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Gennaio
11 Gennaio 2024

RIPEN­SA­RE IL TRA­GI­CO

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Come rap­pre­sen­ta­re il tra­gi­co, ovve­ro l’ineluttabile, oggi? Chia­ria­mo pre­li­mi­nar­men­te cosa inten­do con “tra­gi­co”: tra­gi­co è tut­to ciò che di dolo­ro­so s’impone all’eroe sen­za che quest’ultimo pos­sa in alcun modo evi­tar­lo o respin­ger­lo. Il tra­gi­co è, appun­to, l’ineluttabile. L’eroe tra­gi­co non è respon­sa­bi­le del­le pro­prie disgra­zie, que­ste gli sono impo­ste dall’esterno sen­za che egli sia dota­to del­la pos­si­bi­li­tà di elu­der­le.

Dob­bia­mo ades­so chia­ri­re in che sen­so s’im­po­ne il pro­ble­ma di come rap­pre­sen­ta­re il tra­gi­co “oggi”: per­ché il que­si­to sul­la con­fi­gu­ra­zio­ne del tra­gi­co dev’essere ripro­po­sto? Per­ché non è suf­fi­cien­te stu­dia­re la sto­ria del­la tra­ge­dia? Per­ché oggi ci tro­via­mo in una con­di­zio­ne meta­fi­si­ca del tut­to inau­di­ta che ci obbli­ga, eo ipso, a ripen­sa­re anche le for­me del tra­gi­co; que­sta con­di­zio­ne è quel­la che pos­sia­mo chia­ma­re “post-meta­fi­si­ca”. Il mon­do che abi­tia­mo non è più un cosmo, né fina­li­sti­ca­men­te né mec­ca­ni­ci­sti­ca­men­te inte­so. Con la mor­te di Dio annun­cia­ta da Nie­tzsche [1], sono mor­te anche le Moi­re e noi non per­ce­pia­mo più le nostre vite come ret­te da un desti­no pre­sta­bi­li­to, al cui ordi­ne nep­pu­re il padre degli dèi pote­va oppor­si. Venu­to meno il desti­no, tut­ta­via, vie­ne meno anche l’elemento di ine­lut­ta­bi­li­tà pro­prio del­la tra­ge­dia. Essa dev’essere allo­ra rifon­da­ta su nuo­ve basi.

Sic­co­me è la rap­pre­sen­ta­zio­ne arti­sti­ca del tra­gi­co che c’interessa di rifon­da­re, pos­sia­mo par­ti­re ope­ran­do una pri­ma distin­zio­ne tra due cate­go­rie di tra­gi­co: il tra­gi­co in sé e il tra­gi­co per lo spet­ta­to­re. Que­sta distin­zio­ne può esse­re ricon­dot­ta anche alla seguen­te: il tra­gi­co secon­do la fabu­la e il tra­gi­co secon­do l’intreccio. Com’è noto, la fabu­la è la sto­ria nel suo ordi­ne logi­co-cro­no­lo­gi­co, men­tre l’intreccio è l’ordine nar­ra­ti­vo dato a tale fabu­la: due esem­pi attra­ver­so i qua­li è pos­si­bi­le regi­stra­re un’asimmetria tra fabu­la e intrec­cio sono quel­li del­la pro­les­si o fla­sh­for­ward e dell’analessi o fla­sh­back [2].

Il tra­gi­co per lo spet­ta­to­re o secon­do l’intreccio

Que­sta for­ma di tra­gi­co non neces­si­ta di even­ti che, nel­la manie­ra stes­sa in cui si sono svol­ti, risul­ti­no ine­lut­ta­bi­li. Det­to altri­men­ti, per gli eroi del­la sto­ria non vi è neces­sa­ria­men­te per­ce­zio­ne del tra­gi­co. Essi pos­so­no, dun­que, esse­re respon­sa­bi­li del­le loro azio­ni: ciò che con­ta è che lo spet­ta­to­re per­ce­pi­sca gli even­ti come ine­lut­ta­bi­li. Com’è pos­si­bi­le rea­liz­za­re ciò?

Per rispon­de­re è neces­sa­rio fare una bre­ve digres­sio­ne meta­fi­si­ca. Abbia­mo det­to che gli dèi gre­ci era­no, nono­stan­te la loro poten­za, sot­to­mes­si al desti­no, il qua­le, per­tan­to, pote­va costi­tui­re il tes­su­to del­la tra­ge­dia anti­ca in quan­to ele­men­to di ine­lut­ta­bi­li­tà.

Potrem­mo tut­ta­via obiet­ta­re che ciò era vero solo per­ché i gre­ci non con­ce­pi­va­no i loro dèi come onni­po­ten­ti. Il con­cet­to di desti­no non poté dun­que soprav­vi­ve­re al Dio cri­stia­no, il qua­le pote­va tut­to. Eppu­re vi è qual­co­sa che anche il dio onni­po­ten­te non può modi­fi­ca­re: il pas­sa­to. Ciò che è fat­to non può esse­re disfat­to.

Tut­ti noi, nei nostri limi­ti uma­ni, abbia­mo la capa­ci­tà di modi­fi­ca­re il pre­sen­te e il futu­ro – che poi que­sta capa­ci­tà sia un rea­le pote­re o sol­tan­to un’illusione non impor­ta per il nostro pro­po­si­to, nel­la misu­ra in cui la per­ce­pia­mo come effet­ti­va – per cui, venu­ta meno la gab­bia del desti­no, le sfe­re del pre­sen­te e dell’avvenire sfug­go­no al con­cet­to di ine­lut­ta­bi­le. Inve­ce, anche in assen­za di un desti­no che ci deter­mi­ni, noi per­ce­pia­mo anco­ra il pas­sa­to come qual­co­sa di immo­di­fi­ca­bi­le e, per­tan­to, d’ineluttabile. È pos­si­bi­le fare espe­rien­za di ciò nel feno­me­no del rimor­so.

Dob­bia­mo dun­que capi­re come tra­spor­re, gra­zie all’intreccio, que­sto sen­so d’ineluttabilità del pas­sa­to. Ciò è pos­si­bi­le, a nostro avvi­so, in due modi:

1. Attra­ver­so un intrec­cio linea­re che rac­con­ta gli even­ti pre­ce­den­ti e cau­san­ti un fat­to dolo­ro­so a tut­ti noto.

È neces­sa­rio che tale fat­to sia noto per­ché lo spet­ta­to­re deve, nel men­tre che osser­va i per­so­nag­gi agi­re, e agi­re male, ave­re coscien­za del­le disgra­zie che essi si stan­no incon­sa­pe­vol­men­te pre­pa­ran­do, dimo­do­ché egli sen­ta come ine­vi­ta­bi­le la rovi­na che tali eroi cer­ca­no, anco­ra fidu­cio­si in quel­lo che per loro è l’avvenire, di evi­ta­re.

Il futu­ro dei nostri per­so­nag­gi deve cor­ri­spon­de­re al nostro pas­sa­to cosic­ché noi, in quan­to spet­ta­to­ri, lo per­ce­pia­mo come ine­lut­ta­bi­le, come ciò che non pote­va – o per­lo­me­no potrà – esse­re evi­ta­to: così facen­do abbia­mo una per­ce­zio­ne tra­gi­ca del dolo­re degli eroi. Lo spet­ta­to­re deve fre­me­re volen­do gri­da­re ai per­so­nag­gi: “Non fare que­sto!”, e subi­to inter­rom­per­si com­pren­den­do l’inutilità del­le sue paro­le, non tan­to per­ché i per­so­nag­gi non pos­so­no sen­tir­lo, ben­sì per­ché ciò che sta per acca­de­re è già suc­ces­so. A tale pro­po­si­to, è inte­res­san­te nota­re come C’era una vol­ta a… Hol­ly­wood di Q. Taran­ti­no sia un film anti-tra­gi­co pro­prio nel­la misu­ra in cui l’autore, attra­ver­so l’arte, si per­met­te di modi­fi­ca­re ciò che è già avve­nu­to. Ma, d’altronde, que­sto film appar­tie­ne ad un altro gene­re, quel­lo del­la favo­la, come il tito­lo stes­so lo indi­ca. Un esem­pio posi­ti­vo di que­sta spe­cie di tra­gi­co lo tro­via­mo inve­ce in Palom­bel­la Ros­sa di N. Moret­ti, e que­sto esem­pio è tan­to più inte­res­san­te in quan­to si trat­ta di un epi­so­dio meta­ci­ne­ma­to­gra­fi­co: vedia­mo il pro­ta­go­ni­sta sul pun­to di bat­te­re il rigo­re quan­do la par­ti­ta vie­ne inter­rot­ta e l’attenzione del pub­bli­co, come dei gio­ca­to­ri, vie­ne cat­tu­ra­ta dal­la sce­na fina­le del Dot­tor Ziva­go di D. Lean. È inte­res­san­te nota­re, per il nostro pro­po­si­to, come tut­ta la fol­la assi­ste alle vicen­de fina­li del­la pel­li­co­la con tra­spor­to e ansia, cer­can­do di par­te­ci­pa­re, attra­ver­so le inu­ti­li gri­da, agli even­ti nar­ra­ti.

2. Attra­ver­so un intrec­cio inver­ti­to

L’autore deve, in que­sto caso, rac­con­ta­re dap­pri­ma la fine del­la sto­ria, per poi mostra­re come i per­so­nag­gi vi si diri­go­no. È la gran­de intui­zio­ne di G. Noé in Irré­ver­si­ble [3].

Come abbia­mo det­to sopra, il pas­sa­to è irre­ver­si­bi­le, quin­di ine­lut­ta­bi­le. Biso­gna allo­ra rac­con­ta­re il dopo pri­ma, e il pri­ma dopo, dimo­do­ché lo spet­ta­to­re non abbia di fron­te a sé l’avvenire dei per­so­nag­gi (che, in vir­tù del­la sua modi­fi­ca­bi­li­tà, sfug­ge al con­cet­to di ine­lut­ta­bi­le), ben­sì il loro pas­sa­to.

Il tra­gi­co in sé o il tra­gi­co secon­do la fabu­la

Ana­liz­zia­mo, ades­so, com’è pos­si­bi­le costrui­re una sto­ria che sia in sé stes­sa tra­gi­ca. Dove por­re l’ineluttabile, se le sor­ti dei per­so­nag­gi non sono più scan­di­te dal metro­no­mo del desti­no? A que­sto pro­po­si­to ci ven­go­no in men­te due solu­zio­ni.

1. L’asino di Buri­da­no

Que­sto para­dos­so è rap­pre­sen­ta­to da un apo­lo­go che rac­con­ta di come un asi­no, ugual­men­te affa­ma­to e asse­ta­to, se posto ad ugua­le distan­za da due sec­chi, uno di acqua e uno di ave­na, non poten­do sce­glie­re ver­so qua­le dei due diri­ger­si (per­ché i biso­gni sono equi­pol­len­ti), muo­re. Ebbe­ne, que­sto para­dos­so ci mostra lo scac­co nel qua­le cade la volon­tà quan­do si tro­va di fron­te a due scel­te di iden­ti­co valo­re.

Ora cer­chia­mo di con­ce­pi­re una varia­zio­ne di que­sto para­dos­so: l’asino si tro­va, affa­ma­to e asse­ta­to, di fron­te a que­sti due sec­chi; ma imma­gi­nia­mo­ci che, anche qua­lo­ra sce­glies­se di non sce­glie­re qua­le dei due per­se­gui­re per pri­mo, limi­tan­do­si, per esem­pio, a lan­cia­re una mone­ta, l’animale sco­pris­se che la scel­ta dell’uno gli pre­clu­de quel­la dell’altro: mori­re di sete o di fame? Il tra­gi­co è dato qui dall’impas­se nel­la qua­le si tro­va la volon­tà.

Ma per­ché lo scac­co del­la volon­tà pro­du­ce il sen­so del tra­gi­co? Per­ché se l’oggetto del nostro vole­re è un’alternativa dolo­ro­sa, fat­ta di due opzio­ni altret­tan­to deplo­re­vo­li, qua­lun­que scel­ta com­piu­ta diven­ta forie­ra di dolo­re. Esso, allo­ra, cir­con­dan­do­ci da ogni lato, non ci lascia via di fuga, e così, da sem­pli­ce dolo­re, diven­ta dolo­re ine­lut­ta­bi­le, dun­que tra­gi­co.

2. Il caso

Abbia­mo ini­zia­to dicen­do come la cate­go­ria di tra­gi­co sia tra­di­zio­nal­men­te lega­ta a quel­la di desti­no. Venu­ta meno una visio­ne del mon­do fata­li­sti­ca, è pos­si­bi­le rifor­mu­la­re la tra­ge­dia a par­ti­re da una visio­ne casua­le del mon­do. Il caso e il desti­no, infat­ti, sono due fac­ce del­la stes­sa meda­glia. Anzi, il desti­no non è altro che il caso sul qua­le è impres­so il tim­bro del­la divi­ni­tà.  L’uno come l’altro, infat­ti, sono imper­scru­ta­bi­li: per­ché Edi­po deve ucci­de­re il padre e spo­sa­re la madre? Per­ché è il suo desti­no, pun­to. Essi sono ine­lut­ta­bi­li pro­prio per­ché imper­scru­ta­bi­li. Un even­to può infat­ti esse­re scon­giu­ra­to o modi­fi­ca­to solo se se ne cono­sco­no le cau­se remo­te e ori­gi­na­rie. La cosa inte­res­san­te del desti­no è pro­prio que­sta che, pur essen­do cono­sci­bi­le, non può esse­re elu­so. Ma non può esse­re elu­so per­ché non può esse­re modi­fi­ca­to. E non può esse­re modi­fi­ca­to, per­ché è sen­za per­ché.

In que­sto sen­so il desti­no ha una mag­gio­re por­ta­ta tra­gi­ca del caso: quest’ultimo, infat­ti, arri­va ina­spet­ta­to e impre­ve­di­bi­le e per­ciò risul­ta incon­trol­la­bi­le e, dun­que, ine­lut­ta­bi­le: scien­tia poten­tia est; il desti­no, inve­ce, pos­sie­de un carat­te­re pre­ve­di­bi­le (per esem­pio attra­ver­so l’oracolo), eppu­re spes­so sono pro­prio le azio­ni che cer­ca­va­no di scon­giu­rar­lo che per­met­to­no che esso si com­pia [4]. Per tale moti­vo il desti­no è mag­gior­men­te tra­gi­co del caso, quest’ultimo, infat­ti, può esse­re impu­ta­to all’ignoranza e alla fini­tez­za uma­na: un even­to casua­le può, in linea di prin­ci­pio, esse­re pre­det­to, pos­se­den­do i dati neces­sa­ri alla sua cono­scen­za. Il desti­no, inve­ce, ben­ché cono­sciu­to, anzi for­se pro­prio in vir­tù del fat­to che è cono­sciu­to, non può cio­no­no­stan­te esse­re pie­ga­to. Il caso è amor­fo, men­tre il desti­no è pro­tei­for­me, si meta­mor­fiz­za come l’acqua, a secon­da del reci­pien­te nel qua­le vie­ne inse­ri­ta. Per que­sto, il desti­no è più affa­sci­nan­te del caso. Ma quest’ultimo può, non­di­me­no, fun­ge­re da buon sur­ro­ga­to: alla fine chi ci dice che Edi­po non abbia incon­tra­to Laio per caso inve­ce che per fato?

In que­sto bre­ve e umi­le arti­co­lo non abbia­mo volu­to, ovvia­men­te, rifon­da­re il con­cet­to occi­den­ta­le di tra­gi­co [5]. Il nostro obiet­ti­vo era piut­to­sto quel­lo di com­pren­de­re, qua­si da un pun­to di vista tec­ni­co, in che modo le arti nar­ra­ti­ve potes­se­ro sup­pli­re alla visio­ne fata­li­sti­ca del mon­do che ha gene­ra­to la gran­de sta­gio­ne tra­gi­ca anti­ca. Det­to altri­men­ti: sen­za desti­no, è anco­ra pos­si­bi­le la tra­ge­dia? Per rispon­de­re posi­ti­va­men­te, abbia­mo ricer­ca­to gli effet­ti che, venen­do pro­dot­ti dal desti­no, dan­no il sen­so del tra­gi­co, e ci sia­mo chie­sti se tali effet­ti non pos­sa­no esse­re cau­sa­ti da opzio­ni alter­na­ti­ve. Que­sti effet­ti li abbia­mo sin­te­tiz­za­ti sot­to il con­cet­to di ine­lut­ta­bi­le. Ci sia­mo per­tan­to mes­si alla ricer­ca di cau­se capa­ci di pro­dur­re il sen­so di ine­lut­ta­bi­le.

Abbia­mo dun­que ana­liz­za­to il pro­ble­ma a par­ti­re da due diver­si pun­ti di vista nar­ra­to­lo­gi­ci: come crea­re un intrec­cio che dia il sen­so del tra­gi­co? Come una fabu­la?

Sia­mo così giun­ti a quat­tro con­clu­sio­ni prov­vi­so­rie (non pre­ten­dia­mo, infat­ti, di esse­re sta­ti esau­sti­vi): per quan­to riguar­da il tra­gi­co per lo spet­ta­to­re, abbia­mo indi­vi­dua­to il tra­gi­co dato dall’esito noto e il tra­gi­co pro­dot­to dall’intreccio inver­ti­to. Entram­be que­ste solu­zio­ni ripo­sa­no sull’onniscienza del­lo spet­ta­to­re. Per quan­to riguar­da il tra­gi­co rela­ti­vo alla fabu­la, abbia­mo indi­vi­dua­to come ele­men­ti tra­gi­ci l’aporia del­la scel­ta e il caso.

Il let­to­re potreb­be tut­ta­via chie­der­si: cui pro­de­st? A noi. Rein­te­gra­re il tra­gi­co nel­le nostre rap­pre­sen­ta­zio­ni arti­sti­che ci pare esse­re neces­sa­rio al fine di recu­pe­ra­re quel sen­so di fini­tez­za e misu­ra che sem­bra star scom­pa­ren­do dal cano­ne valo­ria­le occi­den­ta­le [6]. In tal sen­so, a mo’ di con­clu­sio­ne, vor­rem­mo cita­re il pri­mo sta­si­mo dell’Anti­go­ne di Sofo­cle:

Mol­te sono le cose mira­bi­li, ma nes­su­na

è più mira­bi­le dell’uomo:

egli attra­ver­so il canu­to mare

pure nel tem­pe­sto­so Noto

avan­za, fra le onde moven­do

che ingol­fa­no intor­no;

e l’eccelsa fra gli dèi, la Ter­ra

eter­na, infa­ti­ca­bi­le, egli tra­va­glia,

vol­gen­do gli ara­tri di anno in anno, 

rivol­tan­do­la con i figli dei caval­li.

[…]

E paro­la e pen­sie­ro

cele­re come ven­to e impul­si

a civi­li ordi­na­men­ti da solo appre­se; e a fug­gi­re

di ino­spi­ti geli

e di gra­vi piog­ge i rove­sci dal cie­lo,

ric­co di risor­se. Né mai sen­za risor­se

muo­ve incon­tro ad alcun even­to futu­ro: da Ade sol­tan­to

non tro­ve­rà scam­po,

anche se ha esco­gi­ta­to sal­vez­za

da mor­bi incu­ra­bi­li [7]

Note

[1]  F. Nie­tzsche, La Gaia Scien­za, afo­ri­sma 125.

[2] Per appro­fon­di­re, cfr. A. Mar­che­se, Dizio­na­rio di reto­ri­ca e di sti­li­sti­ca, Arnol­do Mon­da­do­ri Edi­to­re, Mila­no, 1991; V. Propp, Mor­fo­lo­gia del­la fia­ba, con un inter­ven­to di Clau­de Lévi-Strauss e una repli­ca dell’autore, a cura di Gian Lui­gi Bra­vo, Tori­no: Einau­di, 1966.

[3] cfr. anche C. Nolan, Memen­to, seb­be­ne qui l’intreccio sia più arti­co­la­to e com­ples­so.

[4]  cfr. la sto­ria di Edi­po: Laio era venu­to a sape­re del desti­no del figlio (ovve­ro quel­lo di ucci­de­re il padre e spo­sa­re la madre) dall’Oracolo di Del­fi. Per que­sta ragio­ne ave­va deci­so di far­lo espor­re. Fu pro­prio in segui­to a tali ten­ta­ti­vi di evi­ta­re il desti­no che Laio se l’è pre­pa­ra­to: Edi­po infat­ti, igna­ro del­le sue vere ori­gi­ni, incon­tran­do Laio al qua­le ostrui­va il pas­sag­gio, lo ucci­se.

[5] Per un tale ten­ta­ti­vo, cfr. F. Nie­tzsche, La Nasci­ta del­la Tra­ge­dia: in par­ti­co­la­re modo le atte­se che nel 1872 Nie­tzsche ripo­ne­va nel­la Gesam­t­kun­st­werk di R. Wag­ner.

[6] cfr. M. O’Connell, Appun­ti da un’A­po­ca­lis­se: Viag­gio alla fine del mon­do e ritor­no, trad. it. A. Castel­laz­zi, Mila­no: Il Sag­gia­to­re, 2021.

[7]  Sofo­cle, Anti­go­ne, vv. 332–364, in Sofo­cle, Edi­po Re, Edi­po a Colo­no, Anti­go­ne, a cura di D. Del Cor­no, trad. it. di R. Can­ta­rel­la, Mila­no: Mon­da­do­ri, 1982.

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