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Gennaio
13 Gennaio 2025

DA NES­SU­NA PAR­TE

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«Per que­sto lo spet­ta­to­re non si sen­te pres­so di sé da nes­su­na par­te, per­ché lo spet­ta­co­lo è dap­per­tut­to.»

G.Debord, La socie­tà del­lo spet­ta­co­lo

 

Comin­cio l’articolo con una cita­zio­ne del­la – a buo­na ragio­ne – iper­co­no­sciu­ta ope­ra di Guy Debord non per fle­xa­re un po’ di cul­tu­ra acca­de­mi­ca; spe­ro di aver fuga­to ogni dub­bio a riguar­do con que­sta mia ulti­ma scel­ta les­si­ca­le. La fra­se di Debord mi ser­ve per­ché nel­la sua essen­zia­le bel­lez­za è l’inizio per­fet­to del per­cor­so in cui chie­do al let­to­re di seguir­mi, nono­stan­te le paro­le. Chie­do al let­to­re uno sfor­zo tita­ni­co fuo­ri dal­la nar­ra­zio­ne, un eser­ci­zio di real­tà, per cer­ca­re un pri­mis­si­mo rita­glio di auten­ti­ci­tà, oltre i rita­gli del­lo spet­ta­co­lo.

Invi­to cia­scu­no a por­ta­re l’attenzione a quan­to sia faci­le e, dun­que, neces­sa­ria­men­te con­for­me (in sen­so tan­to socio­lo­gi­co quan­to eti­mo­lo­gi­co) e con­se­guen­te­men­te distan­te dall’obiettivo di ogni ricer­ca fuo­ri dal siste­ma di domi­nio, par­la­re di spet­ta­co­lo onni­per­va­si­vo facen­do rife­ri­men­to all’era dei social, agli influen­cer e ai bal­let­ti trash su Tik­Tok, o, in alter­na­ti­va, al medium tele­vi­si­vo, reli­gio­ne lai­ca del­la gene­ra­zio­ne pre­ce­den­te. Non farò esem­pi di come lo spet­ta­co­lo si mani­fe­sti e si insi­nui in ogni nostra azio­ne, in ogni momen­to. Eccel­len­ti auto­ri ne han­no scrit­to e anche se alcu­ni di loro trat­ta­no un perio­do sto­ri­co ante­ce­den­te all’attuale e situa­zio­ni lie­ve­men­te diver­se dall’esatto qua­dro odier­no, non è dif­fi­ci­le appli­ca­re le loro teo­rie alla nostra quo­ti­dia­ni­tà.

Tut­ti scri­vo­no qual­co­sa e qua­si nes­su­no leg­ge. La sma­nia di auto­rap­pre­sen­tar­si attra­ver­so la paro­la scrit­ta fun­ge da ver­sio­ne intel­let­tua­le del sel­fie su Insta­gram:

Se lo spet­ta­co­lo è dap­per­tut­to, la dedu­zio­ne logi­ca è che, per esi­ste­re, «l’io» deve rita­gliar­si un posto den­tro lo spet­ta­co­lo. L’invito di oggi è inve­ce l’opposto, è l’invito a spac­ca­re lo spet­ta­co­lo attra­ver­so una brec­cia oltre la tra­ma del­lo spet­ta­co­lo, che, con­tro­in­tui­ti­va­men­te, non può esse­re otte­nu­ta con la meta­nar­ra­zio­ne, né con la vera­ci­tà nevro­ti­ca.

La pri­ma pote­va esse­re effi­ca­ce agli ini­zi del Nove­cen­to, ma non cre­do che pos­sa fare effet­to sugli alle­na­tis­si­mi con­su­ma­to­ri cul­tu­ra­li post­mo­der­ni, pro­cu­ran­do in loro, nel­la miglio­re del­le ipo­te­si, una rea­zio­ne anno­ia­ta davan­ti al «già visto». La secon­da, assai peg­gio­re, riflet­te la moda di ampli­fi­ca­zio­ne dell’autorappresentazione spet­ta­co­la­re del­la «nor­ma­li­tà».

Per spac­ca­re lo spet­ta­co­lo occor­re fare un uni­co eser­ci­zio di memo­ria: occor­re ricor­da­re che abbia­mo crea­to le paro­le, e che ci sono le cose, e che le cose sono rea­li e che inve­ce le paro­le non lo sono. Dove le paro­le sono tut­to, non solo l’insieme dei segni gra­fi­ci, non solo l’insieme dei fone­mi o dei gesti, ma anche tut­ti gli arbi­tra­ri rita­gli di real­tà che han­no assun­to tale livel­lo di esi­sten­za auto­no­ma da sosti­tui­re l’unica real­tà effet­ti­va, la real­tà del­le cose. Ora, non sto dicen­do che non vi sia alcun­ché al di fuo­ri del­le cose, ben­sì che, per gene­ra­re un pen­sie­ro fuo­ri dal­lo spet­ta­co­lo – o fuo­ri dal domi­nio, che è la stes­sa cosa – occor­re in pri­mo luo­go impa­ra­re a pen­sa­re fuo­ri dal­le paro­le, e il pri­mo pas­so è reim­pa­ra­re il mon­do da zero, a par­ti­re dai suoi «com­po­nen­ti» di base.

Non c’è alcun «albe­ro» di paro­le, ma c’è l’albero accan­to a cui cam­mi­no quan­do vado al fiu­me, che ha la sua cor­tec­cia, model­la­ta nel suo modo, e la sua spe­ci­fi­ca altez­za e il suo odo­re che è simi­le a quel­lo di altri albe­ri simi­li, ma che è solo suo per­ché solo lui si tro­va vici­no a quel pun­to del fiu­me dove l’acqua scor­re sopra una pie­tra con una spe­ci­fi­ca for­ma, ral­len­tan­do e crean­do un gor­go dove rista­gna, mesco­lan­do­si a inset­ti e foglie e cam­bian­do odo­re, che si va a mischia­re a quel­lo dell’albero e che diven­ta solo suo. Que­sto è solo un rac­con­to, anco­ra, e non è la real­tà, ma chi leg­ge sa cos’è la real­tà e sa che non è il rac­con­to.

Ecco dun­que l’esercizio: se di fron­te a una real­tà rie­sco a non fug­gi­re, rie­sco a resi­ste­re di fron­te all’immensità di una cosa che è, allo­ra pos­so dire, per un istan­te, di esse­re sfug­gi­to alle maglie del­lo spet­ta­co­lo-domi­nio, di aver vis­su­to, per un atti­mo, da nes­su­na par­te.

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