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Febbraio
27 Febbraio 2023

ARTI­GIA­NI DEL NOSTRO DESTI­NO

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«Uno spet­tro si aggi­ra per l’Eu­ro­pa». Così ini­zia­va un famo­so libel­lo del 1848. Un solo libro, com­po­sto da poco più di ses­san­ta pagi­ne, fece esplo­de­re il mon­do: l’i­dea di una nuo­va uma­ni­tà sca­va­va tra le radi­ci del vec­chio siste­ma, per ero­der­le e far­le mar­ci­re. Un ter­re­mo­to scuo­te­va l’e­ra dei libe­ra­li­smi, appa­ren­te­men­te immo­di­fi­ca­bi­li, quan­do il mon­do ruo­ta­va attor­no a prin­cì­pi irri­nun­cia­bi­li, dove nes­su­no avreb­be potu­to imma­gi­na­re che una pen­na potes­se som­mer­ge­re del suo inchio­stro ogni ter­ra emer­sa, facen­do­la spro­fon­da­re nel­l’in­quie­tu­di­ne del­l’i­gno­to.

Que­sto è quel­lo che la men­te del­l’uo­mo è in gra­do di gene­ra­re, se dal­l’i­dea si pas­sa all’at­to com­piu­to, se l’es­se­re uma­no tra­sfe­ri­sce sul­la tela quel dipin­to che pri­ma era sol­tan­to un’i­dea del­l’ar­ti­sta, se quel­la scul­tu­ra divie­ne tale dopo aver oltre­pas­sa­to il tra­guar­do che por­ta l’i­dea dal­la men­te alla mano del­l’ar­ti­gia­no, che pos­sie­de quel­la che Richard Sen­net ha defi­ni­to “coscien­za materiale”(1). Sia­mo di fron­te all’u­ni­tà tra pen­sie­ri e azio­ne, al riu­nir­si tra l’ani­mal labo­rans e l’homo faber di Han­nah Arendt, cioè tra l’es­se­re uma­no che sem­pli­ce­men­te com­pie un’a­zio­ne di fati­ca e l’es­se­re uma­no che crea qual­co­sa di fini­to par­ten­do dal­l’i­dea, qual­co­sa di uni­co e diver­so da pri­ma, qual­co­sa che esi­ste­va solo nel­la sua men­te e che ora tut­ti pos­so­no osser­va­re come con­cre­to ed esi­sten­te nel­la real­tà. L’at­to del­la crea­zio­ne nasce da un’i­dea e si tra­sfor­ma in real­tà, modi­fi­can­do i para­me­tri del­l’e­si­sten­te e ria­dat­tan­do­li ad un’o­pe­ra con­cre­ta che ora pos­sia­mo osser­va­re, toc­ca­re, sen­ti­re, ma che pri­ma non c’e­ra.

Non è sola­men­te il pas­sag­gio che com­pie lo scrit­to­re dal­la men­te al brac­cio e da que­sto alla mano che impu­gna una pen­na, a cam­bia­re la real­tà. Assi­stia­mo all’i­dea che pro­du­ce even­ti a casca­ta che modi­fi­ca­no, non solo quel­le pagi­ne che pri­ma risul­ta­va­no ver­gi­ni, ma anche la real­tà cir­co­stan­te, non solo pros­si­ma ma a chi­lo­me­tri e chi­lo­me­tri di distan­za. Quel libel­lo ven­ne stam­pa­to in 200 lin­gue e fu la cau­sa di stra­vol­gi­men­ti socia­li in tut­to il glo­bo, che annien­ta­ro­no inte­re socie­tà, distrug­gen­do vec­chie for­me di Sta­to per sosti­tuir­le con nuo­ve for­me di Gover­no, tal­vol­ta bru­ta­li, tal­vol­ta libe­ra­tri­ci. Se è vera l’af­fer­ma­zio­ne secon­do la qua­le «la gen­te inve­ste pen­sie­ri sul­le cose che è in gra­do di cam­bia­re» (2), allo­ra è vera anche quel­la che un’i­dea può cam­bia­re il mon­do e che l’es­se­re uma­no, nel­la sto­ria del­la sua evo­lu­zio­ne, è riu­sci­to a pas­sa­re da esse­re un sem­pli­ce ani­mal labo­rans a homo faber, arti­gia­no del pro­prio desti­no, un desti­no che non fos­se solo indi­vi­dua­le, ma anche col­let­ti­vo.

Se al tem­po di Ari­sto­te­le il tea­tro era dive­nu­to lo spa­zio per atto­ri spe­cia­liz­za­ti, in quel­lo arcai­co la dif­fe­ren­za tra chi reci­ta­va e tra chi osser­va­va non era così net­ta: spet­ta­to­re e atto­re con­vi­ve­va­no sul­la sce­na, alter­nan­do il can­to all’a­scol­to, la per­for­man­ce all’os­ser­va­zio­ne, in un avvi­cen­dar­si con­ti­nuo tra vede­re e fare, tra l’«occhio del­la men­te» ipo­tiz­za­to dal clas­si­ci­sta Myles Bur­nyeat e quel­lo di chi com­pie un’a­zio­ne. Nel­l’ar­ti­gia­no que­sta sepa­ra­zio­ne non avvie­ne: egli pro­du­ce una comu­ni­ca­zio­ne con­ti­nua tra men­te e mano, tra idea e mate­ria. Lo stes­so Pla­to­ne, nono­stan­te la con­vin­zio­ne che le idee tra­scen­des­se­ro l’in­chio­stro con il qua­le era­no scrit­te, usa­va chia­ma­re gli arti­gia­ni con il nome di demour­goi, esse­ri divi­ni con capa­ci­tà gene­ra­tri­ci. Anche il poe­ta, a suo modo, può esse­re con­si­de­ra­to un arti­gia­no, per­ché tra­sfor­ma un’i­dea in ver­si con le sole due for­ze che gli com­pe­to­no: la pen­na e l’im­ma­gi­na­zio­ne. Così potrem­mo dire del musi­ci­sta, del­l’o­ra­fo o del pit­to­re, così anche del­lo scrit­to­re o del poe­ta.

L’im­ma­gi­na­zio­ne è capa­ce di vede­re oltre ciò che vedia­mo con gli occhi, «oltre la mate­ria­li­tà» per dir­la con Sar­tre (3). Quel libel­lo ha sapu­to, al pari di mol­ti altri testi che han­no cam­bia­to la sto­ria, inne­sca­re quel pro­ces­so che ha por­ta­to l’i­dea a tra­sfi­gu­rar­si in con­cre­tez­za, ed è diven­ta­to lo stru­men­to per modi­fi­ca­re la real­tà, così come lo scal­pel­lo per lo scul­to­re e la tem­pe­ra per il pit­to­re: dal­l’im­ma­gi­na­zio­ne alla real­tà. Un pro­ces­so di que­sta natu­ra può esse­re col­let­ti­vo, quan­do ad un’o­pe­ra par­te­ci­pa­no più arti­sti, più arti­gia­ni, più figu­re pro­fes­sio­na­li. Ma ogni ope­ra d’ar­te per dar­si que­sta defi­ni­zio­ne deve ave­re un osser­va­to­re che la rico­no­sca come tale: un ogget­to diven­ta arte nel momen­to in cui essa vie­ne con­di­vi­sa, mostra­ta all’e­ster­no. Anto­nio Stra­di­va­ri rivo­lu­zio­nò il suo­no del vio­li­no per­ché la sua ope­ra defluì dal­la sua bot­te­ga, per usci­re in stra­da e tro­va­re chi avreb­be apprez­za­to quel manu­fat­to e le sue pre­sta­zio­ni. La stes­sa cosa pos­sia­mo dire del­le ope­re ora­fe di Ben­ve­nu­to Cel­li­ni, tra i pri­mi ad uni­re il dise­gno all’o­ro, rico­no­sciu­to in ambien­ti mol­to distan­ti dal suo labo­ra­to­rio: a ripro­va vi fu la famo­sa salie­ra d’o­ro imma­gi­na­ta e pro­dot­ta nel 1543 per il re di Fran­cia. Né Stra­di­va­ri, né Cel­li­ni sareb­be­ro quel che sono diven­ta­ti se là fuo­ri non ci fos­se­ro sta­ti osser­va­to­ri e ammi­ra­to­ri del­le loro note­vo­li capa­ci­tà. Così nem­me­no Marx ed Engles sareb­be­ro quel che sono sta­ti se, all’e­po­ca inte­re comu­ni­tà di intel­let­tua­li in tut­to il mon­do non fos­se­ro sta­te ad ana­liz­za­re e acco­glie­re le idee appun­ta­te in quel pic­co­lo libel­lo, assie­me a mas­se enor­mi di esse­ri uma­ni sfrut­ta­ti dal vin­cen­te siste­ma di pro­du­zio­ne indu­stria­le.

Il lega­me imma­gi­na­zio­ne-ope­ra-osser­va­to­re è diri­men­te: sen­za imma­gi­na­zio­ne non c’è ope­ra e sen­za ope­ra non c’è osser­va­to­re. Ma si può affer­ma­re anche l’e­sat­to con­tra­rio: sen­za osser­va­to­re non vi è ope­ra e l’im­ma­gi­na­zio­ne rima­ne chiu­sa in sé stes­sa o inca­te­na­ta per sem­pre ad un’o­pe­ra mai espo­sta o pub­bli­ca­ta. È qui che suben­tra­no que­stio­ni che attin­go­no all’e­po­ca nel­la qua­le alcu­ne ope­re ven­go­no gene­ra­te, al con­te­sto cul­tu­ra­le e socia­le nel qua­le quel­l’im­ma­gi­na­zio­ne può tro­va­re ter­re­no fer­ti­le per la pro­du­zio­ne di un’o­pe­ra, che sia da par­te di un arti­gia­no o di un arti­sta. Se vi è il con­te­sto adat­to di giu­sti osser­va­to­ri, allo­ra quel­l’o­pe­ra può far­si stra­da: esse­re imma­gi­na­ta, pro­dot­ta e infi­ne espo­sta. Oggi il Mani­fe­sto del Par­ti­to Comu­ni­sta non ver­reb­be nem­me­no pub­bli­ca­to, non  per­ché lo sce­na­rio mon­dia­le abbia scon­fit­to la dise­gua­glian­ze tra gli esse­ri uma­ni o supe­ra­to per sem­pre lo sfrut­ta­men­to del­l’uo­mo sul­l’uo­mo, ma per­ché nel­la socie­tà attua­le la mag­gio­ran­za dei popo­li vive nel­la sola dimen­sio­ne pro­dut­ti­va del pro­fit­to e del con­su­mo.

Nati, cre­sciu­ti ed edu­ca­ti mono-dimen­sio­nal­men­te (4) gli esse­ri uma­ni che abi­ta­no que­sto tem­po, non solo sono sprov­vi­sti del­la cono­scen­za di vali­de alter­na­ti­ve al siste­ma attua­le, ma sono del tut­to con­tra­ri al fat­to che esso cam­bi (Atman Jour­nal — Rivi­sta Onli­ne). E que­sto è un ele­men­to fon­dan­te di ogni tipo di tota­li­ta­ri­smo fasci­sta. A que­sto pro­po­si­to, così scris­se Her­bert Mar­cu­se: «In vir­tù del­la qua­le è orga­niz­za­ta la pro­pria base tec­no­lo­gi­ca, la socie­tà con­tem­po­ra­nea ten­de ad esse­re tota­li­ta­ria; non sol­tan­to una for­ma di gover­no e di domi­nio poli­ti­co pro­du­co­no il tota­li­ta­ri­smo, ma pure un siste­ma spe­ci­fi­co di pro­du­zio­ne e distri­bu­zio­ne, siste­ma che può benis­si­mo esse­re com­pa­ti­bi­le con un plu­ra­li­smo di par­ti­ti, di gior­na­li, di pote­ri con­tro­bi­lan­cian­ti­si». (5) L’ab­bru­ti­men­to cul­tu­ra­le che una socie­tà fin­ta­men­te libe­ra­le com­por­ta fini­sce per appiat­ti­re i gusti, omo­lo­ga­re le idee, nar­co­tiz­za­re la con­sa­pe­vo­lez­za. «Quel­l’o­mo­lo­ga­zio­ne che il fasci­smo non è riu­sci­to ad otte­ne­re, il pote­re di oggi, cioè il pote­re del­la socie­tà dei con­su­mi, rie­sce ad otte­ne­re per­fet­ta­men­te». (6)

Può allo­ra esser­ci oggi un con­te­sto socio-cul­tu­ra­le di osser­va­to­ri capa­ci di acco­glie­re ope­re che pun­ta­no al cam­bia­men­to com­ples­si­vo del­la socie­tà? Ma anco­ra pri­ma, que­sta socie­tà rie­sce a con­tem­pla­re l’e­si­sten­za di arti­gia­ni e arti­sti del pro­prio tem­po, capa­ci dap­pri­ma di imma­gi­na­re e suc­ces­si­va­men­te di gene­ra­re ope­re rivo­lu­zio­na­rie? È plau­si­bi­le ritro­var­si nel tem­po di nuo­vi demour­goi in gra­do di gene­ra­re nuo­va cul­tu­ra e di get­ta­re i semi di un diver­so e ine­di­to model­lo di comu­ni­tà e dun­que di con­vi­ven­za? Usci­re dal­la mono-dimen­sio­na­li­tà nel­la qua­le sia­mo obbli­ga­ti a rela­zio­nar­ci richie­de una cer­ta dose di imma­gi­na­zio­ne, di deter­mi­na­zio­ne e di sana fol­lia. Oggi, all’al­ba del disa­stro cli­ma­ti­co e al pre­lu­dio del­la fine del­la civil­tà come l’ab­bia­mo cono­sciu­ta, c’è il gran­de inter­ro­ga­ti­vo che dovrem­mo ave­re il corag­gio di sot­to­por­re a noi stes­si: abbia­mo dav­ve­ro la neces­si­tà del­l’im­mi­nen­te gran­de trau­ma per vede­re l’al­ter­na­ti­va? Sarà suf­fi­cien­te apri­re gli occhi appe­na in tem­po e diven­ta­re noi stes­si arti­gia­ni del nostro desti­no, facen­do spro­fon­da­re il mon­do in un nuo­vo fiu­me d’in­chio­stro, per sal­var­lo, per sal­var­ci.

(1) Richard Sen­net, “The craf­tsman”, Yale Uni­ver­si­ty Press, 2008

(2) Richard Sen­net, “The craf­tsman”, Yale Uni­ver­si­ty Press, 2008

(3) Jean-Paul Sar­tre, L’im­ma­gi­na­rio, Con­clu­sio­ne, Einau­di, 2020

(4) Her­bert Mar­cu­se, L’uo­mo a una dimen­sio­ne, Einau­di, 1999

(5) Her­bert Mar­cu­se, L’uo­mo a una dimen­sio­ne, Einau­di, 1999

(6) Pier Pao­lo Paso­li­ni, inter­vi­sta Rai, 1974, Teche.rai.it

PRE­SEN­TA­ZIO­NE AUTO­RE

Auto­re e regi­sta del docu­men­ta­rio “Nel Ven­tre di Mila­no”, 2021, video­clip musi­ca­li per arti­sti ita­lia­ni e inter­na­zio­na­li. Col­la­bo­ra con Ātman dal 2022. Ha pub­bli­ca­to il sag­gio “Foi­be, quel­lo che non si dice”, 2009. Ha col­la­bo­ra­to con: Edi­zio­ni Under­ground Mila­no, Museo MAX­XI Roma, Fie­ra Edi­to­ria Indi­pen­den­te Mila­no, Con­fin­du­stria Food/Turismo Lec­ce come Art Advi­sor, Mast­good Mila­no come Art advi­sor, quo­ti­dia­no La Rina­sci­ta Roma come pub­bli­ci­sta, Il Mani­fe­sto come pub­bli­ci­sta, tra cui inter­vi­sta a Mar­ghe­ri­ta Hack, Teti Edi­to­re Mila­no come scrit­to­re e pub­bli­ci­sta. Pro­dut­to­re e regi­sta del docu­men­ta­rio inti­to­la­to “Sud­di­ta­lia”, 2023, che affron­ta i temi odier­ni del­la Que­stio­ne Meri­dio­na­le in Ita­lia.

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