La tenda lattescente si gonfia come la prima bolla nel bricco di latte al punto di ebollizione raggiunto, scoppia e vaporizza la luce metallica che avvisa altra pioggia. L’aria giovane e l’epidermide di una donna si increspano ma di poco. Il petalo rosa della peonia precipita, si sgrana a terra, sarà stato per qualcuno che al piano di sotto ha iniziato a sfregare forte una vecchia scopa sulla pioggia raccolta dalla notte, poi gli uccelli, delle voci, una ventola. Lì accanto un barattolo di deodorante, a terra il vinile che per primo sta sugli altri, uno spazio vuoto al muro dove andrà quel grosso quadro che deve arrivare, la bolletta giù nell’atrio ma qui è già andata troppo lontano, ritorna subito lì dov’è, a letto. Un’onda di latte e le lenzuola cadono a terra, là dove si posano i piedi, lo smalto cremisi come le unghie delle mani. È davvero bella, è bella e può fare tutto, tutto non può avere ma può avere quello che vuole.
Inizia ogni giorno allo stesso modo, appena sveglia prende la fiala di collagene tra le dita lunghissime e la beve in due sorsi: sa di mirtillo, l’eccessiva dolcezza disturba un po’. Poi spegne la caffettiera sul fuoco lento, lo fa non appena il caffè comincia a lamentarsi, non aspetta che esca tutto, crede che questo renda il caffè più buono; il sapore del collagene viene completamente coperto dal lungo caffè amaro. Lo beve seduta alla finestra. È davvero bella, lo specchio al muro testimonia il momento, peccato nessuno possa vederlo: sarà lei a scattarsi una foto, non si sciupa la bellezza, non si tradisce la sua memoria. Guarda giù, tra un po’ il marciapiede liscio col fiore blu, che sbuca da una sua fessura, sarebbe stato occupato dall’auto di quelli. Avrebbe potuto rimanere sveglia a pensarci tutta la notte a quello che avrebbe fatto, dove sarebbe andata, invece aveva dormito bene e adesso beveva il suo solito caffè. Stava lì, in agguato, pronta per affacciarsi su un’immagine spontanea di lei bambina con sua madre, ma si ferma subito; non ci vuole niente ad andare troppo lontano, delle volte è meglio stare là dove si è, non altrove.
Chissà invece come mai le avevano lasciato tutto quel tempo prima che quelli arrivassero, questo sì, era strano. Avrebbe fatto allora quello che faceva sempre, avrebbe lavorato assorta tra la camera oscura e la luce metallica del tavolo sotto la finestra, davanti alle sue foto che avevano spaziato ben oltre l’alta moda. Lei infatti era stata una modella ma il suo animo era sempre stato più complesso, più raffinato, più ambizioso: era di certo stata un’ esecutrice incantevole, ma senza troppo sforzo. Era sì stata sin da subito un’ottima interprete, ma la sua indole era creativa, necessitava d’un processo, perché qualcosa nel suo cervello era ossessionato dai dettagli. Questi, tecnicamente, la rendevano una persona assai pratica, razionale, dalle ampie vedute, ma gli stessi, sensibilmente, facevano di lei una creatura altera, le si confaceva la vulnerabilità di quel petalo cascato, l’empatia di quel fiore blu solitario nel cemento desolato.
La si poteva uccidere nel punto più tenero che era pure quello più resiliente, quello più duro. Allora anche quella mattina lenta, Flora Hadid si era dedicata alla sua routine di skincare: terminava mettendo il belletto, poi il rossetto. Quel giorno aveva indossato i jeans a vita alta e la maglia metallica a maniche corte, si era fatta un altro caffè, tagliata delle fette di melone, e si era messa al computer per la post produzione degli ultimi scatti, ma ecco che quelli bussarono alla porta. Polizia. Flora Hadid, lei è in arresto.
Tre mesi dopo, mentre dalla fialetta tra le dita lunghissime beveva in due sorsi il suo collagene al mirtillo, ammirava le mura gelide della cella quasi soffocate dalle sue foto. Agli altri non era concesso tanto, mentre lei aveva ottenuto la sua scorta di collagene, caffè di qualità, rossetto, belletto, le sue foto. Era davvero bella, e chi è davvero bello può fare tutto, nessuno sciupa la bellezza, forse tutto non può avere ma può avere quello che vuole.
Mentre aspettava il caffè amaro che quella mattina tardava ad arrivare, Flora Hadid guardava certi famosi scatti immortalati da chi era venuto prima di lei, di scrittrici o reporter di guerra della sua infanzia, e la meravigliava sempre la bellezza che quelle comunque si portavano addosso mentre coi loro passi duri spostavano la polvere tra morte e macerie. Quando era piccola e guardava quelle foto di donne sui giornali era certa che quelle fossero delle dee, e la cosa influì non poco su chi era diventata. Usò il mondo per lei immediatamente accessibile, magnifico ed effimero della moda, e si ritrovò fotografa affermata in tutto il mondo. Aveva fotografato, conosciuto e stretto relazioni con celebrità in ogni angolo della società, ma mai si era immischiata direttamente con la guerra, odiava la guerra.
Poi ci fu un giorno d’autunno. Flora Hadid era seduta con la sua famiglia tra i tavolini del Caffè di Halas, sempre lo stesso – ci era cresciuta, le piaceva andarci ogni volta che dall’Occidente dove oramai viveva da tempo, tornava a fare visita alla madre e agli altri fratelli che erano rimasti a vivere in quelle terre nefaste, in memoria di loro padre – ridevano tutti, sua madre col suo tamarindo, che le somigliava tanto, lei e i suoi fratelli bevevano il solito arak, un forte alcolico.
Tutti la prendevano in giro, perchè sul suo ultimo numero Vogue aveva pubblicato la foto di un paparazzo, durante la cerimonia più chiacchierata dell’anno, indetta dal Capo di Stato del suo Occidente, oltre ad essere presenti tutte le grandi personalità del momento, si vedeva Flora Hadid accerchiata dai fotografi e dalla stampa. La compagna del Ministro degli Esteri e della Difesa, con la luminosa fascia di Miss Universo appena guadagnata, ignorata in un angolo, le faceva una smorfia assolutamente spontanea e ridicola, traboccante di invidia.
Al tavolino ridevano tutti, poi Flora Hadid aveva dovuto allontanarsi per rispondere al telefono cellulare, è una chiamata di lavoro, aveva detto a sua madre. Lì sua madre aveva alzato gli occhi su di lei. L’aveva guardata con uno sguardo grande, con uno stupore che nessuna delle due in quel momento sapeva capire , qualcosa di simile a una sospensione d’intenzioni, un vuoto, qualcosa di definitivo. Mentre Flora Hadid, all’improvviso inspiegabilmente a disagio, si allontanava dal clamore del locale per uscire dal retro sulla strada, sentì dentro di lei nascere un germe di apprensione. Non durò molto poiché tra il profumo dei cedri che ancora resistevano allo smog dei veicoli, il rombo forte nel cielo di un aereo che non si era visto, si era dovuta rallegrare amaramente della notizia della sua agente che riferiva che la Miss il Ministro suo marito in persona, si auguravano il suo tempestivo rientro in Occidente per fissare al più presto uno shooting del tutto speciale, presso la loro dimora.
Ecco la sua frivola rivalsa agli occhi del mondo, rise dentro di sé Flora Hadid, un altro capriccio di lusso a cui dovrò dire di no, aveva pensato con noncuranza.
Poi all’improvviso accadde.
Accadde proprio come accadeva in tutto il mondo, come Flora Hadid aveva solo immaginato dai giornali o dalla tv. Calore, pressione, dolore, il respiro rarefatto, e il suo corpo venne sbalzato via in alto nell’aria di cedro da un violento boato, la perdita dei sensi quasi subito.
Un uomo in divisa minuscolo, giovane, intimidito, finalmente le aveva portato il caffè amaro. Flora Hadid aveva allungato le unghie rosse tra le sbarre, gli aveva voltato le spalle quasi subito e sorseggiando il caffè si era fermata davanti a quella foto. A terra tra le macerie, l’aveva scattata lì, poco prima che arrivassero i soccorsi; i giornali internazionali poi l’avrebbero usata per un articolo che raccontava per sommi capi la tragedia del Caffè di Halas, l’ennesimo obiettivo civile ingiustificabile, spietato, inumano, reso possibile da un Occidente ipocrita che, fornendo le armi ai responsabili di quegli orrori, giocava alla guerra a casa degli altri coi morti degli altri. I pochi testimoni avevano raccontato poi di essersi finti morti e così erano sopravvissuti al bombardamento. Dopo quello erano arrivati quegli uomini infernali a mitragliare i corpi di chi ancora era in vita, coi morti si erano scattati delle fotografie esilaranti e se ne erano andati intonando canti festosi.
Flora Hadid era stata tra quelli che si erano finti morti. Si era alzata dopo ore solo quando erano iniziati ad arrivare i soccorsi, ma lì già aveva la foto che l’avrebbe posseduta per sempre.
Pochi giorni dopo essere rientrata nel suo Occidente, tra le tante lettere di condoglianze ne arrivò una dalla neo Miss e del Ministro suo marito.
Aveva completamente dimenticato il loro invito. Scrivevano adesso di essere sinceramente dispiaciuti per il dramma di Halas in cui era rimasta vittima tutta la sua famiglia, e avrebbero desiderato sopra ogni altra cosa accoglierla, presso la loro dimora, per riprendere il discorso dello shooting, sarebbero stati onorati se non avesse voluto declinare.
Flora Hadid guardò quel rilancio di invito con occhi vuoti e il voltastomaco.
Un Occidente ipocrita che fornendo le armi giocava alla guerra a casa degli altri coi morti degli altri.
All’istante qualcosa di molto chiaro le passò nello sguardo. Chiamò la sua agente e le disse di fissare un appuntamento con i due celebri coniugi l’indomani.
Mentre si trovava seduta nella elegante poltrona animalier, in un salotto abbacinato, fece caso alla strana puzza che emanavano i cuscini. Era del tutto disinteressata alla bella donna in lustro con la sua nastrina traslucida sul petto, si chiese se portarsela sempre appiccicata addosso facesse parte del contratto da Miss Universo. Quella bellezza non aveva sapore né spessore, ed era proprio quello che avrebbe immortalato e quella donna ne sarebbe stata felicissima; solo nella migliore delle ipotesi quando quella, ritrovandosi da sola, si sarebbe rivista, avrebbe provato una sensazione di profonda tristezza e avrebbe attinto alla sua polverina bianca.
Flora Hadid era davvero bella lì seduta in quella sciocca poltrona, era bella e poteva fare tutto perché nessuno avrebbe sciupato la sua bellezza, tutto non poteva avere ma avrebbe avuto quello che voleva.
Mentre aspettava che la Miss le portasse del Martini ghiacciato – che il Ministro suo marito era in bagno a farsi bello per il loro shooting per la copertina di quella famosa rivista internazionale ma era certa che fosse lì lì per arrivare – Flora Hadid guardava calma e assorta fuori dalla porta finestra che affacciava sui terreni lussureggianti di proprietà dei coniugi. Pensava che non era esatto credere che le persone semplicemente cambiassero nel tempo, come se in loro tradissero un inizio. Era ingenuo come pensiero, piuttosto le persone nel tempo si avvicinavano sempre di più a diventare chi erano davvero. Per quanto di magnifico o doloroso accadesse nelle vite di tutti, come pure la perdita di chi più si ama al mondo, tutto era giusto, perfettamente al suo posto; un giorno alla volta ci si avvicinava sempre di più a chi si era davvero. Fece un lungo sospiro. Era mattino presto, lo shooting per rendere al meglio aveva bisogno della bella luce diurna, e la Miss aveva già lo stomaco forte per un Martini ghiacciato. Prevedibile, come prevedibile era pure la menzogna del Ministro suo marito che in quel momento era impegnato a tirare su cocaina dal lavandino del bagno la cui porta aveva dimenticato di chiudere.
La Miss le si era seduta davanti, era a disagio. Dalla mano inanellata aveva allungato il Martini ghiacciato dedicato all’ospite. Flora Hadid le aveva finalmente rivolto la sua attenzione, calma, lo sguardo pieno, la stessa posizione da circa venti minuti.
Le gambe accavallate l’una sull’altra, seduta di sbieco sulla poltrona con il corpo che si rivolgeva altrove come fa chi con la sua semplice presenza ha il controllo disinteressato su tutto e tutti nella qualsiasi stanza. Una mano aperta morbidamente sul bracciolo, l’altra raccoglieva con innata eleganza il bel viso tra il pollice e il dito indice e medio. Flora Hadid si scompose ma invece di prendere il Martini che educatamente aveva rifiutato, piuttosto si era cacciata dalla tasca della giacca una fialetta del suo collagene al mirtillo. La Miss allora, costernata ma pure indispettita, si era scusata se effettivamente a quell’ora presto del mattino il Martini poteva non essere di suo gradimento ma, furbesca e sinceramente incuriosita, le domandò se quello che stava per bere fosse forse il suo elisir di bellezza. Flora Hadid sorrise lievemente, buttando velocemente l’aria fuori dal naso. Non le si può nascondere niente Miss. Quella, tutta imbarazzata ed eccitata, le disse che mai avrebbe voluto essere invadente ma se per caso avesse voluto condividere il suo segreto con lei allora ne sarebbe stata felicissima e mai lo avrebbe rivelato a qualcuno .
Flora Hadid le disse che in realtà avrebbe potuto fare di più, aveva lì con lei proprio un paio di quelle fialette che sì, erano il segreto della sua bellezza, e avrebbe potuto prenderne due, una per lei e una per suo marito, come un regalo da parte sua. La Miss emise un gridolino sgraziato, si torturò le mani dalla frenesia e disse:
“Ma una sola condizione mia cara Miss.”
“Tutto quello che vuole Miss Hadid!”
“Una cosa semplice, dunque: se lei e suo marito volete che questa faccia effetto, dovrete prenderla tutte le mattine non appena svegli, a stomaco vuoto, a partire da…adesso? Che ne dice, il suo Martini può aspettare?”
La Miss prese le fialette di collagene, che però avevano un altro colore rispetto a quelle di Flora Hadid, quasi gliele strappò dalle mani e si precipitò dal Ministro suo marito come una bimba a cui hanno fatto il miglior regalo del mondo.
“Sa di mirtillo, un po’ troppo dolce, ma va giù bene”, le buttò dietro Flora Hadid che, occhio al suo orologio, iniziò ad attendere i dieci minuti previsti.
Poi si alzò, andò nel corridoio dove affacciava il bagno e trovò quello che si aspettava. Miss Universo e il Ministro degli Esteri e della Difesa suo marito riversi a terra, l’uno sull’altro, in una composizione ridicola.
Un Occidente ipocrita che fornendo le armi gioca alla guerra a casa degli altri coi morti degli altri.
Firmato Flora Hadid, una vittima qualunque.
Ebbe premura di lasciare il biglietto gelido a terra davanti ai due cadaveri, poi fece la sua foto e se ne andò.
L’Occidente, dopo ipocriti anni di pace, iniziò ad essere anche lui attaccato militarmente e a subire quelle stesse stragi di civili con armi che i paesi stranieri, giocando d’anticipo per necessità e sopravvivenza, si stavano procurando altrove.
La bellezza può far tutto, tutto non può avere ma può avere quello che vuole.
Fotografia di Daria Lazo/@_darialazo_