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Agosto
9 Agosto 2023

SALA­RIO MINI­MO, UNO SPEC­CHIET­TO PER LE ALLO­DO­LE

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Le allo­do­le sono uccel­li di pic­co­la taglia dal can­to pia­ce­vo­le e sot­ti­le e sono ani­ma­ti da uno spic­ca­to sen­so del­la curio­si­tà, per que­sto ven­go­no atti­ra­te con sem­pli­ci gio­chi di luce che i cac­cia­to­ri usa­no da sem­pre per ucci­der­le. Si uti­liz­za­no stru­men­ti che ruo­ta­no sul­la cui som­mi­tà ven­go­no instal­la­ti pic­co­li spec­chi riflet­ten­ti che, nel­l’at­to di rotea­re, pro­du­co­no rifles­si velo­ci e irre­go­la­ri del­la luce sola­re. I famo­si “spec­chiet­ti per le allo­do­le” non sono altro che un ingan­no uti­le ad atti­ra­re l’at­ten­zio­ne di que­sti uccel­li per indur­li in trap­po­la. Da qui l’e­spres­sio­ne, ormai abu­sa­ta ma com­pren­si­bi­le a tut­ti, che ci aiu­ta a descri­ve­re una situa­zio­ne nel­la qua­le, ad esem­pio, si vie­ne ingan­na­ti facen­do­ci pun­ta­re l’at­ten­zio­ne su qual­co­sa di poca impor­tan­za, per nascon­der­ci qual­co­sa che meri­ta­va inve­ce il nostro pie­no inte­res­se.

È un po’ quel­lo che sta avve­nen­do oggi sul­la dibat­tu­tis­si­ma que­stio­ne del “sala­rio mini­mo”. Ten­go a pre­ci­sa­re che sono d’ac­cor­do sul fat­to che i sala­ri non deb­ba­no esse­re al di sot­to di una soglia di buon sen­so e di digni­tà per tut­ti i lavo­ra­to­ri e le lavo­ra­tri­ci, per tut­te le man­sio­ni e pro­fes­sio­ni, com­pre­se quel­le auto­no­me e arti­sti­che. Per cui, in sin­te­si, pos­so dir­mi d’ac­cor­do sul­la bat­ta­glia per sta­bi­li­re un mini­mo sala­ria­le al di sot­to del qua­le nes­su­no potreb­be o dovreb­be anda­re.

In Ita­lia sia­mo bra­vi a com­pli­car­ci la vita e lo fac­cia­mo da sem­pre. Tra le mate­rie più osti­che, non solo dal pun­to di vista acca­de­mi­co, vi è quel­la del mer­ca­to del lavo­ro dove, per mez­zo di un inca­stro deli­ca­tis­si­mo, si devo­no met­te­re assie­me biso­gni del­la par­te lavo­ra­tri­ce e quel­li del­la par­te dato­ria­le. Basta adden­trar­si nel­l’o­scu­ra mate­ria del cosid­det­to “cuneo fisca­le”, ovve­ro la dif­fe­ren­za tra il costo tota­le soste­nu­to dal dato­re di lavo­ro per paga­re uno sti­pen­dio e l’ef­fet­ti­va cifra che si met­te in tasca il lavo­ra­to­re, per com­pren­de­re quan­to sia dif­fi­ci­le tro­va­re il ban­do­lo del­la matas­sa. Ma non è dif­fi­ci­le com­pren­de­re che anche il cuneo fisca­le inci­de sul­l’oc­cu­pa­zio­ne, per­ché è diret­ta­men­te col­le­ga­to al costo del lavo­ro. Dun­que, qui entra in gio­co il sala­rio mini­mo che ci pone davan­ti ad una doman­da bana­le ma allo stes­so tem­po impor­tan­te: il sala­rio mini­mo può influen­za­re nega­ti­va­men­te l’oc­cu­pa­zio­ne? Qual­cu­no sostie­ne di sì e altri sosten­go­no il con­tra­rio. Per via del­la pre­mes­sa sul cuneo fisca­le, se si deci­des­se di alza­re l’a­sti­cel­la del sala­rio mini­mo, potreb­be esse­re logi­co pen­sa­re che un’im­pre­sa in dif­fi­col­tà – per una mol­ti­tu­di­ne di varia­bi­li nega­ti­ve assai fre­quen­ti in Ita­lia, dove il 97% del­le impre­se sono micro-real­tà e non poten­ti mul­ti­na­zio­na­li – si tro­vi costret­ta a licen­zia­re una par­te del­la for­za lavo­ro che ades­so le vie­ne a costa­re un po’ di più.

Il che ci por­ta a soste­ne­re che l’au­men­to dei sala­ri influi­sce nega­ti­va­men­te su quel­le impre­se che loro mal­gra­do devo­no deci­de­re di taglia­re la for­za lavo­ro per i costi aumen­ta­ti, miglio­ran­do in par­te le con­di­zio­ni di vita del­le per­so­ne assun­te poi­ché vie­ne loro rico­no­sciu­to un sala­rio leg­ger­men­te mag­gio­ra­to e pro­du­cen­do però un’u­sci­ta anti­ci­pa­ta dal mon­do del lavo­ro di una par­te più o meno signi­fi­ca­ti­va del­la mano­do­pe­ra. Per la pecu­lia­ri­tà ita­lia­na, pos­sia­mo anche imma­gi­na­re che una par­te dei con­trat­ti che pri­ma era­no “in chia­ro” si tra­sfor­mi­no in “con­trat­ti pira­ta” (o in nero), al fine di un pos­si­bi­le rispar­mio dato dal­l’e­ven­tua­le eva­sio­ne con­tri­bu­ti­va da par­te del­l’im­pre­sa. Ma in fin dei con­ti, nume­ri alla mano, qua­le ter­re­mo­to potreb­be pro­vo­ca­re l’a­do­zio­ne di un sala­rio mini­mo mag­gio­re? La Ban­ca Mon­dia­le dichia­ra che «l’impatto com­ples­si­vo del­le rifor­me EPL (legi­sla­zio­ne sul­la tute­la del lavo­ro) e del sala­rio mini­mo è infe­rio­re a quan­to sug­ge­ri­reb­be l’intensità del dibat­ti­to. La mag­gior par­te del­le sti­me degli impat­ti sui livel­li di occu­pa­zio­ne ten­do­no a esse­re insi­gni­fi­can­ti o mode­ste». (1)

In poche paro­le, il sala­rio mini­mo non gio­ca un ruo­lo fon­da­men­ta­le sul siste­ma. È per que­sto che il sala­rio mini­mo è così dibat­tu­to, per­ché di fat­to non spo­sta l’at­ten­zio­ne sul qua­dro siste­mi­co gene­ra­le, quel­lo che in ulti­ma ana­li­si influi­sce real­men­te sul­le dise­gua­glian­ze. Sono sem­mai le poli­ti­che di “fles­si­bi­liz­za­zio­ne” del lavo­ro che han­no com­por­ta­to per­di­te deva­stan­ti dei dirit­ti dei lavo­ra­to­ri, accan­to al fat­to che assu­me­re in Ita­lia costa sem­pre di più alle micro-impre­se. La discus­sio­ne poli­ti­ca sul sala­rio mini­mo dovreb­be esse­re spo­sta­ta quan­to­me­no sul sala­rio medio ita­lia­no, tra i più bas­si d’Eu­ro­pa, non­ché sul­le con­di­zio­ni di pre­ca­rie­tà alle qua­li sono sot­to­po­ste inte­re gene­ra­zio­ni di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci.

Voglia­mo isti­tui­re un sala­rio mini­mo più alto? Direi che è sacro­san­to. Voglia­mo valu­ta­re gli impat­ti che esso potrà ave­re sul mer­ca­to del lavo­ro? Se ascol­tia­mo la Ban­ca Mon­dia­le allo­ra non avrem­mo di che pre­oc­cu­par­ci, ma sic­co­me il nostro siste­ma del mer­ca­to del lavo­ro è quan­to­me­no “par­ti­co­la­re”, allo­ra si potreb­be valu­ta­re l’im­pat­to del sala­rio mini­mo, come ha pro­po­sto Andrea Gar­ne­ro, «non par­ten­do con una nor­ma gene­ra­le, ma spe­ri­men­tan­do un sala­rio mini­mo per leg­ge o gri­glie sala­ria­li basa­te sui con­trat­ti col­let­ti­vi in un nume­ro limi­ta­to di set­to­ri, carat­te­riz­za­ti da mag­gio­re cri­ti­ci­tà, per poter­ne valu­ta­re ade­gua­ta­men­te gli impat­ti eco­no­mi­ci e quel­li sul siste­ma di rela­zio­ni indu­stria­li» (2). Mi sem­bra però che stia­mo elu­den­do i veri pro­ble­mi, le vere gran­di que­stio­ni che dovreb­be­ro impe­gna­re tut­to il dibat­ti­to pub­bli­co, ovve­ro quel­le del­le dise­gua­glian­ze, del­la pre­ca­rie­tà e del­la feli­ci­tà del­le clas­si lavo­ra­tri­ci.

La pre­ca­rie­tà, che è a tut­ti gli effet­ti para­dig­ma di buo­na par­te del mer­ca­to del lavo­ro ita­lia­no (e non solo), inci­de sicu­ra­men­te sugli effet­ti di un pos­si­bi­le aumen­to del sala­rio mini­mo, per­ché in Ita­lia la pla­tea di per­so­ne pas­si­bi­li di “licen­zia­men­to faci­le” è la più nume­ro­sa, visti i dati del­l’OC­SE nel rap­por­to Strict­ness of employ­ment pro­tec­tion: dove si evin­ce che un lavo­ra­to­re ita­lia­no è più licen­zia­bi­le di un lavo­ra­to­re tede­sco, polac­co o unghe­re­se (3). Se il sala­rio mini­mo aumen­ta, è pro­ba­bi­le che una par­te di tut­ta quel­la fascia di per­so­ne, che si tro­va­no ai mar­gi­ni del mon­do del lavo­ro (gio­va­ni, don­ne, pre­ca­ri ecc.) e che soli­ta­men­te vivo­no di con­trat­ti pre­ca­ri, veda­no la per­di­ta pres­so­ché imme­dia­ta del­la pro­pria occu­pa­zio­ne. Ma se la pre­ca­rie­tà gio­ca un ruo­lo deci­si­vo, allo­ra è qui che dovrem­mo pun­ta­re la nostra atten­zio­ne ed è qui (e non solo) che gio­ca­no i gran­di.

La pre­ca­rie­tà è uno degli  ele­men­ti prin­ci­pa­li che dovrem­mo con­si­de­ra­re per arri­va­re al noc­cio­lo del­la que­stio­ne. La pre­ca­rie­tà fa male alla salu­te men­ta­le e il lavo­ro, soprat­tut­to da par­te del­le nuo­ve gene­ra­zio­ni, vie­ne inte­so ormai solo come stru­men­to di mera soprav­vi­ven­za e nien­t’al­tro, in una dimen­sio­ne che ren­de l’in­di­vi­duo estra­neo dal­la socie­tà. Con tut­to ciò che ne con­se­gue in par­te­ci­pa­zio­ne atti­va alla vita poli­ti­ca del Pae­se. La pre­ca­rie­tà non è una con­di­zio­ne recen­te e non è una con­di­zio­ne solo ita­lia­na. Era mol­to dif­fu­sa alme­no per i pri­mi set­tan­t’an­ni del­lo svi­lup­po indu­stria­le dal­la metà del­l’Ot­to­cen­to, dove gli indi­vi­dui si occu­pa­va­no di diver­se atti­vi­tà lavo­ra­ti­ve simul­ta­nea­men­te, per assi­cu­rar­si la sus­si­sten­za qua­lo­ra l’at­ti­vi­tà prin­ci­pa­le fos­se venu­ta meno. Solo dopo il secon­do dopo-guer­ra, nel­la metà del seco­lo scor­so, sem­pre più cre­scen­ti fet­te del­la mano­do­pe­ra si sta­bi­liz­za­ro­no in luo­ghi di lavo­ro per mol­to tem­po, spes­so per tut­ta la vita, anche sul­la spin­ta del­le scel­te key­ne­sia­ne da par­te dei gover­ni, che intro­du­ce­va­no l’oc­cu­pa­zio­ne a tem­po inde­ter­mi­na­to dei lavo­ra­to­ri come l’e­le­men­to fon­da­men­ta­le del­le poli­ti­che eco­no­mi­che del tem­po. Non per nien­te gli “Uffi­ci del­la Mas­si­ma Occu­pa­zio­ne”, isti­tui­ti dal Mini­stro Fan­fa­ni nel 1948, ave­va­no pre­so que­sto nome che oggi potrem­mo leg­ge­re sola­men­te nel­la dida­sca­lia di una vignet­ta sati­ri­ca. Que­sto model­lo è entra­to in cri­si dagli anni Set­tan­ta, fino ad arri­va­re alla sosti­tu­zio­ne del­la “lot­ta alla disoc­cu­pa­zio­ne” con la “lot­ta all’in­fla­zio­ne” con tut­te le con­se­guen­ze eco­no­mi­co-socia­li che sono emer­se, dal­la ridu­zio­ne del­le poli­ti­che di wel­fa­re alle rifor­me del lavo­ro che han­no spin­to nuo­va­men­te ver­so la pre­ca­rie­tà inte­re mas­se di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci. Che dite? Pos­sia­mo affer­ma­re che il mon­do del lavo­ro ha fat­to un sal­to indie­tro di cen­to anni?

Se sul pia­no nazio­na­le assi­stia­mo allo sci­vo­la­men­to ver­so il pas­sa­to di un cen­ti­na­io di anni, sul pia­no sovra-nazio­na­le assi­stia­mo ad un sal­to indie­tro mol­to più gran­de, con il ritor­no di nuo­vi siste­mi di schia­vi­tù vera e pro­pria, soprat­tut­to in quei Pae­si che qual­cu­no ama defi­ni­re “in via di svi­lup­po” — se per “svi­lup­po” inten­dia­mo il mon­do pre­ca­rio e disor­di­na­to, fat­to di dise­gua­glian­za e sfrut­ta­men­to, che tan­to accet­ta­no sia le destre che le sini­stre del poli­ti­cal­ly cor­rect occi­den­ta­li. Così, con le poli­ti­che eco­no­mi­che nazio­na­li di pre­ca­riz­za­zio­ne pre­ven­ti­va abbia­mo per di più assi­sti­to (e assi­stia­mo) a delo­ca­liz­za­zio­ni di alcu­ne impre­se ita­lia­ne che pre­fe­ri­sco­no spo­sta­re la pro­du­zio­ne in Pae­si “lon­ta­ni”, al cui inter­no coe­si­sto­no poli­ti­che del dirit­to del lavo­ro e del­la sal­va­guar­dia del­l’am­bien­te meno strin­gen­ti o pres­so­ché ine­si­sten­ti. Così nel frat­tem­po l’I­ta­lia per­de quan­ti­tà e qua­li­tà di lavo­ro, ali­men­tan­do dispa­ri­tà e con­cor­ren­za non solo tra lavo­ra­to­ri inter­ni al siste­ma-Pae­se ma anche tra lavo­ra­to­ri di Pae­si diver­si. Solo tra i Pae­si euro­pei, l’I­ta­lia si ritro­va con il 14% cir­ca di occu­pa­ti in meno rispet­to alla media comu­ni­ta­ria, che peral­tro rice­vo­no un sala­rio con­si­de­re­vol­men­te più bas­so dei rispet­ti­vi col­le­ghi euro­pei. Secon­do l’Eu­ro­stat, nel 2021 gli sti­pen­di medi in Euro­pa han­no rag­giun­to i 33.511 euro: 3.560 euro in più di quel­li che gua­da­gna un dipen­den­te ita­lia­no. Mi vie­ne da pen­sa­re che il pro­ble­ma sia mol­to più gran­de e che il discor­so vada allar­ga­to al “mon­do del lavo­ro ita­lia­no” in gene­ra­le, sen­za accon­ten­tar­ci di par­la­re di sala­rio mini­mo che, sì è neces­sa­rio, ma non cam­bia gli ingra­nag­gi del­la mac­chi­na.

Vor­rei fare una pre­ci­sa­zio­ne. Par­la­re oggi di siste­mi nazio­na­li sem­bra un po’ come non guar­da­re alla real­tà e ai nuo­vi siste­mi di pote­re glo­ba­li che gui­da­no le scel­te del mon­do inte­ro (colos­si mul­ti­na­zio­na­li che rie­sco­no ad influen­za­re le deci­sio­ni dei gover­ni nazio­na­li e sovra-nazio­na­li), ma cre­do che con­cen­trar­ci sul siste­ma-Pae­se, non solo sia più sem­pli­ce, ma sia con­di­zio­ne per com­pren­de­re che la paro­la “glo­ca­le” ha la sua effet­ti­va vali­di­tà anco­ra oggi.

Non solo la glo­ba­liz­za­zio­ne, e con essa le nuo­ve fron­tie­re del­la poli­ti­ca e del­l’e­co­no­mia tran­sa­zio­na­li e cosmo­po­li­ti­che, ma anche le recen­ti fron­tie­re dell’innovazione tec­no­lo­gi­ca con­tri­bui­sco­no all’im­po­ve­ri­men­to del lavo­ro come “luo­go e tem­po” del­la col­let­ti­vi­tà. La tec­no­lo­gia, più pre­ci­sa­men­te la robo­tiz­za­zio­ne e l’in­for­ma­tiz­za­zio­ne dei pro­ces­si pro­dut­ti­vi, pas­san­do per l’in­tel­li­gen­za arti­fi­cia­le, da una par­te può evi­ta­re all’uo­mo e alla don­na il com­pi­men­to di man­sio­ni peri­co­lo­se o alta­men­te stres­san­ti, ma dal­l’al­tra ridu­ce la for­za lavo­ro neces­sa­ria. Pos­so­no esse­re un vei­co­lo di miglio­ra­men­to del­le con­di­zio­ni di lavo­ro, ma pos­so­no sosti­tui­re il lavo­ro uma­no e, sen­za una equa redi­stri­bu­zio­ne del­le risor­se eco­no­mi­che gene­ra­te dal­la tec­no­lo­gia, ci tro­ve­rem­mo in pochi anni davan­ti ad una mas­sa enor­me di disoc­cu­pa­ti ben più ampia di quel­la che pos­sia­mo con­ta­re oggi. Cre­do che le due cose pos­sa­no però anda­re di pari pas­so: libe­ra­re i lavo­ra­to­ri e le lavo­ra­tri­ci dal­le man­sio­ni più depri­men­ti e de-per­so­na­liz­zan­ti (o alie­nan­ti), garan­ten­do a tut­ti un sala­rio uni­ver­sa­le che con­se­gni a tut­ti il dirit­to a vive­re digni­to­sa­men­te, un lavo­ro di buo­na qua­li­tà (e paga­to equa­men­te) accom­pa­gna­to da un red­di­to di dirit­to per quel­li che non potran­no, ine­vi­ta­bil­men­te per tut­ta una serie di cir­co­stan­ze, acce­de­re al mon­do del lavo­ro per tem­pi più o meno lun­ghi. L’an­ti­co mot­to “lavo­ra­re meno, lavo­ra­re tut­ti” pos­sie­de oggi gli stru­men­ti tec­no­lo­gi­ci per poter­si espri­me­re nel­la real­tà con­cre­ta. Abbia­mo a dispo­si­zio­ne la tec­no­lo­gia adat­ta, abbia­mo a dispo­si­zio­ne la quan­ti­tà di risor­se eco­no­mi­che uti­le per fare que­sto pas­sag­gio epo­ca­le: man­ca la volon­tà, sia poli­ti­ca che, sopra­tut­to, “di clas­se”. Alla doman­da che soli­ta­men­te si pone ora, e cioè dove tro­va­re le risor­se per un sala­rio uni­ver­sa­le garan­ti­to, si rispon­de con alcu­ni nume­ri eccel­len­ti: l’e­va­sio­ne fisca­le, gli extra-pro­fit­ti del­le gran­di mul­ti­na­zio­na­li, la ridu­zio­ne del­le spe­se in arma­men­ti e così via. Si capi­sce, par­lan­do di que­sti argo­men­ti e di que­sti nume­ri, che il sala­rio mini­mo è argo­men­to dav­ve­ro, dav­ve­ro mise­ro.

Ma tor­nia­mo alla pre­ca­rie­tà, che por­ta con sé tut­te con­si­de­ra­zio­ni pur­trop­po vec­chie come il capi­ta­li­smo. In una situa­zio­ne del gene­re come è pos­si­bi­le pen­sa­re di costrui­re pro­get­ti di vita? Il ritor­no alla plu­ri-atti­vi­tà (come a metà del­l’Ot­to­cen­to, dice­va­mo) non con­sen­te al pre­ca­rio quel­la sere­ni­tà deci­sio­na­le che gli per­met­te d’intraprendere un sen­tie­ro sta­bi­le e defi­ni­ti­vo duran­te la pro­pria esi­sten­za. Di pari pas­so quel siste­ma di wel­fa­re imma­gi­na­to e costrui­to (non dagli indu­stria­li) duran­te il perio­do del­la pri­ma indu­stria­liz­za­zio­ne non fun­zio­na più, così come i mec­ca­ni­smi che assi­cu­ra­va­no un red­di­to ai pen­sio­na­ti tra­mi­te la con­tri­bu­zio­ne gene­ra­ta dai lavo­ra­to­ri atti­vi. L’al­ta aspet­ta­ti­va di vita dei nostri anzia­ni non va di pari pas­so con il ver­sa­men­to dei con­tri­bu­ti neces­sa­ri al paga­men­to del­le loro pen­sio­ni. In fin dei con­ti il pre­ca­ria­to non con­vie­ne ai lavo­ra­to­ri, non con­vie­ne ai pen­sio­na­ti, non con­vie­ne alla mag­gior par­te dei cit­ta­di­ni e dei non-cit­ta­di­ni ita­lia­ni. Con­vie­ne però al capi­ta­li­smo e ai gros­si grup­pi indu­stria­li, ai qua­li puoi benis­si­mo par­la­re di isti­tui­re un sala­rio mini­mo, ma non puoi pen­sa­re di seder­ti con loro per ridi­se­gna­re un Pae­se (o un mon­do) più equo. Ed è que­sto il pun­to: stia­mo par­lan­do di alza­re i livel­li sala­ria­li ad un mini­mo di nove o die­ci euro l’o­ra, non solo men­tre in Ger­ma­nia il sala­rio mini­mo è asse­sta­to già a dodi­ci euro ora­ri, ma men­tre stia­mo tra­la­scian­do tut­to il resto. Si è evo­lu­ta la tec­no­lo­gia ma con essa non si è evo­lu­ta la socie­tà e la poli­ti­ca arran­ca ad aggrap­par­si a pic­co­li e insi­gni­fi­can­ti spa­zi di pote­re, quan­do il pote­re (lo san­no anche i sas­si) è sta­to con­se­gna­to tem­po fa al capi­ta­le. «Quel­li che abbia­mo elet­to non han­no il pote­re. E quel­li che han­no il pote­re non li abbia­mo elet­ti», ci ricor­da Ulrich Beck. (4)

Tut­to il pano­ra­ma poli­ti­co nazio­na­le con la pri­ma fila occu­pa­ta dai cosid­det­ti “pro­gres­si­sti di sini­stra” stan­no discu­ten­do di come svuo­ta­re il mare con il sec­chiel­lo, men­tre là fuo­ri una mas­sa inde­fi­ni­ta di per­so­ne fru­stra­te (den­tro e fuo­ri l’Eu­ro­pa) guar­da con sem­pre mag­gio­re sim­pa­tia a quei movi­men­ti poli­ti­ci il cui sco­po è quel­lo di man­te­ne­re la situa­zio­ne così com’è, ali­men­tan­do la guer­ra fra pove­ri, con tut­to ciò che ne con­se­gue dal pun­to di vista cul­tu­ra­le e poli­ti­co. L’im­pe­gno per un mon­do del lavo­ro più giu­sto pas­sa anche da un sala­rio mini­mo cor­ri­spon­den­te alle rea­li neces­si­tà del­le clas­si lavo­ra­tri­ci (non solo dipen­den­ti, ma anche auto­no­me), ma non pos­sia­mo fer­mar­ci qui e pen­sa­re che qual­che euro in più all’o­ra nel­le tasche di chi lavo­ra (meglio che nien­te) pos­sa rein­di­riz­za­re il mon­do del lavo­ro ver­so la stra­da di una mag­gio­re sta­bi­li­tà. Sve­lia­mo final­men­te un segre­to a tut­ti gli appas­sio­na­ti di sala­rio mini­mo: la sod­di­sfa­zio­ne per­so­na­le, col­let­ti­va, e la feli­ci­tà dei sin­go­li indi­vi­dui non pas­sa attra­ver­so pochi euro in più al mese, ma soprat­tut­to attra­ver­so la con­di­zio­ne di sicu­rez­za per il futu­ro e di appar­te­nen­za del­le per­so­ne alla socie­tà. Se il sala­rio mini­mo è l’ob­biet­ti­vo per poter giu­sti­fi­ca­re la pro­pa­gan­da poli­ti­ca e la soprav­vi­ven­za di alcu­ne for­ze nel pano­ra­ma par­la­men­ta­re, sia­mo davan­ti ad un nuo­vo spec­chiet­to per le allo­do­le e, benin­te­so, le allo­do­le sia­mo noi.

  1. World Bank, 2013. World Deve­lo­p­ment Report 2013: Jobs. World Bank Publi­ca­tions, Washing­ton DC, p. 261
  2. https://lavoce.info/archives/101592/sul-salario-minimo-ce-ancora-tanto-da-discutere/
  3. https://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=EPL_OV
  4. U. Beck, Pote­re e con­tro­po­te­re nel­l’e­tà glo­ba­le, Later­za, pre­fa­zio­ne, 2019
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