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Marzo
27 Marzo 2023

LA CAU­SA DIE­TRO LE ALTRE CAU­SE

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Sono sta­to spin­to a scri­ve­re que­sto testo prin­ci­pal­men­te da due emo­zio­ni: l’ammirazione e il dispia­ce­re. L’ammirazione è rivol­ta ver­so il Bud­d­ha Gota­ma, che con­si­de­ro uno dei mas­si­mi pen­sa­to­ri di cui si abbia noti­zia nel­la sto­ria dell’umanità. Sti­la­re una clas­si­fi­ca di per­so­ne secon­do il loro meri­to è un pas­sa­tem­po da gio­co di socie­tà, ma è inne­ga­bi­le l’influenza e l’impatto che il Bud­d­ha ha avu­to sul­le nostre vite; per­ciò, lo con­si­de­ro alla stre­gua di gran­di pen­sa­to­ri come Pla­to­ne e Ari­sto­te­le, i pila­stri che crea­ro­no la tra­di­zio­ne filo­so­fi­ca occi­den­ta­le. Pen­so che le sue idee dovreb­be­ro rie­cheg­gia­re in ogni ango­lo di qual­sia­si scuo­la in giro per il glo­bo ter­re­stre, sicu­ra­men­to tut­to ciò ren­de­reb­be il mon­do un luo­go più civi­le, respon­sa­bi­le e pro­gres­si­sta. Ciò non signi­fi­ca che io riten­ga giu­ste tut­te le idee del Bud­d­ha, con­si­de­ran­do le dif­fe­ren­ze spa­zia­li e tem­po­ra­li sareb­be assai sin­go­la­re se lo pen­sas­si. Dis­sen­to da alcu­ne sue teo­rie e non ade­ri­sco a tut­ti i suoi valo­ri: non mi defi­ni­sco un bud­d­hi­sta. Tut­ta­via, la com­pren­sio­ne di alcu­ne sue idee mi ren­do­no un ammi­ra­to­re sin­ce­ro del Bud­d­ha, alme­no quan­to i milio­ni che si defi­ni­sco­no bud­d­hi­sti.

Il dispia­ce­re, inve­ce, e qui entria­mo nel­la par­te salien­te di que­sto scrit­to, è rivol­to ver­so uno dei due ter­mi­ni che il mon­do occi­den­ta­le ha accol­to ora­mai nel lin­guag­gio e nel pen­sie­ro comu­ne: il kar­man. L’altro ter­mi­ne, il nir­vāṇa, è ine­vi­ta­bil­men­te al di fuo­ri dei limi­ti di que­sto testo. La paro­la “kar­man” è un sostan­ti­vo deri­va­to da una del­le radi­ci più comu­ni, kṛ‑, che let­te­ral­men­te signi­fi­ca “fare”. Il san­scri­to kar­man e il pali kam­ma signi­fi­ca­no quin­di “atto, azio­ne”.

Stia­mo, difat­ti, assi­sten­do in tut­to il mon­do a una gran­de cre­sci­ta di inte­res­se per il bud­d­hi­smo. Sono nate nume­ro­se asso­cia­zio­ni e grup­pi di stu­dio, e sono appar­si mol­ti libri dedi­ca­ti all’insegnamento del Bud­d­ha Gota­ma. Tut­ta­via, si deve nota­re a malin­cuo­re (il sen­ti­men­to di dispia­ce­re nasce da qui) che la mag­gior par­te di que­sti sono spes­so ope­ra di auto­ri non mol­to com­pe­ten­ti, che avvi­ci­nan­do­si a que­sto argo­men­to con pre­giu­di­zi, ne dan­no inter­pre­ta­zio­ni fal­se o espo­si­zio­ni non fede­li.

Il kar­ma è uno degli ele­men­ti che più pre­fe­ri­sco del­la dot­tri­na bud­d­hi­sta, il pun­to di acces­so che amo espor­re quan­do par­lia­mo di que­sto argo­men­to, e sicu­ra­men­te uno dei più con­tro­ver­si. Mol­ti pre­fe­ri­sco­no par­ti­re dal­le Quat­tro nobi­li veri­tà, dal­la dot­tri­na del non-sé (anat­tā), altri anco­ra dal­la medi­ta­zio­ne o “col­tu­ra” del­la men­te (bhā­va­nā), ma la rifor­mu­la­zio­ne del pen­sie­ro del Bud­d­ha riguar­do al kar­ma come dot­tri­na posi­ti­va ci tie­ne uni­ti come il filo di una col­la­na tie­ne uni­te le per­le.

Nel­la cul­tu­ra occi­den­ta­le ten­dia­mo gros­so­la­na­men­te a uti­liz­za­re il ter­mi­ne kar­ma come sino­ni­mo di fato, tut­to ciò por­ta a distor­ce­re l’innovazione e la riva­lu­ta­zio­ne che il Bud­d­ha ha appor­ta­to a que­sta dot­tri­na, distac­can­do­si pri­ma dal pen­sie­ro jai­ni­sta, che addi­ta al kar­ma una con­ce­zio­ne esclu­si­va­men­te pes­si­mi­sti­ca, e dal brah­ma­ne­si­mo che con­ce­pi­va let­te­ral­men­te que­sta paro­la come sacri­fi­cio.

I dizio­na­ri defi­ni­sco­no il fato come “quel prin­ci­pio o cau­sa deter­mi­nan­te o volon­tà secon­do cui in gene­ra­le si sup­po­ne che le cose sia­no di un cer­to tipo o gli avve­ni­men­ti suc­ce­da­no in un cer­to modo; la neces­si­tà del­la natu­ra”. Gli avve­ni­men­ti acca­do­no in un cer­to modo secon­do leg­gi di natu­ra. Così, che lo chia­mia­mo fato, leg­ge del­la natu­ra o Dio, con que­sti ter­mi­ni voglia­mo dire che que­sti avve­ni­men­ti appar­ten­go­no a un pro­ces­so che sfug­ge al con­trol­lo uma­no. Desti­no, spes­so usa­to inap­pro­pria­ta­men­te come sino­ni­mo di fato, è un ter­mi­ne che si addi­ce mag­gior­men­te al signi­fi­ca­to che il Bud­d­ha ave­va dato al kar­ma. Desti­no deri­va dal­la paro­la desti­na­zio­ne. Si rife­ri­sce a ciò che si diven­ta e non ciò che si è. Potrem­mo dire che il mio fato è quel­lo di esse­re nato e mori­re, ma il mio desti­no è quel­lo di col­ti­va­re ortag­gi.

Uno degli inse­gna­men­ti fon­da­men­ta­li del Bud­d­ha è che nel­la vita nien­te è immu­ta­bi­le, ma tut­to è imper­ma­nen­te, ossia sem­pre mute­vo­le. Con que­sto Gota­ma non inten­de­va che qual­co­sa sia in peren­ne muta­men­to, ma evi­den­zia­va il fat­to che nel­le nostre vite tut­to cam­bia e la mag­gior par­te di noi non ha espe­rien­za di qual­co­sa di immu­ta­bi­le.

E qui arri­via­mo ad un que­si­to che in occi­den­te mal ponia­mo. Ma il cam­bia­men­to è casua­le? Asso­lu­ta­men­te no, anche se noi insie­me a tut­to quel­lo che ci cir­con­da è in con­ti­nuo cam­bia­men­to, la vita non potreb­be pro­ce­de­re sen­za una linea di con­ti­nui­tà. Il Bud­d­ha lo rese assio­ma­ti­co nell’asserzione secon­do la qua­le nul­la esi­ste sen­za una cau­sa. Per­ciò il bud­d­hi­smo inse­gna che quan­do tut­te le per­so­ne (e gli esse­ri viven­ti) muo­io­no, rina­sco­no in manie­ra con­for­me ai loro meri­ti mora­li. Anzi, l’idea di con­ti­nui­tà per­so­na­le nel bud­d­hi­smo è più for­te che in qual­sia­si altra reli­gio­ne. Nel cri­stia­ne­si­mo, per esem­pio, la con­ti­nui­tà è data nel cor­so di un’unica vita qui sul­la Ter­ra, e suc­ces­si­va­men­te in una secon­da dove vivia­mo una ricom­pen­sa o una puni­zio­ne, un para­di­so o un infer­mo, anche se soven­te­men­te rite­nu­ta “fuo­ri dal tem­po”. I bud­d­hi­sti, inve­ce, cre­do­no in un sus­se­guir­si infi­ni­to di mor­te e rina­sci­ta. La serie, però, può ave­re una fine. Come? Con­se­guen­do il nir­va­na.

L’intenzione è una del­le cate­go­rie più impor­tan­ti per il bud­d­hi­smo, poi­ché tut­te le nostre azio­ni, i nostri pen­sie­ri e le nostre paro­le han­no una valen­za mora­le deter­mi­nan­te in base all’intenzione sot­to­stan­te. Poi­ché il valo­re eti­co risie­de nell’intenzione non esi­ste un Dio o un qual­che agen­te ester­no o auto­ri­tà ulti­ma che pos­sa deci­de­re in ulti­ma istan­za sul nostro arbi­trio. La nostra volon­tà è libe­ra e sia­mo noi stes­si gli uni­ci respon­sa­bi­li del­le nostre scel­te. È sor­pren­den­te che un pen­sie­ro di que­sto tipo sia sta­to pro­cla­ma­to nel V seco­lo a.C. , ora comin­cia­te a capi­re per­ché que­sta dot­tri­na pos­sie­de cin­que­cen­to milio­ni di segua­ci in tut­to il mon­do?

Di con­se­guen­za, il kar­ma è ine­stri­ca­bil­men­te con­nes­so all’idea di rina­sci­ta. Il Bud­d­ha vede­va nel kar­ma, il fare inten­zio­na­le, una que­stio­ne di cau­sa effet­to. Il kar­ma buo­no avreb­be pro­dot­to effet­ti posi­ti­vi, men­tre un kar­ma cat­ti­vo effet­ti nefa­sti per chi lo com­pi­va. Non c’è un Dio o una giu­sti­zia divi­na. I signo­ri ben­pen­san­ti potreb­be­ro con­trad­di­re la dot­tri­na del kar­ma por­tan­do sul tavo­lo la sof­fe­ren­za di un neo­na­to, mala­to dopo pochi mesi di vita, espe­rien­ze di sof­fe­ren­za e mor­te sen­za che que­sti ulti­mi abbia­no fat­to alcun male. Tut­to ciò sareb­be estre­ma­men­te cor­ret­to, se le per­so­ne aves­se­ro una sola vita. La rispo­sta risie­de nel­le scel­te fat­te nel­le vite pre­ce­den­ti. E allo­ra il bud­d­hi­smo è una dot­tri­na deter­mi­ni­sta? Dove risie­de la mia azio­ne, il mio kar­ma? Se tut­to è deter­mi­na­to, allo­ra la nostra volon­tà non è libe­ra?

Il Bud­d­ha pro­po­ne­va una via di mez­zo fra il deter­mi­ni­smo e la casua­li­tà, enun­cia­ta in una sut­ta nel Saṃyut­ta Nikāya, dove Moliya Sīva­ka doman­da a Gota­ma che cosa pen­sa del fat­to che tut­to ciò di cui abbia­mo espe­rien­za sia il risul­ta­to di azio­ne pas­sa­te. Il Bud­d­ha rispo­se che il kar­ma deve esse­re inter­pre­ta­to come esor­ta­zio­ne mora­le: “Come dovrei com­por­tar­mi?”. Il kar­ma non cade nel fata­li­smo, ne è l’esatto oppo­sto. Aggiun­se che i pro­ble­mi di natu­ra medi­ca van­no spie­ga­ti con cau­se medi­che, sen­za ricor­re­re al kar­ma. Tut­to ciò potreb­be risul­ta­re fuor­vian­te, ma occor­re ren­der­si con­to che il kar­ma ope­ra di neces­si­tà die­tro una qual­che cau­sa spe­ci­fi­ca. In poche paro­le, potrem­mo defi­ni­re il kar­ma come la cau­sa die­tro le altre cau­se. La gen­te dice: “Que­sto è il mio kar­ma”, quan­do ciò che dovrem­mo dire è: “Que­sto è il risul­ta­to del mio kar­ma”.

Biblio­gra­fia

  • Wal­po­la Rahu­la, L’insegnamento del Bud­d­ha, Adel­phi Edi­zio­ni, Mila­no, 2019
  • Richard Gom­brich, Il pen­sie­ro del Bud­d­ha, Adel­phi Edi­zio­ni, Mila­no, 2012
  • Ale­xan­der Lowen, Pau­ra di vive­re, Astro­la­bio-Ubal­di­ni Edi­to­re, Roma, 1982
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