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Maggio
15 Maggio 2023

IL CASO DI ALFRE­DO COSPI­TO E LA STO­RIA DEL 41 BIS

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Alfre­do Cospi­to è rite­nu­to uno degli ele­men­ti di spic­co del mon­do anar­chi­co tori­ne­se in quan­to mili­tan­te atti­vo da metà degli anni Novan­ta ed è tra i crea­to­ri del­la FAI, la Fede­ra­zio­ne Anar­chi­ca Infor­ma­le. Nel 2014 vie­ne con­dan­na­to per aver gam­biz­za­to due anni pri­ma a Geno­va il diri­gen­te dell’Ansaldo Nuclea­re, Rober­to Adi­nol­fi.

Nel 2017, men­tre scon­ta­va la pena di 10 anni per il pre­ce­den­te rea­to, vie­ne accu­sa­to di aver mes­so due bom­be arti­gia­na­li a bas­so poten­zia­le in un cas­so­net­to davan­ti alla Scuo­la Allie­vi dei Cara­bi­nie­ri di Fos­sa­no, esplo­si nel­la not­te tra il 2 e il 3 giu­gno 2006, sen­za cau­sa­re né mor­ti né feri­ti. Secon­do i giu­di­ci però, il fat­to che non ci sia­no sta­te vit­ti­me è sta­to solo casua­le e per­ciò l’hanno con­dan­na­to a vent’anni di reclu­sio­ne, con l’accusa di stra­ge. In segui­to a que­sta con­dan­na vie­ne inse­ri­to in un cir­cui­to peni­ten­zia­rio ad alta sicu­rez­za per rea­ti asso­cia­ti­vi, con una sor­ve­glian­za mol­to stret­ta ma con la pos­si­bi­li­tà di man­te­ne­re alcu­ne liber­tà fon­da­men­ta­li, come la pos­si­bi­li­tà di comu­ni­ca­re con l’esterno, scri­ve­re arti­co­li per rivi­ste anar­chi­che, rice­ve­re cor­ri­spon­den­za, usu­frui­re di col­lo­qui in pre­sen­za e tele­fo­ni­ci, così come par­te­ci­pa­re a momen­ti di socia­li­tà ed ave­re acces­so alla biblio­te­ca dell’istituto peni­ten­zia­rio.

Dopo que­sta pri­ma sen­ten­za, il Pro­cu­ra­to­re Gene­ra­le del­la Repub­bli­ca si è appel­la­to alla Cor­te di Cas­sa­zio­ne soste­nen­do che quel­la per­pe­tra­ta da Cospi­to non è una stra­ge comu­ne, ben­sì poli­ti­ca come reci­ta l’art. 285 del Codi­ce Pena­le.

Per con­te­stua­liz­za­re, l’ar­ti­co­lo 285 non è sta­to appli­ca­to né per le stra­gi di Capa­ci e via d’A­me­lio, dove per­se­ro la vita i giu­di­ci Fal­co­ne e Bor­sel­li­no per mano del­la mafia, né per quel­la del­la sta­zio­ne di Bolo­gna, dove mori­ro­no 80 per­so­ne e che vie­ne con­si­de­ra­ta sto­ri­ca­men­te uno degli atti ter­ro­ri­sti­ci più gra­vi del secon­do dopo­guer­ra, per­pe­tra­to dal grup­po neo­fa­sci­sta NAR. In tut­ti que­sti casi ven­ne appli­ca­to l’articolo 422, di “stra­ge comu­ne”.

Que­sta nuo­va deci­sio­ne ha por­ta­to ad un ina­spri­men­to del­la con­dan­na, da 20 anni all’ergastolo osta­ti­vo, che non per­met­te di gode­re di alcun bene­fi­cio per il dete­nu­to: nien­te libe­ra­zio­ne con­di­zio­na­le, lavo­ro all’esterno, per­mes­si pre­mio né semi­li­ber­tà. La pena non può esse­re in nes­sun caso muta­ta o abbre­via­ta.

A que­sto si aggiun­ge la reclu­sio­ne in regi­me 41 bis, det­to anche “car­ce­re duro”, comin­cia­ta nell’aprile 2022 nel car­ce­re di Ban­ca­li a Sas­sa­ri. L’applicazione di tale misu­ra è sta­ta decre­ta­ta dal Mini­ste­ro del­la Giu­sti­zia, che ha sta­bi­li­to che il dete­nu­to è “in gra­do di man­te­ne­re con­tat­ti con espo­nen­ti tut­to­ra libe­ri dell’organizzazione ever­si­va di appar­te­nen­za”, giu­sti­fi­can­do così l’ulteriore con­dan­na. Il 20 otto­bre 2022 Alfre­do Cospi­to ha ini­zia­to a pro­te­sta­re con­tro il regi­me spe­cia­le a cui è sot­to­po­sto attra­ver­so uno scio­pe­ro del­la fame con­ti­nua­to fino ad apri­le 2023, di cui anco­ra non sap­pia­mo qua­li saran­no i pros­si­mi svi­lup­pi.

Come dichia­ra­to da un comu­ni­ca­to stam­pa del Comi­ta­to Nazio­na­le per la Bio­e­ti­ca riu­ni­to­si il 6 mar­zo 2023 , «lo scio­pe­ro del­la fame è espres­sio­ne di auto­de­ter­mi­na­zio­ne del­la per­so­na: for­ma di testi­mo­nian­za e pro­te­sta non vio­len­ta a dife­sa di idea­li, dirit­ti, valo­ri e liber­tà. Lo scio­pe­ro del­la fame rap­pre­sen­ta dun­que un modo, sia pure estre­mo, di richia­ma­re l’attenzione dell’opinione pub­bli­ca su situa­zio­ni rite­nu­te ingiu­ste o su dirit­ti che si desi­de­ra riven­di­ca­re. Un tale com­por­ta­men­to espri­me quin­di una liber­tà mora­le del sog­get­to, che rap­pre­sen­ta quel «resi­duo tan­to più pre­zio­so, in quan­to costi­tui­sce l’ultimo ambi­to nel qua­le può espan­der­si la sua per­so­na­li­tà indi­vi­dua­le (sen­ten­za del­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le n. 349 del 1993)» [fon­te].

Con la reclu­sio­ne al 41 bis, Cospi­to ha per­so la pos­si­bi­li­tà di ave­re lega­mi con l’esterno, non ha acces­so alla biblio­te­ca dell’istituto e può vede­re solo gli altri dete­nu­ti del regi­me spe­cia­le, a grup­pi di mas­si­mo quat­tro per­so­ne e per due ore al gior­no. Il resto del tem­po è fat­to di sbar­re, muri e pen­sie­ri che non tro­va­no lo spa­zio di espri­mer­si.

La sua reclu­sio­ne e l’inizio di que­sto scio­pe­ro han­no con­tri­bui­to a far inne­sca­re la mic­cia del suo caso. In un pri­mo momen­to sono com­par­se scrit­te sui muri, si sono orga­niz­za­te mani­fe­sta­zio­ni, poi alcu­ni indi­vi­dui e appar­te­nen­ti a grup­pi anar­chi­ci sono pas­sa­ti ad atten­ta­ti dimo­stra­ti­vi. A que­sto pro­po­si­to, l’8 dicem­bre 2022 il grup­po anar­chi­co “Car­lo Giu­lia­ni Reven­ge Nuclei” riven­di­ca un attac­co incen­dia­rio alle auto del­la fun­zio­na­ria dell’Ambasciata d’Italia ad Ate­ne Susan­na Schlein, sorel­la di Elly Schlein che sareb­be sta­ta elet­ta Segre­ta­ria del PD alla fine di feb­bra­io del 2023. Nel mese suc­ces­si­vo attac­chi ana­lo­ghi sono sta­ti indi­riz­za­ti al Con­so­la­to Gene­ra­le d’Italia a Bar­cel­lo­na e Ber­li­no.

Il caso di Cospi­to ha rag­giun­to un’ampia atten­zio­ne media­ti­ca e rap­pre­sen­ta un caso uni­co di dete­nu­to rele­ga­to al 41 bis, in quan­to risul­ta il pri­mo anar­chi­co a dover scon­ta­re que­sta pena. Anna Benia­mi­no, co-impu­ta­ta nel caso del­la Scuo­la Allie­vi dei Cara­bi­nie­ri di Fos­sa­no e con­dan­na­ta a 29 anni di car­ce­re, ritie­ne che si trat­ti di un pro­ces­so alla loro iden­ti­tà di anar­chi­ci, piut­to­sto che rispet­to ad una stra­ge che non ha fat­to dan­ni né vit­ti­me.

Il tema ha carat­te­re gene­ra­le. Sono in tan­ti nel­le car­ce­ri ita­lia­ne a vive­re in silen­zio il “car­ce­re duro”. Secon­do i dati del Mini­ste­ro del­la Giu­sti­zia aggior­na­ti ad otto­bre 2022, i dete­nu­ti al regi­me del 41 bis sono 728. La stra­gran­de mag­gio­ran­za di que­sti dete­nu­ti sono uomi­ni, ben 716, men­tre le don­ne sot­to­po­ste al regi­me spe­cia­le sono 12. In tota­le, si trat­ta dell’1,6% del­le per­so­ne dete­nu­te in Ita­lia, che sono cir­ca 56mila. Come dichia­ra­to da Cospi­to, la sua è una lot­ta per far sape­re a tut­ti cosa signi­fi­ca esse­re con­dan­na­ti a que­sta pena, facen­do­si por­ta­vo­ce anche di quei dete­nu­ti che non han­no sfon­da­to la bar­rie­ra media­ti­ca.

La misu­ra spe­cia­le del 41 bis è sta­ta intro­dot­ta nell’ordinamento ita­lia­no dal­la leg­ge 10 otto­bre 1986 n. 663, con un carat­te­re emer­gen­zia­le, in segui­to alle stra­gi di Capa­ci e di via D’Amelio, nel ten­ta­ti­vo di neu­tra­liz­za­re la peri­co­lo­si­tà di dete­nu­ti che, man­te­nen­do il lega­me con asso­cia­zio­ni cri­mi­na­li di stam­po mafio­so, con­ti­nua­va­no ad eser­ci­ta­re ruo­li di coman­do e con­trol­lo anche dal car­ce­re. Fin dal­la pri­ma for­mu­la­zio­ne era­no sta­ti indi­vi­dua­ti da una par­te di socie­tà civi­le (giu­ri­sti, avvo­ca­ti, gior­na­li­sti) dei carat­te­ri illi­be­ra­li in que­sta misu­ra, da cui il nome “car­ce­re duro” attri­bui­to­gli dai gior­na­li­sti dell’epoca. Nono­stan­te la sua natu­ra prov­vi­so­ria il 41 bis vie­ne pro­ro­ga­to varie vol­te negli anni, fino ad esse­re reso defi­ni­ti­vo nel 2002 (Leg­ge 23.12.2002, n. 279) dal­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le che gli attri­bui­sce la fisio­no­mia che ha oggi. Ridu­cen­do, qua­si eli­mi­nan­do, i con­tat­ti con l’esterno, il regi­me deten­ti­vo spe­cia­le mira a neu­tra­liz­za­re l’influenza dei dete­nu­ti nel­le orga­niz­za­zio­ni di appar­te­nen­za, ren­den­do effet­ti­va la fun­zio­ne del­la pena deten­ti­va.

Secon­do la leg­ge, i dete­nu­ti al 41 bis sono reclu­si obbli­ga­to­ria­men­te in una cel­la sin­go­la e han­no due ore al gior­no di socia­li­tà in grup­pi com­po­sti al mas­si­mo da quat­tro per­so­ne appar­te­nen­ti allo stes­so pro­gram­ma. Vie­ne con­sen­ti­to un solo col­lo­quio al mese die­tro ad un vetro divi­so­rio (tran­ne per i mino­ri di 12 anni), del­la dura­ta di un’ora, il dete­nu­to è video­sor­ve­glia­to e, se rite­nu­to neces­sa­rio, ascol­ta­to da un agen­te del­la Poli­zia Peni­ten­zia­ria. Per ren­de­re un’idea del­le dif­fe­ren­ze, per i dete­nu­ti “comu­ni” sono pre­vi­sti sei col­lo­qui al mese sen­za bar­rie­re divi­so­rie. In sosti­tu­zio­ne del col­lo­quio in per­so­na, i dete­nu­ti al 41 bis pos­so­no esse­re auto­riz­za­ti a fare un col­lo­quio tele­fo­ni­co con i fami­lia­ri ma solo dopo i pri­mi sei mesi di appli­ca­zio­ne del regi­me.

Que­ste restri­zio­ni, per quan­to con­si­de­ra­te neces­sa­rie dal­lo Sta­to, met­to­no in discus­sio­ne i limi­ti entro i qua­li i dirit­ti dell’individuo ven­go­no rispet­ta­ti. Con­si­de­ran­do che sia la Costi­tu­zio­ne Ita­lia­na sia la Cor­te euro­pea dei Dirit­ti dell’Uomo con­fer­ma­no che è com­pi­to del­lo Sta­to appli­ca­re misu­re neces­sa­rie per la pro­te­zio­ne del­la col­let­ti­vi­tà, è anche vero che è suo dove­re pro­teg­ge­re gli indi­vi­dui, anche nel caso in cui si trat­ti di per­so­ne che han­no com­mes­so cri­mi­ni e sia­no sta­te giu­di­ca­te col­pe­vo­li di fron­te alla leg­ge.

La deci­sio­ne di chi deve sot­to­sta­re a que­sto tipo di regi­me avvie­ne in segui­to ad un decre­to moti­va­to del Mini­ste­ro del­la Giu­sti­zia, su pro­po­sta del Pub­bli­co Mini­ste­ro inca­ri­ca­to del­le inda­gi­ni e pre­via con­sul­ta­zio­ne con la Dire­zio­ne Nazio­na­le Anti­ma­fia e la Poli­zia di Sta­to.

Secon­do il diciot­te­si­mo rap­por­to sul­le con­di­zio­ni di deten­zio­ne dell’osservatorio Anti­go­ne, per esse­re con­dan­na­ti al 41 bis ci voglio­no due pre­sup­po­sti. Il pri­mo “ogget­ti­vo”, ossia «per un delit­to com­mes­so con le con­di­zio­ni o al fine di age­vo­la­re l’associazione di tipo mafio­so». Ci sono anche altri delit­ti elen­ca­ti nell’articolo, ma nel­la pras­si – ovve­ro nel 90% dei casi – è una misu­ra appli­ca­ta prin­ci­pal­men­te al pri­mo caso rife­ri­to.  Il secon­do pre­sup­po­sto è “sog­get­ti­vo”, ossia che ci sia­no «ele­men­ti tali da far rite­ne­re la sus­si­sten­za di col­le­ga­men­ti con un’associazione cri­mi­na­le, ter­ro­ri­sti­ca ed ever­si­va» (clic­ca­re qui per appro­fon­di­re). Solo l’effettiva peri­co­lo­si­tà del dete­nu­to ren­de legit­ti­ma l’applicazione di una misu­ra che inci­de così pesan­te­men­te sui dirit­ti dell’individuo.

Alfre­do Cospi­to rap­pre­sen­ta il pri­mo caso di un dete­nu­to che vie­ne con­dan­na­to al “car­ce­re duro” per moti­vi di asso­cia­zio­ne poli­ti­ca. Come ha espli­ci­ta­to lo stes­so Cospi­to in una let­te­ra indi­riz­za­ta al suo avvo­ca­to e che è poi sta­ta resa pub­bli­ca, «non c’è insul­to peg­gio­re per un anar­chi­co che accu­sar­lo di dare e rice­ve­re ordi­ni» e aggiun­ge «non mi sono mai asso­cia­to ad alcu­no e quin­di non pos­so distac­car­mi da alcu­no» [fon­te].
Gli anar­chi­ci riten­go­no che il fine ulti­mo del 41 bis, ossia quel­lo di impe­di­re ai dete­nu­ti di con­ti­nua­re a coor­di­na­re le azio­ni del­le loro asso­cia­zio­ni cri­mi­na­li all’esterno, non risul­ta effet­ti­va nel loro caso per la pre­di­spo­si­zio­ne ad agi­re in modo indi­vi­dua­le e a non segui­re una gerar­chia, che inclu­de il caso di poter dare ordi­ni e orga­niz­za­re azio­ni all’esterno.

Pos­so­no sol­le­var­si dei dub­bi sul fat­to che qual­si­vo­glia azio­ne per esse­re por­ta­ta a ter­mi­ne con suc­ces­so deb­ba ave­re una qual­che for­ma di orga­niz­za­zio­ne, anche per chi si ispi­ra alla tra­di­zio­ne anar­chi­ca. Sicu­ra­men­te Cospi­to è una figu­ra di rife­ri­men­to e un atti­vi­sta di rilie­vo nel movi­men­to, ma così come lui stes­so ha ammes­so di aver com­mes­so i cri­mi­ni di cui è accu­sa­to, con dei com­pli­ci e una pre­pa­ra­zio­ne pre­ce­den­te alle spal­le, si è sem­pre dichia­ra­to libe­ro di agi­re secon­do i pro­pri prin­ci­pi assu­men­do­se­ne la com­ple­ta respon­sa­bi­li­tà.

Occor­re aggiun­ge­re a que­sto riguar­do che ci sono dub­bi sul fat­to che, a livel­lo ope­ra­ti­vo, sia pos­si­bi­le por­ta­re a ter­mi­ne le azio­ni ogget­to di que­sti pro­ce­di­men­ti sen­za una qual­che for­ma di orga­niz­za­zio­ne, anche da par­te di sog­get­ti che si ispi­ra­no alla tra­di­zio­ne anar­chi­ca.

Quel­la del regi­me deten­ti­vo spe­cia­le è sta­ta iden­ti­fi­ca­ta negli anni come una misu­ra “imbu­ti­for­me”, con­si­de­ran­do che sono più le per­so­ne che ci entra­no di quel­le che ne esco­no. Anche se il limi­te pre­vi­sto per que­sta pena sareb­be di quat­tro anni, c’è la pos­si­bi­li­tà di pro­lun­ga­re la con­dan­na se ne sus­si­sto­no anco­ra i pre­sup­po­sti e infat­ti alcu­ni dete­nu­ti sono sta­ti rele­ga­ti al 41 bis per più di vent’anni.

Con que­ste moda­li­tà di deten­zio­ne, sor­ge spon­ta­nea la neces­si­tà di riflet­te­re sul rispet­to dei dirit­ti uma­ni dei dete­nu­ti nel­le car­ce­ri, che ven­go­no mes­si a rischio nel momen­to in cui le liber­tà per­so­na­li dell’individuo ven­go­no dra­sti­ca­men­te ridot­te per un las­so di tem­po così lun­go.

La Cor­te Euro­pea dei Dirit­ti dell’Uomo (CEDU) ha indi­vi­dua­to diver­se cri­ti­ci­tà negli anni rispet­to a que­sta misu­ra e ha già con­dan­na­to l’Italia per l’applicazione del 41 bis. Uno di que­sti casi risa­le al 2018 e riguar­da il capo­ma­fia Ber­nar­do Pro­ven­za­no. In quell’occasione i giu­di­ci di Stra­sbur­go ave­va­no accu­sa­to l’Italia di non aver valu­ta­to cor­ret­ta­men­te le con­di­zio­ni di salu­te del dete­nu­to pri­ma di sot­to­por­lo ad un regi­me così pesan­te.

A fare ricor­so era­no sta­ti il figlio e la com­pa­gna di Pro­ven­za­no, affer­man­do che nono­stan­te la deca­den­za fisi­ca e men­ta­le non sia sta­to pos­si­bi­le far usci­re il dete­nu­to dal 41 bis fino al momen­to del­la mor­te. Con un’altra sen­ten­za nel 2018, sem­pre rife­ri­ta a que­sto caso, la CEDU ha rite­nu­to l’Italia respon­sa­bi­le di aver vio­la­to l’articolo 3 del­la Con­ven­zio­ne Euro­pea dei Dirit­ti dell’Uomo, nel qua­le si affer­ma che «nes­su­no può esse­re sot­to­po­sto a tor­tu­ra né a pene o trat­ta­men­ti disu­ma­ni o degra­dan­ti».  Anche i con­trol­li sul­la posta del dete­nu­to ven­go­no rite­nu­ti con­tra­ri all’art. 8, che difen­de il dirit­to al «rispet­to del­la vita pri­va­ta e fami­lia­re». Nono­stan­te que­sti richia­mi, il 41 bis non è mai sta­to total­men­te con­dan­na­to da par­te dal­la CEDU, ma alla luce del­la più recen­te giu­ri­spru­den­za in mate­ria, si può ipo­tiz­za­re un pos­si­bi­le cam­bia­men­to. La rispo­sta dell’Italia a tali sen­ten­ze non è sta­ta posi­ti­va, crean­do anzi un’ondata di “popu­li­smo pena­le”, accu­san­do i giu­di­ci del­la Cor­te EDU di non com­pren­de­re la peri­co­lo­si­tà e l’importanza del­la lot­ta alla cri­mi­na­li­tà orga­niz­za­ta, che giu­sti­fi­ca l’esistenza e la neces­si­tà del 41 bis [fon­te].

La cor­te appog­gia il prin­ci­pio secon­do cui un regi­me deten­ti­vo di rigo­re che impli­chi una for­ma di iso­la­men­to, anche se sol­tan­to rela­ti­vo, non può esse­re impo­sto a tem­po inde­ter­mi­na­to, per gli effet­ti dan­no­si che ne pos­so­no deri­va­re sul­la salu­te fisi­ca e psi­chi­ca del dete­nu­to – come evi­den­zia­to dal caso Öca­lan c. Tur­chia. Allo stes­so tem­po, se un indi­vi­duo rima­ne peri­co­lo­so lo Sta­to deve assi­cu­rar­si di agi­re in manie­ra ade­gua­ta, pos­si­bil­men­te tro­van­do solu­zio­ni alter­na­ti­ve all’isolamento pro­lun­ga­to e al “car­ce­re duro”. La Costi­tu­zio­ne Ita­lia­na san­ci­sce all’art. 27 co. 3 che «le pene devo­no ten­de­re alla rie­du­ca­zio­ne del con­dan­na­to», ma nel caso del regi­me spe­cia­le que­sta fun­zio­ne fon­da­men­ta­le è per lo più igno­ra­ta. È neces­sa­rio tro­va­re un equi­li­brio tra le esi­gen­ze di pre­ven­zio­ne del­la cri­mi­na­li­tà e la tute­la dei dirit­ti fon­da­men­ta­li del­la per­so­na.

In aggiun­ta alle cri­ti­che mos­se da Stra­sbur­go, il pri­mo mar­zo 2023 è arri­va­ta una richie­sta da par­te dell’Alto Com­mis­sa­ria­to ONU per i Dirit­ti Uma­ni di appli­ca­re del­le misu­re tem­po­ra­nee cau­te­la­ti­ve per Alfre­do Cospi­to, rela­ti­ve alla deten­zio­ne al 41 bis.

Come ripor­ta­to dal­la onlus ita­lia­na A Buon Dirit­to, nel testo si spie­ga che il Comi­ta­to per i Dirit­ti Uma­ni del­le Nazio­ni Uni­te ha deci­so di appli­ca­re una misu­ra prov­vi­so­ria che con­si­ste nel chie­de­re all’Italia di assi­cu­ra­re il rispet­to degli stan­dard inter­na­zio­na­li e degli arti­co­li 7 (divie­to di tor­tu­ra e trat­ta­men­ti o puni­zio­ni disu­ma­ne o degra­dan­ti e divie­to di sot­to­po­si­zio­ne, sen­za libe­ro con­sen­so, a spe­ri­men­ta­zio­ni medi­che o scien­ti­fi­che) e 10 (uma­ni­tà di trat­ta­men­to e rispet­to del­la digni­tà uma­na di ogni per­so­na pri­va­ta del­la liber­tà per­so­na­le) del Pat­to Inter­na­zio­na­le sui Dirit­ti Civi­li e Poli­ti­ci in rela­zio­ne alle con­di­zio­ni deten­ti­ve di Alfre­do Cospi­to, in atte­sa del­la deci­sio­ne fina­le rispet­to alla peti­zio­ne indi­vi­dua­le pre­sen­ta­ta al comi­ta­to dall’avvocato Ros­si Alber­ti­ni.

Dopo la fine dei ricor­si inter­ni nel siste­ma giu­di­zia­rio ita­lia­no, for­ti del­le pre­ce­den­ti dichia­ra­zio­ni e con­dan­ne ver­so la linea d’azione del­lo Sta­to ita­lia­no, l’avvocato difen­so­re di Cospi­to, Fla­vio Ros­si Alber­ti­ni, ha annun­cia­to duran­te una con­fe­ren­za stam­pa in Sena­to tenu­ta­si il pri­mo mar­zo di voler fare ricor­so alla CEDU, con la pos­si­bi­li­tà di chie­de­re un prov­ve­di­men­to d’urgenza.

Osser­va­to­rio Repres­sio­ne, un’as­so­cia­zio­ne di pro­mo­zio­ne socia­le, ha pub­bli­ca­to il testo inte­gra­le di una del­le let­te­re che Cospi­to ha scrit­to dal car­ce­re a fine gen­na­io, in cui descri­ve la sua situa­zio­ne come quel­la di un uomo «sep­pel­li­to vivo in una tom­ba, in un luo­go di mor­te» e aggiun­ge: «Non pos­so vive­re in un regi­me disu­ma­no come quel­lo del 41 bis, dove non pos­so leg­ge­re quel­lo che voglio, libri, gior­na­li, perio­di­ci anar­chi­ci, rivi­ste d’ar­te e scien­ti­fi­che, di let­te­ra­tu­ra e di sto­ria. Un regi­me dove non pos­so aver alcun con­tat­to uma­no, dove non pos­so più vede­re o acca­rez­za­re un filo d’er­ba o abbrac­cia­re una per­so­na cara. Un regi­me dove le foto dei tuoi geni­to­ri ven­go­no seque­stra­te».

A mar­zo 2023 il dete­nu­to è sta­to con­dot­to per un bre­ve perio­do nel repar­to di medi­ci­na peni­ten­zia­ria dell’ospedale San Pao­lo di Mila­no, così che le sue con­di­zio­ni di salu­te potes­se­ro esse­re sem­pre moni­to­ra­te, ma la richie­sta di poter scon­ta­re la pena ai domi­ci­lia­ri pres­so la casa del­la sorel­la, pre­sen­ta­ta per gra­vi moti­vi di salu­te dagli avvo­ca­ti difen­so­ri, Maria Tere­sa Pin­tus e Fla­vio Ros­si Alber­ti­ni, è sta­ta riget­ta­ta.

Le misu­re cau­te­la­ti­ve richie­ste dall’ONU e dai difen­so­ri di Cospi­to sono da attua­re pri­ma che suc­ce­da qual­co­sa di irre­pa­ra­bi­le. Quel­lo di Cospi­to ormai non è più sol­tan­to un caso giu­di­zia­rio, ma anche poli­ti­co. Biso­gna chie­der­si se lo Sta­to ita­lia­no dav­ve­ro cre­de più peri­co­lo­so far usci­re un dete­nu­to dal regi­me spe­cia­le, con­si­de­ra­to da tan­ti una misu­ra ille­git­ti­ma e non rispet­to­sa dei dirit­ti dell’individuo, piut­to­sto che veder­lo mori­re al suo inter­no. Vista l’attenzione media­ti­ca e le richie­ste sia del­la CEDU che dell’ONU riguar­do a que­sto caso, si spe­ra che l’Italia pren­da dei prov­ve­di­men­ti per alli­near­si alla richie­sta di que­sti due orga­ni inter­na­zio­na­li. In Ita­lia gli orga­ni di garan­zia fun­zio­na­no, ma se in que­sto caso si mani­fe­stas­se  la stes­sa indif­fe­ren­za rispet­to ai rap­por­ti dell’ONU che è tipi­ca di regi­mi di altro tipo, andreb­be a crear­si un gra­ve pre­ce­den­te, a cui si aggiun­ge­reb­be un’ulteriore con­dan­na se Cospi­to doves­se mori­re in car­ce­re in segui­to allo scio­pe­ro del­la fame e dell’assenza del­le rispo­ste che que­sto scio­pe­ro ha lo sco­po di otte­ne­re.

Biso­gna ricor­da­re che oltre alle pro­ble­ma­ti­che riguar­dan­ti il 41 bis, la situa­zio­ne del­le car­ce­ri ita­lia­ne e dei dete­nu­ti al loro inter­no non è sem­pre sta­ta del­le miglio­ri. L’Osservatorio Anti­go­ne ha ripor­ta­to che secon­do gli ulti­mi dati dell’OMS risa­len­ti al 2019, i casi di sui­ci­dio tra i dete­nu­ti risul­ta­no 13 vol­te di più rispet­to alla popo­la­zio­ne libe­ra. Il report dell’Osservatorio ipo­tiz­za che il mag­gior nume­ro di casi di sui­ci­dio pos­sa­no esse­re influen­za­ti dal­la pre­sen­za di grup­pi vul­ne­ra­bi­li nel­le car­ce­ri, così come di per­so­ne in con­di­zio­ni di mar­gi­na­li­tà, di iso­la­men­to socia­le e di dipen­den­za. Nono­stan­te que­sto, nume­ri così alti non pos­so­no rap­pre­sen­ta­re la nor­ma­li­tà all’interno del siste­ma car­ce­ra­rio ita­lia­no e dovreb­be­ro esse­re pre­di­spo­ste del­le nuo­ve misu­re affin­ché la sani­tà fisi­ca e men­ta­le dei dete­nu­ti ven­ga sem­pre più tute­la­ta. Ser­ve un model­lo di car­ce­re che non sia solo un luo­go di deten­zio­ne, ma in cui le per­so­ne al suo inter­no pos­sa­no affron­ta­re un per­cor­so per­so­na­le ver­so un cam­bia­men­to che abbia come fine il rein­se­ri­men­to nel­la socie­tà da cui sono sta­ti momen­ta­nea­men­te sospe­si per i rea­ti che han­no com­mes­so. È fon­da­men­ta­le che un dete­nu­to, per quan­to gra­ve sia il moti­vo che lo tie­ne in car­ce­re, pos­sa scon­ta­re la sua pena nel pie­no rispet­to di tut­ti i suoi dirit­ti in quan­to indi­vi­duo, man­te­nen­do sem­pre la sua digni­tà e con la pos­si­bi­li­tà di cam­bia­re con­dot­ta rispet­to al pas­sa­to. Se que­sti pre­sup­po­sti ven­go­no a man­ca­re, il car­ce­re si tra­sfor­ma solo in un luo­go di reclu­sio­ne e sof­fe­ren­za, nel qua­le i dete­nu­ti rischia­no di esse­re por­ta­ti al limi­te del­la sop­por­ta­zio­ne del­le loro esi­sten­ze.

Cospi­to ha dichia­ra­to di esse­re pron­to a mori­re, «non per­ché non amo la vita, ma per­ché quel­la a cui sono con­dan­na­to non lo è più». L’a­nar­chi­co si dice «con­vin­to che la mia mor­te por­rà un intop­po a que­sto regi­me (il 41 bis, ndr) e che i 750 che lo subi­sco­no da decen­ni pos­sa­no vive­re una vita degna di esse­re vis­su­ta, qua­lun­que cosa abbia­no fat­to» [fon­te].

Il 18 apri­le 2023 il caso Cospi­to è appro­da­to alla Cor­te Costi­tu­zio­na­le, con un’udienza pub­bli­ca riguar­dan­te la pos­si­bi­li­tà di con­ce­de­re o meno del­le atte­nuan­ti rispet­to alla con­dan­na per l’attentato davan­ti alla Scuo­la allie­vi cara­bi­nie­ri di Fos­sa­no [fon­te].

In segui­to all’udienza, il divie­to alle atte­nuan­ti nei casi di Cospi­to e Benia­mi­ni, cita­ta in pre­ce­den­za in quan­to sua com­pli­ce nell’attentato, è sta­to dichia­ra­to “ille­git­ti­mo” dal­la Con­sul­ta. All’indomani del­la deci­sio­ne, secon­do cui la pena potreb­be ridur­si ad un perio­do tra i 20 e i 24 anni annul­lan­do l’er­ga­sto­lo, Cospi­to ha deci­so di inter­rom­pe­re lo scio­pe­ro del­la fame che ha por­ta­to avan­ti per qua­si sei mesi. Lui stes­so ne ha dato la comu­ni­ca­zio­ne, com­pi­lan­do un model­lo pre­stam­pa­to a dispo­si­zio­ne dei dete­nu­ti. Lo scio­pe­ro del­la fame por­ta­to avan­ti da Cospi­to è sta­to uno dei più lun­ghi mai rea­liz­za­ti in Ita­lia, ed ha cau­sa­to al dete­nu­to una per­di­ta di peso repen­ti­na (50 chi­lo­gram­mi), da cui sono deri­va­ti diver­si pro­ble­mi car­dia­ci e neu­ro­lo­gi­ci che ora andran­no segui­ti con mol­ta atten­zio­ne dai medi­ci.

Nel­lo stes­so gior­no, l’avvocata Anto­nel­la Mascia ha reso pub­bli­ca la deci­sio­ne di fare un nuo­vo ricor­so alla Cor­te di Stra­sbur­go con­tro il 41bis. Tra i dirit­ti vio­la­ti vie­ne sot­to­li­nea­to l’art. 3 del­la CEDU, che proi­bi­sce la tor­tu­ra e il trat­ta­men­to o pena disu­ma­no o degra­dan­te. L’avvocata Mascia argo­men­ta que­sta deci­sio­ne dichia­ran­do che “il regi­me dif­fe­ren­zia­to appli­ca­to a Cospi­to è disu­ma­no per il suo carat­te­re afflit­ti­vo, la sua ille­git­ti­mi­tà e spro­por­zio­ne” [fon­te]. Il ricor­so ver­rà esa­mi­na­to nell’arco di 2 o tre anni, tem­pi che non pos­so­no con­vi­ve­re con uno scio­pe­ro del­la fame, men­tre la deci­sio­ne di Stra­sbur­go meri­ta di esse­re atte­sa.

In 181 gior­ni, Cospi­to ha usa­to il suo cor­po come mez­zo di lot­ta e di pro­te­sta, e gra­zie a que­sta sua for­ma di resi­sten­za ha por­ta­to argo­men­ti sco­mo­di, come il car­ce­re e il 41 bis, nel­le case del­le per­so­ne, e ne ha fat­to par­la­re. Gra­zie alla sua vicen­da, il 41 bis è sem­pre meno tol­le­ra­to, da un’opinione pub­bli­ca che in que­sti mesi ha svol­to un  ruo­lo atti­vo nel sup­por­ta­re la sua lot­ta e ne ha aumen­ta­to il dibat­ti­to [fon­te].

Come ha dichia­ra­to l’avvocato Alber­to Ros­si in un’intervista ad AGI, la noti­zia dell’interruzione del­lo scio­pe­ro del­la fame è tutt’altro che una scon­fit­ta. Sono sta­ti rag­giun­ti tan­ti obiet­ti­vi, pri­mo tra tut­ti quel­lo di dif­fon­de­re tra gior­na­li­sti, atti­vi­sti e cit­ta­di­ni un discor­so infor­ma­to e cri­ti­co, facen­do cono­sce­re ad un pub­bli­co più ampio l’incompatibilità del 41 bis coi pri­ni­ci­pi di uma­ni­tà del­la pena e quin­di con la Costi­tu­zio­ne anti­fa­sci­sta.

Un’altra vit­to­ria arri­va con la deci­sio­ne del­la Cor­te che ha dichia­ra­to inco­sti­tu­zio­na­le non pre­ve­de­re le atte­nuan­ti anche per chi è reci­di­vo ed è accu­sa­to di rea­ti gra­vi come la stra­ge poli­ti­ca, così che per Cospi­to e per chi come lui ci sarà la pos­si­bi­li­tà di evi­ta­re l’er­ga­sto­lo osta­ti­vo.

Nel frat­tem­po, l’avvocato Ros­si Alber­ti­ni insie­me all’avvocata Anto­nel­la Mascia soster­ran­no anco­ra l’abolizione del 41 bis davan­ti alla CEDU, con­ti­nuan­do a difen­de­re il caso di Alfre­do Cospi­to, che non si è lascia­to pie­ga­re dal car­ce­re duro e dal­la reclu­sio­ne, lascian­do­si qua­si mori­re pur di difen­de­re i suoi dirit­ti e di tut­ti quel­li che come lui si tro­va­no a dover scon­ta­re pene che non rispet­ta­no i dirit­ti degli indi­vi­dui, che dovreb­be­ro inve­ce esse­re pro­tet­ti dal­le leg­gi e dal­la Costi­tu­zio­ne, a qua­lun­que con­di­zio­ne.

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