ll fotografo Marco Farmalli e il suo obiettivo si districano fra le pietre antichissime, le case popolari e gli angusti vicoli che non vedono mai la luce del sole della Città Vecchia di Taranto. Il quartiere, così come Ortigia a Siracusa, è separato dal resto della città da un ponte ed entrandovi sembra d’immergersi in un mondo a parte.
Negli ultimi anni, molto si è parlato della rinascita della Città Vecchia in cui alcuni stabili venivano offerti alla simbolica cifra di 1 euro. Fondata nel 706 a.C., la Città Vecchia dopo l’Unità d’Italia costituisce il luogo dove operai, mitilicoltori, scaricatori di porto e artigiani risiedevano. Dagli anni ‘50 invece il quartiere è stato vittima di una diaspora verso i quartieri periferici e oggi è caratterizzata da uno stato di abbandono e gentrificazione: i servizi essenziali e le attività commerciali sono scomparsi, sostituiti dai lounge bar e dai B&B. La percezione della Città Vecchia da parte della comunità tarantina è quella di una sorta di problema sociale, di conseguenza il tessuto sociale della Città Vecchia è vittima di pregiudizi più che portatore dell’identità antica della città.
Il progetto fotografico nasce da un episodio accaduto in una scuola media nella Città Vecchia: dopo aver vinto una borsa di studio, la classe ha deciso di utilizzare il premio per visitare la Città Nuova, che si trova appena al di là del ponte infatti dei molti ragazzi che vivono nel borgo antico di Taranto, alcuni non ne sono mai usciti.
Questo episodio ha spinto Marco Farmalli a chiedersi: dove si trova il limite tra confinamento e radicamento?
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