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11 Dicembre 2023

VOCI DA CHA­TI­LA, LUO­GO DI VITA E RESI­STEN­ZA

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Il cam­po pro­fu­ghi nasce come solu­zio­ne tem­po­ra­nea in rispo­sta ad una situa­zio­ne di cri­si, un luo­go dove le per­so­ne che fug­go­no da guer­re e vio­len­ze pos­so­no tro­va­re un rifu­gio sicu­ro in atte­sa di poter tor­na­re alle pro­prie vite. Pur­trop­po, in alcu­ni casi, la vita nel cam­po diven­ta un lim­bo dal qua­le è dif­fi­ci­le usci­re, tra­sfor­man­do­si in una situa­zio­ne a lun­go ter­mi­ne che non con­tem­pla solu­zio­ni che sia­no di ritor­no alle pro­prie case, o di nor­ma­liz­za­zio­ne all’interno del pae­se ospi­tan­te in quan­to per­so­ne con dirit­ti assi­cu­ra­ti da una cit­ta­di­nan­za.

Il Liba­no è il Pae­se che ospi­ta il mag­gior nume­ro di rifu­gia­ti pro capi­te al mon­do, con­tan­do 10 cam­pi uffi­cia­li e nume­ro­si cam­pi infor­ma­li, situa­ti tra le aree rura­li del pae­se e le cit­tà prin­ci­pa­li. Tut­ta­via, dal momen­to che non risul­ta tra i pae­si fir­ma­ta­ri del­la Con­ven­zio­ne di Gine­vra del 1951, alle per­so­ne che si tro­va­no sui suoi ter­ri­to­ri non vie­ne rico­no­sciu­to lo sta­tus di rifu­gia­to. Per que­sto moti­vo, le per­so­ne che vivo­no nei cam­pi in Liba­no si tro­va­no ad affron­ta­re situa­zio­ni di pro­fon­da mar­gi­na­liz­za­zio­ne e di nega­zio­ne dei loro dirit­ti pri­ma­ri.

Ad abi­ta­re sto­ri­ca­men­te i cam­pi pro­fu­ghi liba­ne­si sono i pale­sti­ne­si, costret­ti a lascia­re la loro ter­ra in segui­to alla crea­zio­ne del­lo Sta­to di Israe­le, la cui nasci­ta li ha con­dan­na­ti ad una vita in esi­lio negan­do­gli ogni pos­si­bi­li­tà di ritor­no.

L’e­so­do di mas­sa del popo­lo pale­sti­ne­se è ini­zia­to nel 1948 con la Nak­ba, che let­te­ral­men­te si tra­du­ce “la cata­stro­fe”. Nak­ba fa rife­ri­men­to all’e­sca­la­tion di even­ti cau­sa­ti dal pro­ces­so di crea­zio­ne del­lo Sta­to di Israe­le in segui­to alla Riso­lu­zio­ne 181 del­l’As­sem­blea Gene­ra­le (A.G.) del­le Nazio­ni Uni­te (U.N.) del 1947, con la qua­le la Pale­sti­na sto­ri­ca fu divi­sa in due Sta­ti, uno ara­bo e uno ebrai­co, con Geru­sa­lem­me posta sot­to un regi­me spe­cia­le inter­na­zio­na­le.

Come con­se­guen­za, nel 1948, scop­piò una guer­ra tra le due fazio­ni e lo stes­so anno l’As­sem­blea UN, con la Riso­lu­zio­ne 194, isti­tuì la Com­mis­sio­ne di Con­ci­lia­zio­ne per la Pale­sti­na (UNC­CP), per aiu­ta­re le par­ti a rag­giun­ge­re una solu­zio­ne defi­ni­ti­va, riaf­fer­man­do il dirit­to al ritor­no degli sfol­la­ti pale­sti­ne­si (riso­lu­zio­ne 194,III, Assem­blea Gene­ra­le del­le Nazio­ni Uni­te). L’an­no suc­ces­si­vo fu isti­tui­ta l’A­gen­zia del­le Nazio­ni Uni­te per il Soc­cor­so e l’Oc­cu­pa­zio­ne dei Rifu­gia­ti Pale­sti­ne­si nel Vici­no Orien­te (UNR­WA), che diven­ne ope­ra­ti­va nel 1950, con l’o­biet­ti­vo di rispon­de­re alle esi­gen­ze del popo­lo pale­sti­ne­se per un perio­do limi­ta­to, nell’attesa che i rifu­gia­ti potes­se­ro tor­na­re ad abi­ta­re nel­la loro ter­ra una vol­ta risol­to il con­flit­to.

Pur­trop­po, la Sto­ria ha pre­so una dire­zio­ne ben diver­sa: dopo 75 anni dal­la Nak­ba il popo­lo pale­sti­ne­se si tro­va ad affron­ta­re con­di­zio­ni di vita sem­pre peg­gio­ri in Pale­sti­na, a cau­sa del regi­me di occu­pa­zio­ne e del­l’op­pres­sio­ne del gover­no israe­lia­no. Allo stes­so tem­po, il gover­no israe­lia­no non ha mai rispet­ta­to la riso­lu­zio­ne 194 che san­ci­sce il dirit­to al ritor­no per i pro­fu­ghi. Per que­sto moti­vo, per i pale­sti­ne­si in dia­spo­ra il ritor­no nel­la pro­pria ter­ra rima­ne un sogno lon­ta­no ma mai dimen­ti­ca­to, tenu­to in vita e tra­smes­so gene­ra­zio­ne dopo gene­ra­zio­ne.

UNR­WA rap­pre­sen­ta un esem­pio uni­co per il suo impe­gno di lun­ga data nei con­fron­ti di uno spe­ci­fi­co grup­po di rifu­gia­ti. Quan­do ha ini­zia­to ad ope­ra­re nel 1950, le per­so­ne regi­stra­te pres­so l’agenzia era­no cir­ca 750,000. Ad oggi, quat­tro gene­ra­zio­ni dopo la Nak­ba, alme­no 5,9 milio­ni di Pale­sti­ne­si fan­no affi­da­men­to ad UNR­WA per ave­re acces­so a ser­vi­zi qua­li edu­ca­zio­ne, assi­sten­za medi­ca e socia­le.

Tra i nume­ri uffi­cia­li dei rifu­gia­ti in Liba­no, più di 479,000 Pale­sti­ne­si sono regi­stra­ti con UNR­WA e cir­ca il 45% vive nei cam­pi pre­sen­ti sul ter­ri­to­rio liba­ne­se. In segui­to alla Nak­ba, cir­ca 110,000 Pale­sti­ne­si han­no tro­va­to rifu­gio in Liba­no. Si trat­ta­va, per la mag­gior par­te, di pale­sti­ne­si pro­ve­nien­ti dal Nord del­la Pale­sti­na: dai vil­lag­gi del­la Gali­lea, insie­me alle cit­tà costie­re di Jaf­fa, Hai­fa e Acre.

Sto­ri­ca­men­te, mol­ti rifu­gia­ti han­no pre­fe­ri­to abi­ta­re nei cen­tri urba­ni liba­ne­si. Una scel­ta det­ta­ta da un mag­gior nume­ro di oppor­tu­ni­tà lavo­ra­ti­ve e abi­ta­ti­ve, insie­me alla spe­ran­za di riu­sci­re ad assi­mi­lar­si meglio al tes­su­to urba­no, sfrut­tan­do l’anonimato del­la gran­de cit­tà per usci­re dal­lo stig­ma del rifu­gia­to.

Cha­ti­la è uno dei quat­tro cam­pi pro­fu­ghi pale­sti­ne­si che si tro­va nel peri­me­tro urba­no del­la capi­ta­le liba­ne­se, Bei­rut. Situa­to nel­la peri­fe­ria sud del­la cit­tà, il cam­po occu­pa uno spa­zio di appe­na un chi­lo­me­tro qua­dra­to. Costrui­to in segui­to alla Nak­ba nel 1949 dal­la Cro­ce Ros­sa Inter­na­zio­na­le, l’anno suc­ces­si­vo vie­ne pre­so in gestio­ne da UNR­WA, da cui vie­ne tut­to­ra ammi­ni­stra­to. Cha­ti­la, insie­me all’adiacente quar­tie­re chia­ma­to Sabra, rap­pre­sen­ta una del­le zone di Bei­rut in cui la vita costa meno. In anni più recen­ti, a cau­sa del­la cri­si dila­gan­te che ha inve­sti­to il Liba­no, il cam­po si è tra­sfor­ma­to sem­pre di più in quel­lo che può sem­bra­re un quar­tie­re peri­fe­ri­co del­la cit­tà, diven­ta­to casa di tan­ti rifu­gia­ti siria­ni, insie­me a lavo­ra­to­ri migran­ti di diver­se nazio­na­li­tà e agli stes­si cit­ta­di­ni liba­ne­si. Infat­ti, vie­ne sti­ma­to che l’80% del­la popo­la­zio­ne liba­ne­se è arri­va­ta a vive­re sot­to la soglia di pover­tà, di cui il 36% in con­di­zio­ni di pover­tà estre­ma, men­tre il 90% di rifu­gia­ti siria­ni non rie­sce a sod­di­sfa­re i pro­pri biso­gni base.

Cha­ti­la vie­ne costrui­to per ospi­ta­re cir­ca 3,000 uni­tà abi­ta­ti­ve. Oggi, sen­za la pos­si­bi­li­tà di amplia­re lo spa­zio desi­gna­to al cam­po, ci vivo­no tra le 30 e le 40 mila per­so­ne. Mol­ti cam­pi sono carat­te­riz­za­ti dal sovraf­fol­la­men­to e da una situa­zio­ne abi­ta­ti­va pre­ca­ria, ma per alcu­ni que­sta situa­zio­ne è più evi­den­te che in altri e Cha­ti­la è uno di que­sti.

Anche se oggi la pre­sen­za pale­sti­ne­se è mol­to bas­sa, cir­ca il 30% del­la popo­la­zio­ne rispet­to alle altre nazio­na­li­tà pre­sen­ti all’in­ter­no del cam­po, appe­na si met­te pie­de den­tro Cha­ti­la è chia­ro che si sta entran­do in un cam­po pale­sti­ne­se.

L’ingresso prin­ci­pa­le si tro­va subi­to dopo un check point del­le for­ze arma­te liba­ne­si, simi­le a tan­ti altri che si tro­va­no in altre par­ti del­la cit­tà e lun­go le stra­de che col­le­ga­no il pae­se. Nes­su­no ti fer­ma, il tas­si­sta e il mili­ta­re di tur­no si scam­bia­no un salu­to e si pas­sa velo­ce­men­te dall’altra par­te. Supe­ra­to il posto di bloc­co s’incontra il cimi­te­ro dei mar­ti­ri pale­sti­ne­si, costel­la­to da ban­die­re e da imma­gi­ni dei mar­ti­ri. Sul­la fac­cia­ta prin­ci­pa­le risal­ta un gran­de mura­les rap­pre­sen­tan­te Ara­fat, lea­der sto­ri­co pale­sti­ne­se che è sta­to sia diri­gen­te dell’Organizzazione per la Libe­ra­zio­ne del­la Pale­sti­na (OLP), sia di Fatah, par­ti­to pale­sti­ne­se che attual­men­te detie­ne la mag­gio­ran­za in Cisgior­da­nia, nono­stan­te negli anni suc­ces­si­vi al suo deces­so, avve­nu­to nel 2004, abbia per­so mol­to con­sen­so a cau­sa del­la linea poli­ti­ca con­si­de­ra­ta dal­la popo­la­zio­ne trop­po accon­di­scen­den­te rispet­to alle richie­ste di Israe­le.

Supe­ra­to il cimi­te­ro dei mar­ti­ri, che vie­ne visi­ta­to soprat­tut­to per la fine del Rama­dan e duran­te le feste nazio­na­li pale­sti­ne­si, si rag­giun­ge il cam­po vero e pro­prio. Qua, le stra­de si fan­no più stret­te, i palaz­zi si svi­lup­pa­no in altez­za per­ché non c’è più spa­zio sul ter­re­no, i tet­ti del­le case arri­va­no qua­si a sfio­rar­si, impe­den­do alla luce di rag­giun­ge­re i vico­li sot­to­stan­ti. La mag­gior par­te del­le vol­te, i pia­ni più alti dei palaz­zi sono anche quel­li più ampi e spa­zio­si, com­pro­met­ten­do la sta­bi­li­tà di edi­fi­ci che si tro­va­no ad ave­re una base più stret­ta rispet­to alla par­te supe­rio­re. In alcu­ne stra­de sono sta­te mes­se del­le luci al neon per illu­mi­na­re il pas­sag­gio anche duran­te il gior­no, in altre devi sape­re bene dove anda­re o accen­de­re la luce del cel­lu­la­re per vede­re dove met­ti i pie­di. Sospe­si in que­sto reti­co­lo ci sono i cavi elet­tri­ci e i tubi dell’acqua, che spes­so han­no del­le per­di­te che cau­sa­no del­le pic­co­le poz­ze di acqua sul ter­re­no. Ogni anno a Cha­ti­la qual­cu­no muo­re ful­mi­na­to da cavi sco­per­ti in stra­da, per que­sto alcu­ni abi­tan­ti mi han­no det­to che l’elettricità nel cam­po è più peri­co­lo­sa che uti­le. Sen­za i gene­ra­to­ri pri­va­ti, infat­ti, la luce nel cam­po sareb­be dispo­ni­bi­le solo un paio di ore al gior­no. Gra­zie a dona­zio­ni ester­ne, alcu­ne asso­cia­zio­ni loca­li sono riu­sci­te a mon­ta­re dei pan­nel­li sola­ri sui tet­ti dei cen­tri dove lavo­ra­no, in modo da esse­re indi­pen­den­ti sia dal­la luce del­lo Sta­to (qua­si ine­si­sten­te), sia dal­la ben­zi­na che ser­ve per azio­na­re i gene­ra­to­ri, spes­so trop­po costo­sa per rap­pre­sen­ta­re una solu­zio­ne vali­da.

Attual­men­te l’amministrazione e gestio­ne del cam­po sono pre­se in cari­co da UNR­WA, insie­me al Comi­ta­to Popo­la­re costi­tui­to da abi­tan­ti del cam­po e altre asso­cia­zio­ni, sia inter­na­zio­na­li che no. Lo Sta­to liba­ne­se, in segui­to ai mas­sa­cri com­mes­si nei con­fron­ti del­la popo­la­zio­ne pale­sti­ne­se duran­te gli anni del­la guer­ra civi­le, non ha più pote­re di giu­ri­sdi­zio­ne nel­le aree deli­mi­ta­te dai cam­pi pro­fu­ghi. Negli anni, i fon­di dedi­ca­ti ai rifu­gia­ti pale­sti­ne­si si sono sem­pre più dira­da­ti, con un con­se­guen­te peg­gio­ra­men­to dei ser­vi­zi offer­ti, in par­ti­co­la­re per quan­to riguar­da l’educazione e la sani­tà. Per que­sto moti­vo, ora più che mai, gli abi­tan­ti di Cha­ti­la si sono tro­va­ti di fron­te alla neces­si­tà di auto orga­niz­zar­si sia per quan­to riguar­da la gestio­ne del cam­po, sia per riem­pi­re il vuo­to lascia­to da un siste­ma di aiu­ti non più ben fun­zio­nan­te, che por­ta le per­so­ne in dif­fi­col­tà eco­no­mi­ca ed abi­ta­ti­va a vive­re del­le con­di­zio­ni di vul­ne­ra­bi­li­tà e pover­tà sem­pre più estre­me.

Un esem­pio di quel­la che può esse­re chia­ma­ta coo­pe­ra­zio­ne rifu­gia­to-rifu­gia­to, il cosid­det­to refu­gee-refu­gee huma­ni­ta­ria­ni­sm, è rap­pre­sen­ta­ta dall’associazione Beit Atfal Asso­moud (BAS), con cui ho avu­to la pos­si­bi­li­tà di col­la­bo­ra­re. Que­sto tipo di coo­pe­ra­zio­ne va a scar­di­na­re il prin­ci­pio foca­le del siste­ma uma­ni­ta­rio attua­le, basa­to su un’infantilizzazione del bene­fi­cia­rio di aiu­ti uma­ni­ta­ri, che non vie­ne in alcun modo coin­vol­to nel­le poli­ti­che e nel­le deci­sio­ni che lo riguar­da­no, ma che piut­to­sto gli ven­go­no cala­te dall’alto come veri­tà già scrit­te, sen­za che gli ven­ga lascia­to lo spa­zio per dare voce ai pro­pri biso­gni e alle pro­po­ste, fon­da­men­ta­li, che dovreb­be­ro par­ti­re dal­le per­so­ne inte­res­sa­te.

BAS nasce nel 1976, un anno dopo lo scop­pio del­la guer­ra civi­le liba­ne­se, in segui­to al mas­sa­cro di Tal Al Zaa­tar, un cam­po pro­fu­ghi pale­sti­ne­se situa­to a Bei­rut Est. Il cam­po ha resi­sti­to ed è rima­sto sot­to asse­dio per 52 gior­ni, duran­te i qua­li nume­ro­si abi­tan­ti sono mor­ti di fame, sete e altre malat­tie. Alla fine, più di due­mi­la per­so­ne sono sta­te ucci­se dal­le mili­zie cri­stia­ne liba­ne­si. In segui­to a que­sto ter­ri­bi­le even­to, l’associazione ha comin­cia­to ad offri­re assi­sten­za ai bam­bi­ni rima­sti orfa­ni dal mas­sa­cro, insie­me al resto del­la popo­la­zio­ne col­pi­ta.

Il mas­sa­cro di Tal Al Zaa­tar è sta­to segui­to da altri duran­te la guer­ra civi­le. Il quar­tie­re di Sabra e il cam­po pro­fu­ghi di Cha­ti­la sono sta­ti la sce­na di uno degli even­ti più bru­ta­li e san­gui­no­si di quel perio­do. Il mas­sa­cro di Sabra e Cha­ti­la è avve­nu­to nel 1982, duran­te l’invasione israe­lia­na del Liba­no, ma il cam­po è rima­sto per tut­ta la guer­ra civi­le un tar­get di con­ti­nui attac­chi ver­so la popo­la­zio­ne. Oltre due­mi­la per­so­ne sono sta­te ucci­se dal 15 al 18 set­tem­bre 1982 in que­sto enne­si­mo attac­co con­tro la popo­la­zio­ne civi­le pale­sti­ne­se.

Duran­te que­sti perio­di di scon­tri e vio­len­ze, duran­te i qua­li Cha­ti­la è rima­sto sot­to asse­dio per lun­ghi perio­di, un grup­po di volon­ta­ri ha comin­cia­to ad aiu­ta­re in tut­ti i modi pos­si­bi­li le fami­glie e le per­so­ne più col­pi­te dagli even­ti. Come nel caso di Tal Al Zaa­tar, anche in segui­to al mas­sa­cro di Sabra e Cha­ti­la mol­ti bam­bi­ni sono rima­sti orfa­ni o han­no per­so gran par­te del­le loro fami­glie. I volon­ta­ri di BAS han­no ini­zia­to anche qui a por­ta­re il loro soste­gno e da quel momen­to non han­no più smes­so di sup­por­ta­re la loro comu­ni­tà. Alcu­ni di loro che era­no volon­ta­ri all’epoca lavo­ra­no anco­ra all’interno dell’associazione, come nel caso del­la diret­tri­ce del cen­tro Aida e di Amal, una del­le assi­sten­ti socia­li.

Par­lan­do con Aida nel suo uffi­cio nel cen­tro di BAS, le ho chie­sto qua­li fos­se­ro le dif­fi­col­tà mag­gio­ri di lavo­ra­re nel cam­po. “Come BAS abbia­mo cen­tri in ognu­no dei die­ci cam­pi pale­sti­ne­si in Liba­no, ma quel­lo di Cha­ti­la risul­ta il con­te­sto più dif­fi­ci­le. Pote­te imma­gi­na­re, dopo l’invasione israe­lia­na e il mas­sa­cro il cam­po era distrut­to, vuo­to. Abbia­mo vis­su­to dei momen­ti mol­to dif­fi­ci­li, ma abbia­mo con­ti­nua­to a vive­re e a fare il nostro lavo­ro”. Aida è diven­ta­ta una volon­ta­ria dopo il mas­sa­cro. Dice di esse­re sta­ta for­tu­na­ta, per­ché la sua casa e la sua fami­glia sono sta­ti rispar­mia­ti, ma alme­no due­cen­to bam­bi­ni era­no rima­sti orfa­ni. Insie­me agli altri volon­ta­ri cer­ca­va di occu­par­si di loro, di far­li ride­re anco­ra, di dar­gli la for­za di con­ti­nua­re nono­stan­te il dolo­re.

Quan­do Amal ha ini­zia­to a fare la volon­ta­ria per BAS, era al pri­mo anno di uni­ver­si­tà e stu­dia­va per diven­ta­re assi­sten­te socia­le. Duran­te uno dei nostri incon­tri, le ho chie­sto di rac­con­tar­mi gli anni del­la guer­ra e di come aves­se ini­zia­to a fare il suo lavo­ro. “Duran­te la guer­ra, le mili­zie liba­ne­si cir­con­da­va­no il cam­po, nes­su­no pote­va usci­re, anche quan­do bom­bar­da­va­no. Il cen­tro di BAS era vici­no a casa mia, così ho ini­zia­to a fre­quen­tar­lo per aiu­ta­re la mia gen­te. Alter­na­vo la mia vita secon­do que­sti due momen­ti: quan­do il cam­po era aper­to, usci­vo e anda­vo in uni­ver­si­tà. Quan­do tor­na­va sot­to asse­dio, rima­ne­vo a casa e lavo­ra­vo come volon­ta­ria”.

Il cen­tro uffi­cia­le dell’associazione è sta­to aper­to due anni dopo il mas­sa­cro, nel 1984. All’epoca, il gover­no liba­ne­se non per­met­te­va ai pale­sti­ne­si di apri­re cen­tri per le loro asso­cia­zio­ni. Per que­sto moti­vo, BAS ha chie­sto a un team di medi­ci bel­gi con cui era­no in con­tat­to di aiu­tar­li ad apri­re uno spa­zio per il loro lavo­ro. Dopo aver par­la­to con l’ambasciata bel­ga, sono riu­sci­ti a orga­niz­za­re l’apertura del cen­tro, che da quel momen­to ha ini­zia­to ad ospi­ta­re e pro­muo­ve­re vari pro­get­ti ed atti­vi­tà per la popo­la­zio­ne loca­le.

Amal, in quan­to assi­sten­te socia­le, svol­ge­va la mag­gior par­te del­le sue atti­vi­tà con i bam­bi­ni. Pas­san­do mol­to tem­po con loro, si rese con­to che per la mag­gior par­te era­no ter­ro­riz­za­ti dal buio. Duran­te la guer­ra, infat­ti, i cavi elet­tri­ci era­no sta­ti taglia­ti e una vol­ta cala­to il sole tut­to il cam­po piom­ba­va nel buio più tota­le. I bam­bi­ni ave­va­no vis­su­to espe­rien­ze trau­ma­ti­che, dal­le ucci­sio­ni di mas­sa ai bom­bar­da­men­ti, sen­za poter con­ta­re sul con­for­to di una luce. Per que­sto moti­vo Amal deci­se di sce­glie­re la stan­za più buia del nuo­vo cen­tro e così ha ini­zia­to a svol­ge­re atti­vi­tà e gio­chi al suo inter­no. Il suo obiet­ti­vo era quel­lo di crea­re dei nuo­vi ricor­di posi­ti­vi lega­ti al buio per quei bam­bi­ni, così che potes­se­ro tor­na­re a sen­tir­si al sicu­ro anche in assen­za di luce.

Il cen­tro di BAS è costi­tui­to da cin­que pia­ni e un ter­raz­zo sul tet­to che vie­ne usa­to come spa­zio di gio­co per i bam­bi­ni. All’interno del­la strut­tu­ra, al pri­mo pia­no si tro­va­no una cli­ni­ca den­ti­sti­ca e gli uffi­ci degli assi­sten­ti socia­li, dove avven­go­no le distri­bu­zio­ni di cibo e vesti­ti, ma che sono anche luo­go di incon­tro e dia­lo­go per le per­so­ne che han­no biso­gno di soste­gno. Salen­do, si tro­va­no sia le clas­si per la scuo­la mater­na che quel­le per le atti­vi­tà del pome­rig­gio e le clas­si di soste­gno per i bam­bi­ni del­le ele­men­ta­ri che han­no biso­gno di ripe­ti­zio­ni. All’ultimo pia­no si tro­va la stan­za più gran­de, che vie­ne usa­ta sia per le riu­nio­ni sia per atti­vi­tà qua­li la dab­ke (dan­za tipi­ca pale­sti­ne­se), tea­tro, dise­gno e le riu­nio­ni del grup­po scout, una del­le atti­vi­tà imple­men­ta­te recen­te­men­te da BAS.

Kha­led, un gio­va­ne pale­sti­ne­se che lavo­ra per BAS come assi­sten­te socia­le, mi ha rac­con­ta­to come duran­te la sua infan­zia la sua casa di quat­tro pia­ni fos­se la più alta del cam­po, da cui pote­va vede­re il mare. Ad oggi, vede­re l’orizzonte da Cha­ti­la diven­ta qua­si impos­si­bi­le, con­si­de­ran­do che le case ven­go­no costrui­te sem­pre più vici­ne le une alle altre e che ogni edi­fi­cio con­ta alme­no set­te od otto pia­ni.

Il cen­tro di BAS a Cha­ti­la rap­pre­sen­ta uno spa­zio sicu­ro per i bam­bi­ni e le fami­glie del cam­po che sono segui­ti dall’associazione e che pos­so­no usu­frui­re dei loro pro­get­ti ed atti­vi­tà. Il cen­tro è uno spa­zio aper­to alla comu­ni­tà, in cui spes­so le per­so­ne si fer­ma­no a par­la­re anche solo per scam­bia­re qual­che paro­la, per ave­re un momen­to di con­fron­to e con­for­to. Per la diret­tri­ce del cen­tro Aida, il con­tat­to con la comu­ni­tà rima­ne la par­te fon­da­men­ta­le del loro lavo­ro, come mi ha più vol­te riba­di­to duran­te i nostri incon­tri. “Abbia­mo crea­to que­sto cen­tro per sta­re con le per­so­ne, per ascol­tar­le. Ho lavo­ra­to in que­sta asso­cia­zio­ne per 40 anni e ho visto le con­di­zio­ni di vita all’interno del cam­po dete­rio­rar­si sem­pre più. Nono­stan­te que­sto, quan­do incon­tro le madri di que­sti bam­bi­ni le rin­gra­zio, per­ché con­ti­nua­no a sop­por­ta­re que­sta vita e a pren­der­si cura dei loro figli. Cer­co di inco­rag­giar­le, di dar­gli la for­za di con­ti­nua­re, per­ché sia­mo pale­sti­ne­si e dob­bia­mo con­ti­nua­re a resi­ste­re fino al gior­no in cui fare­mo ritor­no alla nostra ter­ra”.

La mis­sio­ne di BAS è quel­la di con­tri­bui­re allo svi­lup­po e al raf­for­za­men­to del­la comu­ni­tà pale­sti­ne­se in Liba­no, attra­ver­so pro­get­ti che han­no come obiet­ti­vo quel­lo di rispon­de­re ai biso­gni del­le fami­glie, aiu­tan­do­le ad amplia­re le cono­scen­ze e com­pe­ten­ze dei bam­bi­ni, dei gio­va­ni e dei loro geni­to­ri. In par­ti­co­lar modo ven­go­no aiu­ta­te e sup­por­ta­te le fami­glie più vul­ne­ra­bi­li, all’interno del­le qua­li è venu­ta a man­ca­re la figu­ra pater­na per deces­so, o nel­la qua­le uno o più indi­vi­dui sono gra­ve­men­te mala­ti, tan­to da non poter lavo­ra­re.

Amal mi ha rac­con­ta­to di aver assi­sti­to sia alla guer­ra, sia ai cam­bia­men­ti che si sono sus­se­gui­ti negli anni all’interno del cam­po. Le neces­si­tà del­le per­so­ne sono in con­ti­nua evo­lu­zio­ne e così anche i pro­get­ti di BAS. “Quan­do abbia­mo ini­zia­to a lavo­ra­re con BAS, ci con­cen­tra­va­mo soprat­tut­to sugli orfa­ni o sul­le fami­glie che ave­va­no per­so i padri a cau­sa del­la guer­ra. Poi ci sia­mo resi con­to che c’erano tan­te fami­glie pove­re, nel­le qua­li i com­po­nen­ti era­no mala­ti o inva­li­di, così abbia­mo ini­zia­to a sup­por­ta­re anche loro. Oggi­gior­no, mol­te per­so­ne che vivo­no nel cam­po sof­fro­no di malat­tie fisi­che o men­ta­li a cau­sa del­le attua­li con­di­zio­ni di vita e a cau­sa del­le feri­te che si por­ta­no anco­ra die­tro dal­la guer­ra ”.

Secon­do Amal, la for­za del lavo­ro di BAS sta pro­prio nel loro approc­cio basa­to sul­la comu­ni­tà, per la comu­ni­tà. L’associazione è loca­le e nasce da pale­sti­ne­si del cam­po, che san­no come aiu­ta­re le per­so­ne per­ché loro stes­si vivo­no le stes­se situa­zio­ni di vita.

Duran­te il mio perio­do di lavo­ro nel cam­po, mi è capi­ta­to spes­so di accom­pa­gna­re Amal duran­te le visi­te alle fami­glie. La pri­ma cosa di cui mi sono resa con­to è sta­ta che, oltre ad esse­re la loro assi­sten­te socia­le, sem­bra­va che fos­se ormai par­te del nucleo fami­lia­re. Anche io, seb­be­ne fos­si solo un’ascoltatrice, veni­vo accol­ta calo­ro­sa­men­te dopo esse­re sta­ta pre­sen­ta­ta da Amal. Cam­mi­nan­do ver­so l’ufficio men­tre tor­na­va­mo da una di que­ste visi­te, mi è venu­to spon­ta­neo chie­der­le come faces­se ad esse­re così ben­vo­lu­ta in quei con­te­sti fami­lia­ri. “È per­ché sono anche io del cam­po, ho vis­su­to le loro stes­se espe­rien­ze, vivo come vivo­no loro. Pro­vo quel­lo che anche loro pro­va­no, cono­sco le dif­fi­col­tà con cui si scon­tra­no ogni gior­no. A vol­te si tro­va­no in del­le situa­zio­ni in cui non pos­so fare nien­te per aiu­tar­li, se han­no malat­tie par­ti­co­la­ri o non abbia­mo i fon­di neces­sa­ri per le cure, o l’istruzione dei figli. Però sono pre­sen­te in ogni caso, cer­co di ascol­tar­li, dare con­for­to. Anche que­sto è impor­tan­te”.

Le pro­ble­ma­ti­che lega­te alla man­can­za di ser­vi­zi all’interno del cam­po sono sem­pre più cri­ti­che. A cau­sa del­la cri­si eco­no­mi­ca tut­to è diven­ta­to più costo­so, soprat­tut­to i medi­ci­na­li, che sono sem­pre più dif­fi­ci­li da tro­va­re. Come con­se­guen­za, un mag­gior nume­ro di per­so­ne del cam­po non può per­met­ter­si di paga­re le pro­prie cure, dipen­den­do sem­pre più dall’aiuto di asso­cia­zio­ni uma­ni­ta­rie. I pale­sti­ne­si del cam­po resi­sto­no, ma si sen­to­no sem­pre più abban­do­na­ti ed esclu­si dal­le agen­de e dal­le agen­zie inter­na­zio­na­li. San­no che i fon­di desti­na­ti ad UNR­WA, in costan­te dimi­nu­zio­ne, un gior­no ces­se­ran­no del tut­to, lascian­do­li sen­za alcun aiu­to. L’esistenza del siste­ma uma­ni­ta­rio all’interno di Cha­ti­la risul­ta fon­da­men­ta­le, dal momen­to che le leg­gi liba­ne­si impe­di­sco­no ai rifu­gia­ti pale­sti­ne­si, così come a chiun­que altro sen­za cit­ta­di­nan­za, di rico­pri­re alme­no 70 posi­zio­ni lavo­ra­ti­ve, ren­den­do mol­to dif­fi­ci­le la pos­si­bi­li­tà di tro­va­re un lavo­ro e costrin­gen­do così le per­so­ne a dipen­de­re dal­le orga­niz­za­zio­ni uma­ni­ta­rie.

Ho chie­sto ad Amal cosa ne pen­sas­se dell’attuale situa­zio­ne uma­ni­ta­ria lega­ta al cam­po e ai rifu­gia­ti pale­sti­ne­si. “I pae­si e la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le voglio­no far­la fini­ta, dimen­ti­ca­re la que­stio­ne pale­sti­ne­se. Con le guer­re che ci sono sta­te, i mas­sa­cri, l’impossibilità di tro­va­re lavo­ro, il Liba­no sta cer­can­do di spin­ge­re i gio­va­ni a lascia­re il pae­se, a dimen­ti­car­si del­le pro­prie ori­gi­ni e cam­bia­re iden­ti­tà. Nono­stan­te tut­te le dif­fi­col­tà, noi non dimen­ti­che­re­mo mai la nostra ter­ra, la Pale­sti­na, e non smet­te­re­mo mai di riven­di­ca­re il nostro dirit­to al ritor­no. Mai. Per que­sto moti­vo è impor­tan­te il nostro lavo­ro, soprat­tut­to per quan­to riguar­da i gio­va­ni, per con­ti­nua­re a resi­ste­re, per­ché non sap­pia­mo quan­do, ma sap­pia­mo che tor­ne­re­mo”.

La tra­smis­sio­ne del­la memo­ria, gene­ra­zio­ne dopo gene­ra­zio­ne, è un altro dei pun­ti car­di­ne dell’associazione. Ogni anno ven­go­no cele­bra­te nel cam­po le festi­vi­tà nazio­na­li pale­sti­ne­si. Due degli even­ti più impor­tan­ti sono la Gior­na­ta del­la Ter­ra (30 mar­zo) e la Gior­na­ta in com­me­mo­ra­zio­ne del­la Nak­ba (15 mag­gio). In que­ste occa­sio­ni, i bam­bi­ni ven­go­no vesti­ti con gli abi­ti tra­di­zio­na­li, tes­su­ti a mano dal­le don­ne del cen­tro di rica­mo di BAS. Insie­me ad altre asso­cia­zio­ni del cam­po orga­niz­za­no dei cor­tei per le stra­de di Cha­ti­la, ai qua­li tut­ti pos­so­no par­te­ci­pa­re e duran­te i qua­li s’intonano le can­zo­ni sto­ri­che pale­sti­ne­si, che par­la­no di esi­lio, appar­te­nen­za e lot­ta. La fol­la si con­cen­tra poi in Piaz­za del Popo­lo, l’unico spa­zio aper­to di aggre­ga­zio­ne nel cam­po, nel qua­le i bam­bi­ni si esi­bi­sco­no con can­zo­ni, bal­li tra­di­zio­na­li e pic­co­le rap­pre­sen­ta­zio­ni tea­tra­li.

L’associazione por­ta nel suo stes­so nome la riven­di­ca­zio­ne del­la pro­pria ter­ra. Tra­dot­to dall’arabo, Beit Atfal Asso­moud signi­fi­ca infat­ti “la casa dei bam­bi­ni resi­lien­ti”. Le per­so­ne più anzia­ne del­la comu­ni­tà, a cui è sta­to rac­con­ta­to del­la Pale­sti­na e che ricor­da­no, han­no il dove­re di tra­smet­te­re que­sta memo­ria col­let­ti­va alle nuo­ve gene­ra­zio­ni.

Come mi ha con­fes­sa­to Aida in una del­le nostre con­ver­sa­zio­ni, quan­do suo non­no è mor­to è sta­to come “per­de­re la Pale­sti­na due vol­te”, per­ché lui era l’ul­ti­mo del­la sua fami­glia ad aver visto la loro ter­ra e a ricor­dar­la.

Nell’attesa del ritor­no, BAS con­ti­nua a sup­por­ta­re e ad assi­cu­ra­re assi­sten­za alla pro­pria comu­ni­tà, offren­do alle nuo­ve gene­ra­zio­ni la pos­si­bi­li­tà e i mez­zi per miglio­ra­re la loro vita nel cam­po, che anche nel­la rou­ti­ne quo­ti­dia­na rap­pre­sen­ta un for­te mez­zo di resi­sten­za.

Secon­do Aida, è fon­da­men­ta­le che le per­so­ne con­ti­nui­no a par­la­re del­la situa­zio­ne dei rifu­gia­ti pale­sti­ne­si, soprat­tut­to nei pae­si este­ri. La Pale­sti­na non può esse­re dimen­ti­ca­ta, ed è con­vin­ta che con il soste­gno del­la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le e di tut­ti i sin­go­li che sosten­go­no la loro cau­sa, riu­sci­ran­no a tor­na­re nel­la pro­pria ter­ra. “Per­ché la Pale­sti­na non è solo dei pale­sti­ne­si, ma è di ogni per­so­na che cre­de nei dirit­ti, nel­la digni­tà uma­na, che tut­ti nel mon­do pos­sa­no ave­re una ter­ra e una casa, che tut­ti pos­sa­no ave­re una spe­ran­za”.

 

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