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6 Settembre 2024

FRA UNA TAZ­ZA E L’AL­TRA: LA STO­RIA DEL CAF­FÈ COME CHIA­VE PER OSSER­VA­RE LO SVI­LUP­PO CAPI­TA­LI­STI­CO

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Il caf­fè è una di quel­le mate­rie pri­me che più rie­sco­no a ren­de­re intel­leg­gi­bi­le quel gran­de affre­sco che è l’economia poli­ti­ca inter­na­zio­na­le: stu­dian­do­ne la filie­ra pro­dut­ti­va e la sto­ria del suo muta­men­to si rie­sce infat­ti ad osser­va­re con rela­ti­va chia­rez­za come il mon­do di oggi è diven­ta­to quel­lo che è. For­se, di fron­te ad un’affermazione simi­le, sono più gli scet­ti­ci che i cre­den­ti; quest’articolo ha infat­ti lo sco­po di mostra­re l’utilità dell’utilizzo del caf­fè come chia­ve ana­li­ti­ca per pen­sa­re il capi­ta­li­smo.

Come dice­va Brau­del (1977, 45–46), inse­ri­re que­sto con­cet­to – il capi­ta­li­smo – in un discor­so rischia di gene­ra­re pole­mi­che e frain­ten­di­men­ti: guar­dan­do però la sto­ria mon­dia­le dal nostro pic­co­lo ango­li­no, il caf­fè, for­se riu­sci­re­mo a far sì che tale ter­mi­ne sia, alme­no, solo con­no­ta­ti­vo.

Per ini­zia­re il discor­so – scon­tan­do la pre­sen­za di appas­sio­na­ti e stu­dio­si di agri­col­tu­ra e bio­lo­gia, che ahi­mè si anno­ie­ran­no un atti­mo – biso­gna par­ti­re dal­le carat­te­ri­sti­che intrin­se­che del­la pian­ta di caf­fè. Que­sta è una tipi­ca pian­ta tro­pi­ca­le che dun­que può esse­re col­ti­va­ta con suc­ces­so sola­men­te nel­le aree intor­no all’equatore: né sopra, nel Tro­pi­co del Capri­cor­no dove sono Ita­lia ed Euro­pa per capir­si, né sot­to, nel Tro­pi­co del Can­cro. Tut­to ciò a meno che non si usi­no ser­re ma col­ti­va­zio­ni clas­si­che, senon­ché per pro­dur­re le 10,1 milio­ni di ton­nel­la­te del 2023 le ser­re non baste­reb­be­ro. Inol­tre, il caf­fè è anche una pian­ta peren­ne, ovve­ro­sia ha un pro­ces­so evo­lu­ti­vo lun­go e può arri­va­re ad ave­re anche un seco­lo d’età: i pri­mi frut­ti, i chic­chi di caf­fè, arri­va­no soli­ta­men­te dopo il 4° o 5° anno pro­dut­ti­vo men­tre l’età fino alla qua­le la pian­ta ren­de un rac­col­to buo­no, se sfrut­ta­ta inten­si­va­men­te, sono i 30 anni.

Il let­to­re si chie­de­rà: ma per­ché sono impor­tan­ti que­ste infor­ma­zio­ni? Per­ché il mer­ca­to del caf­fè, data la sua natu­ra di pian­ta tro­pi­ca­le, è divi­so dia­me­tral­men­te in due gran­di grup­pi: pae­si pro­dut­to­ri del Sud del mon­do e pae­si con­su­ma­to­ri del Nord del mon­do. Ciò signi­fi­ca che, ad esem­pio, noi in Euro­pa ma in gene­ra­le nel mon­do occi­den­ta­le, sia­mo abi­tua­ti a con­su­ma­re il caf­fè gior­nal­men­te e anzi a con­si­de­rar­la una del­le bevan­de prin­ci­pa­li del­la nostra die­ta; nei pae­si pro­dut­to­ri, fra cui ricor­dia­mo i pri­mi cin­que – Bra­si­le, Viet­nam, Colom­bia, Etio­pia ed Indo­ne­sia – sola­men­te Bra­si­le ed Etio­pia han­no un con­su­mo dome­sti­co dif­fu­so di caf­fè, negli altri pae­si inve­ce que­sto si pro­du­ce per esse­re espor­ta­to nel Nord del mon­do.

Dopo aver dato due indi­ca­zio­ni sul­le pecu­lia­ri­tà del­la filie­ra del caf­fè pas­sia­mo quin­di a guar­dar­ne lo svi­lup­po sto­ri­co. È ampia­men­te accet­ta­to che la pian­ta di caf­fè, Cof­fea Ara­bi­ca, sia ori­gi­na­ria dell’Etiopia, e che que­sta sia sta­ta sco­per­ta e dif­fu­sa nel IX seco­lo dopo Cri­sto. La sto­ria del­la sua sco­per­ta, ora­mai mitiz­za­ta, è diven­ta­ta famo­sa gra­zie allo sfor­zo di Anto­nio Fau­sto Nai­ro­ni – un cri­stia­no maro­ni­ta ori­gi­na­rio del Liba­no e tra­sfe­ri­to­si a Roma – che nel 1671 la mise per iscrit­to. Si nar­ra che Kal­di, un pasto­re di capre ori­gi­na­rio del­la zona di Kaf­fa – una del­le regio­ni sudo­rien­ta­li dell’Etiopia e da cui il caf­fè stes­so pren­de il nome – vide le sue capre dan­za­re in pre­da ad un’estasi dopo aver assag­gia­to del­le bac­che ros­se e che poi, dopo aver­le rac­col­te ed assag­gia­te lui stes­so, le por­tò al loca­le imam. Qui, tut­ta­via, ci sono due ver­sio­ni: a) l’imam sco­prì che le bac­che lo tene­va­no sve­glio duran­te le sue pre­ghie­re not­tur­ne e deci­se quin­di di far­ne un infu­so da con­di­vi­de­re, oppu­re b) che l’imam, disgu­sta­to da que­ste bac­che, le tirò nel fuo­co e che solo in quel momen­to ne apprez­zò il deli­zio­so aro­ma e deci­se quin­di di andar­le a rac­co­glier­le, spez­zet­tar­le, aggiun­ge­re acqua cal­da e far­ne una deli­zio­sa bevan­da.

Per quan­to que­sta sto­ria pos­sa con­si­de­rar­si tri­via­le, anco­ra oggi le comu­ni­tà del­la zona di Kaf­fa e di Jim­ma, la prin­ci­pa­le cit­tà di quest’area, si dispu­ta­no la pater­ni­tà di una del­le pian­te più famo­se al mon­do. Ad ogni modo, la sto­ria di Kal­di – da cui oggi pren­de il nome la più gran­de cate­na di caf­fet­te­rie in Etio­pia, Kaldi’s cof­fee – rap­pre­sen­ta sim­bo­li­ca­men­te l’idea di una sco­per­ta che, dopo esse­re sta­ta cer­ti­fi­ca­ta dall’autorità mora­le e spi­ri­tua­le di un mem­bro del cle­ro, non può esse­re mes­sa in dub­bio dal­la gen­te comu­ne e che quin­di per­mi­se al caf­fè di dif­fon­de­re i suoi pote­ri ener­ge­ti­ci. Difat­ti, nei pri­mi seco­li del­la sua cir­co­la­zio­ne il caf­fè si dif­fu­se nel mon­do isla­mi­co con una velo­ci­tà espo­nen­zia­le, por­tan­do con sé anche nume­ro­si cam­bia­men­ti socia­li. Ini­zial­men­te, dall’Etiopia, il caf­fè si dif­fu­se nell’area del Mar Ros­so – che ne diven­te­rà il cen­tro di dif­fu­sio­ne mon­dia­le – e, dal 1450 quan­do arri­vò sul­le coste del­lo Yemen al 1650, quan­do, dopo il fur­to di alcu­ne pian­te da par­te di mer­can­ti olan­de­si, diven­ne un pro­dot­to colo­nia­le, il caf­fè rima­se una bevan­da esclu­si­va­men­te pro­dot­ta e con­su­ma­ta all’interno del mon­do isla­mi­co. 

Nel 1450 infat­ti si regi­stra il pri­mo vero per­so­nag­gio sto­ri­co lega­to alla dif­fu­sio­ne del caf­fè, Muham­med al-Dha­ba­ni, que­sti, mem­bro del­la dif­fi­cil­men­te cata­lo­ga­bi­le disci­pli­na Sufi (cfr. Al-Kai­si 2021), pre­pa­rò per pri­mo un infu­so di caf­fè e khat, una pian­ta allu­ci­no­ge­na tipi­ca del Cor­no d’Africa e del­la Peni­so­la Ara­bi­ca, l’equivalente del­la pian­ta di coca nel­le regio­ni andi­ne, det­to qah­wa: que­sta diven­ne pre­sto mol­to popo­la­re fra i Sufi, i qua­li fece­ro attra­ver­sa­re al caf­fè lo stret­to di Bab El-Man­deb ver­so lo Yemen attra­ver­so i suoi due por­ti prin­ci­pa­li, Aden e Mocha, di modo che que­sta poi arri­vas­se anche alle cit­tà san­te di Mec­ca, Jed­da, e Medi­na, ma anche al Cai­ro. L’importanza di que­sti due por­ti, e di Mocha in par­ti­co­la­re, rimar­rà anch’essa emble­ma­ti­ca nel­la sto­ria del caf­fè, il ter­mi­ne Moka infat­ti deri­va pro­prio da que­sta cit­tà yeme­ni­ta. Ad ogni modo, gra­zie ai Sufi si creò la pri­ma flie­ra, o com­mo­di­ty chain per chi è fami­lia­re col con­cet­to, e uno dei com­mer­ci a lun­ga distan­za che fece­ro la for­tu­na dei gran­di Sta­ti afri­ca­ni dell’era moder­na – come il Regno dell’Antico Gha­na, l’Impero del Mali, o l’Impero Son­ghai.

La dif­fu­sio­ne del caf­fè nel mon­do isla­mi­co, tut­ta­via, non solo creò un’importante arte­ria com­mer­cia­le ma ne rivo­lu­zio­nò l’aggregazione socia­le. Le caf­fet­te­rie infat­ti furo­no: 

“Il pri­mo spa­zio pub­bli­co legit­ti­mo per la socia­liz­za­zio­ne fra uomi­ni isla­mi­ci […]: pre­ce­den­te­men­te, intrat­te­ne­re gli altri avreb­be com­por­ta­to invi­tar­li alla pro­pria casa, offren­do un ban­chet­to, pro­ba­bil­men­te pre­pa­ra­to da ser­vi, e mostra­re la pro­pria col­le­zio­ne di ogget­ti (e pro­ba­bil­men­te del­la pro­pria moglie), tut­to que­sto crea­va una distin­zio­ne fra il padro­ne di casa e l’ospite. Ades­so, si pote­va inve­ce incon­tra­re i pro­pri pari ad una caf­fet­te­ria, e scam­biar­si ospi­ta­li­tà su un pia­no di pari­tà” (cor­si­vo mio; Mor­ris 2019, 52).

La con­qui­sta otto­ma­na dell’Egitto spa­lan­cò la stra­da alla dif­fu­sio­ne di que­sta bevan­da in tut­to il Medio Orien­te, que­sta, in mez­zo seco­lo, si espan­se in manie­ra espo­nen­zia­le così come fece­ro le caf­fet­te­rie, gene­ran­do le pri­me con­tro­ver­sie da par­te del­le auto­ri­tà: il nuo­vo sti­le di vita fu ini­zial­men­te com­bat­tu­to fero­ce­men­te dal­le auto­ri­tà poli­ti­che e reli­gio­se per­ché sman­tel­la­va la clas­si­ca divi­sio­ne socia­le, e clas­si­sta, su cui si basa­va l’Impero; entran­do in una caf­fet­te­ria infat­ti le dif­fe­ren­ze socia­li si annul­la­va­no. Il Sul­ta­no Murad IV (1612–1640) per­ciò le ban­dì per una ven­ti­na d’anni, ora­mai però il pro­ces­so non pote­va più esse­re arre­sta­to.

Dal­le fore­ste sel­vag­ge d’Etiopia il caf­fè ora­mai rag­giun­ge­va la tota­li­tà del mon­do musul­ma­no del tem­po; tut­ta­via, il mono­po­lio etio­pi­co sul caf­fè finì pri­ma del XV seco­lo e, da que­sto momen­to in poi, l’Etiopia riu­sci­rà a recu­pe­ra­re il suo posto di rilie­vo tra i mag­gio­ri pro­dut­to­ri mon­dia­li solo ai gior­ni nostri – oggi infat­ti è il quin­to pae­se pro­dut­to­re di caf­fè. Negli anni ’40 del 1500, una del­le guer­re più impor­tan­ti per la sto­ria etio­pi­ca erup­pe: quel­la tra i cri­stia­ni habe­sha dell’altopiano e tra i musul­ma­ni del bas­so­pia­no, capi­ta­na­ti da Moha­med Gra­gn – o meglio, Ahmad Ibn Ibra­him al-Gha­zi – il cui nome anco­ra oggi vie­ne ricor­da­to nel­la sto­ria del pae­se. A ciò con­se­guì la pri­ma vera espan­sio­ne pro­dut­ti­va del caf­fè, anch’essa, come il con­su­mo, da que­sto momen­to sto­ri­co non avrà più limi­ti e, len­ta­men­te ma costan­te­men­te, andrà ad abbrac­cia­re l’intero glo­bo. Tut­ta­via, alme­no per due seco­li (Mor­ris 2019, 58) lo Yemen ebbe il mono­po­lio asso­lu­to di pro­du­zio­ne del­la pian­ta e il Mar Ros­so fu l’inizio del­la filie­ra pro­dut­ti­va che, nel XV seco­lo, por­tò le pri­me spe­di­zio­ni com­mer­cia­li in Euro­pa – pro­ba­bil­men­te ini­zian­do nel 1624 a Vene­zia – e così fu fino al XVIII seco­lo.

In Euro­pa la pas­sio­ne per il caf­fè e le caf­fet­te­rie ini­zie­rà alla metà del XVII seco­lo, se Vene­zia fu il pri­mo sno­do com­mer­cia­le la pri­ma caf­fet­te­ria inve­ce ven­ne aper­ta intor­no al 1650 ad Oxford: da lì in poi, Lon­dra, Amster­dam, l’Aia, Mar­si­glia, Vien­na, Vene­zia, Ber­li­no segui­ro­no fino alla fine del seco­lo; a quel pun­to le caf­fet­te­rie era­no dif­fu­se in tut­ta Euro­pa. Il vero pun­to di svol­ta arri­vò però nel 1696 quan­do gli olan­de­si pian­ta­ro­no il caf­fè a Java: la nostra pic­co­la pian­ta diven­tò un pro­dot­to colo­nia­le, for­se quel­lo con più suc­ces­so di tut­ti. Tut­ta­via, la dif­fu­sio­ne del­le caf­fet­te­rie in Euro­pa non fu esen­te da riva­li­tà e pas­si fal­si: il loro più stre­nuo nemi­co, nel XVII seco­lo, non sor­pren­den­te­men­te, furo­no le taver­ne! Gra­zie a un docu­men­to del 1674, “La Peti­zio­ne del­le Don­ne con­tro il Caf­fè” (Mor­ris 2019, 73), pub­bli­ca­to da alcu­ni fab­bri­can­ti di bir­ra, è pos­si­bi­le ren­der­ci con­to del­le con­trad­di­zio­ni che le caf­fet­te­rie fece­ro emer­ge­re nel mon­do di allo­ra: innan­zi­tut­to la dif­fe­ren­za di gene­re nell’accesso alle caf­fet­te­rie, le qua­li era­no proi­bi­te alle don­ne, ma que­sta ripor­ta anche la dice­ria che il caf­fè ren­de­va impo­ten­ti gli uomi­ni! Ad ogni modo, è inte­res­san­te nota­re come la dif­fu­sio­ne del­le caf­fet­te­rie in Euro­pa riva­leg­giò con il luo­go d’incontro socia­le più dif­fu­so all’epoca – un feno­me­no che nei pae­si isla­mi­ci, dove il con­su­mo d’alcool è noto­ria­men­te haram (sacri­le­go), non ritro­via­mo – e, pro­prio per que­sta sua dif­fe­ren­za, diven­ne, col tem­po, il ritro­vo di intel­let­tua­li e gio­va­ni bor­ghe­si.

Se Java, nel 1696, fu il momen­to in cui il caf­fè diven­ne un pro­dot­to colo­nia­le, la proi­bi­zio­ne all’export del 1707 san­ci­to dall’Impero Otto­ma­no fu inve­ce la deci­si­va spin­ta per i colo­nia­li­sti euro­pei a pren­de­re le redi­ni del com­mer­cio di que­sta pre­zio­sa pian­ta: nel 1721, anco­ra il 90% del caf­fè com­mer­cia­to ad Amster­dam – la mag­gior piaz­za com­mer­cia­le d’Europa al tem­po – era ori­gi­na­rio del­lo Yemen, nel 1726 inve­ce il 90% veni­va offer­to da Java (Mor­ris 2019, 78). Ma, si sa, le vie del pro­fit­to non han­no con­fi­ni e infat­ti, già nel 1721 il caf­fè ven­ne intro­dot­to dagli olan­de­si anche in Suri­na­me – qui, nel giro di vent’anni, la pro­du­zio­ne sor­pas­sò abbon­dan­te­men­te quel­la di Java – così il Sud Ame­ri­ca ini­ziò la sua asce­sa nel­la pro­du­zio­ne mon­dia­le di caf­fè. Il caf­fè, inse­ren­do­si nel tes­su­to pro­dut­ti­vo ame­ri­ca­no, entrò in con­tat­to con quel­lo che, nel­le Ame­ri­che, era il prin­ci­pa­le moto­re del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co: il siste­ma del­le pian­ta­gio­ni basa­to sul­lo schia­vi­smo. Insie­me alle più rino­ma­te pian­ta­gio­ni di can­na da zuc­che­ro e coto­ne, la col­ti­va­zio­ne di caf­fè costi­tuì una tria­de che fece le for­tu­ne di nume­ro­si fazen­de­ros, schia­vi­sti e capi­ta­li­sti tan­to che, per fare un esem­pio, il Bra­si­le – il mag­gio­re pro­dut­to­re di caf­fè mon­dia­le sin dall’800 – fu, non casual­men­te, l’ultimo pae­se del­le Ame­ri­che ad abo­li­re la schia­vi­tù, addi­rit­tu­ra nel 1888. Dopo l’abolizione va ricor­da­to che il siste­ma del­le pian­ta­gio­ni in Bra­si­le andò avan­ti gra­zie all’immigrazione, prin­ci­pal­men­te di ita­lia­ni. 

Il caf­fè fu anche cru­cia­le in una del­le rivo­lu­zio­ni più impor­tan­ti del­la sto­ria, anche se a vol­te dimen­ti­ca­ta: la rivo­lu­zio­ne di Hai­ti; que­sta, infat­ti, por­tò all’abolizione del­la schia­vi­tù e alla crea­zio­ne di uno Sta­to indi­pen­den­te gover­na­to da ex schia­vi neri. La rivo­lu­zio­ne di Hai­ti, 1791–1804 – quand’essa dichia­rò la pro­pria indi­pen­den­za – rap­pre­sen­tò un momen­to di cesu­ra sto­ri­ca pro­ba­bil­men­te anco­ra mag­gio­re del­la rivo­lu­zio­ne ame­ri­ca­na e di quel­la fran­ce­se per quan­to meno famo­sa. Essa rese infat­ti Hai­ti il pri­mo sta­to indi­pen­den­te dell’America Lati­na, il pri­mo sta­to post­co­lo­nia­le gui­da­to da neri e, infi­ne, anche l’unico sta­to la cui indi­pen­den­za fu con­se­gui­ta gra­zie ad una rivol­ta di schia­vi; tan­to che il segre­ta­rio di Des­sa­li­nes, il vin­ci­to­re dei colo­nia­li­sti, affer­mò riguar­do la dichia­ra­zio­ne d’indipendenza hai­tia­na: “Per la nostra dichia­ra­zio­ne d’indipendenza dovrem­mo ave­re la pel­le di un uomo bian­co come per­ga­me­na, il suo teschio come cala­ma­io, il suo san­gue come inchio­stro, e una baio­net­ta come pen­na!” (Madiou 1989–91, 145). 

La pau­ra di legit­ti­ma­re il gover­no dei neri, così come l’importanza stra­te­gi­ca dell’isola, la rese­ro pre­sto un pariah del­la comu­ni­tà inter­na­zio­na­le, ma que­sta è un’altra sto­ria; la cadu­ta di Hai­ti, il mag­gior sta­to pro­dut­to­re di caf­fè a caval­lo fra Set­te­cen­to e Otto­cen­to, por­tò però all’espansione del­la pro­du­zio­ne in Asia. Fino al 1869, le colo­nie olan­de­si e bri­tan­ni­che si con­te­se­ro lo scet­tro di mag­gior pro­dut­to­re ma comun­que il con­ti­nen­te pro­du­ce­va cir­ca 1/3 del fab­bi­so­gno mon­dia­le, ren­den­do­la così il mag­gior pro­dut­to­re mon­dia­le. In quell’anno però, il fun­go Hemi­leia Vasta­trix ini­ziò a cir­co­la­re e in una doz­zi­na d’anni annien­tò buo­na par­te del­la pro­du­zio­ne di caf­fè in Asia, tan­to che fu da que­sto momen­to in poi che in Gran Bre­ta­gna – e in tut­ta l’Asia –  si affer­mò come bevan­da prin­ci­pa­le il tè e non il caf­fè (Mor­ris 2019, 88). Suc­ces­si­va­men­te, all’alba del­la Pri­ma Guer­ra Mon­dia­le, l’Asia era ora­mai sta­ta sosti­tui­ta dall’America Lati­na come mag­gior pro­dut­to­re di caf­fè, que­sta con­tri­bui­va alla pro­du­zio­ne mon­dia­le per solo un ven­te­si­mo, men­tre fu il Bra­si­le a diven­ta­re, dal­la secon­da metà dell’Ottocento, il mag­gior pro­dut­to­re mon­dia­le, arri­van­do nel 1901 a pro­dur­re il 77,5% del­la pro­du­zio­ne mon­dia­le, men­tre oggi ha “solo” il 30%.

Nell’800 un altro gran­de cam­bia­men­to avven­ne nel mer­ca­to del caf­fè, ma dal­la par­te del con­su­mo: gli Sta­ti Uni­ti, dal­la Guer­ra Civi­le in poi, diven­ne­ro infat­ti il mag­gior con­su­ma­to­re mon­dia­le di caf­fè. La guer­ra civi­le non è sem­pli­ce­men­te pre­sa come even­to spar­tiac­que in manie­ra arbi­tra­ria: i sol­da­ti, infat­ti, duran­te il con­flit­to beve­va­no la bel­lez­za di una media di die­ci taz­ze di caf­fè gior­na­lie­re, inol­tre, il caf­fè nei dia­ri dei sol­da­ti appa­re mol­te più vol­te che paro­le lega­te al con­flit­to; i sol­da­ti, tor­nan­do a casa, dif­fu­se­ro quest’abitudine così come poi suc­ces­se con la Pri­ma e la Secon­da Guer­ra Mon­dia­le. Negli anni ’80 dell’Ottocento, il con­su­mo sta­tu­ni­ten­se di caf­fè era cir­ca 1/3 dell’offerta glo­ba­le e que­sto veni­va for­ni­to, al 75%, dal Bra­si­le. Il Bra­si­le, per quan­to il caf­fè vi fu intro­dot­to da colo­ni por­to­ghe­si già nel 1727, diven­ne il mag­gior pro­dut­to­re di caf­fè mon­dia­le solo nel­la secon­da metà dell’Ottocento, tut­ta­via, già agli ini­zi del seco­lo l’importanza com­mer­cia­le del pae­se diven­ne enor­me, dopo il divie­to d’importazione degli schia­vi negli Sta­ti Uni­ti del 1807, il Bra­si­le diven­ne il nuo­vo ver­ti­ce del seco­la­re com­mer­cio trian­go­la­re: i beni pro­dot­ti negli USA veni­va­no por­ta­ti in Afri­ca, qui veni­va­no scam­bia­ti con schia­vi che poi veni­va­no ven­du­ti in Bra­si­le, di modo da acqui­sta­re il caf­fè che poi veni­va rie­spor­ta­to ver­so gli USA (Mor­ris 2019, 102).

L’arrivo del ‘900 nel­la nostra pic­co­la sto­ria del­la dif­fu­sio­ne del caf­fè su sca­la mon­dia­le rap­pre­sen­ta l’ultimo tas­sel­lo di que­sto puzz­le e ci for­ni­sce sug­ge­sti­vi spun­ti di rifles­sio­ne. Come abbia­mo visto, agli ini­zi del ‘900 il Bra­si­le pro­du­ce­va cir­ca l’80% del fab­bi­so­gno mon­dia­le, que­sto por­tò pre­sto l’offerta a supe­ra­re la doman­da gene­ran­do una cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne, la qua­le, è noto, abbas­sa dra­sti­ca­men­te i prez­zi – in que­sto caso di cir­ca la metà – gene­ran­do così una per­di­ta astro­no­mi­ca per il pae­se ver­deo­ro. La rispo­sta bra­si­lia­na però fu tal­men­te genia­le che segnò l’inizio di una nuo­va era per il com­mer­cio del caf­fè: i fazen­de­ros crea­ro­no un con­sor­zio che ave­va come sco­po com­pra­re il caf­fè in ecces­so per poi imma­gaz­zi­nar­lo e modi­fi­ca­re arti­fi­cial­men­te i prez­zi sul mer­ca­to; fu il pri­mo momen­to sto­ri­co in cui i pro­dut­to­ri di caf­fè det­ta­ro­no i ter­mi­ni di scam­bio ai con­su­ma­to­ri. Se il mag­gior pro­dut­to­re era in gra­do d’influenzare il mer­ca­to, allo­ra lo era anche il mag­gior con­su­ma­to­re, ovve­ro gli Sta­ti Uni­ti. Da que­sto momen­to in poi, infat­ti, il mer­ca­to del caf­fè diven­ne sostan­zial­men­te dua­le: i due capo­fi­la di con­su­ma­to­ri e pro­dut­to­ri pote­va­no infat­ti, con una loro deci­sio­ne, influen­za­re l’intero mer­ca­to mon­dia­le in manie­ra uni­la­te­ra­le. Que­sto gene­rò la crea­zio­ne di isti­tu­zio­ni atte ad orga­niz­za­re gli inte­res­si dei pro­dut­to­ri di caf­fè in manie­ra orga­ni­ca per ogni Sta­to: il pri­mo fu, ovvia­men­te, l’Insti­tu­to Bra­si­lei­ro do Café, anche se for­se il più rino­ma­to fu il colom­bia­no Fede­ca­fè. Ad ogni modo, l’espansione del­la col­ti­va­zio­ne di caf­fè con­ti­nuò in tut­to il Cen­tro e Sud Ame­ri­ca – com­pren­den­do Hon­du­ras, Mes­si­co, Gua­te­ma­la, Nica­ra­gua, Pana­ma, El Sal­va­dor, Costa Rica e Colom­bia – anche gra­zie all’apertura del cana­le di Pana­ma nel 1914. Que­sti sta­ti si con­cen­tra­ro­no più sul­la qua­li­tà del loro caf­fè che sul­la quan­ti­tà come il Bra­si­le, e per­ciò il loro siste­ma pro­dut­ti­vo prin­ci­pa­le non fu la pian­ta­gio­ne ma un insie­me di tan­te pic­co­le azien­de agri­co­le; tut­ta­via, – come ricor­da­to dal­la Gran­de Depres­sio­ne del ’29 – nes­su­no era immu­ne alla vola­ti­li­tà dei prez­zi e, infat­ti, più que­sti si abbas­sa­va­no e più epi­so­di di rivol­ta carat­te­riz­za­va­no i nuo­vi pro­dut­to­ri – spe­cial­men­te Colom­bia ed El Sal­va­dor.

In que­sto perio­do, il Bra­si­le con­ti­nuò ad accu­mu­la­re stock di caf­fè men­tre la sua quo­ta di mer­ca­to veni­va len­ta­men­te ero­sa dall’emergenza di nuo­vi pro­dut­to­ri, por­tan­do nel dopo­guer­ra il pae­se ad accu­mu­la­re l’equivalente di un anno del con­su­mo mon­dia­le del caf­fè. Dal­la par­te dei con­su­ma­to­ri, due trend nel perio­do fra le due guer­re ini­zia­ro­no a cam­bia­re radi­cal­men­te il mer­ca­to: da una par­te, le azien­de di tor­re­fa­zio­ne ini­zia­ro­no un pro­ces­so di acqui­si­zio­ni che por­tò il mer­ca­to a diven­ta­re deci­sa­men­te oli­go­po­li­sti­co – con cin­que sei azien­de che si spar­ti­va­no tor­re­fa­zio­ne e distri­bu­zio­ne a livel­lo mon­dia­le – le qua­li stan­dar­diz­za­ro­no i gusti, por­tan­do ad un con­si­sten­te aumen­to nei loro blend (misce­la) di caf­fè di Robu­sta: que­sto ave­va un prez­zo più bas­so, con­du­cen­do così all’impossibilità per il Bra­si­le di con­trol­la­re i prez­zi mon­dia­li accu­mu­lan­do riser­ve di caf­fè. Per inci­so, Cof­fea Robu­sta (o meglio, Cof­fea Cane­pho­ra det­to Robu­sta) è l’altra varie­tà del­la pian­ta di caf­fè, insie­me a Cof­fea Ara­bi­ca, che si com­mer­cia­liz­za sul mer­ca­to odier­no, di cui costi­tui­sce cir­ca il 40%. Il sapo­re alta­men­te ama­ro del­la Robu­sta non per­met­te però che que­sta ven­ga con­su­ma­ta da sola, a dif­fe­ren­za dei caf­fè 100% Ara­bi­ca (ancor meglio se a sin­go­la ori­gi­ne, o sin­gle ori­gin, che cioè vie­ne da una stes­sa regio­ne e ha quin­di gli stes­si sapo­ri), e quin­di vie­ne usa­to nei vari blend dei gran­di tor­re­fat­to­ri – come Nestlè – come base sia per il caf­fè in gra­ni ma ancor di più per quel­lo solu­bi­le, men­tre poi a que­sto blend vie­ne aggiun­ta una misce­la di vari caf­fè Ara­bi­ca per crea­re il sapo­re distin­ti­vo dei vari pro­dot­ti.

Tor­nan­do alla nostra sto­ria del caf­fè, la Secon­da Guer­ra Mon­dia­le fu un pal­lia­ti­vo per il mer­ca­to, i sol­da­ti con­su­ma­ro­no caf­fè in enor­mi quan­ti­tà e por­ta­ro­no – come con la Guer­ra Civi­le ame­ri­ca­na – a casa la nuo­va abi­tu­di­ne, espan­den­do ulte­rior­men­te il mer­ca­to dei con­su­ma­to­ri di caf­fè. Ma que­sta rin­no­va­ta doman­da non pote­va sod­di­sfa­re l’instabile situa­zio­ne che si era gene­ra­ta da par­te dei pae­si pro­dut­to­ri: tut­ta­via la crea­zio­ne del mon­do bipo­la­re suc­ces­si­va­men­te alla guer­ra e le rivol­te, sem­pre più a matri­ce mar­xi­sta, nei pae­si pro­dut­to­ri furo­no una leva poli­ti­ca che deter­mi­nò la fine di quest’impasse. Ciò avven­ne in par­ti­co­la­re dopo la Rivo­lu­zio­ne Cuba­na del 1959, quan­do il con­ti­nuo lob­by­ing dei pae­si cen­tro e suda­me­ri­ca­ni ver­so gli Sta­ti Uni­ti per la rego­la­men­ta­zio­ne del mer­ca­to del caf­fè ebbe suc­ces­so. La pau­ra del­la dif­fu­sio­ne del comu­ni­smo nel “cor­ti­le di casa” sta­tu­ni­ten­se ebbe effet­to: come affer­ma­to da un sena­to­re colom­bia­no all’epoca, “paga­te­ci un giu­sto prez­zo per il nostro caf­fè o – Dio ci sal­vi – le mas­se diven­te­ran­no una gran­de arma­ta rivo­lu­zio­na­ria mar­xi­sta e ci spaz­ze­ran­no via nel mare” (Mor­ris 2019, 142).

Così, nel 1962, ven­ne fir­ma­ta la Con­ven­zio­ne Inter­na­zio­na­le sul Caf­fè (ICA), che rima­se in vigo­re fino al 1989, la qua­le rap­pre­sen­tò sostan­zial­men­te l’età dell’oro per i pro­dut­to­ri: gli Sta­ti Uni­ti e gli altri con­su­ma­to­ri deci­se­ro, per ragio­ni emi­nen­te­men­te poli­ti­che, che il mer­ca­to inter­na­zio­na­le del caf­fè sareb­be sta­to inte­ra­men­te pia­ni­fi­ca­to; si sta­bi­li­ro­no così quo­te di espor­ta­zio­ne per ogni pae­se in base alla sua pro­du­zio­ne, una fascia di prez­zo garan­ti­ta e furo­no mes­se in pra­ti­ca diver­se ope­ra­zio­ni per man­te­ne­re que­sto prez­zo cal­mie­ra­to lun­go una ban­da oscil­la­to­ria deter­mi­na­ta dai pae­si mem­bri. In pra­ti­ca, l’ICA fer­mò la cro­ni­ca insta­bi­li­tà del mer­ca­to del caf­fè gra­zie all’economia pia­ni­fi­ca­ta, assi­cu­ran­do­si la sta­bi­li­tà in Cen­tro e Suda­me­ri­ca gra­zie a quel siste­ma eco­no­mi­co che è sem­pre sta­to pre­sen­ta­to come il più gran­de nemi­co del capi­ta­li­smo e che è tut­to­ra visto come sino­ni­mo di comu­ni­smo – una svol­ta sto­ri­ca e con più di una pun­ta d’ironia. L’ICA, inol­tre, impo­se ai pae­si pro­dut­to­ri di rea­liz­za­re degli “Obiet­ti­vi Pro­dut­ti­vi” annua­li, di modo da poter cal­co­la­re per ogni pae­se la pro­du­zio­ne pro­ca­pi­te e abbi­na­re doman­da e offer­ta a livel­lo inter­na­zio­na­le: un chia­ro esem­pio di come la pia­ni­fi­ca­zio­ne fos­se impie­ga­ta. Inol­tre, l’ICA obbli­gò gli Sta­ti mem­bri a for­ni­re dei fon­di per il “Fon­do di Diver­si­fi­ca­zio­ne”, il qua­le inve­sti­va nei pae­si pro­dut­to­ri di modo da disto­glie­re le for­ze pro­dut­ti­ve dal solo caf­fè ed inve­stir­le in altri set­to­ri, e, in ulti­mo, for­nì un forum assem­blea­re in cui Nord e Sud del mon­do pote­ro­no con­fron­tar­si aper­ta­men­te su que­stio­ni poli­ti­co-eco­no­mi­che con una cer­ta rego­la­ri­tà e risol­ve­re, col­le­gial­men­te, i pro­ble­mi.

L’ICA e la sua orga­niz­za­zio­ne, l’Organizzazione Inter­na­zio­na­le del Caf­fè (ICO), non furo­no per­fet­ti né esen­ti da pro­ble­mi e fai­de inter­ne – come ad esem­pio alla fine degli anni ’60 con­se­guen­te­men­te ad una gela­ta in Bra­si­le, l’aumento dei prez­zi che si gene­rò, arti­fi­cia­le per alcu­ni, fece tre­ma­re l’organizzazione quan­do nume­ro­si pae­si pro­dut­to­ri e con­su­ma­to­ri minac­cia­ro­no di riti­ra­re la loro ade­sio­ne. Tut­ta­via, fino al crol­lo del mon­do bipo­la­re l’ICO riu­scì a man­te­ne­re il mer­ca­to inter­na­zio­na­le del caf­fè sta­bi­le e, dun­que, pro­fi­cuo per i nume­ro­si con­ta­di­ni del Sud del mon­do che par­te­ci­pa­va­no a que­sta filie­ra pro­dut­ti­va. Dopo la cadu­ta dell’URSS, il suc­ces­so del capi­ta­li­smo si sostan­ziò con il non casua­le riti­ro del mag­gior pae­se con­su­ma­to­re, gli USA, con la con­se­guen­za che ICA e ICO venis­se­ro affos­sa­ti a favo­re del­le mul­ti­na­zio­na­li del­la tor­re­fa­zio­ne, le qua­li pre­se­ro le redi­ni del mer­ca­to. Que­sto gene­rò un vuo­to di bilan­cia­men­to nel prez­zo del­la mate­ria pri­ma e uno sfi­lac­cia­men­to del­la filie­ra che andò a pre­mia­re le mul­ti­na­zio­na­li, ora­mai sem­pre più un pic­co­lo oli­go­po­lio, ed a pena­liz­za­re i pae­si pro­dut­to­ri… Ma la nostra seco­la­re sto­ria del caf­fè ter­mi­na con la fine del con­flit­to bipo­la­re.

Con­clu­den­do que­sto excur­sus sul­la sto­ria moder­na e con­tem­po­ra­nea del caf­fè tor­nia­mo dun­que al nostro que­si­to ini­zia­le: il caf­fè, e la sto­ria del­la sua filie­ra, sono uno stru­men­to uti­le per osser­va­re la crea­zio­ne del mon­do con­tem­po­ra­neo e pos­so­no aiu­tar­ci a pen­sa­re il capi­ta­li­smo più facil­men­te? Il nostro mon­do quo­ti­dia­no, euro­cen­tri­co e occi­den­ta­le, spes­so ci impe­di­sce di vede­re al di là del nostro naso: il caf­fè ci aiu­ta a tor­na­re alle ori­gi­ni, fra una taz­za e l’altra, ad un mon­do dove l’Europa era una costo­la del mon­do e non il suo cen­tro, quan­do pren­de­va­mo tra­di­zio­ni da altri pae­si – vedi le caf­fet­te­rie e l’uso del caf­fè come bevan­da quo­ti­dia­na – per far­ne un pila­stro del­la nostra vita quo­ti­dia­na. For­se que­sta è un’esagerazione, però è inte­res­san­te vede­re que­sto così come il fat­to che il tè – la bevan­da bri­tish e asia­ti­ca per eccel­len­za – è diven­ta­ta tale per­ché un fun­go nel XIX seco­lo ha annien­ta­to la pro­du­zio­ne di caf­fè in Asia e, per­ciò, per neces­si­tà pro­dut­ti­ve e di pro­fit­to, esso è diven­ta­to la bevan­da prin­ci­pe del­la poten­za colo­nia­le che al tem­po con­trol­la­va l’Asia e dell’Asia stes­sa. Si potreb­be for­se par­la­re di una visio­ne con­cre­ta che è espres­sio­ne del poli­ti­cal­ly cor­rect così di moda oggi, però, a mio avvi­so, sle­gar­si dall’immagine per cui l’Europa e l’Occidente sia­no il cen­tro del mon­do va ben oltre il wokei­sm, sono con­si­de­ra­zio­ni che riman­da­no più a come con­ce­pia­mo il nostro mon­do e i suoi limi­ti: ci tro­vo una simi­li­tu­di­ne, ad esem­pio, rispet­to al Teo­re­ma di Pita­go­ra – e ad altri teo­re­mi mate­ma­ti­ci che non sta­rò ad elen­car­vi. Il famo­so teo­re­ma che tut­ti cono­scia­mo e che è par­te indi­scu­ti­bi­le del nostro pen­sar­ci come socie­tà e del nostro ‘pro­gres­so’ sto­ri­co, in real­tà non è sta­to sco­per­to da Pita­go­ra ma, anzi, era già ben cono­sciu­to dai babi­lo­ne­si ben 1000 anni pri­ma, come dimo­stra­to dal mate­ma­ti­co Bru­ce Rat­ner (2009, 229–242). Que­sto per dire che, spes­so, veri­tà che con­si­de­ria­mo asso­lu­te, se sot­to­po­ste al meto­do scien­ti­fi­co e alla lun­ga dura­ta sto­ri­ca rive­la­no real­tà ben più com­ples­se e rive­la­to­rie sul nostro mon­do quo­ti­dia­no: rela­ti­viz­zia­mo­le dun­que, il mon­do è mol­to più gran­de, inte­res­san­te e tor­tuo­so di quan­to ce lo imma­gi­nia­mo. Abbrac­cia­mo dun­que la com­ples­si­tà, la diver­si­tà e l’assenza di con­fi­ni che ne costi­tui­sco­no dei pila­stri e decen­tria­mo la nostra pro­spet­ti­va per espan­der­la; come ci ha appe­na rac­con­ta­to la sto­ria del­la bevan­da for­se più famo­sa al mon­do. 

Dall’altra par­te, la sto­ria appe­na rac­con­ta­ta ci for­ni­sce mate­ria­le anche per la secon­da doman­da: l’uso del ter­mi­ne, e del con­cet­to, capi­ta­li­smo alme­no in sen­so con­no­ta­ti­vo, per carat­te­riz­za­re il mon­do con­tem­po­ra­neo è cor­ret­to? Si potreb­be­ro trar­re nume­ro­se rifles­sio­ni dal­la sto­ria appe­na rac­con­ta­ta, ma qui ci limi­te­re­mo ad osser­va­re la mag­gio­re cre­pa nel dipin­to che abbia­mo appe­na pit­tu­ra­to: l’esistenza di un accor­do sul­lo scam­bio di una del­le mate­rie pri­me fon­da­men­ta­li nel mer­ca­to inter­na­zio­na­le – il valo­re del caf­fè nel com­mer­cio mon­dia­le del­le com­mo­di­ties è infat­ti secon­do solo al petro­lio – nel secon­do dopo­guer­ra, ovve­ro­sia nel momen­to sto­ri­co in cui la bat­ta­glia fra comu­ni­smo e capi­ta­li­smo era al cen­tro del­la sce­na mon­dia­le. Que­sto cosa signi­fi­ca? Signi­fi­ca che nell’era in cui il libe­ro mer­ca­to – con i suoi corol­la­ri più clas­si­ci, cioè la libe­ra cir­co­la­zio­ne di mer­ci, capi­ta­li e per­so­ne e la mas­si­miz­za­zio­ne del pro­fit­to – lot­ta­va con­tro la pia­ni­fi­ca­zio­ne – espres­sio­ne di immo­bi­li­tà, inef­fi­cien­za e con un meto­do anti­me­ri­to­cra­ti­co, alme­no in teo­ria – il pri­mo tra­dì la sua essen­za per ren­de­re il mer­ca­to del­la più impor­tan­te del­le mate­rie pri­me pia­ni­fi­ca­to ed ebbe un gran­de suc­ces­so. Que­sta con­si­de­ra­zio­ne fa rife­ri­men­to a come que­sti due siste­mi ven­go­no rap­pre­sen­ta­ti, o idea­liz­za­ti, il capi­ta­li­smo difat­ti pro­spe­ra – come evi­den­zia­to dal­la fine del­la nostra sto­ria – nel mono­po­lio e nell’oligopolio e non disde­gna asso­lu­ta­men­te la pia­ni­fi­ca­zio­ne, che, anzi, è la nor­ma nel­le gran­di mul­ti­na­zio­na­li. 

La que­stio­ne, infi­ne, non è discu­te­re qua­le meto­do eco­no­mi­co sia miglio­re fra pia­ni­fi­ca­zio­ne e libe­ro mer­ca­to ma discu­te­re piut­to­sto cosa c’entri il capi­ta­li­smo con que­sto accor­do inter­na­zio­na­le sul caf­fè: le rego­le eco­no­mi­che di offer­ta e doman­da, la “neces­si­tà” del pro­fit­to, la reto­ri­ca di vin­ci­to­ri e vin­ti gra­zie al mec­ca­ni­smo di autoag­giu­sta­men­to del mer­ca­to, sono dina­mi­che che sono sta­te pie­ga­te ad una volon­tà poli­ti­ca, e que­sta ha avu­to suc­ces­so; che dun­que for­se que­ste idee sia­no solo reto­ri­ca? Tra l’altro, quan­do quest’accordo ha smes­so di fun­zio­na­re, il mer­ca­to del caf­fè non era carat­te­riz­za­to dal­la con­cor­ren­za ma dall’oligopolio che, secon­do la teo­ria neo­clas­si­ca, è un fal­li­men­to del mer­ca­to: com’è pos­si­bi­le che i pae­si capi­ta­li­sti abbia­no rego­la­to un mer­ca­to per trent’anni per poi lasciar­lo “fal­li­to”? Con fal­li­men­to del mer­ca­to, nel­la teo­ria eco­no­mi­ca, s’intende quel­la situa­zio­ne in cui l’allocazione di beni e ser­vi­zi effet­tua­ta dal mer­ca­to non è effi­cien­te, ovve­ro­sia che vi sono anco­ra dei modi per incre­men­ta­re il benes­se­re dei par­te­ci­pan­ti al mer­ca­to sen­za ridur­re quel­lo di nessun’altro. Que­sto fal­li­men­to e la sua com­pa­ra­zio­ne con la real­tà sto­ri­ca, tut­ta­via, ci dà rispo­ste diver­se e con­flig­gen­ti: quan­do si par­la di capi­ta­li­smo, non dob­bia­mo pen­sa­re sola­men­te ad una que­stio­ne eco­no­mi­ca ma anche ad una poli­ti­ca, non dob­bia­mo per­ciò pen­sa­re all’economia di mer­ca­to dove gli scam­bi sono lim­pi­di, chia­ri e pre­ve­di­bi­li come quan­do andia­mo al bar o al frut­ti­ven­do­lo. Il capi­ta­li­smo è piut­to­sto un’area che è la som­mi­tà del­la pira­mi­de eco­no­mi­ca: un’area in cui gli atto­ri poli­ti­ci ed impren­di­to­ria­li si strin­go­no la mano e deci­do­no l’andamento del mer­ca­to stes­so. Così, seguen­do la richie­sta del dele­ga­to colom­bia­no, è sta­to gesti­to il mer­ca­to del caf­fè: “paga­te­ci un giu­sto prez­zo per il nostro caf­fè o – Dio ci sal­vi – le mas­se diven­te­ran­no una gran­de arma­ta rivo­lu­zio­na­ria mar­xi­sta e ci spaz­ze­ran­no via nel mare” (Mor­ris 2019, 142). A que­ste paro­le fan­no eco quel­le di Asna­ke Geta­chew, Segre­ta­rio del Natio­nal Cof­fee Board etio­pe – l’organizzazione per la gestio­ne del caf­fè in Etio­pia – pro­nun­cia­te nel 1971: 

“Sia chia­ro che il nostro accor­do [l’ICA] non è un accor­do com­mer­cia­le sigla­to fra asso­cia­zio­ni per l’esportazione del caf­fè e sta­ti impor­ta­to­ri. È un accor­do poli­ti­co sigla­to da Capi di Sta­to, che defi­ni­sce le rela­zio­ni com­mer­cia­li com­ples­si­ve fra pae­si pro­dut­to­ri meno svi­lup­pa­ti e fra pae­si con­su­ma­to­ri più avan­za­ti. L’ascesa e il decli­no dei prez­zi del caf­fè non han­no solo un impat­to sul com­mer­cio di caf­fè nei pae­si impor­ta­to­ri, ma influen­za­no cen­ti­na­ia di indu­strie e ser­vi­zi che com­mer­cia­no i loro pro­dot­ti ai pae­si pro­dut­to­ri di caf­fè. […] Quan­do i prez­zi del caf­fè scen­do­no, non si ridu­ce solo la nostra capa­ci­tà di com­pra­re pro­dot­ti indu­stria­li, ma i nostri pro­gram­mi di svi­lup­po ven­go­no inter­rot­ti.” (Cel­lai, pros­si­ma pub­bli­ca­zio­ne)

Asna­ke Geta­chew ci par­la poi di come risol­ve­re la cri­si dell’ICA dei pri­mi anni ’70, cau­sa­ta dal­la gela­ta in Bra­si­le, e ci for­ni­sce ulte­rio­ri spun­ti di rifles­sio­ne sul tema:

“Cosa pos­sia­mo fare per cor­reg­ge­re l’attuale sen­tie­ro peri­co­lo­so [l’incremento dei prez­zi a cau­sa del­la gela­ta in Bra­si­le]? La rispo­sta potreb­be esse­re sem­pli­ci­sti­ca e reci­ta­re «lascia­te il mer­ca­to indi­stur­ba­to e que­sti, da solo, tro­ve­rà la solu­zio­ne». Ma que­sto potreb­be esse­re vero se le con­di­zio­ni per un cor­ret­to fun­zio­na­men­to del mer­ca­to ci fos­se­ro. […] Il mer­ca­to del caf­fè non ope­ra esclu­si­va­men­te basan­do­si su doman­da e offer­ta. Ci sono una serie di fat­to­ri che pos­so­no esse­re con­si­de­ra­ti psi­co­lo­gi­ci e che pos­so­no cam­bia­re ina­spet­ta­ta­men­te il livel­lo e l’andamento dei prez­zi”. (Cel­lai, pros­si­ma pub­bli­ca­zio­ne)

Per quan­to bre­vi e con­ci­se, quest’ultime due rifles­sio­ni pen­so pos­sa­no con­tri­bui­re al dibat­ti­to sull’essenza del capi­ta­li­smo e, maga­ri, for­ni­re anche spun­ti di rifles­sio­ne. La discra­sia che si nota fra teo­ria eco­no­mi­ca e sto­ria eco­no­mi­ca qui abboz­za­ta, ad esem­pio, ci per­met­te di con­si­de­ra­re la distan­za tra teo­ri­ca e pra­ti­ca. Inol­tre, quan­do si par­la di capi­ta­li­smo sareb­be dun­que più cor­ret­to ana­liz­za­re come que­sto si rap­por­ti sto­ri­ca­men­te, e non astrat­ta­men­te o teo­ri­ca­men­te, e dun­que con­si­de­rar­lo non una cate­go­ria eco­no­mi­ca ma anzi un siste­ma, il qua­le scon­fi­na nel­le altre sfe­re e, che anzi, sen­za di esse non potreb­be esi­ste­re. È un’area, come dimo­stra­to­ci dall’ICA, in cui le leg­gi del­la com­pe­ti­zio­ne nor­ma­le non si appli­ca­no ma dove il pote­re, eco­no­mi­co e poli­ti­co, crea a suo pia­ci­men­to nuo­ve rego­le: que­ste, come duran­te il perio­do del­la trat­ta atlan­ti­ca, si rea­liz­za­no tra­mi­te scam­bi ine­gua­li – come quel­li che han­no gene­ra­to la rivo­lu­zio­ne di Hai­ti – e pre­ve­do­no la con­ni­ven­za di auto­ri­tà sta­ta­li ed eco­no­mi­che, ad Hai­ti come con gli ICA. In par­ti­co­la­re, come dimo­stra­to­ci dal caso del caf­fè, il fun­zio­na­men­to del capi­ta­li­smo è più evi­den­te quand’esso si ser­ve del com­mer­cio a lun­ga distan­za e lo orga­niz­za, disor­ga­niz­za e rior­ga­niz­za a suo pia­ci­men­to; di nuo­vo, ad Hai­ti come con l’ICA.

Biblio­gra­fia

Al-Kai­si, Meis. 2021. Rethin­king Con­cep­tual Sufi­sm: A Syn­the­sis of Isla­mic Spi­ri­tua­li­ty, Asce­ti­ci­sm, and Mysti­ci­sm, Teo­so­fi: Jur­nal Tasa­wuf dan Pemi­ki­ran Islam, 11 (2), 169–193.

Brau­del, Fer­nand. 1977. After­thoughts on Mate­rial Civi­li­za­tion and Capi­ta­li­sm. Bal­ti­mo­ra-Lon­dra, The Johns Hop­kins Uni­ver­si­ty Press;

Cel­lai, Andrea. Pros­si­ma Pub­bli­ca­zio­ne, tesi PhD.

Mor­ris, Jona­than. 2019. Cof­fee: A Glo­bal Histo­ry. Reak­tion Books, Lon­dra;

Madiou, Tho­mas. 1989–91. Histoi­re d’Haiti (1847–48), 8 vols., III, H. Deschamps, Port-au-Prin­ce.

Rat­ner, Bru­ce. 2009. Pytha­go­ras: eve­ryo­ne kno­ws his famous theo­rem, but not who disco­ve­red it 1000 years befo­re him, Jour­nal of Tar­ge­ting Mea­su­re­ment and Ana­ly­sis for Mar­ke­ting, 17 (3), 229–242.

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