La Cina fece la sua grande ricomparsa in Angola subito dopo la fine della guerra civile nel 2002 . L’Angola si trovava in un disperato bisogno di supporto per intraprendere il suo massiccio piano di ricostruzione nazionale dopo più di trent’anni di conflitti interni, i quali avevano distrutto il paese sotto tutti i punti di vista. La fine della guerra civile devastò il paese e cancellò le aspirazioni di molti cittadini che avevano sognato un futuro diverso dopo la liberazione dal giogo portoghese. Il governo guidato da dos Santos decise, allora, di accogliere di buon grado le proposte di aiuti economici provenienti dalla più grande nazione in via di sviluppo, ovvero la Cina. Ma perché delegare proprio questo compito di ricostruzione nazionale alla Cina? Perché affidare questo piano di ricomposizione nazionale ad un paese che durante la guerra civile aveva combattuto contro il movimento di cui il governo in carica era l’erede? Perché non affidarsi a qualche potenzao ccidentale? E soprattutto, la Cina cosa ci avrebbe guadagnato?
La Cina necessita di risorse naturali e l’Angola vuole svilupparsi, il paese è ricchissimo di petrolio e Pechino ha grandi disponibilità di capitali, la volontà e le conoscenze per favorirne lo sviluppo. Inoltre, i cinesi offrono finanziamenti a condizioni migliori, con bassissimi tassi d’interesse e un tempo più lungo per rientrare con i pagamenti. Inoltre, le più grandi banche statali cinesi stanno facendo sempre più uso di un accordo conosciuto come “Angola Mode”, apparso per la prima volta in un report della Banca Mondiale del 2008. L’Angola Mode è un patto tra le parti, secondo il quale il paese che riceve prestiti per progetti infrastrutturali è obbligato a rientrare dal finanziamento sotto forma di risorse naturali. Petrolio incambio di ponti e autostrade. La Cina è attualmente il secondo consumatore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti, con 14 milioni di barili al giorno e più della metà del suo petrolio grezzo è importato. A livello domestico la Cina non produce abbastanza petrolio dal 1993, e da quel momento in poi il paese è diventato un importatore netto di petrolio, e ha incrementato sempre di più la sua dipendenza dal greggio estero. Per la Cina il Medio Oriente rimane il territorio più importante per le consistenti quantità di petrolio importato, ma la strategia della diversificazione ha ridotto la dipendenza da questa regione e haspinto il PCC e le sue banche d’investimento a rivolgersi verso l’Africa. Si stima, infatti, che un terzo del petrolio cinese importato provenga dall’Africa, in particolare dall’Angola, dal Sudan, dal Congo, dalla Guinea Equatoriale e dalla Nigeria. L’Angola è diventata una delle riserve di petrolio più grandi del pianeta, quando durante gli anni Cinquanta vennero effettuate esplorazioni su tutto il sottosuolo del paese, e si scoprirono grandi giacimenti di petrolio. Durante questa decade le esplorazioni in terraferma vennero effettuate nella zona di Kwanza Basin, mentre l’espansione del settore petrolifero si ebbe durante gli anni Sessanta quando la Cabinda GulfOil Company, ora ChevronTexaco, scoprì importanti riserve in mare aperto.
Le condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalle potenze occidentali non vennero accolte positivamente dall’allora Presidente dos Santos e dal suo entourage, argomentando che né la ricostruzione nazionale avrebbe potuto attendere, né le condizioni di milioni di angolani. Il governo angolano condivideva questa debordante retorica della win-win cooperation di aspirazione cinese, la quale faceva breccia in vari sentimenti ben radicati a livello teorico fra l’entourage al potere in quel momento in Angola. Tra queste consapevolezze c’erano una comune agenda per lo sviluppo economico, la condivisione di una serie di valori, come il rifiuto della democrazia, e una comune analisi della situazione geopolitica mondiale, ispirata dai principi a suo tempo discussi alla Conferenza di Bandung del 1955. Queste percezioni comuni costituirono basi più che solide per intraprendere una proficua cooperazione in aree cruciali come il commercio e gli investimenti, i progetti infrastrutturali e la cancellazione del debito. In questo modo, nel giro di pochi anni la Cina diventò il partner commerciale perfetto per l’Angola. Le compagnie cinesi sono disposte a lavorare in condizioni estreme, cosa che per le compagnie occidentali o coreane sarebbe impossibile, sia per i loro costi fissi maggiori rispetto alle aziende cinesi e sia per quanto riguarda il reclutamento di personale lavorativo, disposto a lavorare in questo contesto. Le compagnie edili cinesi, invece, per esempio, presentano molti vantaggi, tra cui l’abbondanza di manodopera altamente motivata, a basso prezzo e con l’abilità di adattarsi ad ambienti diversi con bassi costi di macchinari, attrezzatura e materiali tutti provenienti dalla Cina.
La prima mossa del PCC per aggiudicarsi il favore del governo angolano contro le imposizioni del Fondo Monetario Internazionale si presentò nell’ottobre del 2004, quando la compagnia petrolifera indiana Oil and Natural Gas Corporation, di proprietà statale, si stava preparando a chiudere un enorme contratto per un valore di circa $620 milioni, per l’acquisto del 50% della concessione per lo sfruttamento della piattaforma petrolifera denominata Block 18. I cinesi fiutarono l’affare, fecero la classica offerta dell’ultimo minuto, e vinsero la gara. Il fatto è che decisiva per la delibera in extremis del governo angolano fu la volontà del governo cinese di erogare un prestito da $2 miliardi al governo angolano, liberandolo di fatto dalla sua dipendenza con il Fondo Monetario Internazionale. Le negoziazioni tra la Cina e l’Angola si fecero sempre più stringenti a partire dal 2004, quando la China Exim Bank e la China Construction Bank (CCB) fornirono un prestito dalvalore di $145 milioni per finanziare un primo grande progetto di ricostruzione nazionale. Il prestito finanziò 444 chilometri di linea ferroviaria attraverso Luanda e l’espansione del sistema elettrico nella capitale, a Lubango, a Namibe e a Tombwa. La China Exim Bank è una delle tre strutture finanziare principali in Angola, istituita per attuare le politiche statali in materia di industria, di commercio estero e di IDE in paesi in via di sviluppo. La banca è stata istituita nel 1994 ed è controllata dal Consiglio di Stato cinese. Questa banca di Stato viene considerata uno dei più importanti istituti finanziari al mondo ed è diventata la più grande fonte di prestiti e finanziamenti per l’Africa sorpassando addirittura la Banca Mondiale.
Tra il 2009 e il 2010 la Exim Bank e la China Development Bank offrirono prestiti per un valore di $110miliardi ai governi dei paesi in via di sviluppo, superando la Banca Mondiale, che per una simile cifra aveva impiegato due anni tra il 2008 e il 2010. Se comparata con le analoghe istituzioni finanziarie occidentali la Exim Bank vanta riserve finanziarie trenta volte più grandi di quelle delle sue più vicine rivali. Un’altra linea di credito tra Cina e Angola è rappresentata dalla China International Fund Ltd (CIF),una compagnia con sede a Hong Kong, istituita nel 2003 e in stretto contatto con il Gabinete de Reconstrução Nacional per quanto riguarda l’erogazione di prestiti tra Cina e Angola. Infatti, il GRN è stato creato, proprio, con l’intento di ricevere e gestire le linee di credito provenienti dalla China International Fund Ltd. Secondo il Ministro delle finanze angolano i prestiti della CIF, dal2005 al 2007, hanno raggiunto i $2,9 miliardi. Questi fondi sono stati destinati prevalentemente ai vari progetti di ricostruzione di strade e linee ferroviarie, per la costruzione di una rete fognaria a Luanda e per un nuovo aeroporto nella capitale. Il terzo canale di sovvenzione proviene dalla China Development Bank (CDB), la quale ha mostrato grande interesse per gli investimenti nel settore agricolo angolano. Dal 2002 al 2009, la banca ha investito la cifra di $1 miliardo nell’agricoltura e il capo del CEO, Chen Yuan, ha dichiarato che l’impiego di capitale sarà aumentato se ritenuto necessario.
A conferma della parola data, nel settembre del 2010, la CDB estese la sua linea di credito con un ulteriore prestito di $4 miliardi, arrivando nel 2012 a una linea di credito complessiva dal valore di $9,5 miliardi. Oltre alle già citate tre banche di investimento cinesi, negli anni se ne sono aggiunte sempre di nuove, come la Industrial and Commercial Bank of China (ICBC), la quale con i suoi azionisti fece un viaggio in Angola nel 2009, proprio per sondare il terreno in vista di possibili investimenti futuri. Inoltre, la ICBC è la più grande banca commerciale della Cina. Il debito esterno dell’Angola è infatti gradualmente diminuito negli anni immediatamente successi vial conflitto civile, dal 39,5% del PIL nel 2005, al 20,7% nel 2006, al 15,6% nel 2007. La crescita del PIL nel 2008 è stata di circa 26,6% e allo stesso tempo si è registrata una diminuzione dell’inflazione. Dal 2002 l’ammontare dei prestiti e degli aiuti cinesi è cresciuto stabilmente e i legami politici tra Luanda e Pechino si sono notevolmente rafforzati. Infatti, la Cina ha aumentato in maniera significativa il volume del commercio e degli investimenti in Angola non soltanto nel settore delle infrastrutture e dei trasporti ma in tutti i campi. Un problema, tuttavia, è rappresentato dal fatto che la maggior parte degli accordi con le società d’investimento cinesi (come la Exim Bank) includono la clausola che il 70% dei progetti debbaessere assegnato esclusivamente a società cinesi e che solo il 30% delle commesse sia assegnato acompagnie locali. Questa condizione ha sconcertato gli imprenditori angolani, ma non è il solo elemento di preoccupazione. Infatti, dove il governo angolano non ha fatto una richiesta specifica di utilizzo di lavoratori locali, le compagnie cinesi hanno importato tutta la forza lavoro dal proprio paese. La maggior parte di questi lavoratori cinesi sono migranti (senza nessuna competenza specifica che possa giustificare il loro utilizzo) che entrano nel paese nell’ambito di queste linee di credito. Questa popolazione di lavoratori vive in campi chiusi, spesso creati a ridosso degli stessi cantieri, e non hanno praticamente alcun contatto con la popolazione locale.
La ragione che ha spinto il management cinese a utilizzare la propria forza lavoro è la necessità di completare i progetti nel più breve tempo possibile e con il minor numero di complicazioni. Anche grazie a questi trasferimenti forzati di persone, il numero di cinesi che risiedono in Angola è cresciuto significativamente nel corso delle ultime due decadi. Nel 2006 i cinesi sorpassarono i portoghesi con circa 15.000 residenti in Angola con visti di lavoro. L’anno successivo i cinesi avevano raggiunto più di 22.000 unità, secondo i dati forniti dal Ministero degli Interni dell’Angola. Tuttavia, secondo altre stime i cinesi residenti in Angola sarebbero molti di più. Nel 2010 molti pensatori cinesi ritenevano che il numero di lavoratori e commercianti cinesi si aggirassero intorno alle 100.000 persone. Nel 2013 le statistiche attestavano che il numero di residenti cinesi in Angola fosse maggiore di 260.000 abitanti, rendendola di gran lunga la più grande comunità straniera del paese. Oggigiorno è difficile stabilire quanti realmente siano i cittadini cinesi in Angola, tra i lavoratori che vengono per lavorare a un progetto specifico e poi ritornano in patria, e quelli che, invece, che decidono di rimanere. Sicuramente i numeri saranno destinati a salire visto il rafforzamento e la sempre più stretta collaborazione fra questi due paesi. Nel 2011, più del 30% del petrolio angolano esportato era diretto verso oriente, per un ammontare pari al 16% del totale del petrolio importato da Pechino. Nel 2018, la cifra è cresciuta ancora in maniera esorbitante, raggiungendo il 65% dell’export di greggio verso la Cina. Mentre durante la prima metà del 2019 l’esportazione di petrolio verso la Cina è salita al 68%, portando l’Angola ad essere attualmente il maggior partner commerciale della Cina in Africa.
Anche sotto la presidenza di João Luorenço le partnership strategica tra Cina e Angola non sembra arrestarsi. Durante la prima visita, nell’ottobre del 2018, del nuovo presidente Luorenco a Pechino, accolto dal Primo Ministro cinese Li Keqiang, le parti hanno affermato ancora una volta di voler incrementare la mutua assistenza e la promozione di investimenti in nuovi campi dell’economia angolana. Inoltre, il ministro Li ha incoraggiato le compagnie cinesi a investire in Angola e ha sollecitato il governo di Luorenço a intraprendere misure maggiori in materia di protezione e salvaguardia dei cittadini cinesi presenti in territorio angolano. Ulteriori dettagli dell’accordo non sono stati resi pubblici, ma sicuramente la Cina ha dato il suo benvenuto al successore di dos Santos come meglio non riesce a fare. Anche il nuovo governo sotto la guida di Luorenco ha deciso, quindi, di continuare la strada del suo predecessore, affidandosi al dragone cinese come maggior partner per uscire da una crisi che per il popolo angolano dura ormai da troppo tempo. Un nuovo vento si sta abbattendo sul continente africano, e come disse l’ex presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe: “ci siamo voltati verso est, dove il sole sorge, volgendo le spalle all’ovest, dove il sole tramonta”.