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19 Dicembre 2024

THE PATH-OS OF AUTHENTICITY: QUANDO L’AUTENTICITÀ È DIVENTATA UN’EMOZIONE?

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L’articolo che segue è il primo di una serie che mi sono proposto di scrivere a proposito dell’autenticità, un concetto che ha messo radici praticamente in ogni aspetto della nostra vita. Nonostante ciò, l’accordo sul suo significato è pressoché inesistente, dato che ognuno di questi aspetti chiama in causa elementi diversi ai fini della valutazione: parlare di un Rembrandt autentico, di un piatto di autentica cucina messicana, o di essere persone autentiche non è la stessa cosa. Per un quadro, potrebbe essere sufficiente accertarsi che sia stato l’autore a dipingerlo per definirlo autentico, e che non sia dunque un falso; la cucina autentica chiama invece in causa aspetti culturali specifici che non sono facilmente oggettivabili. 

Denis Dutton (2003, 258), in Authenticity in Art, scrive che autenticità è una parola-dimensione, cioè una parola il cui significato specifico è incerto finché non si sa quale dimensione dell’autenticità si stia discutendo. Il corollario di questa definizione è che bisogna decidere una dimensione, se si vuol provare a costruire un discorso organico. Io ho scelto quella umana: che cosa implica essere persone autentiche, e da quando è una domanda alla quale rispondere è diventato così prioritario? Ho enucleato perciò tre possibili risposte, che saranno oggetto di altrettanti articoli: l’autenticità può essere considerata una virtù umana, un progetto, oppure un’emozione. Nonostante sia implicita una certa progressione temporale, sono tutte concezioni oggi presenti nel nostro immaginario collettivo quando pensiamo all’autenticità. 

Il motivo di questa straordinaria “plasticità” del concetto è invece l’oggetto dell’articolo preliminare che segue questa introduzione: una breve indagine etimologica che ha lo scopo di mostrare come, nell’arco di pochi secoli, dalle primissime attestazioni, il termine authéntēs - da cui la parola autenticità deriva — è stato veicolo di numerosi significati, spesso anche moralmente opposti. Non sorprende affatto, perciò, che duemilacinquecento anni dopo non siamo ancora riusciti a metterci d’accordo su cosa dobbiamo intendere quando parliamo di autenticità. Per fortuna.

 

  1. ETIMOLOGIA

Merriam-Webster, il più antico editore americano di dizionari, ha incoronato authentic come parola del 2023. O meglio, l’hanno fatto gli utenti le cui ricerche su Internet vengono utilizzate dal 2003 per questo scopo: Merriam-Webster sceglie infatti the word of the year analizzando le pagine visitate e le ricerche più frequenti sul proprio sito web. Dal 2007, inoltre, la compagnia ha integrato la sua scelta con un sondaggio online, compilabile dagli utenti, i quali possono votare la parola dell’anno tra le parole più cercate sul sito web di Merriam-Webster. Scorrendo le parole incoronate dal 2003, anno d’inizio, fino al 2023, si ha come l’impressione di osservare una ventina di negativi, fotografie dell’umanità e delle sue modificazioni: democrazia, blog, integrità e veridicità sono le parole delle annate 2003–2006; w00t nel 2007 — un’espressione di gioia proveniente dallo slang — bailout nel 2008 — manovra finanziaria in cui un governo o un’istituzione salva un’azienda o un ente che è a rischio fallimento -, e poi austerity, socialism, surreal, they, pandemic, vaccine, gaslighting, per citarne alcuni. Fino ad arrivare alla parola del 2023: authentic.

Peter Sokolowski, editor per Merriam-Webster, ha scritto che è stato soprattutto l’avvento dell’Intelligenza Artificiale ad aver generato (pun intended) grande interesse per questa parola: 

«Il confine tra “vero” e “falso” è diventato sempre più labile. Di conseguenza, nei social media e nel marketing, l’autenticità è diventata il gold standard per costruire la fiducia — e l’autenticità, ironicamente, è diventata una performance». 

L’intervento di Sokolowski apre a due considerazioni. Da un lato, la metafora della performance è azzeccata ma parziale: è vero che, come attrici e attori su di un palco, ci esibiamo affinché lo spettatore riesca a sprofondare nella nostra interpretazione, e dunque a fidarsi del fatto che noi siamo davvero ciò che stiamo impersonando; ma è altrettanto vero che senza un copione, da eseguire proprio nella performance, non c’è nulla da interpretare.

Dall’altro, si può sottolineare come l’autenticità, concetto tipicamente moderno ma con radici lontane, abbia subito nel corso degli anni slittamenti semantici piuttosto disparati, anche in ragione del suo statuto di “significante flottante”, cioè di concetto linguistico il cui significante non ha precisi significati di riferimento; una parola, in altre parole, che non ha corrispondenza con un oggetto preciso. Per questo motivo, l’autenticità riesce a coprire i più disparati campi semantici. Erickson, nel suo articolo The importance of authenticity for self and society (1995, 123), può scrivere che ci sono tante definizioni di autenticità quanto quelli che ne scrivono. Per lo stesso motivo, del resto, piace molto farne un largo utilizzo: dato che non esiste un “vero significato” di questa parola, non è possibile usarla in modo scorretto. Sembra una cosa intelligente da dire in qualsiasi contesto.

Facciamo allora un passo indietro, da buoni continentali quali siamo, per provare a imbastire una genealogia dell’autenticità, a partire dal suo etimo, per provare a capire quali siano stati i suoi primi utilizzi e in che modo si sono diversificati. L’etimologia non è solitamente lo strumento principale per stabilire i significati di una parola, perché questi ultimi cambiano nel corso del tempo. Ciò nonostante, si tratta di uno strumento utile nello studio diacronico delle parole, ovvero lungo archi temporali estesi; essendo questo l’obiettivo, ho ritenuto corretto partire proprio dall’etimologia della parola, la quale ci racconta che “autenticità” è una voce dotta, recuperata dal latino tardo authentĭcus, in prestito a sua volta dal greco authentikós, derivato di authéntēs.

Ora, αὐθέντης, authéntēs, è composto da auto + hentēs: auto- significa “se stesso”, “proprio”, “da sé”, mentre -hentēs è un suffisso che indica l’agente o l’attore di un’azione; una traduzione letterale può essere “autore responsabile” (Chantraine 1999, 138) o, più estesamente, “fare o dare origine a qualcosa con le proprie mani”.

Era pertanto un termine utilizzato per indicare, a grandi linee, “qualcuno che compie un’azione”, “colui che agisce secondo una ragione e un’autorità che è propria di se stesso”, “che opera da sé”, “che assume una posizione di autorità indipendente” — le traduzioni sono mie mentre le definizioni provengono dal database Logeion e da Wiktionary. Il dizionario etimologico Liddell & Scott (1940) ne riporta infatti come traduzioni author, perpetrator, master ma anche murderer.

Le primissime attestazioni di questa parola, nella letteratura attica, sembrano identificare soprattutto omicidi — cioè persone che compiono l’atto dell’omicidio -, spesso di membri della propria famiglia; successivamente, nel periodo Ellenistico e Romano, il suo ambito semantico si allarga fino a includere da un lato l’ideatore/il promotore di piani criminali — non solo quindi l’esecutore materiale dell’omicidio -, e dall’altro il significato aggiuntivo di “colui che esercita autorità” e anche potere, o diritti, significato che poi si affermerà a scapito del primo, soprattutto grazie agli scrittori della Patristica greca.

L’unica (contestata) attestazione della parola authéntēs, come colui che esercita l’autorità presente nella letteratura attica, si trova invece ne Le supplici di Euripide.

Ciò che è interessante sottolineare è che, da questa ricostruzione, authéntēs sembra avere una serie di possibili sfumature e connotazioni morali, sia negative che positive: può indicare un omicida, un tiranno, ma anche una persona che esercita legittimamente la propria autorità. Tali sfumature si ottengono però solo enfatizzando un significato etimologico che non sembra contenere un valore assiologico, significando piuttosto una persona che agisce sulla base di un dominio su se stessa e che solo in virtù di questa caratteristica può poi essere omicida — nella doppia accezione di esecutore o mandante -, suicida, padrone; con le connotazioni morali che ne conseguono, implicite o presunte. Anche il significato più esteso di “persona che esercita autorità” può non essere moralmente connotato, e in effetti nel periodo Ellenistico il termine inizia a essere utilizzato in maniera prevalentemente neutra — senza riferirsi a un potere autocratico, dispotico, per intenderci. Le motivazioni di questo spostamento sono congetturabili, ma le fonti attiche ed ellenistiche sono troppo distanti temporalmente tra loro per poterlo stabilire. Inoltre, in quello stesso spazio temporale, la parola authéntēs e i suoi derivati diventano piuttosto rari. Wolters stesso, in “A Semantic Study of αὐθέντης and its Derivatives” (2006, 54), scrive che è un grave errore prendere le definizioni e gli usi degli atticisti come una guida affidabile al significato di authéntēs e ai suoi derivati nel greco ellenistico.

Un terzo significato che emerge dalle fonti greche antiche è doer (Hübner, 2015, 61): colui che fa, cioè l’autore di un’azione, che in ogni caso rimane sotto il cappello semantico di capo, nel senso che authéntēs indica la persona a cui fa capo l’azione, che ne è responsabile, e che sembra il significato più neutro e allo stesso tempo più vicino a quello etimologico. L’applicazione specifica all’omicidio era quindi, forse, in origine un eufemismo, o un uso legale o un’associazione con il verbo theínein, che significa “colpire, uccidere”. Si tratta in ogni caso di un dibattito ancora aperto (Hübner, 2015, 41; Westfall, 2014, 151), perché c’è chi sostiene che l’idea dell’omicidio rimanga integrale al significato originario della parola.

Da authéntēs sono poi derivate numerose parole, le cui analisi possono dirci qualcosa a proposito. I lavori più recenti e accurati nell’analisi di parole imparentate di authéntēs sono due, entrambi relativi al verbo αὐθεντέω, authentéō: quello del 2015 di Jamin Hübner in cui l’autore, effettuando una disamina della bibliografia esistente su un famoso passaggio biblico, propende per una sostanziale incapacità di stabilire con certezza se, tanto nelle prime attestazioni quanto nei periodi successivi, il termine abbia un senso neutro, positivo o negativo. Il secondo di Cynthia Long Westfall, dove si sostiene che il concetto semantico di base di authentéō possa essere descritto come “l’uso o il possesso autonomo di una forza non limitata [unrestricted]” (2014, 166). Si conferma quindi un concetto semantico legato al potere e all’azione, che tende a non trasmettere le associazioni emotive di una parola: sono spesso elementi del contesto a conferire una connotazione positiva o negativa al termine, ad esempio l’identità dell’agente, se quest’ultimo sta esplicando o meno una sua responsabilità, se la sua posizione lo legittima o meno, l’obiettivo a cui l’agente tende. È per questo motivo che authentéō può indicare un aspetto dell’azione personale e orientata verso se stessi — “agire da sé”, “assumere una posizione di autorità indipendente” -, ma anche avere una sfumatura di forza o potenza — “avere pieno potere/autorità su” -, e infine in senso negativo/pregiudiziale ovvero “dominare” (Hübner, 2015, 43). Anche in questo caso, dunque, la connotazione morale non è implicita, ma si ottiene enfatizzando il concetto in un determinato contesto.

Altre due parole derivate ci interessano in questo discorso: authentikós e authentía. Nonostante il materiale in proposito sia minore, il significato più comune attestato di authentikós, da cui poi sembrano discendere gli altri, è masterful, che indica persone inclini e solitamente competenti a esercitare autorità; in italiano, la parola “autorevole” si avvicina a questo significato. Il dizionario Le Grand Bailly riporta infatti come definizione “che consiste in un potere assoluto” (1935, 308).

La primissima attestazione di questo termine, in un’iscrizione proveniente da Milasa, in Asia Minore, databile al II‑I secolo a.C., potrebbe tradursi proprio con masterful, anche se mancando il contesto sono state avanzate numerose ipotesi (Wolters 2006, 48). Il secondo significato più comune, che deriva dal primo, è quello a noi più familiare di “originale”, e riguardava soprattutto documenti legali: il documento autentico era infatti la copia originale di documenti quali contratti, testamenti, autentici non perché scritti di proprio pugno dall’autore, ma perché legalmente vincolanti, e quindi autorevoli. L’enfasi non è tanto sull’autore del documento quanto sulla sua originarietà, il suo venire prima di altre copie e quindi di essere l’unico ad avere l’autorevolezza per essere davvero vincolante. In tal senso questo secondo significato discende dal primo (Wolters 2006, 47).

Allo stesso modo, authentía fa riferimento all’autorità o alla sovranità, e nel caso della letteratura patristica, soprattutto a quella di Dio o Gesù Cristo. Altrove, invece, si utilizza per indicare l’autorità degli ufficiali Romani. Come conclusione generale si può dire che, poiché tutti i derivati di authéntēs sono dipendenti dalla sua accezione di “colui che esercita autorità”, si può affermarne la sostanziale neutralità, che viene poi connotata da elementi del contesto.

Anche qui, una precisazione simile a quella fatta per l’etimologia: lo studio delle parole imparentate (authentéō, authentikós) non ci dice necessariamente qualcosa sulla parola che stiamo studiando; ciò nonostante, dato che non ci siamo concentrati nella ricerca di una particolare attestazione di authéntēs, quanto piuttosto sulle possibili sfumature che può avere il suo concetto semantico di base, lo studio delle parole imparentate può rivelarsi utile, come credo sia stato in questo caso. La stessa Westfall (2014, 146), sostiene che la gamma di significati metaforici o astratti potrebbe essere stata derivata direttamente dal sostantivo, dal momento che il verbo continuava ad avere associazioni semantiche simili di iniziativa indipendente e forza che poteva essere letale in alcuni contesti.

Perciò, prendendo licenza poetica (o filologica, in questo caso), si potrebbe sostenere che l’authéntēs sia l’agente dell’authenteō, cioè dell’uso o del possesso autonomo di una forza non limitata, e che la sua competenza in questa azione lo renda authentikós e che per questi motivi la sua figura sia caratterizzata da authentía.

Provando a tirare le fila, per quanto possibile, il discorso in termini filologici è ampio, ma anche i professionisti si sono a un certo punto fermati davanti all’evidenza: non sappiamo con certezza perché authéntēs vada a legarsi alla sfera della violenza familiare, si può solo attestare. Il piccolo passo di questo articolo è stato solo esporre il fatto che, nell’arco di pochi secoli, il termine è finito a significare qualcosa di più astratto, che includeva il ruolo della forza e che perciò è finito ad allargare i suoi possibili significati, e relative sfumature morali. Da questa certezza ripartiremo nei prossimi articoli, quando analizzeremo significati più moderni di autenticità.

Sembra quindi ragionevole concludere che sia impossibile sapere con certezza se authéntēs e derivati abbiano un senso neutro, positivo o negativo, tanto nelle sue prime attestazioni quanto in quelle successive. Questo è stato il focus dell’articolo, non la ricerca filologica in sé: dimostrare che, a livello etimologico, la parola originaria aveva sfumature moralmente contrastanti. La conclusione di Wolters (2006, 50), è che ogni volta che sono disponibili traduzioni antiche, esse indicano che authéntēs e i suoi derivati erano per lo più intesi come riferimento alla padronanza o all’autorità, e ogni volta che un membro di questa famiglia di parole è stato adottato come parola di prestito in un’altra lingua, ha portato con sé un significato legato al possesso di autorità. Questo è esattamente il caso dell’ebraico, del turco, del siriaco, ma soprattutto del latino, e a seguire in tutte le lingue che dal latino derivano.

È poi certo che ci sono attestazioni di tutti e tre i sensi — neutro, positivo, negativo -, debitori soprattutto del contesto in cui la parola è stata utilizzata, in cui veniva comunque declinata l’idea di iniziativa indipendente e forza non limitata. Con la modernità, questa famiglia di parole assume tratti a noi più familiari, soprattutto per via di una spiccata predominanza del senso positivo, anche se ci sono eccezioni. Rimane vero che un tale ventaglio semantico è stato possibile anche grazie — se non soprattutto — a un etimo e dunque a un significato originario che ha consentito diverse e spesso opposte declinazioni morali del termine; si tratta davvero di un’enantiosemia morale, ovverosia di una stessa parola che assume valori opposti o contrari in base al contesto. È stata poi questa perpetua tendenza a estendere il suo significato, spesso raggiungendo poli opposti dello spettro, che sembra aver accompagnato la storia dell’autenticità fino ai giorni nostri, nella cui direzione possiamo adesso iniziare a spostarci, verso l’altro capo di questa corda tesa lungo il tempo.

 

Bibliografia:

Dutton Denis, 2003. “Authenticity in Art”, The Oxford Handbook of Aesthetics, Oxford University Press, Oxford, pp. 258–74.

Chantraine Pierre, 1999. Dictionnaire Étymologique De La Langue Grecque Histoire Des Mots, Klincksieck, Paris.

Bailly Anatole, 1935. Le Grand Bailly: Dictionnaire grec-français, Hachette, Paris.

Liddell & Scott, 1940. A Greek–English Lexicon, Clarendon Press, Oxford.

Euripide, 2022. Le Tragedie, Marsilio.

Hübner Jamin, 2015. “Revisiting αύθεντέω in 1 Timothy 2:12: What Do the Extant Data Really Show?”, Journal for the Study of Paul and His Letters, 5/1, pp. 41–70.

Westfall Long Cynthia, 2014. “The Meaning Of αὐθεντέω in 1 Timothy 2.12”, JGRChJ, 10, pp. 138–73.

Wolters Albert, 2006. “A Semantic Study of αὐθέντης and its Derivatives”, JBMW, 11/1, pp. 44–65.

Erickson, Rebecca J., 1995. “The Importance of Authenticity for Self and Society”, Symbolic Interaction 18,  2, pp.  121–44.

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