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Marzo
27 Marzo 2025

GLI ANNI DI PIOM­BO E L’E­STRA­DI­ZIO­NE: LI RICOR­DO BENE, NON FURO­NO PRO­CES­SI “SPE­CIA­LI”

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Chie­de­re alla Fran­cia l’e­stra­di­zio­ne dai lati­tan­ti era, per lo Sta­to, un dirit­to e for­se un dove­re poli­ti­co. Chia­mar­lo atto di ven­det­ta è puro e obso­le­to lin­guag­gio ideo­lo­gi­co. Era un atto dovu­to ma, alla luce dei pre­ce­den­ti, il riget­to dei giu­di­ci fran­ce­si era abba­stan­za scon­ta­to.

Le auto­ri­tà fran­ce­si vedo­no quel­lo che è suc­ces­so in que­gli anni in Ita­lia, in par­ti­co­la­re nel­le aule di giu­sti­zia, mol­to da lon­ta­no, come attra­ver­so un bino­co­lo rove­scia­to.

Dire ad esem­pio che l’e­stra­di­zio­ne avreb­be crea­to pro­ble­mi fami­lia­ri a colo­ro che sono lati­tan­ti, per scel­ta, anche da qua­ran­t’an­ni, signi­fi­ca svi­li­re com­ple­ta­men­te i ben più gra­vi — chia­mia­mo­li con un eufe­mi­smo — “pro­ble­mi”, che han­no vis­su­to i fami­lia­ri del­le vit­ti­me. Quel­lo che si leg­ge in quel­le sen­ten­ze è frut­to di un atteg­gia­men­to dav­ve­ro ipo­cri­ta e tar­tu­fe­sco, per usa­re un ter­mi­ne fran­ce­se. 

Solo su que­sta base mini­ma si può comin­cia­re una discus­sio­ne seria. Pur­trop­po, in que­sti gior­ni [N.d.R. l’autore fa rife­ri­men­to alla fine di mar­zo 2023, quan­do i giu­di­ci del­la Cor­te costi­tu­zio­na­le fran­ce­se nega­ro­no l’estradizione in Ita­lia dei die­ci ex ter­ro­ri­sti, bri­ga­ti­sti, con­dan­na­ti in via defi­ni­ti­va], come in pas­sa­to, il dibat­ti­to si è fer­ma­to a livel­lo poli­ti­co-ideo­lo­gi­co, è rima­sto a livel­lo del tut­to astrat­to e nes­su­no ha avu­to voglia di anda­re a vede­re come quei pro­ces­si sia­no sta­ti cele­bra­ti.

Vale la pena di rie­vo­car­li.

Del­le die­ci per­so­ne di cui si chie­de­va l’e­stra­di­zio­ne cin­que sono lom­bar­de, giu­di­ca­te a Mila­no. E cono­sco bene quei pro­ces­si cele­bra­ti nel capo­luo­go lom­bar­do  negli anni ‘80. Pre­sie­de­va­no i cosid­det­ti maxi pro­ces­si nel­le aule bun­ker del­le Cor­ti di Assi­se magi­stra­ti asso­lu­ta­men­te indi­pen­den­ti e lon­ta­ni da qual­sia­si for­ma di ran­co­re. Ricor­do il pre­si­den­te, Anto­ni­no Cusu­ma­no, e mi per­met­to di ricor­da­re tra gli altri anche mio padre, il pre­si­den­te Ange­lo Sal­vi­ni. Io intan­to ini­zia­vo a lavo­ra­re come Giu­di­ce Istrut­to­re e quin­di ave­vo un altro pun­to di osser­va­zio­ne pri­vi­le­gia­to di quel­la sta­gio­ne giu­di­zia­ria. Non è affat­to vero che quel­li fos­se­ro pro­ces­si spe­cia­li, è una vera men­zo­gna che tra l’al­tro offen­de i magi­stra­ti che han­no pre­sie­du­to le Cor­ti, e tut­ti i loro col­le­ghi, che han­no giu­di­ca­to sem­pre secon­do coscien­za e con una cer­ta dose di corag­gio, per­ché le misu­re di pro­te­zio­ne era­no mini­me.

Non vi è mai sta­to nes­sun atteg­gia­men­to di ran­co­re anche se — ricor­dia­mo­lo —  appe­na pri­ma di quei  pro­ces­si due magi­stra­ti mila­ne­si cono­sciu­ti e sti­ma­ti da tut­ti, Emi­lio Ales­san­dri­ni e Gui­do Gal­li, era­no sta­ti vil­men­te assas­si­na­ti. E che con­tro altri magi­stra­ti inqui­ren­ti, ricor­do fra tut­ti Arman­do Spa­ta­ro, era­no sta­ti pro­get­ta­ti atten­ta­ti omi­ci­dia­ri che solo per un caso non era­no anda­ti a buon fine. 

Baste­reb­be leg­ge­re gli atti, ma ricor­do bene anche le udien­ze a cui ho assi­sti­to, per ren­der­si con­to che anche a que­gli impu­ta­ti, come a tut­ti, era­no garan­ti­ti pie­na­men­te il dirit­to di dife­sa e una cor­ret­ta valu­ta­zio­ne del­le pro­ve. Non era­no pro­ces­si di guer­ra. I difen­so­ri, sareb­be bel­lo che qual­cu­no pub­bli­cas­se i ver­ba­li di qual­cu­na di quel­le udien­ze, han­no sem­pre avu­to in pie­nez­za la facol­tà di inter­ro­ga­re i testi­mo­ni, di con­te­sta­re le pro­ve a cari­co e di svol­ge­re, anche in modo acce­so, come è un dirit­to — ricor­do tra loro Giu­lia­no Spaz­za­li — le loro argo­men­ta­zio­ni in con­trad­dit­to­rio. Tut­ti, anche quei difen­so­ri di “area” che era­no mol­to vici­ni al mon­do dei loro assi­sti­ti. E anche gli altri pro­ces­si, quel­li cele­bra­ti a Tori­no e a Roma ad esem­pio, si sono svol­ti nel­lo stes­so modo.

Cer­to il cli­ma, soprat­tut­to nei pro­ces­si di pri­mo gra­do, era mol­to teso. In aula dal­le gab­bie spes­so risuo­na­va­no slo­gan; non dico che il cli­ma fos­se idil­lia­co e che ad esem­pio da par­te dei magi­stra­ti del­l’ac­cu­sa non vi sia­no sta­te durez­ze.

Ma abba­stan­za pre­sto era dive­nu­to un po’ un gio­co del­le par­ti e già nei pro­ces­si di appel­lo lo scon­tro si era mol­to atte­nua­to man mano che la lot­ta arma­ta anda­va esau­ren­do­si con il fal­li­men­to dei suoi pro­get­ti.

Cre­do che gli impu­ta­ti si fos­se­ro resi benis­si­mo con­to, anche sen­za ammet­ter­lo, che dinan­zi a loro  non ave­va­no dei nemi­ci o dei ser­vi di un impre­ci­sa­to siste­ma ma magi­stra­ti che svol­ge­va­no il loro lavo­ro cer­can­do di capi­re e rispet­tan­do i dirit­ti degli impu­ta­ti. Anche quan­do que­sti, non dimen­ti­chia­mo­lo, oggi nes­su­no lo dice, rifiu­ta­va­no gli avvo­ca­ti e la dife­sa. Il Pre­si­den­te del­l’Or­di­ne degli Avvo­ca­ti di Tori­no, Ful­vio Cro­ce, che nel pro­ces­so alle BR ave­va assun­to la dife­sa di uffi­cio per­ché per un avvo­ca­to quel­lo era un dove­re, come per un medi­co cura­re un mala­to, fu per que­sto assas­si­na­to sot­to casa.

Voglio ricor­da­re poi che nel car­ce­re di Ber­ga­mo, a metà degli anni ’80, pre­ci­sa­men­te il 15 mar­zo 1986, vi fu un even­to straor­di­na­rio. Era il car­ce­re in cui era dete­nu­ta la mag­gior par­te dei ter­ro­ri­sti che si era­no  avvia­ti, dopo una  rifles­sio­ne col­let­ti­va, sul per­cor­so del­la dis­so­cia­zio­ne. C’erano ad esem­pio gli ex capi di Pri­ma Linea, tut­ti con mol­ti omi­ci­di alle spal­le.

Ebbe­ne su que­sto tema si ten­ne un incon­tro comu­ne tra magi­stra­ti e dete­nu­ti, pre­sen­ti anche espo­nen­ti poli­ti­ci, il Diret­to­re gene­ra­le degli isti­tu­ti di pena e i cap­pel­la­ni del car­ce­re, che si tro­va­ro­no a discu­te­re insie­me non in un’aula bun­ker ma nel­la pale­stra del car­ce­re di via Gle­no, ove tra l’al­tro ope­ra­va­no un magi­stra­to di sor­ve­glian­za, come il dot­tor Zap­pa e un diret­to­re, il dot­tor Por­ci­no, mol­to sen­si­bi­li all’im­por­tan­za dei per­cor­si di recu­pe­ro e di usci­ta dal­la vio­len­za.

Ero pre­sen­te, allo­ra mol­to gio­va­ne, fu un momen­to anche emo­zio­nan­te per­ché per la pri­ma vol­ta non era­va­mo divi­si dal­le sbar­re e di fat­to da quel con­ve­gno uscì la leg­ge sul­la dis­so­cia­zio­ne del feb­bra­io 1987.

Le auto­ri­tà fran­ce­si dovreb­be­ro sfor­zar­si di capi­re di più e usa­re meno spoc­chia nei loro prov­ve­di­men­ti. Non so con pre­ci­sio­ne come si sia­no svol­ti i pro­ces­si poli­ti­ci all’epoca in Fran­cia  ma ho l’im­pres­sio­ne che fos­se­ro assai meno garan­ti­ti dei nostri.

In qual­che modo “spe­cia­li” sem­mai in Ita­lia all’e­po­ca non era­no i pro­ces­si ma le pene che non dipen­de­va­no dal­le Cor­ti ma dal­la volon­tà del legi­sla­to­re per­ché l’art. 1 del Decre­to-Leg­ge 625\1979, e cioè l’ag­gra­van­te del­la fina­li­tà di ter­ro­ri­smo, le ave­va note­vol­men­te ele­va­te.

Tut­ta­via gli anni irro­ga­ti si sono stem­pe­ra­ti abba­stan­za rapi­da­men­te, sia gra­zie all’at­te­nuan­te del­la dis­so­cia­zio­ne sia gra­zie ai bene­fi­ci peni­ten­zia­ri come i per­mes­si, il lavo­ro ester­no e la semi­li­ber­tà, con­ces­si da Magi­stra­ti di sor­ve­glian­za illu­mi­na­ti a colo­ro che di fat­to non era­no più peri­co­lo­si. Alla fine dopo aver scon­ta­to un nume­ro di anni di car­ce­re non mol­to ele­va­to, addi­rit­tu­ra in pro­por­zio­ne infe­rio­re a quel­lo che scon­ta­va­no tal­vol­ta i dete­nu­ti comu­ni per rea­ti ana­lo­ghi, tut­ti sono usci­ti e ritor­na­ti alla vita civi­le. Baste­reb­be fare i con­ti. Degli ex-ter­ro­ri­sti in car­ce­re — ad oggi sono pochis­si­mi — vi è rima­sto solo chi l’ha volu­to.

Que­sta let­tu­ra poli­ti­co-giu­di­zia­ria cer­to non esau­ri­sce un pro­ble­ma che cicli­ca­men­te si ripre­sen­ta.

C’è un pia­no eti­co, uma­no e psi­co­lo­gi­co da non dimen­ti­ca­re e che può far­ci intra­ve­de­re, sia­mo nel cam­po del­la simu­la­zio­ne, altri sce­na­ri.

Pro­via­mo ad imma­gi­na­re che la Fran­cia con­ce­da l’e­stra­di­zio­ne, e che for­se qual­cu­no degli anzia­ni lati­tan­ti anche la accet­ti, e che for­se pri­ma di mori­re voglia anche rive­de­re il suo pae­se. Scen­do­no dal­la sca­let­ta del­l’ae­reo tra due Cara­bi­nie­ri. Que­sto è il momen­to sim­bo­li­co, che rap­pre­sen­ta una catar­si psi­co­lo­gi­ca. La fuga è fini­ta, la par­ti­ta è per­sa, devo­no sot­to­met­ter­si alle sen­ten­ze emes­se in nome del popo­lo ita­lia­no. È il kai­ros, l’at­ti­mo spe­cia­le dei gre­ci che cam­bia ogni cosa.

Poi sareb­be­ro davan­ti al Magi­stra­to di sor­ve­glian­za. Chi non lo ha mai fat­to potreb­be con­fes­sa­re le pro­prie respon­sa­bi­li­tà, anche solo le pro­prie, per offri­re alla fine una veri­tà ripa­ra­to­ria alle fami­glie del­le vit­ti­me e alla Sto­ria. Sareb­be poi faci­le ave­re con­fer­ma che nes­su­na di que­ste per­so­ne è più peri­co­lo­sa, che non potreb­be comun­que tor­na­re ad ucci­de­re.

A que­sto pun­to non ci sareb­be più nem­me­no biso­gno del car­ce­re. Potreb­be­ro usci­re gra­zie a bene­fi­ci, ragio­nan­do sem­pre per imma­gi­ni, anche dopo solo un pez­zet­to di pena e così tor­na­re alla loro vita, alla fami­glia, al lavo­ro, più pro­ba­bil­men­te alla pen­sio­ne.

Non cre­do nem­me­no che tut­ti i paren­ti del­le vit­ti­me, avu­ta sod­di­sfa­zio­ne sul pia­no di prin­ci­pio e sim­bo­li­co, abbia­no il desi­de­rio e l’interesse a vede­re per­so­ne di 70 anni fini­re i loro gior­ni in car­ce­re.

Vie­ne in men­te, con le debi­te dif­fe­ren­ze, quel­la foto­gra­fia appar­sa su mol­ti gior­na­li in cui, men­tre in un pae­se medio­rien­ta­le un con­dan­na­to sta per esse­re impic­ca­to, si avvi­ci­na la madre del­la vit­ti­ma e gli dà uno schiaf­fo sul viso. Non per un gesto di disprez­zo negli ulti­mi momen­ti di vita ma per­ché ciò sim­bo­li­ca­men­te signi­fi­ca che lo ha per­do­na­to. E all’ul­ti­mo momen­to, infat­ti, il con­dan­na­to è sta­to gra­zia­to. 

Que­sta è sta­ta una sce­na rea­le. Quel­la che abbia­mo descrit­to for­se è solo una simu­la­zio­ne let­te­ra­ria.

Ma se acca­des­se que­sta sto­ria imma­gi­na­ta allo­ra la par­ti­ta sareb­be vera­men­te chiu­sa. E si potreb­be vol­ta­re dav­ve­ro l’ul­ti­ma pagi­na e chiu­de­re il libro.

 

Foto­gra­fia di Daria Lazo (@_darialazo_)

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