Il 10 aprile del 1991, alla Stazione Livorno Radio è in corso un progetto sperimentale che prevede la registrazione 24 ore su 24 del canale 16 VHF, utilizzato per le comunicazioni di soccorso e di emergenza in mare. Quella sera la RAI trasmette la semifinale di Coppa delle Coppe tra Barcellona e Juventus. Nello stesso momento le petroliere Agip Abruzzo e Agip Napoli, insieme a sei navi militarizzate americane di ritorno dalla Guerra del Golfo, sono all’ancora nella rada di Livorno. Un traghetto della compagnia Na.Var.Ma è appena partito in direzione di Olbia.
Sul canale 16, intorno alle 22:20, una voce, in inglese, avvisa: “The passenger ship, the passenger ship… ”. Qualche minuto dopo, alle 22:25, il Moby Prince entra in collisione con l’Agip Abruzzo e sul nastro si incide per sempre il debolissimo May-day lanciato dalla nave passeggeri che, sembra, nessuno abbia mai ricevuto. Delle 141 persone a bordo – tra passeggeri e membri dell’equipaggio – uno solo sopravvive. La storia della più grande tragedia della marina civile italiana inizia da lì. Dopo più di trent’anni, una lunga e controversa storia processuale, tre commissioni parlamentari d’inchiesta – l’ultima ancora in corso -, su alcuni punti si è finalmente fatta luce, ma alcune cruciali questioni non hanno ancora trovato risposta. La storia del Moby Prince è un enorme puzzle fatto di tanti piccoli pezzi: alcuni sono andati perduti, altri sono stati nascosti, altri ancora sepolti per anni sotto cumuli di verbali e testimonianze. È anche una storia dimenticata, liquidata con superficialità dalla narrazione ufficiale costruita nell’immediatezza dei fatti e rimossa dalla memoria di molti. Resta impressa, invece, in quella dei familiari delle 140 vittime, e di chi, come noi, crede che si debba continuare a cercarne la verità e custodirne la traccia.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.