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Marzo
5 Marzo 2025

INTER­VI­STA A GUI­DO SAL­VI­NI

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In che con­te­sto poli­ti­co inter­no e inter­na­zio­na­le si col­lo­ca la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na?

Il quin­quen­nio 1969–1974 è sta­to il perio­do cru­cia­le e più san­gui­no­so, l’apice del­la stra­te­gia del­la ten­sio­ne. In Ita­lia si veri­fi­ca­ro­no ben cin­que stra­gi, il ten­ta­ti­vo di col­po di Sta­to del prin­ci­pe Vale­rio Bor­ghe­se segui­to da altri pro­get­ti dura­ti fino al 1974, ed infi­ne l’attentato a dan­no dei Cara­bi­nie­ri di Petea­no nel mag­gio ‘72 in cui ci furo­no tre vit­ti­me.

Nel 1969, il Gover­no era un debo­le mono­co­lo­re gui­da­to dall’on. Maria­no Rumor che si muo­ve­va in una situa­zio­ne incan­de­scen­te per il rin­no­vo dei più impor­tan­ti con­trat­ti, la mobi­li­ta­zio­ne di cen­ti­na­ia di miglia­ia di ope­rai e la pro­te­sta stu­den­te­sca nei licei e nel­le uni­ver­si­tà — con un anno di ritar­do rispet­to al 1968 fran­ce­se. Era­no poi in discus­sio­ne rifor­me deci­si­ve come lo Sta­tu­to dei Lavo­ra­to­ri, l’approvazione del siste­ma del­le Regio­ni, la rifor­ma del­le pen­sio­ni, la leg­ge sul divor­zio.

Nixon era il Pre­si­den­te degli Sta­ti Uni­ti ed era­no gli anni del­la dot­tri­na Kis­sin­ger, quel­la secon­do cui i Gover­ni ita­lia­ni di Cen­tro dove­va­no respin­ge­re ogni ipo­te­si di accor­do con il PCI e le for­ze di sini­stra. Ricor­dia­mo che il 27 feb­bra­io 1969 il Pre­si­den­te ame­ri­ca­no ave­va incon­tra­to al Qui­ri­na­le il Pre­si­den­te Sara­gat e — secon­do un dos­sier con­te­nu­to negli archi­vi di Washing­ton e oggi dese­cre­ta­to — il Pre­si­den­te ita­lia­no ave­va con­cor­da­to con quel­lo ame­ri­ca­no sul “peri­co­lo comu­ni­sta” e sul fat­to che, agli occhi degli ita­lia­ni, il PCI si face­va pas­sa­re per un par­ti­to rispet­ta­bi­le ma era sem­pre lega­to agli inte­res­si del Crem­li­no.

Il gior­no del­la visi­ta del Pre­si­den­te Nixon a Roma la cit­tà era blin­da­ta, era­no scop­pia­ti gra­vis­si­mi inci­den­ti tra la poli­zia ed extra­par­la­men­ta­ri di sini­stra e poi, all’Università, scon­tri tra que­sti ulti­mi e mili­tan­ti dell’estrema destra. Vi era sta­ta la pri­ma vit­ti­ma di quell’anno, Dome­ni­co Con­ge­do, uno stu­den­te anar­chi­co, che duran­te un attac­co dei fasci­sti alla facol­tà di Magi­ste­ro era pre­ci­pi­ta­to da una fine­stra.

In que­gli anni si com­bat­te­va in Afri­ca, in Indo­ci­na, in Sud Ame­ri­ca con ogni tipo di armi e con ogni mez­zo, al fine di amplia­re le pro­prie sfe­re di influen­za giu­sti­fi­can­do, da entram­be le par­ti, le pro­prie ope­ra­zio­ni spor­che come azio­ni difen­si­ve.

Non sem­bra un caso che la sta­gio­ne del­le stra­gi si col­lo­chi pro­prio in que­sto qua­dro inter­no e inter­na­zio­na­le, e che coin­ci­da qua­si per­fet­ta­men­te con la dura­ta del­la pre­si­den­za Nixon per poi decli­na­re, nel 1974, dopo la cri­si del Water­ga­te e lo sfal­dar­si dei regi­mi dit­ta­to­ria­li in Euro­pa: la Gre­cia, la Spa­gna e il Por­to­gal­lo, con il con­se­guen­te venir meno dell’ipotesi di un col­po di Sta­to anche in Ita­lia ispi­ra­to a quel­le espe­rien­ze.

Piaz­za Fon­ta­na si col­lo­ca in que­sto qua­dro, pre­ce­du­ta nell’aprile di quell’anno da una impres­sio­nan­te pro­gres­sio­ne di ben 17 atten­ta­ti — per i qua­li tra l’altro gli espo­nen­ti del­la cel­lu­la pado­va­na [N.d.R. di Ordi­ne Nuo­vo] sono sta­ti con­dan­na­ti — con­tro sedi giu­di­zia­rie, uni­ver­si­tà, uffi­ci pub­bli­ci e la Fie­ra Cam­pio­na­ria di Mila­no.

Cosa ci può dire dell’esito del­le inda­gi­ni che lei e altri col­le­ghi ave­te ria­per­to negli anni ‘90?

Le inda­gi­ni mila­ne­si degli anni ‘90 non sono sta­te affat­to inu­ti­li. Anche le sen­ten­ze di asso­lu­zio­ne in secon­do gra­do han­no una “vir­tù segre­ta” e cioè affer­ma­no espli­ci­ta­men­te le respon­sa­bi­li­tà. Scri­vo­no che il col­pe­vo­le era Car­lo Digi­lio [N.d.R. mem­bro di Ordi­ne Nuo­vo], par­te­ci­pe alla fase orga­niz­za­ti­va, alla stra­ge e alla pre­pa­ra­zio­ne dell’esplosivo. Fu lui a for­ni­re gli ordi­gni agli ese­cu­to­ri di tut­ti gli atten­ta­ti del 1969 e di quel­lo di piaz­za Fon­ta­na, e a dare la con­su­len­za tec­ni­ca ai mili­tan­ti ordi­no­vi­sti che dove­va­no ope­ra­re. E la sen­ten­za di pre­scri­zio­ne per il delit­to di stra­ge, pro­nun­cia­ta nei suoi con­fron­ti in ragio­ne del­la col­la­bo­ra­zio­ne, è dive­nu­ta defi­ni­ti­va. Quin­di, diver­sa­men­te da quan­to spes­so si sen­te, un col­pe­vo­le giu­di­zia­ria­men­te accer­ta­to c’è.

Inol­tre, sem­pre nel­le sen­ten­ze si leg­ge che l’ideazione e l’esecuzione del­la stra­ge era sicu­ra­men­te rife­ri­bi­le alle cel­lu­le di Ordi­ne Nuo­vo del Vene­to e che nei con­fron­ti di Fre­da e Ven­tu­ra era sta­ta rag­giun­ta, con i nuo­vi ele­men­ti rac­col­ti, la pro­va “postu­ma” del­la loro col­pe­vo­lez­za anche se essi non era­no più giu­di­ca­bi­li per­ché assol­ti per insuf­fi­cien­za di pro­ve nei pro­ces­si pre­ce­den­ti.

Quin­di, Ordi­ne Nuo­vo è l’artefice del­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na così come degli atten­ta­ti che l’hanno pre­ce­du­ta. La pater­ni­tà degli even­ti di quel­la sta­gio­ne di san­gue è ormai sul pia­no sto­ri­co-giu­di­zia­rio defi­ni­ti­va­men­te accer­ta­ta.

È que­sta la base mini­ma, sul pia­no sto­ri­co-giu­di­zia­rio, che non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne.

Quin­di, Lei, come ha lavo­ra­to in que­gli anni? Quan­to ha con­ta­to la tec­no­lo­gia? E quan­to la memo­ria?

La tec­no­lo­gia ben poco, non c’erano i mez­zi di oggi. All’inizio non ave­va­mo nem­me­no un com­pu­ter né un archi­vio. La magi­stra­tu­ra di Mila­no, dopo il tra­sfe­ri­men­to del pro­ces­so a Catan­za­ro, ave­va smes­so di inda­ga­re ormai da mol­ti anni. Ci sia­mo rico­strui­ti un archi­vio da soli, io e il mare­scial­lo Rus­so del­la G. di F. che lavo­ra­va con me, recu­pe­ran­do gli atti dei vec­chi pro­ces­si, le infor­ma­ti­ve riser­va­te, cer­can­do i vec­chi inter­ro­ga­to­ri e facen­do­ne di nuo­vi, svi­lup­pan­do gli spun­ti che all’epoca non era sta­to pos­si­bi­le appro­fon­di­re. È sta­to un lavo­ro arti­gia­na­le. Pen­si che le varie car­tel­li­ne, le sche­de sui per­so­nag­gi, le com­pi­la­va­mo io e il mare­scial­lo anche a mano. C’era sta­ta sino a quel momen­to qua­si una resa del­la magi­stra­tu­ra di fron­te ai fal­li­men­ti pre­ce­den­ti. La voglia di rian­no­da­re que­sti fili, gra­zie alla nuo­va dispo­ni­bi­li­tà di testi­mo­ni a rac­con­ta­re, una vol­ta venu­to meno il con­trol­lo degli appa­ra­ti, è rico­min­cia­ta sull’onda del “caso Gla­dio”. Non per­ché quel­la strut­tu­ra fos­se respon­sa­bi­le del­le stra­gi, ma per­ché abbia­mo capi­to che, se emer­ge­va una vicen­da di così gran­de valen­za, vole­va dire che il momen­to era venu­to e che esi­ste­va lo spa­zio per ripren­de­re i fili del pas­sa­to. Sono anni che ricor­do con una cer­ta emo­zio­ne.

Tor­nan­do all’esito del­le inda­gi­ni, qua­li era­no gli obiet­ti­vi stra­te­gi­ci del­la stra­ge?

Vin­cen­zo Vin­ci­guer­ra, nel­la rico­stru­zio­ne del­la sua mili­tan­za in Ordi­ne Nuo­vo, ha richia­ma­to per la pri­ma vol­ta l’attenzione sull’adunata indet­ta dal MSI [N.d.R. Movi­men­to Socia­le Ita­lia­no] per dome­ni­ca 14 dicem­bre 1969 a Roma che, con gran­de enfa­si nel­le set­ti­ma­ne pre­ce­den­ti, era sta­ta pub­bli­ciz­za­ta come “appun­ta­men­to con la nazio­ne”. Vin­ci­guer­ra ha spie­ga­to che l’adunata, e la scel­ta del­la sua data, era­no col­le­ga­te a quan­to, a cono­scen­za evi­den­te­men­te dei livel­li più alti, era pre­vi­sto avve­nis­se due gior­ni pri­ma.

Cer­ta­men­te, 48 ore dopo la stra­ge di Mila­no e le bom­be di Roma era un las­so di tem­po giu­sto per far mon­ta­re al mas­si­mo la ten­sio­ne: Roma sareb­be sta­ta pie­na di mili­tan­ti di Destra in asset­to di scon­tro che invo­ca­va­no inter­ven­ti con­tro la sov­ver­sio­ne. Sareb­be basta­to una scin­til­la per far scop­pia­re inci­den­ti incon­trol­la­bi­li, assal­ti alle sedi di Sini­stra, rea­zio­ni di quest’ultima, scon­tri con la Poli­zia — maga­ri con mor­ti tra le For­ze dell’ordine — per ren­de­re ine­vi­ta­bi­le la dichia­ra­zio­ne del­lo sta­to di emer­gen­za, che era l’obiettivo pre­fis­sa­to del­la stra­ge. Que­sto era il pia­no.

Tut­ta­via, il 13 dicem­bre, quan­do Vin­ci­guer­ra, con gli ordi­no­vi­sti arri­va­ti da tut­ta Ita­lia, era già a Roma, il Mini­stro dell’Interno ave­va vie­ta­to la mani­fe­sta­zio­ne e il ten­ta­ti­vo di inne­sca­re gra­vis­si­mi disor­di­ni fal­lì.

L’adunata del 14 dicem­bre è un altro aspet­to, quin­di, che in pas­sa­to non era venu­to alla luce, del pro­get­to poli­ti­co che accom­pa­gna­va la stra­ge.

Come si affian­ca­no alle stra­gi di que­gli anni i pro­get­ti gol­pi­sti per cui le stra­gi stes­se dove­va­no fun­ge­re da deto­na­to­re? 

Sì, mi vie­ne in men­te in par­ti­co­lar modo il Gol­pe Bor­ghe­se. Nel set­tem­bre 1969, uno degli uomi­ni del Fron­te Nazio­na­le di Bor­ghe­se, nel con­tem­po infor­ma­to­re del SID [N.d.R. Ser­vi­zio di Infor­ma­zio­ne e Dife­sa, nome assun­to dai Ser­vi­zi segre­ti ita­lia­ni dal 1966 al 1977], ave­va rife­ri­to che, secon­do il prin­ci­pe, “la riu­sci­ta del col­po di Sta­to è cer­ta” e che è già sta­to stu­dia­to “un pia­no di pro­vo­ca­zio­ne con una serie di gros­si atten­ta­ti dina­mi­tar­di per fare in modo che l’intervento arma­to di destra potes­se veri­fi­car­si in un cli­ma di ripro­va­zio­ne gene­ra­le nei con­fron­ti dei cri­mi­na­li ros­si”.

Quel­lo che è con­te­nu­to in tale infor­ma­ti­va è né più né meno ciò in cui con­si­ste­va il pia­no del prin­ci­pe Bor­ghe­se, un pro­get­to tutt’altro che da ope­ret­ta ordi­to da un mani­po­lo di esal­ta­ti e da qual­che gene­ra­le in pen­sio­ne come, inve­ce, lo si è volu­to far pas­sa­re.

Le inda­gi­ni mila­ne­si infat­ti rac­con­ta­no, con testi­mo­nian­ze con­cor­dan­ti, di grup­pi pron­ti ad entra­re in azio­ne la not­te fra il 7 e l’8 dicem­bre 1970, in tut­te le regio­ni d’Italia, dal Lazio al Vene­to, dall’Umbria alla Tosca­na finan­che alla Cala­bria. In più, il capi­ta­no del SID, Anto­nio Labru­na, che ave­va regi­stra­to una serie di col­lo­qui con uno dei capi dei con­giu­ra­ti, l’imprenditore roma­no Orlan­di­ni, ha por­ta­to dopo tan­ti anni a Mila­no nel mio uffi­cio, nel 1990, gli ori­gi­na­li dei nastri che ave­va con­ser­va­to. Dal­la loro tra­scri­zio­ne è risul­ta­to che i nastri tra­smes­si inve­ce alla magi­stra­tu­ra negli anni ‘70 era­no sta­ti alleg­ge­ri­ti dei nomi più impor­tan­ti dei con­giu­ra­ti coin­vol­ti, cioè quel­li degli alti uffi­cia­li desti­na­ti comun­que ad una bril­lan­te car­rie­ra, e quel­lo di Licio Gel­li, il cui com­pi­to quel­la not­te era di entra­re al Qui­ri­na­le e neu­tra­liz­za­re il Pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca Giu­sep­pe Sara­gat.

Sono emer­si, duran­te la sua inda­gi­ne, anche ele­men­ti che ripor­ta­no un inter­ven­to da par­te dei Ser­vi­zi di sicu­rez­za ame­ri­ca­ni, cosa ci può rac­con­ta­re in meri­to?

Sì, uno degli ele­men­ti di mag­gio­re novi­tà dell’indagine, e di cui si è par­la­to poco, è sta­to cer­ta­men­te il rac­con­to del col­la­bo­ra­to­re Car­lo Digi­lio che ha nar­ra­to di esse­re sta­to non solo un ordi­no­vi­sta, ma un infor­ma­to­re dei Ser­vi­zi di sicu­rez­za inter­ni alle basi ame­ri­ca­ne del Vene­to, in par­ti­co­la­re quel­la di Vero­na, dal­le qua­li entra­va e usci­va rela­zio­nan­do sul­le atti­vi­tà del­la sua cel­lu­la. In que­sto dop­pio ruo­lo rife­ri­va agli uffi­cia­li ame­ri­ca­ni, suoi refe­ren­ti dei pro­get­ti di atten­ta­ti, in cre­scen­do, di Ordi­ne Nuo­vo del Vene­to e otte­ne­va rispo­ste che potrem­mo defi­ni­re “tran­quil­liz­zan­ti”. In sostan­za, cer­te azio­ni anda­va­no bene per­ché ser­vi­va­no a man­te­ne­re un “giu­sto” gra­do di ten­sio­ne.

Fu lo stes­so Digi­lio a recar­si il 12 dicem­bre imme­dia­ta­men­te alla base NATO di Vero­na per rife­ri­re sul ruo­lo avu­to dal suo grup­po negli atten­ta­ti di quel gior­no.

L’atteggiamento dei Ser­vi­zi di sicu­rez­za ame­ri­ca­ni può, quin­di, esse­re defi­ni­to di “con­trol­lo sen­za repres­sio­ne”. Un atteg­gia­men­to se non di ispi­ra­zio­ne di una stra­te­gia, cer­to di accet­ta­zio­ne del­la stes­sa e que­sto, ovvia­men­te, sen­za infor­ma­re le auto­ri­tà ita­lia­ne affin­ché adot­tas­se­ro misu­re con­tro i peri­co­li che cor­re­va­no i nostri cit­ta­di­ni.

Que­sto ruo­lo di “osser­va­to­ri bene­vo­li”, al limi­te del­la cobel­li­ge­ran­za, rico­per­to dai nostri allea­ti in even­ti via via più gra­vi, fa entra­re in un pia­no di real­tà quel­lo che sem­bra­va solo uno slo­gan da bol­let­ti­no di con­tro-infor­ma­zio­ne poli­ti­ca: stra­ge di Sta­to con col­pe degli U.S.A.

Cer­ta­men­te si può ora affer­ma­re che il 12 dicem­bre 1969 è avve­nu­ta una stra­ge, se non volu­ta, accet­ta­ta da mol­ti, anche al di là dei nostri con­fi­ni.

La sto­ria del­le inda­gi­ni sul­le stra­gi di estre­ma destra è anche quel­la degli occul­ta­men­ti e dei depi­stag­gi da par­te dei Ser­vi­zi segre­ti, vero?

Sì, c’è sta­to un muro oppo­sto alle inve­sti­ga­zio­ni dell’autorità giu­di­zia­ria alme­no sino alla fine degli anni ‘80, da par­te dei Ser­vi­zi di sicu­rez­za e degli alti livel­li degli orga­ni inve­sti­ga­ti­vi, Poli­zia e Cara­bi­nie­ri. Tale atti­vi­tà ostru­zio­ni­sti­ca e di depi­stag­gio ha avu­to carat­te­re non occa­sio­na­le ma siste­ma­ti­co. Basti ricor­da­re, tra i tan­ti esem­pi pos­si­bi­li, la fuga all’estero di indi­zia­ti impor­tan­ti per la  stra­ge di piaz­za Fon­ta­na, qua­li l’agente del SID Gui­do Gian­net­ti­ni, e di Mar­co Poz­zan, uno dei col­la­bo­ra­to­ri di Fre­da, orga­niz­za­ta con tan­to di docu­men­ti fal­si pro­cu­ra­ti dai ver­ti­ci del SID stes­so; oppu­re la spa­ri­zio­ne di reper­ti nel­la stes­sa inda­gi­ne sul­la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na; l’omessa segna­la­zio­ne all’autorità giu­di­zia­ria di quan­to sta­va rac­con­tan­do al SID Mau­ri­zio Tra­mon­te, l’informatore Tri­to­ne, nei gior­ni del­la stra­ge di Bre­scia. Ed anco­ra l’alterazione ad ope­ra dei Cara­bi­nie­ri dei reper­ti pro­ve­nien­ti dall’attentato di Petea­no e la pota­tu­ra dei nastri con­te­nen­ti i dia­lo­ghi del capi­ta­no La Bru­na con i con­giu­ra­ti del gol­pe Bor­ghe­se, dai qua­li i ver­ti­ci del SID, d’intesa con l’autorità poli­ti­ca del tem­po, ave­va­no espun­to i nomi di mag­gior rilie­vo. E si potreb­be con­ti­nua­re anco­ra.

Ma la sua inda­gi­ne ha incon­tra­to anche mol­te dif­fi­col­tà che non veni­va­no solo dall’esterno ma anche dall’interno del­la magi­stra­tu­ra. Ce lo vuo­le rac­con­ta­re?

C’è la sto­ria ver­go­gno­sa del­le gelo­sie e le invi­die, ben oltre la sem­pli­ce man­can­za di col­la­bo­ra­zio­ne, che han­no segna­to il rap­por­to tra i magi­stra­ti che negli anni ‘90 inda­ga­va­no sui vari epi­so­di di stra­ge.

Mi rife­ri­sco alla vera e pro­pria per­se­cu­zio­ne giu­di­zia­ria dura­ta per più di sei anni con­tro di me, allo­ra Giu­di­ce Istrut­to­re: una per­se­cu­zio­ne sem­pre taciu­ta anche a distan­za di tan­ti anni, per ver­go­gna e auto­cen­su­ra, una del­le pagi­ne più nere del­la magi­stra­tu­ra ma che ho inte­ra­men­te rac­con­ta­to nel libro La male­di­zio­ne di piaz­za Fon­ta­na, scrit­to con Andrea Sce­re­si­ni e pub­bli­ca­to da Chia­re­let­te­re nel 2019, il cin­quan­te­na­rio del­la stra­ge.

Det­to in sin­te­si, e riman­do per il resto a tale nar­ra­zio­ne, la Pro­cu­ra di Vene­zia, nel­la per­so­na del dr. Feli­ce Cas­son, non ave­va gra­di­to che le nuo­ve inda­gi­ni mila­ne­si non con­fer­mas­se­ro il pre­sun­to coin­vol­gi­men­to di Gla­dio alle stra­gi, tesi che ave­va soste­nu­to con enfa­si anche se pre­va­len­te­men­te in for­ma media­ti­ca e non giu­di­zia­ria. Ancor meno ave­va gra­di­to che le inda­gi­ni mila­ne­si aves­se­ro fat­to brec­cia pro­prio sull’ambiente ordi­no­vi­sta di Vene­zia e Mestre su cui tale Pro­cu­ra ave­va inda­ga­to, negli anni pre­ce­den­ti, con risul­ta­ti mol­to mino­ri.

È acca­du­to, in que­sto sce­na­rio per­so­na­li­sti­co, nel 1995, qual­co­sa che oggi può appa­ri­re incre­di­bi­le eppu­re è suc­ces­so così come lo rac­con­to. Il dr. Cas­son ha col­ti­va­to osti­na­ta­men­te un espo­sto fasul­lo con­tro di me, ispi­ra­to e paga­to da Del­fo Zor­zi [N.d.R. di Ordi­ne Nuo­vo] e pre­sen­ta­to dal capo ordi­no­vi­sta Car­lo Maria Mag­gi, inda­ga­ti in quel momen­to per la stra­ge di piaz­za Fon­ta­na, con la con­se­guen­te incri­mi­na­zio­ne da par­te del­lo stes­so Cas­son, mia, e di chi lavo­ra­va con me sul fron­te dell’eversione nera. A tale incon­ce­pi­bi­le ini­zia­ti­va era­no segui­te una serie di segna­la­zio­ni disci­pli­na­ri al CSM [N.d.R. Con­si­glio Supe­rio­re del­la Magi­stra­tu­ra], tut­te rive­la­te­si fal­se e infon­da­te, e addi­rit­tu­ra il ten­ta­ti­vo, per for­tu­na non riu­sci­to, di far­mi tra­sfe­ri­re d’ufficio da Mila­no. Tali ini­zia­ti­ve, pur scon­fit­te, han­no però cau­sa­to per lun­go tem­po la dele­git­ti­ma­zio­ne del­la mia istrut­to­ria dinan­zi ai testi­mo­ni e agli inda­ga­ti, e col­pi­to a mor­te lo svi­lup­po dell’indagine su piaz­za Fon­ta­na.

Sono sta­te ini­zia­ti­ve inqui­nan­ti che han­no tro­va­to spon­da nel­la Pro­cu­ra di Mila­no, que­sta non ave­va mai svol­to alcu­na inda­gi­ne sul­la stra­ge ma non disde­gna­va di appro­priar­si del­le inda­gi­ni altrui. Quest’ostacolo si è rove­scia­to sul­la mia istrut­to­ria, inter­rom­pen­do­la e qua­si para­liz­zan­do­la, pro­prio nei suoi momen­ti deci­si­vi, diven­tan­do una ciam­bel­la di sal­va­tag­gio per gli ordi­no­vi­sti sot­to accu­sa. Det­to in paro­le sem­pli­ci, la Pro­cu­ra, cer­can­do addi­rit­tu­ra di man­dar­mi via da Mila­no, vole­va impa­dro­nir­si del­le mie inda­gi­ni ma nel con­tem­po non le sape­va fare, come ha dimo­stra­to la sua inca­pa­ci­tà di costrui­re un rap­por­to di fidu­cia con i col­la­bo­ra­to­ri e i testi­mo­ni, e di vede­re pro­ve, che come tra poco dirò, ave­va­no sot­to il naso.

Per for­tu­na nel suo libro lei ricor­da che non con tut­ti i col­le­ghi andò così…

Sì, per for­tu­na la col­la­bo­ra­zio­ne con la Pro­cu­ra di Bre­scia è sta­ta pro­fi­cua e con­ti­nua negli anni. A Bre­scia c’è sta­ta la con­dan­na defi­ni­ti­va all’ergastolo per la stra­ge di piaz­za del­la Log­gia nei con­fron­ti del capo ordi­no­vi­sta Car­lo Maria Mag­gi e di Mau­ri­zio Tra­mon­te, l’informatore del SID che ave­va par­te­ci­pa­to alle riu­nio­ni pre­pa­ra­to­rie del­la stra­ge.

L’indagine bre­scia­na toc­ca­va lo stes­so ambien­te e si basa­va sugli stes­si testi­mo­ni pre­sen­ti in quel­la di piaz­za Fon­ta­na e l’esito diver­so dei due pro­ces­si testi­mo­nia le con­se­guen­ze nefa­ste dell’inettitudine, del­la pre­sun­zio­ne e del­la volon­tà di far sor­ge­re con­flit­ti tra magi­stra­ti con cui la Pro­cu­ra di Mila­no ha trat­ta­to la stra­ge del 12 dicem­bre.

C’è sta­ta qual­che rea­zio­ne dopo la pub­bli­ca­zio­ne del suo libro?

Nes­su­na, se non di apprez­za­men­to da par­te di mol­ti let­to­ri e stu­dio­si. Nes­su­no di colo­ro che ho indi­ca­to come respon­sa­bi­le dei disa­stri com­mes­si all’interno del­la magi­stra­tu­ra, duran­te le inda­gi­ni sul­la stra­ge, ha osa­to rea­gi­re, nono­stan­te la gra­vi­tà del­le accu­se che ho mos­so, con una que­re­la o anche sem­pli­ce­men­te con un arti­co­lo o un inter­ven­to di rispo­sta. Que­sto per la sem­pli­ce ragio­ne che quel­lo che ho scrit­to era tut­to vero e docu­men­ta­to, per­ciò non pote­va esse­re smen­ti­to.

Ma il suo libro con­tie­ne anche nuo­ve pro­ve, vuo­le far­ci un accen­no?

Sì, Andrea Sce­re­si­ni ed io abbia­mo con­ti­nua­to a lavo­ra­re, anche dopo la sen­ten­za defi­ni­ti­va del­la Cas­sa­zio­ne del 2005, su piste non segui­te fino in fon­do e su nuo­vi testi­mo­ni che han­no aggiun­to impor­tan­ti ele­men­ti di veri­tà sul­la stra­ge, i qua­li con­fer­ma­no pie­na­men­te l’esattezza del­la rico­stru­zio­ne del­la mia istrut­to­ria. Insom­ma, abbia­mo con­ti­nua­to il lavo­ro che altri non han­no fat­to.

Nel libro c’è ad esem­pio la sto­ria del caso­la­re.

Car­lo Digi­lio ave­va par­la­to del­la base logi­sti­ca vici­no a Tre­vi­so, a Pae­se, un caso­la­re iso­la­to in cam­pa­gna gesti­to dal grup­po di Mestre-Vene­zia, quin­di da lui stes­so Mag­gi, Zor­zi e da quel­lo di Pado­va, con Ven­tu­ra che ave­va affit­ta­to que­sto caso­la­re, in cui c’era la san­ta­bar­ba­ra di Ordi­ne Nuo­vo: armi ed esplo­si­vi di tut­ti i tipi. Lì era­no sta­ti pre­pa­ra­ti gli ordi­gni per tut­ta la cate­na di atten­ta­ti del 1969. Pur­trop­po quel caso­la­re non era sta­to tro­va­to e la Cor­te di Assi­se di Appel­lo ave­va moti­va­to le asso­lu­zio­ni soprat­tut­to sul fat­to che, su que­sta par­te cen­tra­le del rac­con­to, Digi­lio non ave­va avu­to con­fer­ma. Sia­mo anda­ti a vede­re gli atti che la Pro­cu­ra di Mila­no ave­va foto­co­pia­to a Catan­za­ro e in uno di que­sti fal­do­ni c’era un reper­to impor­tan­tis­si­mo, l’agenda di Ven­tu­ra del 1969 che nes­su­no però ave­va mai esa­mi­na­to.

Nell’agenda c’era una serie di appun­ti con scrit­to “Digi­lio-Pae­se” — quin­di Ven­tu­ra lo incon­tra­va in quel luo­go — e anche il nome dell’avvocato che, per con­to di Ven­tu­ra, ave­va fat­to il con­trat­to del caso­la­re.

Con que­sti dati abbia­mo tro­va­to subi­to il caso­la­re che si tro­va anco­ra là nel­la zona indi­ca­ta da Digi­lio. Non solo, l’avvocato ha rac­con­ta­to che il pro­prie­ta­rio era anda­to a con­trol­la­re i loca­li in assen­za degli inqui­li­ni e ave­va tro­va­to un pac­co di armi.

Quin­di, Digi­lio ave­va det­to total­men­te il vero e se il caso­la­re fos­se sta­to sco­per­to pri­ma del­la sen­ten­za defi­ni­ti­va, qua­si cer­ta­men­te le asso­lu­zio­ni non ci sareb­be­ro sta­te. In real­tà, per sco­prir­lo basta­va solo che la Pro­cu­ra leg­ges­se i suoi atti per­ché ave­va la pro­va regi­na davan­ti agli occhi.

Sia­mo anche anda­ti a cer­ca­re Giam­pao­lo Sti­ma­mi­glio, ex-ordi­no­vi­sta di Vero­na, ami­co di Gio­van­ni Ven­tu­ra sin da quan­do fre­quen­ta­va­no insie­me lo stes­so col­le­gio cat­to­li­co. Attual­men­te, vive in una loca­li­tà pro­tet­ta e ci ha rac­con­ta­to di aver cono­sciu­to anche lui il caso­la­re di Pae­se e che, quan­do nel 1994 ave­va incon­tra­to in Argen­ti­na Ven­tu­ra per l’ultima vol­ta, que­sti gli ave­va con­fer­ma­to che Del­fo Zor­zi era coin­vol­to negli atten­ta­ti del 12 dicem­bre.

Quin­di, anco­ra una vol­ta, pro­ve arri­va­te trop­po tar­di?

Addi­rit­tu­ra, dopo la sen­ten­za sono emer­si mol­ti nuo­vi ele­men­ti di accu­sa a cari­co del­la cel­lu­la pado­va­na di cui ci ha par­la­to un suo mili­tan­te, Gian­ni Casa­li­ni, in un lun­go rac­con­to che ci ha reso poco pri­ma di mori­re. Casa­li­ni rac­con­ta di un arse­na­le, con esplo­si­vi, del grup­po alla peri­fe­ria di Pado­va. Un arse­na­le tut­to­ra esi­sten­te in quan­to col­lo­ca­to su un ter­re­no che allo­ra era un cam­po e su cui ades­so sono costrui­te alcu­ne vil­let­te. Un arse­na­le quin­di che sta anco­ra lì da quarant’anni. Gian­ni Casa­li­ni ha anche nar­ra­to, in un rac­con­to det­ta­glia­to, di aver par­te­ci­pa­to per­so­nal­men­te, invia­to dal­la cel­lu­la pado­va­na insie­me a Iva­no Tonio­lo, luo­go­te­nen­te di Fre­da, a 2 dei 10 atten­ta­ti ai tre­ni del­la not­te dei fuo­chi dell’8 ago­sto 1969, quel­li in cui due ordi­gni furo­no col­lo­ca­ti su con­vo­gli alla Sta­zio­ne Cen­tra­le di Mila­no.

Di gran­de rilie­vo è il fat­to che Gian­ni Casa­li­ni aves­se rive­la­to spon­ta­nea­men­te ai fun­zio­na­ri del SID di Pado­va, già a metà degli anni ‘70, mol­to di quel­lo che ave­va com­mes­so la cel­lu­la pado­va­na. Ma il gen. Malet­ti, vice­ca­po del SID a Roma, ave­va impe­di­to che tali infor­ma­zio­ni giun­ges­se­ro alla magi­stra­tu­ra dan­do espli­ci­te dispo­si­zio­ni, al livel­lo peri­fe­ri­co di Pado­va, di “chiu­de­re la fon­te”, come risul­ta da un mano­scrit­to auto­gra­fo seque­stra­to nel­la sua abi­ta­zio­ne, nel 1980, subi­to dopo la sua fuga in Suda­fri­ca. Una sop­pres­sio­ne di pro­ve in pie­na rego­la.

Anco­ra, il 31 dicem­bre 1997, pro­prio l’ultimo gior­no del­la mia istrut­to­ria, Car­lo Digi­lio mi ave­va final­men­te rive­la­to il nome dell’autista di piaz­za Fon­ta­na, di colui che ave­va por­ta­to in auto il grup­po da Mestre a Pado­va e poi a Mila­no. Era Gian­ni Mari­ga, com­po­nen­te del­la cel­lu­la di Ordi­ne Nuo­vo di Mestre e auti­sta di pro­fes­sio­ne.

Già a metà degli anni ‘70, Mari­ga si era pru­den­te­men­te allon­ta­na­to da Mestre e si era arruo­la­to nel­la Legio­ne Stra­nie­ra fran­ce­se in cui, sot­to fal­so nome, ave­va pre­sta­to ser­vi­zio per mol­ti anni.

Lo abbia­mo cer­ca­to e abbia­mo sco­per­to che nel 1998, ormai in con­ge­do, pro­prio quan­do il pro­ces­so di piaz­za Fon­ta­na era in cor­so, si era sui­ci­da­to get­tan­do­si nel fiu­me Roda­no. Abbia­mo par­la­to a lun­go in Fran­cia con la moglie: que­sta ci ha rac­con­ta­to che il mari­to era in uno sta­to di gra­ve depres­sio­ne, tene­va qual­co­sa cosa den­tro di sé, e che in Ita­lia ave­va com­mes­so una cosa mol­to gra­ve di cui non si pote­va par­la­re. Eppu­re, nono­stan­te fos­se noto ove abi­tas­se, la Pro­cu­ra, che era anco­ra in tem­po, non è mai anda­ta a sen­tir­lo. 

Qual è, in con­clu­sio­ne, il mes­sag­gio del­la sua inchie­sta, al di là dei pro­ces­si? È sta­to tut­to com­pre­so o c’è anco­ra qual­co­sa da sco­pri­re?

Resta­no anco­ra, in par­te, oscu­ri i bene­fi­cia­ri poli­ti­ci. Il man­dan­te spin­ge aper­ta­men­te o ordi­na a qual­cu­no di com­pie­re una deter­mi­na­ta azio­ne. Il bene­fi­cia­rio è qual­co­sa di diver­so, sa che tu stai com­pien­do un atten­ta­to, ti instra­da sen­za che tu lo sap­pia, otte­nen­do così un suo obiet­ti­vo dal pun­to di vista poli­ti­co. Ma mol­ti dei per­so­nag­gi del­la poli­ti­ca ita­lia­na di que­gli anni sono mor­ti. È qua­si impos­si­bi­le oggi sape­re qual­co­sa di più. Lo stes­so rac­con­to di Pao­lo Emi­lio Tavia­ni [N.d.R. mem­bro del­la Demo­cra­zia Cri­stia­na e che ha svol­to varie cari­che di mini­stro dagli anni ‘50 ai ‘70], ha nar­ra­to che gli alti ver­ti­ci mili­ta­ri sape­va­no tut­to, è rima­sto tron­ca­to a metà dal­la sua mor­te. Comun­que è sta­to pos­si­bi­le otte­ne­re una veri­tà giu­di­zia­ria sep­pu­re par­zia­le e a pre­scin­de­re dall’esecuzione del­le pene che è, in fon­do, un aspet­to secon­da­rio. Come abbia­mo visto, non è fini­to tut­to in una bol­la di sapo­ne, diver­sa­men­te da quan­to mol­ti si augu­ra­va­no. Del lavo­ro svol­to dal mio vec­chio Uffi­cio Istru­zio­ne sono sod­di­sfat­to. Oggi le mie inchie­ste appar­ten­go­no al pas­sa­to, me le sono lascia­te alle spal­le, ma riman­go­no un momen­to irri­pe­ti­bi­le del­la mia sto­ria pro­fes­sio­na­le e per­so­na­le. For­se quel­le inchie­ste pos­so­no aver avu­to anche una pic­co­la fun­zio­ne pre­ven­ti­va. Far capi­re ai gio­va­ni che nel­lo Sta­to c’era qual­cu­no dispo­sto a muo­ver­si per can­cel­la­re cer­te ver­go­gne del pas­sa­to. È come se si fos­se lan­cia­to un mes­sag­gio: non abbia­te sfi­du­cia nel­le isti­tu­zio­ni del pae­se. Anche nel­lo Sta­to, infat­ti, qual­cu­no ha con­ti­nua­to a lavo­ra­re e ha cer­ca­to di por­re luce sul­le col­lu­sio­ni e le negli­gen­ze del pas­sa­to. Que­sto può esse­re un pic­co­lo deter­ren­te per nuo­ve scor­cia­to­ie di vio­len­za, basa­te sul­la sfi­du­cia inte­gra­le nel­lo Sta­to e che a trat­ti rischia­no di tor­na­re attua­li.

Gui­do Sal­vi­ni, nato nel 1953, si è lau­rea­to a Mila­no nel 1978 ed è entra­to in magi­stra­tu­ra nel 1982. Si è occu­pa­to, pri­ma come Giu­di­ce Istrut­to­re e poi come Giu­di­ce per le Inda­gi­ni Pre­li­mi­na­ri, di inchie­ste in mate­ria di ter­ro­ri­smo di Destra e di Sini­stra e di ter­ro­ri­smo inter­na­zio­na­le nel caso Abu Omar e Tele­com-Sismi e a Cre­mo­na dell’indagine sul Cal­cio­scom­mes­se.

È sta­to con­su­len­te del­la Com­mis­sio­ne Par­la­men­ta­re d’Inchiesta sul­le cau­se dell’occultamento dei fasci­co­li rela­ti­vi alle stra­gi nazi­fa­sci­ste del 1943–1945 o “Arma­dio del­la Ver­go­gna”, del­la Com­mis­sio­ne Par­la­men­ta­re d’Inchiesta sul seque­stro dell’on. Aldo Moro e con­su­len­te del­la Com­mis­sio­ne Anti­ma­fia.

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