Sabrina era proprio una donna fortunata. Aveva tutto quello che una donna potesse desiderare. Una villetta con giardino nella primissima periferia, arredata con un gusto impeccabile, un lavoro sicuro presso il comune, un marito discreto che la amava profondamente, un figlio maschio appena nato e un cane di nome Lucky.
Anche Lucky era un cane proprio fortunato. Era stato un regalo d’amore. Sabrina lo aveva ricevuto in dono dal proprio marito non appena avevano comprato casa. Ed era proprio quello che lei desiderava. Per quello lo chiamò Lucky. Perché, come lei, era un cane proprio fortunato.
Era stato fortunato sin dalla nascita. Eh sì. Infatti, come la sua padrona, non era un cane di strada, bensì un cane di razza, proprio borghese. I suoi genitori erano due setter inglesi, campioni nelle mostre canine. E anche lui, ovviamente, era nato proprio bello, con un manto marrone brillante e un pelo più morbido dell’ermellino. Un cane come lui non poteva non vivere una vita ricca e fortunata.
Da quando era diventato il cane di Sabrina, padrone indiscusso della casa al civico 60, aveva sempre avuto una cuccia comoda in salotto, mille giochi fra pupazzi, cuscini, calzini, palline, polli rumorosi, corde e, ogni tanto, anche le gambe del tavolo della cucina. Il suo cibo era fra i più costosi e i suoi richiami vaccinali erano sempre perfettamente puntuali.
E non da meno era la sua vita sociale. Protagonista dei social, era lodato e ammirato da tutti. I like aumentavano sempre più quando compariva Lucky nelle foto. Non che le foto della padrona non fossero ammirate.
Sabrina era una donna bellissima, alta, bruna e snella, proprio come il suo cucciolo. Ed insieme erano una coppia vincente.
Ogni sabato sera, quando Sabrina e suo marito invitavano a casa i loro eleganti amici per una cenetta, Lucky veniva coccolato e viziato da tutti. Era un cane davvero fortunato.
La cosa che lo rendeva più felice di tutte, però, era la passeggiata della domenica. Perché, infatti, la domenica mattina lui, i suoi due padroni e il piccolo Edoardo in carrozzina uscivano tutti insieme, belli, vestiti con le loro tute costose, per una passeggiata domenicale nel parco. Non c’era persona o cane che non si girasse ad ammirare la bellezza di quel quartetto. E Lucky scodinzolava felice, annusava ogni angolo e lasciava il suo segno ovunque. Tutti i cani che passavano dovevano fermarsi ad annusarlo, e sapere che lui era un cane davvero fortunato.
Tuttavia, negli ultimi mesi qualcosa era cambiato. Con l’arrivo del freddo, il suo padroncino aveva iniziato a stare male. Quando stava con lui, non faceva altro che starnutire e il naso gli colava sempre. Da allora, Lucky non l’aveva più visto da vicino. Eh sì. Sabrina, infatti, non lo aveva più fatto entrare in casa. Nemmeno il sabato sera, quando c’erano i loro amici, che nelle ultime occasioni lo avevano potuto salutare solo per pochi minuti prima di entrare, poiché faceva troppo freddo per stare fuori.
Anche durante la notte, Lucky non dormiva più al lato del letto, nella camera matrimoniale.
La sua padrona, infatti, gli aveva spostato la cuccia nella casetta degli attrezzi, che lasciava sempre socchiusa. Di notte, sinceramente, Lucky sentiva un po’ di freddo, ma non aveva mai abbaiato né si era mai lamentato. Si preoccupava tanto del suo padroncino e sapeva che la sua padrona lo amava. Se stava fuori, un motivo ci doveva essere.
L’unica cosa che continuava a fare era provare a grattare la porta la domenica mattina, per farsi notare e andare a fare la sua amata passeggiata. Ma Sabrina gli urlava di star buono e, prima che lei, suo marito e il suo padroncino Edoardo uscissero, gli lasciava sempre un succoso osso.
Sì, è vero che ora la domenica lo lasciavano solo, ma sicuramente dovevano fare qualcosa di importante, come portare il suo padroncino dal dottore. Poi, alla fine, gli lasciavano sempre quel grande osso con cui lui passava felice quelle ore in cui i suoi padroni erano via. Dopotutto, si considerava sempre un cane proprio fortunato.
Quello che Lucky non poteva sapere era che il suo padroncino soffriva di una forma acuta di rinorrea e che la causa del suo male era proprio lui. Anche Lucky, dal canto suo, non era più in gran forma. Si era accorto di essere ingrassato molto e di far fatica a giocare con la palla per più di cinque minuti. Inoltre, nelle ultime settimane, gli era anche passata la voglia di andare a passeggiare.
Nonostante ciò, il bisogno di stare insieme ai suoi padroni era tale che continuava a grattare alla porta ogni domenica mattina. Fu proprio quella domenica sera che Sabrina, uscita per portare fuori il bidone dell’umido, dimenticò di chiudere la porta. Lucky, invece di seguirla come faceva di solito, attratto dall’aroma che proveniva da quei resti che sperava sempre di sgranocchiare e che Sabrina si premurava di lasciare fuori dal cancello, rimase fermo.
Decise che forse, quella volta, era meglio andare ad accertarsi delle condizioni del suo padroncino.
Era così tanto che non lo vedeva che stava iniziando a dimenticare anche il suo odore. E questo non poteva succedere. Perché se Edoardo si fosse perso, poi lui non sarebbe più riuscito a ritrovarlo.
Si fiondò dentro casa. Sentì Sabrina che da fuori lo chiamava, ma per la prima volta in vita sua non la ascoltò. Andò dritto verso la camera del suo padroncino, ma non lo trovò. Zampettò quindi in cucina e lo vide, bello come quando l’aveva lasciato, seduto sul seggiolone a mangiare un biscotto. Era così felice che gli venne quasi da fare la pipì. Si avvicinò col muso ai suoi piedini e cominciò ad annusarglieli. Com’era buono il suo odore. Pensò poi che forse era meglio prendergli un calzino, solo uno, da portarsi nella cuccia, così, se non lo avesse visto per tanto tempo, almeno non si sarebbe dimenticato il suo odore.
Mordicchiò delicatamente la punta di un calzino, cercando di non fargli male. Ma il suo padroncino cominciò a piangere. Poi a strillare, disperato. Lucky si spaventò e si rintanò in un angolo. Pochi secondi dopo fu lì che Sabrina lo trovò. Gli urlò furiosa e con un calcio lo scaraventò fuori di casa. Lucky, disperato e con la coda tra le gambe, corse a nascondersi nella sua cuccia, nella casetta.
Mentre era lì che tremava, sperava, con tutto il suo cuoricino tuonante, che la sua padrona uscisse a coccolarlo. Sperò finché si addormentò. Quando si svegliò, il sole di fine marzo era già alto nel cielo e Lucky sentì che aveva fame. Aspettò.
E aspettò ancora. Ma nessuno uscì nemmeno a dargli un biscottino. Ad un certo punto sentì la porta aprirsi, sentì il suo padroncino mugolare e la voce di Sabrina, dolce, rassicurante.
Eccoli. Stanno venendo da me.
Lucky si immaginò Sabrina che spalancava la porta della casetta, col guinzaglio in mano, segnale magico che voleva dire: Usciamo.
Poi la immaginò chinarsi verso di lui e baciarlo sulla testa, e si immaginò anche il suo padroncino che, gattonando, lo abbracciava.
La vedeva chinarsi verso di lui e baciarlo sulla testa. Mentre il suo padroncino, gattonando, li raggiungeva.
Sì, sarebbe stato un cane proprio fortunato.
Poi sentì il cancello chiudersi e una macchina partire.
Sabrina emise un respiro di sollievo involontario appena uscì con la macchina dal vialetto di casa. Edoardo aveva ricominciato a starnutire, e non c’era niente che lei potesse fare per fargli passare quella maledetta congestione nasale.
Era allergico a Lucky. E né lei né la veterinaria sapevano più cosa fare.
Sabrina era diventata prigioniera nella sua casa. Finché era inverno, aveva retto. Ma ora… La primavera si avvicinava.
Si immaginava già rinchiusa, giorno dopo giorno, a guardare i suoi amati fiori morire dalla finestra.
Non sarebbe potuta andare in giardino con Edoardo. Non avrebbe potuto prendere il sole, né leggersi un libro all’ombra del melograno.
Non poteva lasciare Edoardo da solo in casa. E non poteva portarselo fuori, lì dove Lucky aveva lasciato il suo odore su ogni filo d’erba.
Poteva rinchiudere Lucky nella casetta degli attrezzi, sì. Ma a Edoardo avrebbe dato noia comunque. La veterinaria le aveva anche proposto di portarlo dai suoi genitori o dai suoceri. Ma i suoi non avevano il giardino. E i suoceri erano troppo vecchi, troppo malati per potergli chiedere una cosa del genere. E poi non voleva chiedere favori.
Era anche venuta fuori l’opzione di riportarlo all’allevamento. Sì, ma che figura ci avrebbe fatto?
È vero: lo faceva per la salute del figlio. Ma dentro di sé sapeva già che qualcuno l’avrebbe giudicata. Che qualcuno avrebbe sparlato. Che qualcun altro avrebbe sorriso col disprezzo nascosto sotto una finta comprensione.
Le veniva l’ansia solo all’idea di doverlo spiegare ai suoi amici. Si immaginava già la bocca storta di Sofia, la sua amica cagnara, quella sempre pronta a dare consigli etici, sensibili, giusti. Sofia sicuramente avrebbe avuto una soluzione perfetta. Più morale. Più giusta. Più lontana da quella che lei stava per prendere.
E poi lei, a Lucky voleva bene. Era il suo cane.
Chissà quanto avrebbe sofferto il distacco. Forse si sarebbe lasciato morire.
Da qualunque parte la guardasse, quella situazione era tragica.
E la settimana dopo sarebbe stata Pasqua. E dopo Pasqua… sarebbe esplosa la primavera.
Sabrina parcheggiò in un posteggio davanti al supermercato. Prese un carrello e ci mise sopra Edoardo, che rideva, felicissimo di andare a fare compere.
Decise che almeno quella mattina non ci avrebbe pensato. E che avrebbe sfogato le sue frustrazioni nel reparto cosmetici.
Come sempre, comprò della verdura sana: melanzane, cetrioli, insalata, zucca e pomodori ciliegini. Poi pollo, tacchino, mozzarelle, stracchino, tonno in vetro, hamburger di soia, cereali e croissant freschi per il marito. Latte scremato. Detersivo. Salviette morbide. Dentifricio sbiancante. Succo di mirtillo e carta igienica morbida.
Poi arrivò nel reparto dolci.
Tutto era colorato e addobbato a festa. C’erano uova di Pasqua di tutti i tipi e colori. Ma sì, avrebbe comprato le uova di Pasqua più care, tanto di creme per il viso ne aveva ancora fino all’estate. Ne comprò una per sé al cioccolato fondente e nocciole, il suo preferito. Una della Lindt, bianca, per il marito e una per Edoardo, che fece finta di far scegliere a lui.
Lui fu attratto dall’immagine di Captain America e, anche se non poteva ancora mangiare il cioccolato, almeno avrebbe potuto giocare con il pupazzo.
Edoardo lo scelse al latte. Sabrina ebbe la tentazione di comprare qualcosa anche per Lucky. Non l’aveva mai picchiato prima. Stavolta si meritava davvero qualcosa di più di un semplice osso. Se non fosse stato letale per i cani, le sarebbe piaciuto prendergli il più bell’ uovo di Pasqua del supermercato. Poi pensò che forse nel reparto animali avrebbe trovato qualcosa di simile, apposta per lui.
Ma nemmeno lì trovò niente che somigliasse a un uovo di Pasqua.
Pagò i 173 euro alla cassa e tornò a casa.
Quando Lucky sentì il rumore della macchina della padrona nel vialetto, non osò uscire dalla casetta degli attrezzi. Aveva paura di sbagliare qualsiasi cosa facesse, quindi rimase lì, tutto stretto in se stesso, nella sua cuccia griffata. Sentì l’odore dei suoi padroni, prima lontano, poi più vicino, e infine, accompagnato dal rumore del chiudersi di una porta, di nuovo troppo lontano. Separato da lui da quel muro invalicabile che prima considerava la protezione della sua casa, da quella porta che mai aveva osato rosicchiare, perché era sempre stata benevola e accogliente con lui.
Lucky sapeva di essere un cane fortunato, ma in quel momento non si sentì proprio così fortunato. Si concentrò sull’odore flebile del suo padroncino Edoardo e si addormentò comunque con un sorriso sul muso, come fanno tutti i cani fortunati.
Il rumore di una maniglia, poi, lo svegliò di colpo.
Sentì dei passi e percepì il profumo della carne e di Sabrina. Finalmente la sua padrona stava arrivando con la sua pappa: carne di tacchino bollita, tagliata in minuziosi pezzettini e mescolata con dei chicchi, i più buoni, quelli con varie carni bianche, non solo manzo, pollo o tacchino, ma con tutte, perché la sua padrona gli voleva bene e gli dava il cibo migliore.
Si dimenticò per un attimo tutto ciò che era successo nel pomeriggio e si alzò festante. Scodinzolando, si affacciò alla porta della casetta degli attrezzi. Il suo muso sbucò e, con un occhio, la vide: bella come una pallina brillante, quelle con la luce che lampeggia mentre rimbalza.
Lei, sinuosa, avanzava verso di lui. La vide sorridere e capì che tutto era passato, che non c’era più niente da temere.
Continuò a scodinzolare, e da lui uscì anche un gemito di piacere. Era proprio contento, era proprio fortunato, lui, sì fortunatissimo.
«Lucky» le disse Sabrina quando lo vide.
Lui fece spazio, facendo scivolare la zampa, per farla entrare nella casetta e posizionare la ciotola nel solito posto, accanto alla sua acqua.
Lui la seguì, come se fosse un mentore, ma lei era più di un mentore, era la sua padrona, la sua ragione di vita. Aspettò pazientemente che Sabrina posasse la ciotola per terra e si spostasse. Iniziò a mangiare e solo in quel momento si rese conto di quanta fame avesse.
Mentre lui mangiava, Sabrina lo guardava, e il cibo sembrava ancora più buono. Sabrina prese la ciotola dell’acqua e uscì verso il giardino diretta alla sistola, per riempirla con acqua fresca, freschissima. Quando tornò, lui aveva già finito tutto e la stava aspettando, immobile e fiducioso, obbediente, innamorato, fedele, fortunato.
Sabrina lo guardò ed ebbe l’istinto di accarezzarlo, perché sapeva che era quello che lui desiderava più di ogni altra cosa.
Ma mentre stava allungando la mano, un pensiero improvviso la fermò. Le parole della veterinaria risuonarono nella sua mente: se avesse accarezzato Lucky e poi fosse andata in casa, avrebbe rischiato di trasferire delle proteine sul suo bambino. Quella proteina, che si trovava nella saliva, nella pelle e nel pelo del cane, avrebbe potuto entrare in contatto con il piccolo Edoardo, scatenando una reazione allergica.
Se lo avesse abbracciato o toccato, Edoardo avrebbe potuto sviluppare sintomi come congestione nasale, starnuti o prurito agli occhi. E, se la reazione fosse stata più grave, avrebbe potuto persino causargli difficoltà respiratorie.
Sabrina esitò per un attimo, il cuore in gola, ma poi non resistette e lo accarezzò, lo baciò sulla testa, lo annusò, stringendolo forte a sé, come se fosse stata l’ultima volta.
Sentì il suo cane vibrare sotto le sue mani, tremare di puro piacere e felicità, passivo e inerme come un bambino che cerca conforto.
Gli disse poi che doveva andare in casa e che lui doveva fare il bravo e stare lì, e che domani lo avrebbe portato a fare una passeggiata lunghissima, solo loro due. Nel dirlo, le vennero le lacrime agli occhi. Lo guardò negli occhi e seppe che lui aveva capito. Poi si alzò e si diresse verso casa, e Lucky rimase lì immobile, osservandola mentre se ne andava, mettendosi giù solo quando sentì la porta richiudersi dietro di lei.
Chiudendo la porta, Sabrina si asciugò gli occhi con un gesto rapido, poi andò in cucina.
Edoardo era sul seggiolone, intento a giocherellare con i pastelli. Sabrina si avvicinò al lavello, prese il detersivo più forte che aveva e iniziò a strofinarsi le braccia e le mani con forza. Poi si ricordò che lo aveva anche baciato e iniziò a strofinarsi freneticamente la bocca con le mani.
Un altro pensiero la pervase: lo aveva anche abbracciato. Così si asciugò velocemente, corse in camera e si cambiò la maglia e i pantaloni. Si guardò allo specchio per un secondo, poi tornò da suo figlio. Ma quella sensazione di non essere mai abbastanza pulita non svanì, così prese l’amuchina gel e si cosparse le braccia e le mani prima di preparare la pappa per Edoardo
Quando suo marito arrivò, la cena era già pronta, Edoardo era già sonnolento.
Mangiarono insieme, parlando del più e del meno. Poi Sabrina portò Edoardo a letto, mentre suo marito si sistemava sul divano per guardare il telegiornale. Sabrina tornò in cucina e cominciò a rassettare.
Riponendo la saliera nella credenza, non poté fare a meno di notare le tre uova di Pasqua colorate, luccicanti come tre gioielli. Un’improvvisa voglia di cioccolato la colse.
Pensò di aprire il suo uovo, ma poi si fermò, come se il pensiero di violare una tradizione la frenasse: non si aprono le uova prima di Pasqua.
Ma in quel momento non le importò. Succube di quel languorino che la stava consumando, afferrò il suo uovo di cioccolato fondente con le nocciole, lo posò sul tavolo e lo scartò avidamente. Lo mangiò a grandi morsi, come fosse pane, masticandolo con vigore, schiacciando le nocciole tra i molari come se fossero un osso, come fosse un cane.
Suo marito sbucò poi dal salotto e la guardò con una faccia sconcertata: lei, la sua moglie perfetta, che si ingozzava di cioccolato, non di un cioccolato qualsiasi bensì quello di un uovo di Pasqua che aveva osato aprire prima del tempo.
La sua domanda su cosa stesse facendo non ebbe risposta, dato che Sabrina non osò rispondere con la bocca piena. Fissò il marito con occhi pieni di disperazione e, per un istante, si vergognò tantissimo, quasi non si riconobbe. La perfezione che aveva sempre cercato di mantenere, la maschera di donna impeccabile, sembrava svanire in quel momento, come se il cioccolato fosse un segreto che non avrebbe mai dovuto rivelare.
Nascose il cioccolato nella sua confezione luccicante e disse a suo marito, il quale stava ritornando in salotto, che lo avrebbe raggiunto subito. Ma mentre guardava la mano che aveva tenuto l’uovo, una sensazione di disgusto la pervase. Non l’avrebbe più mangiato, almeno non quello. Quello era l’uovo della vergogna. Sì fiondò verso il bidone dell’umido e ce lo gettò, poi lo afferrò e corse fuori. Forse non stava pensando.
O forse non voleva pensare a cosa stava pensando. Ma quella sera non si premurò di lasciare il bidone dell’umido fuori dal cancello. Lo lasciò invece lì, in bella vista.
Non si voltò nemmeno verso la casetta degli attrezzi, dove Lucky la stava ascoltando con la punta del muso che sbucava appena dalla porta.
Sabrina corse dentro e chiuse la porta a chiave.
Lucky si avvicinò al bidone dell’umido, gli tirò un colpetto con il muso, e tutto il contenuto cadde a terra.
Quello che sentì era un odore nuovo, un profumo delizioso. Annusò il cioccolato in pezzi, lo leccò e, sorpreso dalla bontà, decise che era la cosa più buona che avesse mai assaggiato.
Pensò che la sua padrona gli avesse fatto un regalo per farsi perdonare di come si era comportata quel giorno, per averlo picchiato.
Lo mangiò avidamente, come Sabrina lo aveva mangiato poco prima, senza quasi masticarlo.
Poi, pieno e felice, tornò nella sua casetta a coricarsi nella sua cuccia griffata e, nonostante la pancia iniziasse già a fargli male, pensò che era proprio un cane fortunato.