29

Marzo
29 Marzo 2023

ENJE­RA A COLA­ZIO­NE, PRAN­ZO E CENA

0 CommentI
71 visualizzazioni
16 min

Due mesi in Etio­pia pos­so­no esse­re un anti­pa­sto suf­fi­cien­te per assag­gia­re un mon­do alie­no da cui fug­gi­re o diven­ta­re una fon­te d’ispirazione che gene­ra un’attrazione fata­le. Per alcu­ni è la pri­ma, per altri la secon­da.

Il mio caso si col­lo­ca nel­la secon­da cate­go­ria. Ma con­te­stua­liz­zia­mo un atti­mo. Sono un euro­peo bian­co agno­sti­co, il che è già diver­so dall’essere un’europea bian­ca atea per non par­la­re poi di chi è reli­gio­so, che si è reca­to in que­sto pae­se per la pri­ma vol­ta e che sostan­zial­men­te – a par­te qual­che indi­ca­zio­ne sull’alloggio e sul­la per­so­na con cui lavo­ra­re, che comun­que sono sta­te infor­ma­zio­ni più che fon­da­men­ta­li – vi si è lan­cia­to con pochi stru­men­ti e ancor meno indi­ca­zio­ni. Il tur­bi­nio di even­ti che si è gene­ra­to dal­la deci­sio­ne di par­ti­re per que­sta mis­sio­ne di ricer­ca – con­se­guen­te al mio Ph.D. o dot­to­ra­to – è sta­ta una del­le espe­rien­ze più bel­le, e di suc­ces­so – ho sco­per­to archi­vi mai esplo­ra­ti da nes­sun ricer­ca­to­re – che abbia mai fat­to.

Quin­di vor­rei con­di­vi­de­re con voi alcu­ne impres­sio­ni che ho trat­to dal viag­gio, nel­la for­ma di dia­rio di bor­do, sen­za la pre­sun­zio­ne di svol­ge­re un’analisi esau­sti­va né di espri­me­re un pun­to di vista incon­tro­ver­ti­bi­le. Per­ché? Per­ché, a mio avvi­so, fare espe­rien­za di un’altra socie­tà, un altro modo di vive­re, un altro habi­tus – quel­la serie di nor­me socia­li che ogni indi­vi­duo ha dovu­to impa­ra­re sin dal­la gio­va­ne età per soprav­vi­ve­re in una deter­mi­na­ta socie­tà, ovve­ro il gio­co socia­le incor­po­ra­to fat­to­si secon­da natu­ra degli indi­vi­dui e che, se pre­so nel­la sua dimen­sio­ne col­let­ti­va, è la strut­tu­ra strut­tu­ran­te del­la socie­tà stes­sa – è con­di­zio­ne impre­scin­di­bi­le per abbat­te­re le fron­tie­re.

Far­ne espe­rien­za, facen­do sia osser­va­zio­ne par­te­ci­pan­te che par­te­ci­pa­zio­ne in sé per sé, signi­fi­ca cer­ca­re di abban­do­na­re le pro­prie fron­tie­re cul­tu­ra­li, nazio­na­li e iden­ti­ta­rie e immer­ger­si in un lago, quel­lo nazio­na­le, in un mare, quel­lo regio­na­le, e in un ocea­no, quel­lo con­ti­nen­ta­le che è da tutt’altra par­te rispet­to al nostro cor­ti­le di casa. Difat­ti vive­re in Ita­lia, che fa par­te del Sud Euro­pa e poi del con­ti­nen­te euro­peo signi­fi­ca vive­re secon­do un habi­tus spe­ci­fi­co, secon­do nor­me socia­li par­ti­co­la­ri, ma non per que­sto asso­lu­te: vive­re secon­do un altro habi­tus, quel­lo etio­pe, nel­la regio­ne del Cor­no d’Africa che è par­te del con­ti­nen­te afri­ca­no, signi­fi­ca saper rela­ti­viz­za­re entram­be le real­tà. Rela­ti­viz­za­re signi­fi­ca cer­ca­re di met­te­re da par­te quell’assunzione ‘natu­ra­le’ – non è pro­pria­men­te natu­ra­le ben­sì cul­tu­ra­le ma con la cre­sci­ta, e l’abitudine, e la rei­te­ra­zio­ne dei gesti diven­ta una secon­da natu­ra – per cui la nostra real­tà sia la real­tà ‘asso­lu­ta’, nel sen­so che da que­sta secon­da natu­ra discen­da la con­si­de­ra­zio­ne che que­sta sia la ‘nor­ma­li­tà’ e inve­ce è solo una del­le varie decli­na­zio­ni cul­tu­ra­li del mon­do, e per­ciò aprir­si a nuo­vi modi di pen­sa­re e vive­re la socie­tà.

Que­ste con­si­de­ra­zio­ni sono di par­ten­za, il che non signi­fi­ca che io mi sia com­ple­ta­men­te inte­gra­to né che abbia abbat­tu­to com­ple­ta­men­te tut­te le bar­rie­re – è un pro­ces­so in dive­ni­re – ma, spe­ro, che que­sto posi­zio­na­men­to e le impres­sio­ni che ne sono deri­va­te pos­sa­no apri­re un pic­co­lo squar­cio sul­la mia in pri­mis – ma anche – nostra real­tà quo­ti­dia­na.

25 gen­na­io, Addis Abe­ba.

La pri­ma idea che mi è venu­ta, e vor­rei ave­re anco­ra un/una nonno/a in vita per par­lar­ne, è che l’Etiopia sia come l’Italia negli anni ’50: un pae­se in pie­no svi­lup­po avvia­to ver­so cam­bia­men­ti epo­ca­li. Per inci­so, vi ricor­do che il mira­co­lo eco­no­mi­co ita­lia­no, che per­met­te­rà al Bel­pae­se di sede­re al tavo­lo del G8 ovve­ro del­le otto nazio­ni più indu­stria­liz­za­te e poten­ti del pia­ne­ta, avver­rà pro­prio sin dal­la fine del­la Secon­da Guer­ra Mon­dia­le:

In Etio­pia si vedo­no grat­ta­cie­li, costrui­ti e in costru­zio­ne, che in Ita­lia non si vedo­no, si vedo­no barac­co­po­li che for­se appun­to c’erano quan­do la gran­de migra­zio­ne dal Sud al Nord era agli ini­zi e si vedo­no quei gran­di com­ples­si di appar­ta­men­ti che sono tipi­ci degli anni ’70 ita­lia­ni e in cui tan­ti di noi vivo­no anco­ra. Que­sta serie di dif­fe­ren­ze infra­strut­tu­ra­li è, ovvia­men­te, indi­ce dei muta­men­ti inte­sti­ni del­la socie­tà: il nume­ro di milio­na­ri è in aumen­to, la clas­se media – col­le­ga­ta prin­ci­pal­men­te alle isti­tu­zio­ni gover­na­ti­ve, ma anche a quel­la impren­di­to­ria­le – sta nascen­do, il nume­ro di pove­ri è dimi­nui­to; tut­ta­via, il net­to incre­men­to del­la popo­la­zio­ne ribi­lan­cia que­sta sta­ti­sti­ca. Ad ogni modo, l’Etiopia ha sì sca­la­to alcu­ne posi­zio­ni nel­lo Human Deve­lo­p­ment Index, così come per PIL, ma anco­ra l’agognata tran­si­zio­ne ver­so un “pae­se a medio red­di­to” fis­sa­ta per il 2025 va pospo­sta.

28 gen­na­io, Addis Abe­ba.

In Etio­pia vi sono diver­se cor­ren­ti poli­ti­che che si fan­no bat­ta­glia fra loro, ma è la reli­gio­ne l’elemento che fa da col­lan­te prin­ci­pa­le del­la socie­tà. Pos­sia­mo scor­ge­re dei pri­mi segna­li di seco­la­riz­za­zio­ne, soprat­tut­to, com’è ovvio, nel­la fascia di popo­la­zio­ne più ric­ca e più in con­tat­to con altre cul­tu­re, ma, come nell’Italia del con­flit­to bipo­la­re, è l’istituzione eccle­sia­sti­ca che acco­mu­na la popo­la­zio­ne. Poca dif­fe­ren­za fa che la reli­gio­ne sia quel­la cri­stia­na orto­dos­sa – la Chie­sa etio­pi­ca è anti­ca tan­to quan­to la nostra anche se non sono di cer­to cri­stia­ni cat­to­li­ci – o l’Islam o anco­ra i cri­stia­ni pro­te­stan­ti (ma pen­te­co­sta­li), in Etio­pia la con­vi­ven­za, o meglio anco­ra la tol­le­ran­za, fra reli­gio­ni è la nor­ma.

Se l’Italia del dopo­guer­ra ave­va il ‘miglior part­ner pos­si­bi­le’ del tem­po, gli Sta­ti Uni­ti, l’Etiopia ha – muta­tis mutan­dis – lo stes­so, la Cina. La Cina è in Etio­pia non per la ricer­ca del­le risor­se o il land grab­bing ma, prin­ci­pal­men­te, per­ché l’Etiopia è il cen­tro diplo­ma­ti­co dell’Africa, e per­ché il par­ti­to-sta­to al gover­no (come quel­lo attua­le) ha uno svi­lup­po e un’idea di svi­lup­po che s’ispirano a quel­li cine­si. Inol­tre, è uno dei pun­ti chia­ve del­la Nuo­va Via del­la Seta. La Cina costrui­sce stra­de, grat­ta­cie­li, fa impre­sa e insom­ma è il gran­de spon­sor del pae­se e non bada a spe­se.

 

30 gen­na­io, Addis Abe­ba.

Le simi­li­tu­di­ni con il nostro pae­se non sono sola­men­te eco­no­mi­co-poli­ti­che né reli­gio­se, sono pro­prio radi­ca­te nel tes­su­to socia­le. In Ita­lia sia­mo famo­si per le discus­sio­ni infi­ni­te, per il voler aver ragio­ne, per non voler mai fare un pas­so indie­tro su una que­stio­ne che ci sta a cuo­re, in Etio­pia si fa pri­ma: non sen­ti­re­te mai dire “non lo so”, anche se qual­cu­no non sa qual­co­sa tro­ve­rà comun­que una rispo­sta da dar­vi, per quan­to vaga e impre­ci­sa pos­sa esse­re. Il nostro “boh” non è con­ce­pi­to e sicu­ra­men­te in que­sto vi è una gran­de dif­fe­ren­za ma il con­cet­to è mol­to simi­le. Così come con i nostri segre­ti di Pul­ci­nel­la, quel­li che non si dico­no ma che san­no tut­ti e che sono col­le­ga­ti all’omertà, in Etio­pia è lo stes­so anche se si dice adde­ba­bay mister. Per capi­re chi ha ragio­ne beh, come da noi, rim­boc­ca­te­vi le mani­che!

In Etio­pia, come suc­ce­de a vol­te al Sud Ita­lia ma come suc­ce­de­va in tut­to il Bel­pae­se nel pas­sa­to, si vive per stra­da la mag­gior par­te del gior­no: si met­to­no le sedie davan­ti alle case o agli uffi­ci, i lustra­scar­pe lavo­ra­no ala­cre­men­te e ti chia­ma­no per dar­ti una puli­ti­na, basta met­te­re un for­nel­lo, due sedie e già si è fat­to un caf­fè e/o una bet­to­la; ognu­no ha tan­ti paren­ti, ami­ci e se hai un pro­ble­ma basta chie­de­re a qual­cu­no e vedrai che l’amico dell’amico paren­te alla lon­ta­na ti tro­ve­rà la solu­zio­ne. “Vie­ne mio cugi­no”, come si suol dire. Ma il gior­no è anche il momen­to, sin da quan­do spun­ta il sole alle sei e mez­za, in cui l’attività fre­me in ogni ango­lo per le stra­de – per non par­la­re del traf­fi­co infi­ni­to – tut­ti sono fuo­ri e dai lustra­scar­pe sem­pre die­tro l’angolo, ai caf­fè con i pan­chet­ti per stra­da dove seder­si per una len­ta ma velo­ce pau­sa, ai busi­ness­man in cra­vat­ta che affol­la­no un po’ tut­ti i quar­tie­ri, ai men­di­can­ti di tut­te le età, ai cani e gat­ti ran­da­gi ad ogni ango­lo, ai mini­bus – fur­go­ni che, assie­me ai clas­si­ci bus, for­ni­sco­no il ser­vi­zio pub­bli­co di spo­sta­men­to – i cui posti­glio­ni urla­no ad ogni ango­lo ver­so qua­le quar­tie­re sono diret­ti, ai poli­ziot­ti dislo­ca­ti un po’ ovun­que, ai tan­ti impie­ga­ti e stu­den­ti ognu­no si affac­cen­da, s’industria, s’affanna per una pic­co­la fet­ta di qual­co­sa. Vi è anche una gran dose di nul­la­fa­cen­ti, qua­si solo uomi­ni, che man­gia­no la loca­le foglia di coca, il chat, o che stan­no sem­pli­ce­men­te a ber­si le bir­re da mat­ti­na a sera e che si mischia­no con l’altra gran­de fet­ta del­la popo­la­zio­ne che occu­pa le stra­de osser­van­do, i poli­ziot­ti e i mili­ta­ri.

2 feb­bra­io, Addis Aba­ba.

Addis Abe­ba che poi, in Ama­ri­co, signi­fi­ca ‘Fio­re Nuo­vo’. Qual­cu­no dei let­to­ri dirà, ma cer­to li abbia­mo colo­niz­za­ti noi! L’Italia ha fat­to quel pae­se! Nien­te di più sba­glia­to. In Etio­pia non si par­la di colo­niz­za­zio­ne ma di occu­pa­zio­ne e se la dif­fe­ren­za seman­ti­ca vi sem­bra poca: l’Italia ha con­qui­sta­to l’Etiopia e vi è rima­sta per cin­que anni, tan­to da otte­ne­re il con­trol­lo del­le prin­ci­pa­li cit­tà e di qual­che pro­get­to di svi­lup­po nel­le aree rura­li ma sostan­zial­men­te l’intero pae­se, dato che la mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne è rura­le, non era sot­to nes­sun con­trol­lo. L’Italia non ha scal­fi­to la strut­tu­ra socia­le, ha con­tri­bui­to a quel­la infra­strut­tu­ra­le (ma gli ingle­si dopo aver­ci scac­cia­to han­no requi­si­to cir­ca l’80% di ciò che ave­va­mo lascia­to) e ha com­piu­to nume­ro­si mas­sa­cri ingiu­sti­fi­ca­ti che, nel­la nostra Sto­ria, sono sta­ti mes­si sot­to al tap­pe­to. Per­ché in Ita­lia un esa­me cri­ti­co del­la memo­ria col­let­ti­va del pae­se, rispet­to a colo­nia­li­smo e fasci­smo, non è mai sta­to fat­to. Nono­stan­te i ten­ta­ti­vi ope­ra­ti da acca­de­mi­ci del cali­bro di De Feli­ce o intel­let­tua­li come Scu­ra­ti per quan­to riguar­da il fasci­smo, o al dibat­ti­to fra Mon­ta­nel­li e Del Boca riguar­do al colo­nia­li­smo, que­ste rifles­sio­ni sono rima­ste eser­ci­zi intel­let­tua­li men­tre la socie­tà face­va il suo cor­so.

Ma quin­di qual è la con­ce­zio­ne etio­pi­ca degli ita­lia­ni? Come sia­mo visti nel pae­se in cui la coo­pe­ra­zio­ne allo svi­lup­po ita­lia­na inve­ste più di tut­ti? In real­tà, nono­stan­te tut­to, quan­do si par­la degli ita­lia­ni se ne par­la in manie­ra posi­ti­va soprat­tut­to per le nume­ro­se costru­zio­ni, edi­fi­ci e dighe in pri­mis, che dal secon­do dopo­guer­ra le azien­de ita­lia­ne han­no fat­to nel pae­se. Tut­to qui? No, gli ita­lia­ni ven­go­no anche pre­si in giro per la gran­de bato­sta che gli etio­pi­ci ci han­no dato ad Adua. La più gran­de bat­ta­glia colo­nia­le mai com­bat­tu­ta e che ha ispi­ra­to gene­ra­zio­ni di afri­ca­ni oltre a dimo­stra­re che l’imbattibilità dei bian­chi, costrui­ta ad hoc duran­te il XIX seco­lo, era solo un mito.

4 feb­bra­io, Addis Abe­ba.

 E dun­que qual è il mag­gior lasci­to ita­lia­no in Etio­pia? Ci sono una man­cia­ta di paro­le che in ama­ri­co, la prin­ci­pa­le lin­gua del pae­se, sono sem­pli­ce­men­te ita­lia­ne: si dice ciao, anche se solo come arri­ve­der­ci, la stra­da asfal­ta­ta si dice asfal­to, bor­sa o anche sciar­pa sono ugua­li – anche se sciar­pa si pro­nun­cia sciar­pà – e ovvia­men­te i due pro­dot­ti ita­lia­ni che han­no vali­ca­to ogni con­fi­ne, che sono sta­ti ria­dat­ta­ti in ogni manie­ra pos­si­bi­le e che, se mai sare­mo inva­si da spe­cie vera­men­te alie­ne, potre­mo usa­re come stru­men­to di media­zio­ne: la pasta e la piz­za.

La piz­za è dav­ve­ro buo­na e simi­le alla nostra, anche se la si può man­gia­re con del­le sal­se a par­te, men­tre la pasta si man­gia con l’enjera. L’enjera, nel­la die­ta etio­pi­ca che è varie­ga­ta tan­to quan­to la nostra, è onni­pre­sen­te: si trat­ta di una sor­ta di pia­di­na fat­ta con il teff, un cera­le tipi­co dell’altipiano etio­pi­co, e che ser­ve come le nostre posa­te, difat­ti si man­gia con le mani. E, come si evin­ce dal tito­lo, ho fini­to per man­gia­re enje­ra a cola­zio­ne, pran­zo e cena… In Etio­pia, dove­te sape­re, la cul­tu­ra dei dol­ci è pra­ti­ca­men­te assen­te – a par­te per qual­che bom­bo­lo­ne e le tor­te di com­plean­no – e si man­gia quin­di qua­si sem­pre sala­to. Ma se la cuci­na etio­pe è carat­te­riz­za­ta da stu­fa­ti e spez­za­ti­ni di capra, man­zo e pol­lo – il maia­le, come il caval­lo, non si man­gia – si può anche con­si­de­ra­re il para­di­so di vege­ta­ria­ni e, volen­do, vega­ni! Difat­ti il mer­co­le­dì e il vener­dì, i cri­stia­ni orto­dos­si, sono obbli­ga­ti a man­gia­re il ‘fasting food’ ovve­ro­sia sola­men­te ver­du­re: per la Qua­re­si­ma poi sono addi­rit­tu­ra 40 i gior­ni in cui la car­ne e i suoi deri­va­ti sono ban­di­ti. L’Etiopia è però anche un pae­se in cui le dif­fe­ren­ze reli­gio­se la fan­no da padro­ne, difat­ti basta fare un giro per la capi­ta­le e si tro­va un ristorante/bettola/trattoria dove si può gusta­re dell’enjera con la car­ne anche duran­te la Qua­re­si­ma, per­ché sì, i cri­stia­ni sono la mag­gio­ran­za ma le loro tra­di­zio­ni reli­gio­se non impe­di­sco­no agli isla­mi­ci, e ai pro­te­stan­ti, di met­te­re in atto pra­ti­che diver­se.

 

Testo e foto­gra­fie di Andrea Cel­lai

Con­di­vi­di:
TAGS:
I commenti sono chiusi