24

Giugno
24 Giugno 2024

LA MANI­FE­STA­ZIO­NE COME ATTO DI CON­SU­MO

0 CommentI
122 visualizzazioni
14 min

Negli ulti­mi anni abbia­mo visto il sus­se­guir­si di deci­ne di mani­fe­sta­zio­ni di pro­te­sta in tut­ta Ita­lia. Chie­dia­mo al let­to­re di sol­le­var­ci dal­la noio­sa elen­ca­zio­ne di ogni momen­to di pro­te­sta, ma con­ver­rà con noi sul fat­to che sono sta­te tan­te e mol­to diver­se tra loro. Non è que­stio­ne di ragio­ne o tor­to, né dei moti­vi e del­le matri­ci ideo­lo­gi­che o pseu­do-ideo­lo­gi­che che le han­no orga­niz­za­te. La doman­da è mol­to più bana­le: dove con­du­co­no le mani­fe­sta­zio­ni? Qua­li obiet­ti­vi si pon­go­no e qual è il tra­guar­do ulti­mo che rag­giun­go­no? Dal no-green-pass in tem­po di covid fino al no-guer­ra di sem­pre, pas­san­do per il no-alter­nan­za-scuo­la-lavo­ro di qual­che mese fa, le mani­fe­sta­zio­ni sono sta­te descrit­te e rac­con­ta­te in lun­go e in lar­go, sen­za che qual­co­sa, poi, sia cam­bia­to dav­ve­ro. È dun­que un mero eser­ci­zio di demo­cra­zia che va tute­la­to in quan­to tale o è uno stru­men­to di cam­bia­men­to?
La que­stio­ne si fa para­dos­sa­le: nono­stan­te le impor­tan­ti mani­fe­sta­zio­ni di ogni gene­re in tut­to il Pae­se, pochi sono gli obbiet­ti­vi rea­li rag­giun­ti in favo­re di quel­la piaz­za.

Tut­ti cono­scia­mo i diver­si modi d’intendere la piaz­za. Quel­la inte­sa come ago­rà, come pun­to d’in­con­tro di mol­te per­so­ne che svol­go­no le più sva­ria­te atti­vi­tà, con­dot­te tut­te simul­ta­nea­men­te: un mer­ca­to, una ban­ca, un nego­zio di abbi­glia­men­to, un caf­fè e così via. Poi c’è quel­la inte­sa come la Pni­ce gre­ca, dove ci s’incontrava espli­ci­ta­men­te per un even­to alla vol­ta: ten­den­zial­men­te per discu­te­re del­le fac­cen­de più impor­tan­ti del­lo Sta­to (Sen­net 2021, 231). La Pni­ce era una spe­cie di tea­tro (e non a caso thea­tron, in gre­co, signi­fi­ca spa­zio per osser­va­re) un luo­go ordi­na­to, gesti­to e pre­ve­di­bi­le. È para­go­na­bi­le, per cer­ti ver­si, al nostro Par­la­men­to.

La piaz­za, inte­sa come ago­rà, divie­ne tal­vol­ta luo­go di pro­te­sta, for­se per una que­stio­ne mera­men­te di spa­zio, for­se per­ché la Pni­ce (il Par­la­men­to) è pra­ti­ca­men­te inac­ces­si­bi­le.

L’a­go­rà, da sem­pre depu­ta­ta allo scam­bio di beni e ser­vi­zi, con­ti­nua ad assol­ve­re alla sua ori­gi­na­ria fun­zio­ne anche per le pro­te­ste che ospi­ta, le qua­li, da spa­zio di dis­sen­so, si tra­sfor­ma­no in sem­pli­ci e inno­cui atti di con­su­mo. Que­sto capi­ta a pat­to che gli indi­vi­dui, dive­nu­ti più con­su­ma­to­ri che cit­ta­di­ni con­sa­pe­vo­li, sono svuo­ta­ti del­la pro­pria ori­gi­na­ria iden­ti­tà, attra­ver­so l’im­po­si­zio­ne dal­l’al­to di un mono-cul­tu­ra­li­smo tipi­co del­la socie­tà dei mer­ca­ti, cioè dal­la socie­tà occi­den­ta­le, dove il dis­sen­so è con­sen­ti­to, cer­to, ma in una deter­mi­na­ta for­ma accet­ta­bi­le, meglio se silen­zio­sa e non distur­ban­te.

Lo svuo­ta­men­to del­l’i­den­ti­tà cam­mi­na di pari pas­so con lo svuo­ta­men­to del pen­sie­ro e con la cul­tu­ra del­la repul­sio­ne per il con­flit­to. Una socie­tà di con­su­ma­to­ri può esi­ste­re se si fon­da su una socie­tà paci­fi­ca, sen­za con­flit­ti, sen­za che que­sta socie­tà pos­sa esse­re com­pro­mes­sa da un pen­sie­ro alter­na­ti­vo e con­cor­ren­te. La pos­si­bi­li­tà di con­fron­tar­si con una “cul­tu­ra del con­flit­to” — anche non vio­len­to — signi­fi­ca affron­ta­re la sfi­da di capi­re chi sono le per­so­ne coin­vol­te, cosa pen­sa­no e qua­li sono i loro inte­res­si. Se in una socie­tà cade il con­flit­to cade il sog­get­to che richie­de il cam­bia­men­to.

E que­sto in Ita­lia è sta­to reso pos­si­bi­le anche gra­zie alle leg­gi anti-mani­fe­sta­zio­ne costrui­te ad arte con­tro ogni tipo di dimo­stra­zio­ne del con­flit­to, dove i risvol­ti pena­li (arre­sto, reclu­sio­ne, daspo) fan­no da deter­ren­te ad ogni tipo di mani­fe­sta­zio­ne che si svol­ga in modo non pre­vi­sto, non ordi­na­to, non pre­sta­bi­li­to.

La leg­ge 146 del 1990 rego­la­men­ta il dirit­to di scio­pe­ro e sta­bi­li­sce per la pri­ma vol­ta i cosid­det­ti “ser­vi­zi pub­bli­ci essen­zia­li”, con i qua­li si “gam­biz­za” lo stru­men­to del­lo scio­pe­ro come atto di con­flit­to, met­ten­do al pri­mo posto, sopra ad ogni cosa, la cosid­det­ta pace socia­le. In poche paro­le s’imbriglia la pro­te­sta per sal­va­guar­da­re quei ser­vi­zi essen­zia­li del cit­ta­di­no, sepa­ran­do di fat­to, per leg­ge, la pro­te­sta dal­la vita civi­le. Un prin­ci­pio di civi­liz­za­zio­ne del con­flit­to (per usa­re un ter­mi­ne caro ad Aris Accor­ne­ro) (San­to­ro, Pas­sa­rel­li, 2018, 314). Anche in Fran­cia esi­ste una leg­ge simi­le, ma sen­za que­sta limi­ta­zio­ne. Un fran­ce­se infat­ti si doman­de­reb­be per qua­le moti­vo, noi ita­lia­ni, con­ti­nuia­mo a defi­nir­lo ‘scio­pe­ro’ se i lavo­ra­to­ri, duran­te un’a­sten­sio­ne col­let­ti­va, sono tenu­ti ad assi­cu­ra­re 6 ore di ser­vi­zio com­ple­to. Nel mese di apri­le del 2018, per pro­te­sta­re con­tro le rifor­me attua­te dal Pre­si­den­te Macron, è sta­to pro­cla­ma­to un gran­de scio­pe­ro dei tre­ni desti­na­to a pro­trar­si, ad inter­mit­ten­za, per tre mesi e a para­liz­za­re il Pae­se, e si è, inol­tre, assi­sti­to ad un bloc­co pres­so­ché tota­le del siste­ma aero­por­tua­le.

All’i­ta­lia­nis­si­ma leg­ge 146, con le sue este­nuan­ti lun­gag­gi­ni (ad esem­pio nei ser­vi­zi pub­bli­ci essen­zia­li, la leg­ge 146 pri­ma, e la 83/2000 dopo, richie­do­no un pre­av­vi­so mini­mo di 10 gior­ni) sono segui­ti, recen­te­men­te, i Decre­ti Sicu­rez­za che han­no fat­to sci­vo­la­re defi­ni­ti­va­men­te il pic­chet­tag­gio da rea­to ammi­ni­stra­ti­vo a rea­to pena­le. Non man­che­ran­no altri otti­mi esem­pi nel futu­ro che ci aspet­ta, segui­te­ci per altri con­si­gli! Per ora com­pren­dia­mo che que­ste leg­gi, sco­rag­gian­do talu­ne moda­li­tà di pro­te­sta, di fat­to smor­za­no ogni evo­lu­zio­ne del con­flit­to, con il fine di man­te­ne­re la pace socia­le, meglio cono­sciu­ta come sta­tus quo. Le cose non devo­no cam­bia­re e il cit­ta­di­no ha fat­to pro­pria la con­vin­zio­ne – sot­to­li­neo con­vin­zio­ne – che non pos­sa­no cam­bia­re.

Per cui si mani­fe­sta per tut­to ciò che è impor­tan­te cer­to, ma che di fat­to non spo­sta di una vir­go­la gli asset­ti socia­li, cioè quel­li dai qua­li discen­do­no tut­ti gli altri. Ci si sbrac­cia per il dirit­to degli affit­tua­ri di ave­re con sé un ani­ma­le dome­sti­co in casa, ma si accet­ta di buon gra­do il fat­to che il 5% dei cit­ta­di­ni ita­lia­ni detie­ne qua­si il 50% del­le ric­chez­ze nazio­na­li (Ban­ca d’I­ta­lia, 2024). Ci si indi­gna per le brac­cia tese di Acca Laren­tia, ma si con­ti­nua a bisbi­glia­re sul­la cri­si abi­ta­ti­va per le gio­va­ni gene­ra­zio­ni. Miglia­ia di fir­me per il giu­stis­si­mo con­ge­do paren­ta­le ai papà, ma nes­su­na mani­fe­sta­zio­ne che richie­da un pro­gram­ma serio per la costru­zio­ne di asi­li nido pub­bli­ci, gra­tui­ti e acces­si­bi­li. Non solo le istan­ze sono mor­bi­de con il siste­ma, ma la loro com­po­stez­za non è per esso per nul­la distur­ban­te. Se fos­se tale, le mani­fe­sta­zio­ni in sti­le ‘gita a Lour­des’ diver­reb­be­ro qual­co­sa di rischio­so e il rischio, per il cit­ta­di­no-con­su­ma­to­re, non è accet­ta­bi­le se inclu­de sé stes­so.

Per que­sto per lui diven­ta ripu­gnan­te qual­sia­si model­lo di pro­te­sta che tra­va­li­chi il con­sen­so del pote­re, che sca­val­chi la recin­zio­ne del­la desi­de­ra­bi­li­tà socia­le. Eppu­re oltre quel­la recin­zio­ne qual­cu­no si è spin­to duran­te la sto­ria, che egli fos­se dal­la par­te giu­sta o da quel­la sba­glia­ta.

Gli inces­san­ti sfor­zi del movi­men­to Pale­sti­ne Action nel pren­de­re di mira la Elbit Systems, l’a­zien­da di arma­men­ti israe­lia­na, ha por­ta­to al rag­giun­gi­men­to di un obiet­ti­vo non indif­fe­ren­te: la per­di­ta di 6 milio­ni di ster­li­ne duran­te la ven­di­ta del­la con­trol­la­ta bri­tan­ni­ca di Elbit. Quel­lo che ha fat­to il movi­men­to pro-Pale­sti­na è sta­ta l’e­vo­lu­zio­ne stra­te­gi­ca del­l’at­ti­vi­smo, pas­san­do dal­la sem­pli­ce mobi­li­ta­zio­ne alla disob­be­dien­za civi­le di tipo dirom­pen­te e a dir poco distur­ban­te. Le loro azio­ni han­no por­ta­to, nel tem­po, a dan­ni con­cre­ti e signi­fi­ca­ti­vi alla fab­bri­ca, alla chiu­su­ra tem­po­ra­nea e alla ridu­zio­ne del valo­re del­la ven­di­ta del­la filia­le da par­te di Elbit. Nono­stan­te l’op­po­si­zio­ne del­la poli­zia loca­le, il grup­po ha per­si­sti­to e inten­si­fi­ca­to le pro­te­ste set­ti­ma­na­li, otte­nen­do una vit­to­ria impor­tan­te. Se chi ha appe­na let­to que­sto esem­pio ha pro­va­to repul­sio­ne per que­ste azio­ni, sap­pia solo che è nor­ma­le per il cit­ta­di­no-con­su­ma­to­re rite­ne­re più ripu­gnan­te un’azione con­tro una fab­bri­ca di armi piut­to­sto che l’esistenza stes­sa di una fab­bri­ca di armi. Il cit­ta­di­no-con­su­ma­to­re ripu­dia e sva­lu­ta ogni ini­zia­ti­va che sia oltre la sua por­ta­ta d’immaginazione.

Avvie­ne nel­la sua men­te e nel­la sua cul­tu­ra una sor­ta di sva­lu­ta­zio­ne del mez­zo del­la mani­fe­sta­zio­ne in sé che, a poco a poco, per­de quel suo valo­re di novi­tà e di uni­ci­tà, non­chè di distur­bo. La sua mani­fe­sta­zio­ne pos­sie­de un carat­te­re doci­le, che è invo­lu­to in un qual­sia­si altro even­to di mino­re impor­tan­za, di pura cro­na­ca da rac­con­ta­re e rac­con­tar­si. Il tut­to sfu­ma in una nar­ra­zio­ne uti­le solo a se stes­sa, con un ini­zio, uno svol­gi­men­to e una fine, banal­men­te degna di nota, buo­na per esse­re scrit­ta e for­se anche let­ta e poi ter­mi­na­ta, come si chiu­de l’ul­ti­ma pagi­na di un quo­ti­dia­no.

Quel momen­to di pro­te­sta, di esi­gen­za o di denun­cia non era altro che uno spet­ta­co­lo fine a se stes­so, cer­to con ele­men­ti di rifles­sio­ne impor­tan­ti e for­se urgen­ti, ma come fa lo spet­ta­to­re dopo la fine di un film al cine­ma tor­na a casa pen­san­do agli impe­gni del gior­no dopo. Il mani­fe­stan­te di oggi diven­ta il pro­ta­go­ni­sta bre­vi spa­tio di un even­to al qua­le par­te­ci­pa non tan­to come atto­re, quan­to inve­ce come spet­ta­to­re che con­su­ma il pro­prio momen­to, come una sera­ta al cine­ma o a tea­tro, come un grup­pet­to di ami­ci che ordi­na una bir­ra in un qual­sia­si pub o paga il bigliet­to per un museo in cen­tro. Social-net­work alla por­ta­ta di mano, natu­ral­men­te.

Cosa resta dun­que di quel­la piaz­za se non la sod­di­sfa­zio­ne, del tut­to per­so­na­le, di aver­vi ade­ri­to? Non si pen­si che sia l’en­ne­si­ma ripro­va del­la distan­za del­le piaz­ze dai Palaz­zi, del­le mas­se dal­la poli­ti­ca: diven­ta più che altro la coa­gu­la­zio­ne del mez­zo e del fine nel mede­si­mo atto. La pro­te­sta diven­ta il fine ulti­mo del­l’at­to stes­so di pro­te­sta­re, la piaz­za divie­ne il luo­go dove quel­le richie­ste si con­su­ma­no e si dis­si­pa­no, dove tut­ti tor­ne­ran­no nel­le loro case ad orga­niz­za­re la suc­ces­si­va adu­na­ta in com­pa­gnia, in un rea­li­ty-show perio­di­co, che vie­ne rin­no­va­to ogni anno con una nuo­va e bana­le rie­di­zio­ne dal pate­ti­co sapo­re da peti­ts bour­geois. L’in­ca­pa­ci­tà, l’i­ner­zia e la pigri­zia di rin­no­va­re lo stru­men­to del­la piaz­za – e con esse le nostre discu­ti­bi­li cer­tez­ze sul­la liber­tà d’e­spres­sio­ne – tra­di­sco­no la piaz­za stes­sa e il suo esse­re mez­zo rea­le di cam­bia­men­to.

Non vor­rem­mo gene­ra­liz­za­re: non tut­ti gli atti di ribel­lio­ne sono allo stes­so tem­po atti di con­su­mo, sem­mai lo diven­ta­no più facil­men­te nel mon­do occi­den­ta­le con­tem­po­ra­neo, gover­na­to da un par­ti­co­la­re nichi­li­smo pas­si­vo capa­ce di tri­ta­re anche le mas­se poten­zial­men­te pen­san­ti, tra­sfor­man­do­le in un muc­chio inde­fi­ni­to di uten­ti, il cui uni­co valo­re è il con­su­mo. Più in par­ti­co­la­re il con­su­mo del pro­prio tem­po e, con esso, il dete­rio­ra­men­to dei valo­ri e degli obiet­ti­vi che spin­go­no dal pro­fon­do l’or­ga­niz­za­zio­ne di quel­la ribel­lio­ne. In altre paro­le, i sin­go­li indi­vi­dui per­ce­pi­sco­no che qual­co­sa di sba­glia­to esi­ste, s’indignano per que­sto, ma indi­vi­dua­no come prio­ri­ta­rio il sod­di­sfa­ci­men­to di un altro valo­re, par­ti­co­lar­men­te più adat­to al con­su­mo, ovve­ro la frui­zio­ne del tem­po del­la ribel­lio­ne e la sua tra­sfi­gu­ra­zio­ne in sem­pli­ce sta­tus sym­bol da espor­re, riven­di­ca­re e con­di­vi­de­re, sen­za alcun sacri­fi­cium per la cau­sa o per un valo­re più alto. Met­te­te a para­go­ne una piaz­za euro­pea per i dirit­ti del­le don­ne con la stes­sa piaz­za in Iran, ad esem­pio. Qui da noi le cose per­do­no qual­sia­si signi­fi­ca­to. Per buo­na pace del pote­re.

  1. Richard Sen­net, 2021, Costrui­re e Abi­ta­re, eti­ca per la cit­tà, Fel­tri­nel­li.
  2. San­to­ro, Pas­sa­rel­li, 2018, Discor­so in tema di rap­pre­sen­ta­ti­vi­tà e legit­ti­ma­zio­ne al con­flit­to nei ser­vi­zi pub­bli­ci essen­zia­li, in Real­tà e For­ma, Giap­pi­chel­li
  3. Ban­ca d’Italia, 2024, Distri­bu­tio­nal Wealth Accounts.
  4. https://www.palestineaction.org/recruiters-drop-elbit/
Con­di­vi­di:
I commenti sono chiusi