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Luglio
8 Luglio 2025

LUC­KY

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Sabri­na era pro­prio una don­na for­tu­na­ta. Ave­va tut­to quel­lo che una don­na potes­se desi­de­ra­re. Una vil­let­ta con giar­di­no nel­la pri­mis­si­ma peri­fe­ria, arre­da­ta con un gusto impec­ca­bi­le, un lavo­ro sicu­ro pres­so il comu­ne, un mari­to discre­to che la ama­va pro­fon­da­men­te, un figlio maschio appe­na nato e un cane di nome Luc­ky.

Anche Luc­ky era un cane pro­prio for­tu­na­to. Era sta­to un rega­lo d’amore. Sabri­na lo ave­va rice­vu­to in dono dal pro­prio mari­to non appe­na ave­va­no com­pra­to casa. Ed era pro­prio quel­lo che lei desi­de­ra­va. Per quel­lo lo chia­mò Luc­ky. Per­ché, come lei, era un cane pro­prio for­tu­na­to.

Era sta­to for­tu­na­to sin dal­la nasci­ta. Eh sì. Infat­ti, come la sua padro­na, non era un cane di stra­da, ben­sì un cane di raz­za, pro­prio bor­ghe­se. I suoi geni­to­ri era­no due set­ter ingle­si, cam­pio­ni nel­le mostre cani­ne. E anche lui, ovvia­men­te, era nato pro­prio bel­lo, con un man­to mar­ro­ne bril­lan­te e un pelo più mor­bi­do dell’ermellino. Un cane come lui non pote­va non vive­re una vita ric­ca e for­tu­na­ta.

Da quan­do era diven­ta­to il cane di Sabri­na, padro­ne indi­scus­so del­la casa al civi­co 60, ave­va sem­pre avu­to una cuc­cia como­da in salot­to, mil­le gio­chi fra pupaz­zi, cusci­ni, cal­zi­ni, pal­li­ne, pol­li rumo­ro­si, cor­de e, ogni tan­to, anche le gam­be del tavo­lo del­la cuci­na. Il suo cibo era fra i più costo­si e i suoi richia­mi vac­ci­na­li era­no sem­pre per­fet­ta­men­te pun­tua­li.

E non da meno era la sua vita socia­le. Pro­ta­go­ni­sta dei social, era loda­to e ammi­ra­to da tut­ti. I like aumen­ta­va­no sem­pre più quan­do com­pa­ri­va Luc­ky nel­le foto. Non che le foto del­la padro­na non fos­se­ro ammi­ra­te. 

Sabri­na era una don­na bel­lis­si­ma, alta, bru­na e snel­la, pro­prio come il suo cuc­cio­lo. Ed insie­me era­no una cop­pia vin­cen­te. 

Ogni saba­to sera, quan­do Sabri­na e suo mari­to invi­ta­va­no a casa i loro ele­gan­ti ami­ci per una cenet­ta, Luc­ky veni­va coc­co­la­to e vizia­to da tut­ti. Era un cane dav­ve­ro for­tu­na­to.

La cosa che lo ren­de­va più feli­ce di tut­te, però, era la pas­seg­gia­ta del­la dome­ni­ca. Per­ché, infat­ti, la dome­ni­ca mat­ti­na lui, i suoi due padro­ni e il pic­co­lo Edoar­do in car­roz­zi­na usci­va­no tut­ti insie­me, bel­li, vesti­ti con le loro tute costo­se, per una pas­seg­gia­ta dome­ni­ca­le nel par­co. Non c’era per­so­na o cane che non si giras­se ad ammi­ra­re la bel­lez­za di quel quar­tet­to. E Luc­ky sco­din­zo­la­va feli­ce, annu­sa­va ogni ango­lo e lascia­va il suo segno ovun­que. Tut­ti i cani che pas­sa­va­no dove­va­no fer­mar­si ad annu­sar­lo, e sape­re che lui era un cane dav­ve­ro for­tu­na­to.

Tut­ta­via, negli ulti­mi mesi qual­co­sa era cam­bia­to. Con l’arrivo del fred­do, il suo padron­ci­no ave­va ini­zia­to a sta­re male. Quan­do sta­va con lui, non face­va altro che star­nu­ti­re e il naso gli cola­va sem­pre. Da allo­ra, Luc­ky non l’a­ve­va più visto da vici­no. Eh sì. Sabri­na, infat­ti, non lo ave­va più fat­to entra­re in casa. Nem­me­no il saba­to sera, quan­do c’erano i loro ami­ci, che nel­le ulti­me occa­sio­ni lo ave­va­no potu­to salu­ta­re solo per pochi minu­ti pri­ma di entra­re, poi­ché face­va trop­po fred­do per sta­re fuo­ri. 

Anche duran­te la not­te, Luc­ky non dor­mi­va più al lato del let­to, nel­la came­ra matri­mo­nia­le.

La sua padro­na, infat­ti, gli ave­va spo­sta­to la cuc­cia nel­la caset­ta degli attrez­zi, che lascia­va sem­pre soc­chiu­sa. Di not­te, sin­ce­ra­men­te, Luc­ky sen­ti­va un po’ di fred­do, ma non ave­va mai abba­ia­to né si era mai lamen­ta­to. Si pre­oc­cu­pa­va tan­to del suo padron­ci­no e sape­va che la sua padro­na lo ama­va. Se sta­va fuo­ri, un moti­vo ci dove­va esse­re. 

L’unica cosa che con­ti­nua­va a fare era pro­va­re a grat­ta­re la por­ta la dome­ni­ca mat­ti­na, per far­si nota­re e anda­re a fare la sua ama­ta pas­seg­gia­ta. Ma Sabri­na gli urla­va di star buo­no e, pri­ma che lei, suo mari­to e il suo padron­ci­no Edoar­do uscis­se­ro, gli lascia­va sem­pre un suc­co­so osso.

Sì, è vero che ora la dome­ni­ca lo lascia­va­no solo, ma sicu­ra­men­te dove­va­no fare qual­co­sa di impor­tan­te, come por­ta­re il suo padron­ci­no dal dot­to­re. Poi, alla fine, gli lascia­va­no sem­pre quel gran­de osso con cui lui pas­sa­va feli­ce quel­le ore in cui i suoi padro­ni era­no via. Dopo­tut­to, si con­si­de­ra­va sem­pre un cane pro­prio for­tu­na­to.

Quel­lo che Luc­ky non pote­va sape­re era che il suo padron­ci­no sof­fri­va di una for­ma acu­ta di rinor­rea e che la cau­sa del suo male era pro­prio lui. Anche Luc­ky, dal can­to suo, non era più in gran for­ma. Si era accor­to di esse­re ingras­sa­to mol­to e di far fati­ca a gio­ca­re con la pal­la per più di cin­que minu­ti. Inol­tre, nel­le ulti­me set­ti­ma­ne, gli era anche pas­sa­ta la voglia di anda­re a pas­seg­gia­re.

Nono­stan­te ciò, il biso­gno di sta­re insie­me ai suoi padro­ni era tale che con­ti­nua­va a grat­ta­re alla por­ta ogni dome­ni­ca mat­ti­na. Fu pro­prio quel­la dome­ni­ca sera che Sabri­na, usci­ta per por­ta­re fuo­ri il bido­ne dell’umido, dimen­ti­cò di chiu­de­re la por­ta. Luc­ky, inve­ce di seguir­la come face­va di soli­to, attrat­to dall’aroma che pro­ve­ni­va da quei resti che spe­ra­va sem­pre di sgra­noc­chia­re e che Sabri­na si pre­mu­ra­va di lascia­re fuo­ri dal can­cel­lo, rima­se fer­mo. 

Deci­se che for­se, quel­la vol­ta, era meglio anda­re ad accer­tar­si del­le con­di­zio­ni del suo padron­ci­no. 

Era così tan­to che non lo vede­va che sta­va ini­zian­do a dimen­ti­ca­re anche il suo odo­re. E que­sto non pote­va suc­ce­de­re. Per­ché se Edoar­do si fos­se per­so, poi lui non sareb­be più riu­sci­to a ritro­var­lo.

Si fion­dò den­tro casa. Sen­tì Sabri­na che da fuo­ri lo chia­ma­va, ma per la pri­ma vol­ta in vita sua non la ascol­tò. Andò drit­to ver­so la came­ra del suo padron­ci­no, ma non lo tro­vò. Zam­pet­tò quin­di in cuci­na e lo vide, bel­lo come quan­do l’aveva lascia­to, sedu­to sul seg­gio­lo­ne a man­gia­re un biscot­to. Era così feli­ce che gli ven­ne qua­si da fare la pipì. Si avvi­ci­nò col muso ai suoi pie­di­ni e comin­ciò ad annu­sar­glie­li. Com’era buo­no il suo odo­re. Pen­sò poi che for­se era meglio pren­der­gli un cal­zi­no, solo uno, da por­tar­si nel­la cuc­cia, così, se non lo aves­se visto per tan­to tem­po, alme­no non si sareb­be dimen­ti­ca­to il suo odo­re. 

Mor­dic­chiò deli­ca­ta­men­te la pun­ta di un cal­zi­no, cer­can­do di non far­gli male. Ma il suo padron­ci­no comin­ciò a pian­ge­re. Poi a stril­la­re, dispe­ra­to. Luc­ky si spa­ven­tò e si rin­ta­nò in un ango­lo. Pochi secon­di dopo fu lì che Sabri­na lo tro­vò. Gli urlò furio­sa e con un cal­cio lo sca­ra­ven­tò fuo­ri di casa. Luc­ky, dispe­ra­to e con la coda tra le gam­be, cor­se a nascon­der­si nel­la sua cuc­cia, nel­la caset­ta.

Men­tre era lì che tre­ma­va, spe­ra­va, con tut­to il suo cuo­ri­ci­no tuo­nan­te, che la sua padro­na uscis­se a coc­co­lar­lo. Spe­rò fin­ché si addor­men­tò. Quan­do si sve­gliò, il sole di fine mar­zo era già alto nel cie­lo e Luc­ky sen­tì che ave­va fame. Aspet­tò. 

E aspet­tò anco­ra. Ma nes­su­no uscì nem­me­no a dar­gli un biscot­ti­no. Ad un cer­to pun­to sen­tì la por­ta aprir­si, sen­tì il suo padron­ci­no mugo­la­re e la voce di Sabri­na, dol­ce, ras­si­cu­ran­te.

Ecco­li. Stan­no venen­do da me. 

Luc­ky si imma­gi­nò Sabri­na che spa­lan­ca­va la por­ta del­la caset­ta, col guin­za­glio in mano, segna­le magi­co che vole­va dire: Uscia­mo. 

Poi la imma­gi­nò chi­nar­si ver­so di lui e baciar­lo sul­la testa, e si imma­gi­nò anche il suo padron­ci­no che, gat­to­nan­do, lo abbrac­cia­va. 

La vede­va chi­nar­si ver­so di lui e baciar­lo sul­la testa. Men­tre il suo padron­ci­no, gat­to­nan­do, li rag­giun­ge­va.

Sì, sareb­be sta­to un cane pro­prio for­tu­na­to. 

Poi sen­tì il can­cel­lo chiu­der­si e una mac­chi­na par­ti­re.

Sabri­na emi­se un respi­ro di sol­lie­vo invo­lon­ta­rio appe­na uscì con la mac­chi­na dal via­let­to di casa. Edoar­do ave­va rico­min­cia­to a star­nu­ti­re, e non c’e­ra nien­te che lei potes­se fare per far­gli pas­sa­re quel­la male­det­ta con­ge­stio­ne nasa­le. 

Era aller­gi­co a Luc­ky. E né lei né la vete­ri­na­ria sape­va­no più cosa fare. 

Sabri­na era diven­ta­ta pri­gio­nie­ra nel­la sua casa. Fin­ché era inver­no, ave­va ret­to. Ma ora… La pri­ma­ve­ra si avvi­ci­na­va.
Si imma­gi­na­va già rin­chiu­sa, gior­no dopo gior­no, a guar­da­re i suoi ama­ti fio­ri mori­re dal­la fine­stra.

Non sareb­be potu­ta anda­re in giar­di­no con Edoar­do. Non avreb­be potu­to pren­de­re il sole, né leg­ger­si un libro all’ombra del melo­gra­no. 

Non pote­va lascia­re Edoar­do da solo in casa. E non pote­va por­tar­se­lo fuo­ri, lì dove Luc­ky ave­va lascia­to il suo odo­re su ogni filo d’erba.

Pote­va rin­chiu­de­re Luc­ky nel­la caset­ta degli attrez­zi, sì. Ma a Edoar­do avreb­be dato noia comun­que. La vete­ri­na­ria le ave­va anche pro­po­sto di por­tar­lo dai suoi geni­to­ri o dai suo­ce­ri. Ma i suoi non ave­va­no il giar­di­no. E i suo­ce­ri era­no trop­po vec­chi, trop­po mala­ti per poter­gli chie­de­re una cosa del gene­re. E poi non vole­va chie­de­re favo­ri. 

Era anche venu­ta fuo­ri l’opzione di ripor­tar­lo all’allevamento. Sì, ma che figu­ra ci avreb­be fat­to? 

È vero: lo face­va per la salu­te del figlio. Ma den­tro di sé sape­va già che qual­cu­no l’avrebbe giu­di­ca­ta. Che qual­cu­no avreb­be spar­la­to. Che qual­cun altro avreb­be sor­ri­so col disprez­zo nasco­sto sot­to una fin­ta com­pren­sio­ne.

Le veni­va l’ansia solo all’idea di dover­lo spie­ga­re ai suoi ami­ci. Si imma­gi­na­va già la boc­ca stor­ta di Sofia, la sua ami­ca cagna­ra, quel­la sem­pre pron­ta a dare con­si­gli eti­ci, sen­si­bi­li, giu­sti. Sofia sicu­ra­men­te avreb­be avu­to una solu­zio­ne per­fet­ta. Più mora­le. Più giu­sta. Più lon­ta­na da quel­la che lei sta­va per pren­de­re.

E poi lei, a Luc­ky vole­va bene. Era il suo cane.

Chis­sà quan­to avreb­be sof­fer­to il distac­co. For­se si sareb­be lascia­to mori­re.

Da qua­lun­que par­te la guar­das­se, quel­la situa­zio­ne era tra­gi­ca.
E la set­ti­ma­na dopo sareb­be sta­ta Pasqua. E dopo Pasqua… sareb­be esplo­sa la pri­ma­ve­ra.

Sabri­na par­cheg­giò in un posteg­gio davan­ti al super­mer­ca­to. Pre­se un car­rel­lo e ci mise sopra Edoar­do, che ride­va, feli­cis­si­mo di anda­re a fare com­pe­re. 

Deci­se che alme­no quel­la mat­ti­na non ci avreb­be pen­sa­to. E che avreb­be sfo­ga­to le sue fru­stra­zio­ni nel repar­to cosme­ti­ci.

Come sem­pre, com­prò del­la ver­du­ra sana: melan­za­ne, cetrio­li, insa­la­ta, zuc­ca e pomo­do­ri cilie­gi­ni. Poi pol­lo, tac­chi­no, moz­za­rel­le, strac­chi­no, ton­no in vetro, ham­bur­ger di soia, cerea­li e crois­sant fre­schi per il mari­to. Lat­te scre­ma­to. Deter­si­vo. Sal­viet­te mor­bi­de. Den­ti­fri­cio sbian­can­te. Suc­co di mir­til­lo e car­ta igie­ni­ca mor­bi­da.

Poi arri­vò nel repar­to dol­ci.

Tut­to era colo­ra­to e addob­ba­to a festa. C’erano uova di Pasqua di tut­ti i tipi e colo­ri. Ma sì, avreb­be com­pra­to le uova di Pasqua più care, tan­to di cre­me per il viso ne ave­va anco­ra fino all’estate. Ne com­prò una per sé al cioc­co­la­to fon­den­te e noc­cio­le, il suo pre­fe­ri­to. Una del­la Lindt, bian­ca, per il mari­to e una per Edoar­do, che fece fin­ta di far sce­glie­re a lui. 

Lui fu attrat­to dall’immagine di Cap­tain Ame­ri­ca e, anche se non pote­va anco­ra man­gia­re il cioc­co­la­to, alme­no avreb­be potu­to gio­ca­re con il pupaz­zo. 

Edoar­do lo scel­se al lat­te. Sabri­na ebbe la ten­ta­zio­ne di com­pra­re qual­co­sa anche per Luc­ky. Non l’aveva mai pic­chia­to pri­ma. Sta­vol­ta si meri­ta­va dav­ve­ro qual­co­sa di più di un sem­pli­ce osso. Se non fos­se sta­to leta­le per i cani, le sareb­be pia­ciu­to pren­der­gli il più bell’ uovo di Pasqua del super­mer­ca­to. Poi pen­sò che for­se nel repar­to ani­ma­li avreb­be tro­va­to qual­co­sa di simi­le, appo­sta per lui. 

Ma nem­me­no lì tro­vò nien­te che somi­glias­se a un uovo di Pasqua.

Pagò i 173 euro alla cas­sa e tor­nò a casa.

Quan­do Luc­ky sen­tì il rumo­re del­la mac­chi­na del­la padro­na nel via­let­to, non osò usci­re dal­la caset­ta degli attrez­zi. Ave­va pau­ra di sba­glia­re qual­sia­si cosa faces­se, quin­di rima­se lì, tut­to stret­to in se stes­so, nel­la sua cuc­cia grif­fa­ta. Sen­tì l’odore dei suoi padro­ni, pri­ma lon­ta­no, poi più vici­no, e infi­ne, accom­pa­gna­to dal rumo­re del chiu­der­si di una por­ta, di nuo­vo trop­po lon­ta­no. Sepa­ra­to da lui da quel muro inva­li­ca­bi­le che pri­ma con­si­de­ra­va la pro­te­zio­ne del­la sua casa, da quel­la por­ta che mai ave­va osa­to rosic­chia­re, per­ché era sem­pre sta­ta bene­vo­la e acco­glien­te con lui. 

Luc­ky sape­va di esse­re un cane for­tu­na­to, ma in quel momen­to non si sen­tì pro­prio così for­tu­na­to. Si con­cen­trò sull’odore fle­bi­le del suo padron­ci­no Edoar­do e si addor­men­tò comun­que con un sor­ri­so sul muso, come fan­no tut­ti i cani for­tu­na­ti.

Il rumo­re di una mani­glia, poi, lo sve­gliò di col­po.

Sen­tì dei pas­si e per­ce­pì il pro­fu­mo del­la car­ne e di Sabri­na. Final­men­te la sua padro­na sta­va arri­van­do con la sua pap­pa: car­ne di tac­chi­no bol­li­ta, taglia­ta in minu­zio­si pez­zet­ti­ni e mesco­la­ta con dei chic­chi, i più buo­ni, quel­li con varie car­ni bian­che, non solo man­zo, pol­lo o tac­chi­no, ma con tut­te, per­ché la sua padro­na gli vole­va bene e gli dava il cibo miglio­re. 

Si dimen­ti­cò per un atti­mo tut­to ciò che era suc­ces­so nel pome­rig­gio e si alzò festan­te. Sco­din­zo­lan­do, si affac­ciò alla por­ta del­la caset­ta degli attrez­zi. Il suo muso sbu­cò e, con un occhio, la vide: bel­la come una pal­li­na bril­lan­te, quel­le con la luce che lam­peg­gia men­tre rim­bal­za. 

Lei, sinuo­sa, avan­za­va ver­so di lui. La vide sor­ri­de­re e capì che tut­to era pas­sa­to, che non c’era più nien­te da teme­re. 

Con­ti­nuò a sco­din­zo­la­re, e da lui uscì anche un gemi­to di pia­ce­re. Era pro­prio con­ten­to, era pro­prio for­tu­na­to, lui, sì for­tu­na­tis­si­mo.

«Luc­ky» le dis­se Sabri­na quan­do lo vide. 

Lui fece spa­zio, facen­do sci­vo­la­re la zam­pa, per far­la entra­re nel­la caset­ta e posi­zio­na­re la cio­to­la nel soli­to posto, accan­to alla sua acqua.

Lui la seguì, come se fos­se un men­to­re, ma lei era più di un men­to­re, era la sua padro­na, la sua ragio­ne di vita. Aspet­tò pazien­te­men­te che Sabri­na posas­se la cio­to­la per ter­ra e si spo­stas­se. Ini­ziò a man­gia­re e solo in quel momen­to si rese con­to di quan­ta fame aves­se. 

Men­tre lui man­gia­va, Sabri­na lo guar­da­va, e il cibo sem­bra­va anco­ra più buo­no. Sabri­na pre­se la cio­to­la del­l’ac­qua e uscì ver­so il giar­di­no diret­ta alla sisto­la, per riem­pir­la con acqua fre­sca, fre­schis­si­ma. Quan­do tor­nò, lui ave­va già fini­to tut­to e la sta­va aspet­tan­do, immo­bi­le e fidu­cio­so, obbe­dien­te, inna­mo­ra­to, fede­le, for­tu­na­to.

Sabri­na lo guar­dò ed ebbe l’i­stin­to di acca­rez­zar­lo, per­ché sape­va che era quel­lo che lui desi­de­ra­va più di ogni altra cosa. 

Ma men­tre sta­va allun­gan­do la mano, un pen­sie­ro improv­vi­so la fer­mò. Le paro­le del­la vete­ri­na­ria risuo­na­ro­no nel­la sua men­te: se aves­se acca­rez­za­to Luc­ky e poi fos­se anda­ta in casa, avreb­be rischia­to di tra­sfe­ri­re del­le pro­tei­ne sul suo bam­bi­no. Quel­la pro­tei­na, che si tro­va­va nel­la sali­va, nel­la pel­le e nel pelo del cane, avreb­be potu­to entra­re in con­tat­to con il pic­co­lo Edoar­do, sca­te­nan­do una rea­zio­ne aller­gi­ca.

Se lo aves­se abbrac­cia­to o toc­ca­to, Edoar­do avreb­be potu­to svi­lup­pa­re sin­to­mi come con­ge­stio­ne nasa­le, star­nu­ti o pru­ri­to agli occhi. E, se la rea­zio­ne fos­se sta­ta più gra­ve, avreb­be potu­to per­si­no cau­sar­gli dif­fi­col­tà respi­ra­to­rie.

Sabri­na esi­tò per un atti­mo, il cuo­re in gola, ma poi non resi­stet­te e lo acca­rez­zò, lo baciò sul­la testa, lo annu­sò, strin­gen­do­lo for­te a sé, come se fos­se sta­ta l’ul­ti­ma vol­ta. 

Sen­tì il suo cane vibra­re sot­to le sue mani, tre­ma­re di puro pia­ce­re e feli­ci­tà, pas­si­vo e iner­me come un bam­bi­no che cer­ca con­for­to. 

Gli dis­se poi che dove­va anda­re in casa e che lui dove­va fare il bra­vo e sta­re lì, e che doma­ni lo avreb­be por­ta­to a fare una pas­seg­gia­ta lun­ghis­si­ma, solo loro due. Nel dir­lo, le ven­ne­ro le lacri­me agli occhi. Lo guar­dò negli occhi e sep­pe che lui ave­va capi­to. Poi si alzò e si dires­se ver­so casa, e Luc­ky rima­se lì immo­bi­le, osser­van­do­la men­tre se ne anda­va, met­ten­do­si giù solo quan­do sen­tì la por­ta richiu­der­si die­tro di lei.

Chiu­den­do la por­ta, Sabri­na si asciu­gò gli occhi con un gesto rapi­do, poi andò in cuci­na.

Edoar­do era sul seg­gio­lo­ne, inten­to a gio­che­rel­la­re con i pastel­li. Sabri­na si avvi­ci­nò al lavel­lo, pre­se il deter­si­vo più for­te che ave­va e ini­ziò a stro­fi­nar­si le brac­cia e le mani con for­za. Poi si ricor­dò che lo ave­va anche bacia­to e ini­ziò a stro­fi­nar­si fre­ne­ti­ca­men­te la boc­ca con le mani. 

Un altro pen­sie­ro la per­va­se: lo ave­va anche abbrac­cia­to. Così si asciu­gò velo­ce­men­te, cor­se in came­ra e si cam­biò la maglia e i pan­ta­lo­ni. Si guar­dò allo spec­chio per un secon­do, poi tor­nò da suo figlio. Ma quel­la sen­sa­zio­ne di non esse­re mai abba­stan­za puli­ta non sva­nì, così pre­se l’a­mu­chi­na gel e si cospar­se le brac­cia e le mani pri­ma di pre­pa­ra­re la pap­pa per Edoar­do

Quan­do suo mari­to arri­vò, la cena era già pron­ta, Edoar­do era già son­no­len­to. 

Man­gia­ro­no insie­me, par­lan­do del più e del meno. Poi Sabri­na por­tò Edoar­do a let­to, men­tre suo mari­to si siste­ma­va sul diva­no per guar­da­re il tele­gior­na­le. Sabri­na tor­nò in cuci­na e comin­ciò a ras­set­ta­re. 

Ripo­nen­do la salie­ra nel­la cre­den­za, non poté fare a meno di nota­re le tre uova di Pasqua colo­ra­te, luc­ci­can­ti come tre gio­iel­li. Un’improvvisa voglia di cioc­co­la­to la col­se. 

Pen­sò di apri­re il suo uovo, ma poi si fer­mò, come se il pen­sie­ro di vio­la­re una tra­di­zio­ne la fre­nas­se: non si apro­no le uova pri­ma di Pasqua.

Ma in quel momen­to non le impor­tò. Suc­cu­be di quel lan­guo­ri­no che la sta­va con­su­man­do, affer­rò il suo uovo di cioc­co­la­to fon­den­te con le noc­cio­le, lo posò sul tavo­lo e lo scar­tò avi­da­men­te. Lo man­giò a gran­di mor­si, come fos­se pane, masti­can­do­lo con vigo­re, schiac­cian­do le noc­cio­le tra i mola­ri come se fos­se­ro un osso, come fos­se un cane.

Suo mari­to sbu­cò poi dal salot­to e la guar­dò con una fac­cia scon­cer­ta­ta: lei, la sua moglie per­fet­ta, che si ingoz­za­va di cioc­co­la­to, non di un cioc­co­la­to qual­sia­si ben­sì quel­lo di un uovo di Pasqua che ave­va osa­to apri­re pri­ma del tem­po. 

La sua doman­da su cosa stes­se facen­do non ebbe rispo­sta, dato che Sabri­na non osò rispon­de­re con la boc­ca pie­na. Fis­sò il mari­to con occhi pie­ni di dispe­ra­zio­ne e, per un istan­te, si ver­go­gnò tan­tis­si­mo, qua­si non si rico­nob­be. La per­fe­zio­ne che ave­va sem­pre cer­ca­to di man­te­ne­re, la masche­ra di don­na impec­ca­bi­le, sem­bra­va sva­ni­re in quel momen­to, come se il cioc­co­la­to fos­se un segre­to che non avreb­be mai dovu­to rive­la­re.

Nasco­se il cioc­co­la­to nel­la sua con­fe­zio­ne luc­ci­can­te e dis­se a suo mari­to, il qua­le sta­va ritor­nan­do in salot­to, che lo avreb­be rag­giun­to subi­to. Ma men­tre guar­da­va la mano che ave­va tenu­to l’uo­vo, una sen­sa­zio­ne di disgu­sto la per­va­se. Non l’avrebbe più man­gia­to, alme­no non quel­lo. Quel­lo era l’uovo del­la ver­go­gna. Sì fion­dò ver­so il bido­ne dell’umido e ce lo get­tò, poi lo affer­rò e cor­se fuo­ri. For­se non sta­va pen­san­do. 

O for­se non vole­va pen­sa­re a cosa sta­va pen­san­do. Ma quel­la sera non si pre­mu­rò di lascia­re il bido­ne dell’umido fuo­ri dal can­cel­lo. Lo lasciò inve­ce lì, in bel­la vista.

Non si vol­tò nem­me­no ver­so la caset­ta degli attrez­zi, dove Luc­ky la sta­va ascol­tan­do con la pun­ta del muso che sbu­ca­va appe­na dal­la por­ta.

Sabri­na cor­se den­tro e chiu­se la por­ta a chia­ve.

Luc­ky si avvi­ci­nò al bido­ne dell’umido, gli tirò un col­pet­to con il muso, e tut­to il con­te­nu­to cad­de a ter­ra. 

Quel­lo che sen­tì era un odo­re nuo­vo, un pro­fu­mo deli­zio­so. Annu­sò il cioc­co­la­to in pez­zi, lo lec­cò e, sor­pre­so dal­la bon­tà, deci­se che era la cosa più buo­na che aves­se mai assag­gia­to. 

Pen­sò che la sua padro­na gli aves­se fat­to un rega­lo per far­si per­do­na­re di come si era com­por­ta­ta quel gior­no, per aver­lo pic­chia­to. 

Lo man­giò avi­da­men­te, come Sabri­na lo ave­va man­gia­to poco pri­ma, sen­za qua­si masti­car­lo. 

Poi, pie­no e feli­ce, tor­nò nel­la sua caset­ta a cori­car­si nel­la sua cuc­cia grif­fa­ta e, nono­stan­te la pan­cia ini­zias­se già a far­gli male, pen­sò che era pro­prio un cane for­tu­na­to.

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