien­tra­re nei ran­ghi di paro­le non mie se voglio con­ti­nua­re a comu­ni­ca­re con gli altri. Così si paga la pre­sun­zio­ne di voler nomi­na­re le cose. Del resto, uno dei pri­mi divie­ti fat­ti da Dio all’uomo fu pro­prio quel­lo di non nomi­na­re il suo nome.

Mi con­so­la però sape­re che fra i paz­zi non sono il solo e che c’è sta­to chi era più mala­to di me. Uno stu­dio­so fran­ce­se del­la fine del­l’Ot­to­cen­to ha inven­ta­to una lin­gua, il Sol­ré­mi, che si può scri­ve­re sul rigo musi­ca­le, con l’alfabeto lati­no, con i segni o con i colo­ri. Fra­nçois Sudre soste­ne­va che la sua lin­gua si pote­va appun­to par­la­re con i colo­ri in diver­si modi: ad esem­pio accen­den­do la not­te lan­ter­ne lumi­no­se con vetri di diver­so colo­re fra quel­li dell’arcobaleno. Oppu­re lan­cian­do raz­zi in ognu­no dei set­te colo­ri, ad altez­za diver­sa, distan­zian­do le sil­la­be, come se il cie­lo not­tur­no fos­se un immen­so foglio su cui scri­ve­re.

Ecco un pic­co­lo com­pen­dio gram­ma­ti­ca­le di Sol­ré­mi:

ros­so, per d. (do)
aran­cio­ne, per r. (re)
gial­lo, per m. (mi)
ver­de, per f. (fa)
blu, per so. (sol)
inda­co, per l. (la)
vio­la, per s. (si)

Do Re = io

Do Mi = tu

Mi Sol = buo­na­not­te

Sol Si = gra­zie

Do Mi Fa Do = l’uomo Quin­di:

ros­so = io

rosso/giallo = tu

giallo/blu = buo­na­not­te

blu/viola = gra­zie

rosso/giallo/verde/rosso = l’uomo

giallo/blu = il bene

blu/giallo = il male

rosso/blu/giallo = il pane

rosso/blu/blu = l’acqua

giallo/giallo/rosso/giallo = tut­ta­via

Le paro­le che comin­cia­no

  1. con SI (vio­la) : riguar­da­no il gover­no e l’amministrazione pub­bli­ca

es.: viola/arancio/viola/indigo = repub­bli­ca

  1. con LA (indi­go) : riguar­da­no il com­mer­cio, l’artigianato e l’industria

es.: indigo/blu/viola/viola = fari­na

  1. con DO (ros­so): riguar­da­no reli­gio­ni e cle­ro

es.: rosso/verde/verde/rosso = Pasqua

  1. con RE (aran­cio): rigua­da­no costru­zio­ne e mestie­ri

es.: arancio/blu/verde/verde = mar­tel­lo

  1. con SOL (blu): riguar­da­no arti, let­te­ra­tu­ra e tea­tro

es.:blu/viola/rosso/arancio

Un paio di fra­set­te alla rin­fu­sa:

verde/giallo’_//giallo/rosso/verde/blu//rosso//verde/arancio/giallo//blu/viola/giallo = que­ste orfa­nel­le non sono tri­sti

(‘) plur.

(_) femm.

indaco/blu//verde/indaco/rosso//verde/blu/indaco//rosso/viola/verde/rosso//giallo/rosso//rosso//verde/verde/rosso/arancione =

Non biso­gna mai com­met­te­re impru­den­ze per non rischia­re di cade­re mala­ti.

E per fini­re qual­che con­giun­ti­vo:

giallo/arancio/rosso/giallo/arancio/indaco/giallo/arancio =

che tu scri­ves­si

giallo/arancio//rossoarancio//arancio//verdearanciogiallo//verde/indigo/verde = che io fos­si sta­to com­pre­so

Ma le più diver­ten­ti astru­si­tà il Sol­ré­mi le rag­giun­ge quan­do usa i colo­ri per espri­me­re appun­to colo­ri:

blu/rosso/indaco = colo­re

indaco/arancio/giallo/viola = ros­so

indaco/arancio/giallo/blu = gial­lo

indaco/arancio/giallo/verde = ver­de

indaco/rosso/giallo/indaco = blu

Per dire ros­so ser­ve dun­que indaco/arancio/giallo/viola. Quin­di sco­pria­mo che non ser­ve il ros­so per fare il ros­so. Ser­ve però il gial­lo per dire gial­lo e il ver­de per dire ver­de. Non ser­ve blu per dire blu. Ma allo­ra, cosa suc­ce­de a mesco­la­re il ver­de e il gial­lo del Sol­ré­mi? Si otter­rà comun­que un blu? O un indaco/arancio/giallo/verde? Biso­gne­reb­be pro­va­re. E come cer­ca­re le paro­le sul voca­bo­la­rio del Sol­ré­mi? In veri­tà, ogni pia­no­for­te nascon­de un dizio­na­rio, così come ogni sca­to­la di colo­ri.

Deci­sa­men­te, il colo­re con­fon­de le paro­le. E del resto, il rap­por­to dell’uomo con il colo­re sem­bra esse­re com­ples­so e tra­va­glia­to quan­to quel­lo con le paro­le. Ci sono cul­tu­re che vedo­no nel colo­re una per­di­zio­ne, uno smar­ri­men­to del­la ragio­ne. Altre inve­ce che tro­va­no solo nel colo­re l’autentica rea­liz­za­zio­ne dell’animo uma­no. Pli­nio scri­ve­va che i gre­ci anti­chi cono­sce­va­no solo quat­tro colo­ri e sem­bra che il lati­no anti­co non cono­sces­se il mar­ro­ne e il gri­gio. Yves Klein ha scrit­to che “l’uomo è esi­lia­to lon­ta­no dal­la sua ani­ma colo­ra­ta”. Allo stes­so modo la pen­sa­va Kan­din­skij, che sof­fri­va di una par­ti­co­la­ris­si­ma malat­tia, for­se mol­to peg­gio­re del­la glos­so­la­lia: la sine­ste­sia. La sine­ste­sia è un feno­me­no per­cet­ti­vo che asso­cia due diver­se per­ce­zio­ni sen­so­ria­li. Kan­din­skij, in pra­ti­ca “sen­ti­va i colo­ri”. Il com­po­si­to­re rus­so Alek­san­dr Skr­ja­bin, che sof­fri­va del­lo stes­so distur­bo, era arri­va­to ad asso­cia­re i colo­ri alle note musi­ca­li: la chia­ve di Do mag­gio­re era il ros­so, il re mag­gio­re era il gial­lo. Pro­prio come nel­la lin­gua di Fra­nçois Sudre. Pri­mo Levi, che oltre che scrit­to­re era anche un chi­mi­co, soste­ne­va che per lui i colo­ri ave­va­no una più ric­ca gam­ma di signi­fi­ca­ti, per­ché vi vede­va den­tro anche i colo­ri del­le rea­zio­ni chi­mi­che, i segre­ti lega­mi del­la mate­ria che si vedo­no solo al micro­sco­pio.

Tut­to que­sto non può esse­re una casua­li­tà. For­se dav­ve­ro i colo­ri par­la­no e i rari uomi­ni che rie­sco­no a sen­tir­li ce ne por­ta­no la voce.

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