Gli scarponcini di Lorenzo indugiano sulla soglia, le suole leggermente staccate chiedono il permesso di rimanere sullo zerbino di paglia, al sicuro. La minaccia del calzino leggermente scurito dalla partita di calcetto si fa largo nella sua fantasia; non è sereno, ma nemmeno inquieto, Lorenzo è solo rientrato a casa.
Sente le dita dei piedi toccare la punta delle scarpe, gli vanno strette: sta crescendo e mamma Sara darà anche quel paio ai poveri. Uno spillo di tristezza lo attraversa; quegli scarponcini gli piacciono, ci corre bene e sono resistenti, non vuole darli ai poveri, preferisce continuare a usarli fino a che gli vanno, e anche qualcosa in più. Si impegna molto per non rovinarli, giocando a pallone.
Quando è al campetto da calcio con i compagni, Lorenzo è uno dei migliori, gli piace fare tutto, ma se proprio deve scegliere preferisce giocare come centrocampista: da lì è facile anticipare ogni mossa. I suoi occhi s’ingrandiscono e rimpiccioliscono, pronti a scattare contro gli avversari, i suoi piedi lo seguono insistentemente, ascoltando le sue indicazioni.
Quando gioca, è un bambino. E, ora, sul pianerottolo di via della Torre 32, non lo è più.
Lorenzo è solo il suo calzino, sporco di terra sul bianco consumato dal fratello Paolo. Quel marrone ha già fatto la ruggine, non si può togliere, Lorenzo lo gratta con le unghie, struscia le sue caviglie tra di loro e quello rimane. Indisciplinato e maldestro, direbbe suo padre di lui, e lui è quel calzino.
La voce di papà Mario è densa. S’impadronisce dei suoi pensieri, la paura stretta in un singhiozzo. Fuori dalla porta, Lorenzo già trattiene le lacrime. I piedi scioperano sullo zerbino. La grande maniglia in acciaio è così vicina che la sente piantata nello stomaco, pesante e silenziosa. La luce che gli illumina gli scarponcini da sotto lo stipite gli augura buon pranzo. Fino a quel momento, il suo orecchio è disattento, vuoto e, poi, si riempie del suono della radio, accesa a un volume bassissimo. Quello che, invece, continua a non sentire è papà Mario e significa che è tornato a casa perché, quando lui è a casa, la casa non fa rumore.
Il pranzo cuoce sul fuoco, i genitori lo aspettano per mangiare tutti insieme. In situazioni come questa, a Lorenzo manca Paolo che è in collegio. Prima della sua partenza, litigavano sempre, ma da ora che non c’è, a volte, abbraccia il suo cuscino.
Paolo ha paura di papà Mario anche se è più grande: Lorenzo lo sa perché lo ha sentito piangere spesso dal piano superiore del letto a castello.
Un rumore tagliente di chiavi spaventa i suoi ricordi che vanno a nascondersi di nuovo e Lorenzo si accorge di dover fare la pipì; non sa perché non l’ha fatta a scuola prima di rientrare, ma ora che se ne accorge non può fare a meno di pensarci. Un solletico si arrampica sulle sue gambe, i piedi chiedono pietà e, nel frattempo, scalciano sommessamente. Lorenzo sente che le lacrime e la pipì stanno per uscire e non sa due cose: quanto riuscirà a trattenerle entrambe e quando papà Mario farà scattare il chiavistello.
Le chiavi ballano tra le sue mani pesanti e Lorenzo stringe le gambe un’ultima volta. Anche se non alza lo sguardo, avverte quello di suo padre dal modo in cui la porta si apre per farsi sempre più sottile. Ai suoi piedi, lo zerbino si bagna e anche la risposta a una delle due domande gocciola via. Lorenzo non si spiega come mai, tra le lacrime e la pipì, il suo corpo scelga la pipì. Scende lungo le gambe, s’infila sotto i calzini e li ripulisce da quella partita che ha fatto con i compagni. La sua colpa è il gioco. Quando è un bambino, sporca i calzini, fa ritardo a casa, se la fa addosso davanti a papà Mario.
Una sagoma nemica sbatte le unghie sull’orologio e Lorenzo è soltanto quel calzino sporco, lavato dalla sua pipì. Papà Mario divarica le gambe e cerca un odore sgradevole: vuole una conferma di ciò che immagina e quando i mocassini si bagnano, il suo volto smette di muoversi. Ha trovato Lorenzo e, finalmente, possono andare a pranzo.
Non si dicono nulla. Papà Mario si gira, supera velocemente l’ingresso e va a sedersi a capotavola, Lorenzo si stacca dallo zerbino e si sporge, cercando mamma Sara, ma lei è in cucina e non si accorge di nulla, ha buttato la pasta poco fa. Lui fa un passo in avanti ed è quasi nel soggiorno: suo padre lo aspetta.
Le gambe fredde e i pantaloni pesanti gli danno prurito, vuole andare a cambiarsi. Lorenzo è impacciato; la mano vuota e grande di papà Mario sbatte sul tavolo, mamma Sara sussulta dalla cucina, Lorenzo ha capito.
Va verso il tavolo da pranzo e incontra suo padre, mamma Sara affretta il passo, stringendo tra le mani la pentola con la pasta. È pronto. Sembrano i re Magi, ma Lorenzo non porta con sé alcun dono. Per lui c’è una penitenza.
Lorenzo guarda la sedia in tessuto vicino al suo posto, i piatti sono pieni, sua madre si è seduta e lui rimane immobile; una lacrima scende sul beige della seduta e inizia ad allargarsi. Poi si siede.
Il contatto con il cuscino morbido lo riscalda, ma quando anche quello comincia a bagnarsi, Lorenzo congela. Non riesce a masticare bene perché i suoi denti battono, si schiaccia la lingua mentre cerca di non fare rumore.
Mentre trema tutto, si sente nudo, i pantaloni sono solo un contorno e il suo corpo freddo si è fuso con la sedia. Non può alzarsi. Continua a mandare i bocconi giù e deglutisce: per papà Mario è insopportabile. Allunga la sua mano e stringe forte le dita attorno al polso di Lorenzo, che chiude a forza le labbra. Mamma Sara guarda suo marito e suo figlio come se fossero trasparenti.
Papà Mario non lascia la presa e Lorenzo fa cadere la forchetta nel piatto pieno, ha ancora fame, ma non se ne accorge in tempo che è già in piedi. Suo padre sta marciando verso il centro della stanza e lui è la sua ombra. Vuole andare a cambiarsi, ma non può perché le dita lunghe e venose lo imprigionano.
D’un tratto, la presa si allenta. Lorenzo sposta i piedi sul pavimento freddo e duro, ma quelli non funzionano in una casa che assomiglia tutta a suo padre. Le pareti non nascondono passaggi segreti. Il sipario non cala, lo spettacolo è appena iniziato.
Il pavimento è freddo e duro e Lorenzo lo sa perché è caduto. La mano vuota di papà Mario ora è piena del suono della sua cintura. La fibbia schiocca sull’orologio, poi sulla fede. Lorenzo ha paura che si slacci i pantaloni.
Al centro del soggiorno ci sono lui e suo padre, poco più in là mamma Sara continua a mangiare e nemmeno quando la cinta si sposta da papà Mario a Lorenzo, lei smette di ingozzarsi.
È un rumore che dura molti secondi, Lorenzo non sa bene quanti, perché le sue gambe nascoste sotto un blu scurissimo ora vanno a fuoco e pensa solo a quelle. Il primo colpo è l’unico che gli fa male, per tutti gli altri sente solo quel calore che finisce e ricomincia, finisce e ricomincia.
Lorenzo congela, ma dentro muore dal caldo; il suo corpo è rosso, scavato dal sangue e graffiato di bianco. Non trema più, le sue labbra serrate non dicono nulla che non pensi e nei suoi pensieri, ora, non c’è nulla.
Le pareti non nascondono passaggi segreti e, per terra, Lorenzo è solo un calzino sporco che rimane lì, mentre papà Mario e mamma Sara finiscono di pranzare.
Fotografia di Davide Bondielli (davide_bondielli)