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Novembre
21 Novembre 2024

COL­LA­TE­RAL

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La ten­da lat­te­scen­te si gon­fia come la pri­ma bol­la nel bric­co di lat­te al pun­to di ebol­li­zio­ne rag­giun­to, scop­pia e vapo­riz­za la luce metal­li­ca che avvi­sa altra piog­gia. L’aria gio­va­ne e l’epidermide di una don­na si incre­spa­no ma di poco. Il peta­lo rosa del­la peo­nia pre­ci­pi­ta, si sgra­na a ter­ra, sarà sta­to per qual­cu­no che al pia­no di sot­to ha ini­zia­to a sfre­ga­re for­te una vec­chia sco­pa sul­la piog­gia rac­col­ta dal­la not­te, poi gli uccel­li, del­le voci, una ven­to­la. Lì accan­to un barat­to­lo di deo­do­ran­te, a ter­ra il vini­le che per pri­mo sta sugli altri, uno spa­zio vuo­to al muro dove andrà quel gros­so qua­dro che deve arri­va­re, la bol­let­ta giù nell’atrio ma qui è già anda­ta trop­po lon­ta­no, ritor­na subi­to lì dov’è, a let­to. Un’onda di lat­te e le len­zuo­la cado­no a ter­ra, là dove si posa­no i pie­di, lo smal­to cre­mi­si come le unghie del­le mani. È dav­ve­ro bel­la, è bel­la e può fare tut­to, tut­to non può ave­re ma può ave­re quel­lo che vuo­le. 

Ini­zia ogni gior­no allo stes­so modo, appe­na sve­glia pren­de la fia­la di col­la­ge­ne tra le dita lun­ghis­si­me e la beve in due sor­si: sa di mir­til­lo, l’eccessiva dol­cez­za distur­ba un po’. Poi spe­gne la caf­fet­tie­ra sul fuo­co len­to, lo fa non appe­na il caf­fè comin­cia a lamen­tar­si, non aspet­ta che esca tut­to, cre­de che que­sto ren­da il caf­fè più buo­no; il sapo­re del col­la­ge­ne vie­ne com­ple­ta­men­te coper­to dal lun­go caf­fè ama­ro. Lo beve sedu­ta alla fine­stra. È dav­ve­ro bel­la, lo spec­chio al muro testi­mo­nia il momen­to, pec­ca­to nes­su­no pos­sa veder­lo: sarà lei a scat­tar­si una foto, non si sciu­pa la bel­lez­za, non si tra­di­sce la sua memo­ria. Guar­da giù, tra un po’ il mar­cia­pie­de liscio col fio­re blu, che sbu­ca da una sua fes­su­ra, sareb­be sta­to occu­pa­to dall’auto di quel­li. Avreb­be potu­to rima­ne­re sve­glia a pen­sar­ci tut­ta la not­te a quel­lo che avreb­be fat­to, dove sareb­be anda­ta, inve­ce ave­va dor­mi­to bene e ades­so beve­va il suo soli­to caf­fè. Sta­va lì, in aggua­to, pron­ta per affac­ciar­si  su un’im­ma­gi­ne spon­ta­nea di lei bam­bi­na con sua madre, ma si fer­ma subi­to; non ci vuo­le nien­te ad anda­re trop­po lon­ta­no, del­le vol­te è meglio sta­re là dove si è, non altro­ve. 

Chis­sà inve­ce come mai le ave­va­no lascia­to tut­to quel tem­po pri­ma che quel­li arri­vas­se­ro, que­sto sì, era stra­no. Avreb­be fat­to allo­ra quel­lo che face­va sem­pre, avreb­be lavo­ra­to assor­ta tra la came­ra oscu­ra e la luce metal­li­ca del tavo­lo sot­to la fine­stra, davan­ti alle sue foto che ave­va­no spa­zia­to ben oltre l’alta moda. Lei infat­ti era sta­ta una model­la ma il suo ani­mo era sem­pre sta­to più com­ples­so, più raf­fi­na­to, più ambi­zio­so: era di cer­to sta­ta un’ ese­cu­tri­ce incan­te­vo­le, ma sen­za trop­po sfor­zo. Era sì sta­ta sin da subi­to un’ottima inter­pre­te, ma la sua indo­le era crea­ti­va, neces­si­ta­va d’un pro­ces­so, per­ché qual­co­sa nel suo cer­vel­lo era osses­sio­na­to dai det­ta­gli. Que­sti, tec­ni­ca­men­te, la ren­de­va­no una per­so­na assai pra­ti­ca, razio­na­le, dal­le ampie vedu­te, ma gli stes­si, sen­si­bil­men­te, face­va­no di lei una crea­tu­ra alte­ra, le si con­fa­ce­va la vul­ne­ra­bi­li­tà di quel peta­lo casca­to, l’empatia di quel fio­re blu soli­ta­rio nel cemen­to deso­la­to. 

La si pote­va ucci­de­re nel pun­to più tene­ro che era pure quel­lo più resi­lien­te, quel­lo più duro. Allo­ra anche quel­la mat­ti­na len­ta, Flo­ra Hadid si era dedi­ca­ta alla sua rou­ti­ne di skin­ca­re: ter­mi­na­va met­ten­do il bel­let­to, poi il ros­set­to. Quel gior­no ave­va indos­sa­to i jeans a vita alta e la maglia metal­li­ca a mani­che cor­te, si era fat­ta un altro caf­fè, taglia­ta del­le fet­te di melo­ne, e si era mes­sa al com­pu­ter per la post pro­du­zio­ne degli ulti­mi scat­ti, ma ecco che quel­li bus­sa­ro­no alla por­ta.  Poli­zia. Flo­ra Hadid, lei è in arre­sto.

Tre mesi dopo, men­tre dal­la fia­let­ta tra le dita lun­ghis­si­me beve­va in due sor­si il suo col­la­ge­ne al mir­til­lo, ammi­ra­va le mura geli­de del­la cel­la qua­si sof­fo­ca­te dal­le sue foto. Agli altri non era con­ces­so tan­to, men­tre lei ave­va otte­nu­to la sua scor­ta di col­la­ge­ne, caf­fè di qua­li­tà, ros­set­to, bel­let­to, le sue foto. Era dav­ve­ro bel­la, e chi è dav­ve­ro bel­lo può fare tut­to, nes­su­no sciu­pa la bel­lez­za, for­se tut­to non può ave­re ma può ave­re quel­lo che vuo­le. 

Men­tre aspet­ta­va il caf­fè ama­ro che quel­la mat­ti­na tar­da­va ad arri­va­re, Flo­ra Hadid guar­da­va cer­ti famo­si scat­ti immor­ta­la­ti da chi era venu­to pri­ma di lei, di scrit­tri­ci o repor­ter di guer­ra del­la sua infan­zia, e la mera­vi­glia­va sem­pre la bel­lez­za che quel­le comun­que si por­ta­va­no addos­so men­tre coi loro pas­si duri spo­sta­va­no la pol­ve­re tra mor­te e mace­rie. Quan­do era pic­co­la e guar­da­va quel­le foto di don­ne sui gior­na­li era cer­ta che quel­le fos­se­ro del­le dee, e la cosa influì non poco su chi era diven­ta­ta. Usò il mon­do per lei imme­dia­ta­men­te acces­si­bi­le, magni­fi­co ed effi­me­ro del­la moda, e si ritro­vò foto­gra­fa affer­ma­ta in tut­to il mon­do. Ave­va foto­gra­fa­to, cono­sciu­to e stret­to rela­zio­ni con cele­bri­tà in ogni ango­lo del­la socie­tà, ma mai si era immi­schia­ta diret­ta­men­te con la guer­ra, odia­va la guer­ra. 

Poi ci fu un gior­no d’autunno. Flo­ra Hadid era sedu­ta con la sua fami­glia tra i tavo­li­ni del Caf­fè di Halas, sem­pre lo stes­so – ci era cre­sciu­ta, le pia­ce­va andar­ci ogni vol­ta che dall’Occidente dove ora­mai vive­va da tem­po, tor­na­va a fare visi­ta alla madre e agli altri fra­tel­li che  era­no rima­sti a vive­re in quel­le ter­re nefa­ste, in memo­ria di loro padre – ride­va­no tut­ti, sua madre col suo tama­rin­do, che le somi­glia­va tan­to, lei e i suoi fra­tel­li beve­va­no il soli­to arak, un for­te alco­li­co. 

Tut­ti la pren­de­va­no in giro, per­chè sul suo ulti­mo nume­ro Vogue ave­va pub­bli­ca­to la foto di un papa­raz­zo, duran­te la ceri­mo­nia più chiac­chie­ra­ta dell’anno, indet­ta dal Capo di Sta­to del suo Occi­den­te, oltre ad esse­re pre­sen­ti tut­te le gran­di per­so­na­li­tà del momen­to, si vede­va Flo­ra Hadid accer­chia­ta dai foto­gra­fi e dal­la stam­pa. La com­pa­gna del Mini­stro degli Este­ri e del­la Dife­sa, con la lumi­no­sa fascia di Miss Uni­ver­so appe­na gua­da­gna­ta, igno­ra­ta in un ango­lo, le face­va una smor­fia asso­lu­ta­men­te spon­ta­nea e ridi­co­la, tra­boc­can­te di invi­dia. 

Al tavo­li­no ride­va­no tut­ti, poi Flo­ra Hadid ave­va dovu­to allon­ta­nar­si per rispon­de­re al tele­fo­no cel­lu­la­re, è una chia­ma­ta di lavo­ro, ave­va det­to a sua madre. Lì sua madre ave­va alza­to gli occhi su di lei. L’aveva guar­da­ta con uno sguar­do gran­de, con uno stu­po­re che nes­su­na del­le due in quel momen­to sape­va capi­re , qual­co­sa di simi­le a una sospen­sio­ne d’intenzioni, un vuo­to, qual­co­sa di defi­ni­ti­vo. Men­tre Flo­ra Hadid, all’improvviso inspie­ga­bil­men­te a disa­gio, si allon­ta­na­va dal cla­mo­re del loca­le per usci­re dal retro sul­la stra­da, sen­tì den­tro di lei nasce­re un ger­me di appren­sio­ne. Non durò mol­to poi­ché tra il pro­fu­mo dei cedri che anco­ra resi­ste­va­no allo smog dei vei­co­li, il rom­bo for­te nel cie­lo di un aereo che non si era visto, si era dovu­ta ral­le­gra­re ama­ra­men­te del­la noti­zia del­la sua agen­te che rife­ri­va che la Miss il Mini­stro suo mari­to in per­so­na, si augu­ra­va­no il suo tem­pe­sti­vo rien­tro in Occi­den­te per fis­sa­re al più pre­sto uno shoo­ting del tut­to spe­cia­le, pres­so la loro dimo­ra. 

Ecco la sua fri­vo­la rival­sa agli occhi del mon­do, rise den­tro di sé Flo­ra Hadid, un altro capric­cio di lus­so a cui dovrò dire di no, ave­va pen­sa­to con non­cu­ran­za. 

Poi all’improvviso accad­de. 

Accad­de pro­prio come acca­de­va in tut­to il mon­do, come Flo­ra Hadid ave­va solo imma­gi­na­to dai gior­na­li o dal­la tv. Calo­re, pres­sio­ne, dolo­re, il respi­ro rare­fat­to, e il suo cor­po ven­ne sbal­za­to via in alto nell’aria di cedro da un vio­len­to boa­to, la per­di­ta dei sen­si qua­si subi­to.

Un uomo in divi­sa minu­sco­lo, gio­va­ne, inti­mi­di­to, final­men­te le ave­va por­ta­to il caf­fè ama­ro. Flo­ra Hadid ave­va allun­ga­to le unghie ros­se tra le sbar­re, gli ave­va vol­ta­to le spal­le qua­si subi­to e sor­seg­gian­do il caf­fè si era fer­ma­ta davan­ti a quel­la foto. A ter­ra tra le mace­rie, l’aveva scat­ta­ta lì, poco pri­ma che arri­vas­se­ro i soc­cor­si; i gior­na­li inter­na­zio­na­li poi l’avrebbero usa­ta per un arti­co­lo che rac­con­ta­va per som­mi capi la tra­ge­dia del Caf­fè di Halas, l’ennesimo obiet­ti­vo civi­le ingiu­sti­fi­ca­bi­le, spie­ta­to, inu­ma­no, reso pos­si­bi­le da un Occi­den­te ipo­cri­ta che, for­nen­do le armi ai respon­sa­bi­li di que­gli orro­ri, gio­ca­va alla guer­ra a casa degli altri coi mor­ti degli altri. I pochi testi­mo­ni ave­va­no rac­con­ta­to poi di esser­si fin­ti mor­ti e così era­no soprav­vis­su­ti al bom­bar­da­men­to. Dopo quel­lo era­no arri­va­ti que­gli uomi­ni infer­na­li a mitra­glia­re i cor­pi di chi anco­ra era in vita, coi mor­ti si era­no scat­ta­ti del­le foto­gra­fie esi­la­ran­ti e se ne era­no anda­ti into­nan­do can­ti festo­si. 

Flo­ra Hadid era sta­ta tra quel­li che si era­no fin­ti mor­ti. Si era alza­ta dopo ore solo quan­do era­no ini­zia­ti ad arri­va­re i soc­cor­si, ma lì già ave­va la foto che l’avrebbe pos­se­du­ta per sem­pre.

Pochi gior­ni dopo esse­re rien­tra­ta nel suo Occi­den­te, tra le tan­te let­te­re di con­do­glian­ze ne arri­vò una dal­la neo Miss e del Mini­stro suo mari­to. 

Ave­va com­ple­ta­men­te dimen­ti­ca­to il loro invi­to. Scri­ve­va­no ades­so di esse­re sin­ce­ra­men­te dispia­ciu­ti per il dram­ma di Halas in cui era rima­sta vit­ti­ma tut­ta la sua fami­glia, e avreb­be­ro desi­de­ra­to sopra ogni altra cosa acco­glier­la, pres­so la loro dimo­ra, per ripren­de­re il discor­so del­lo shoo­ting, sareb­be­ro sta­ti ono­ra­ti se non aves­se volu­to decli­na­re. 

Flo­ra Hadid guar­dò quel rilan­cio di invi­to con occhi vuo­ti e il vol­ta­sto­ma­co.

Un Occi­den­te ipo­cri­ta che for­nen­do le armi gio­ca­va alla guer­ra a casa degli altri coi mor­ti degli altri.

All’istante qual­co­sa di mol­to chia­ro le pas­sò nel­lo sguar­do. Chia­mò la sua agen­te e le dis­se di fis­sa­re un appun­ta­men­to con i due cele­bri coniu­gi l’indomani.

Men­tre si tro­va­va sedu­ta nel­la ele­gan­te pol­tro­na ani­ma­lier, in un salot­to abba­ci­na­to, fece caso alla stra­na puz­za che ema­na­va­no i cusci­ni. Era del tut­to disin­te­res­sa­ta alla bel­la don­na in lustro con la sua nastri­na tra­slu­ci­da sul pet­to, si chie­se se por­tar­se­la sem­pre appic­ci­ca­ta addos­so faces­se par­te del con­trat­to da Miss Uni­ver­so. Quel­la bel­lez­za non ave­va sapo­re né spes­so­re, ed era pro­prio quel­lo che avreb­be immor­ta­la­to e quel­la don­na ne sareb­be sta­ta feli­cis­si­ma; solo nel­la miglio­re del­le ipo­te­si quan­do quel­la, ritro­van­do­si da sola, si sareb­be rivi­sta, avreb­be pro­va­to una sen­sa­zio­ne di pro­fon­da tri­stez­za e avreb­be attin­to alla sua pol­ve­ri­na bian­ca. 

Flo­ra Hadid era dav­ve­ro bel­la lì sedu­ta in quel­la scioc­ca pol­tro­na, era bel­la e pote­va fare tut­to per­ché nes­su­no avreb­be sciu­pa­to la sua bel­lez­za, tut­to non pote­va ave­re ma avreb­be avu­to quel­lo che vole­va. 

Men­tre aspet­ta­va che la Miss le por­tas­se del Mar­ti­ni ghiac­cia­to – che il Mini­stro suo mari­to era in bagno a far­si bel­lo per il loro shoo­ting per la coper­ti­na di quel­la famo­sa rivi­sta inter­na­zio­na­le ma era cer­ta che fos­se lì lì per arri­va­re – Flo­ra Hadid guar­da­va cal­ma e assor­ta fuo­ri dal­la por­ta fine­stra che affac­cia­va sui ter­re­ni lus­su­reg­gian­ti di pro­prie­tà dei coniu­gi. Pen­sa­va che non era esat­to cre­de­re che le per­so­ne sem­pli­ce­men­te cam­bias­se­ro nel tem­po, come se in loro tra­dis­se­ro un ini­zio. Era inge­nuo come pen­sie­ro, piut­to­sto le per­so­ne nel tem­po si avvi­ci­na­va­no sem­pre di più a diven­ta­re chi era­no dav­ve­ro. Per quan­to di magni­fi­co o dolo­ro­so acca­des­se nel­le vite di tut­ti, come pure la per­di­ta di chi più si ama al mon­do, tut­to era giu­sto, per­fet­ta­men­te al suo posto; un gior­no alla vol­ta ci si avvi­ci­na­va sem­pre di più a chi si era dav­ve­ro. Fece un lun­go sospi­ro. Era mat­ti­no pre­sto, lo shoo­ting per ren­de­re al meglio ave­va biso­gno del­la bel­la luce diur­na, e la Miss ave­va già lo sto­ma­co for­te per un Mar­ti­ni ghiac­cia­to. Pre­ve­di­bi­le, come pre­ve­di­bi­le era pure la men­zo­gna del Mini­stro suo mari­to che in quel momen­to era impe­gna­to a tira­re su cocai­na dal lavan­di­no del bagno la cui por­ta ave­va dimen­ti­ca­to di chiu­de­re.

La Miss le si era sedu­ta davan­ti, era a disa­gio. Dal­la mano ina­nel­la­ta ave­va allun­ga­to il Mar­ti­ni ghiac­cia­to dedi­ca­to all’ospite. Flo­ra Hadid le ave­va final­men­te rivol­to la sua atten­zio­ne, cal­ma, lo sguar­do pie­no, la stes­sa posi­zio­ne da cir­ca ven­ti minu­ti.

 Le gam­be acca­val­la­te l’una sull’altra, sedu­ta di sbie­co sul­la pol­tro­na con il cor­po che si rivol­ge­va altro­ve come fa chi con la sua sem­pli­ce pre­sen­za ha il con­trol­lo disin­te­res­sa­to su tut­to e tut­ti nel­la qual­sia­si stan­za. Una mano aper­ta mor­bi­da­men­te sul brac­cio­lo, l’altra rac­co­glie­va con inna­ta ele­gan­za il bel viso tra il pol­li­ce e il dito indi­ce e medio. Flo­ra Hadid si scom­po­se ma inve­ce di pren­de­re il Mar­ti­ni che edu­ca­ta­men­te ave­va rifiu­ta­to, piut­to­sto si era cac­cia­ta dal­la tasca del­la giac­ca una fia­let­ta del suo col­la­ge­ne al mir­til­lo. La Miss allo­ra, coster­na­ta ma pure indi­spet­ti­ta, si era scu­sa­ta se effet­ti­va­men­te a quell’ora pre­sto del mat­ti­no il Mar­ti­ni pote­va non esse­re di suo gra­di­men­to ma, fur­be­sca e sin­ce­ra­men­te incu­rio­si­ta, le doman­dò se quel­lo che sta­va per bere fos­se for­se il suo eli­sir di bel­lez­za. Flo­ra Hadid sor­ri­se lie­ve­men­te, but­tan­do velo­ce­men­te l’aria fuo­ri dal naso. Non le si può nascon­de­re nien­te Miss. Quel­la, tut­ta imba­raz­za­ta ed ecci­ta­ta, le dis­se che mai avreb­be volu­to esse­re inva­den­te ma se per caso aves­se volu­to con­di­vi­de­re il suo segre­to con lei allo­ra ne sareb­be sta­ta feli­cis­si­ma e mai lo avreb­be rive­la­to a qual­cu­no . 

Flo­ra Hadid le dis­se che in real­tà avreb­be potu­to fare di più, ave­va lì con lei pro­prio un paio di quel­le fia­let­te che sì, era­no il segre­to del­la sua bel­lez­za, e  avreb­be potu­to pren­der­ne due, una per lei e una per suo mari­to,  come un rega­lo da par­te sua. La Miss emi­se un gri­do­li­no sgra­zia­to, si tor­tu­rò le mani dal­la fre­ne­sia e dis­se: 

“Ma una sola con­di­zio­ne mia cara Miss.” 

“Tut­to quel­lo che vuo­le Miss Hadid!”

“Una cosa sem­pli­ce, dun­que: se lei e suo mari­to vole­te che que­sta fac­cia effet­to, dovre­te pren­der­la tut­te le mat­ti­ne non appe­na sve­gli, a sto­ma­co vuo­to, a par­ti­re da…adesso? Che ne dice, il suo Mar­ti­ni può aspet­ta­re?” 

La Miss pre­se le fia­let­te di col­la­ge­ne, che però ave­va­no un altro colo­re rispet­to a quel­le di Flo­ra Hadid, qua­si glie­le strap­pò dal­le mani e si pre­ci­pi­tò dal Mini­stro suo mari­to come una bim­ba a cui han­no fat­to il miglior rega­lo del mon­do. 

Sa di mir­til­lo, un po’ trop­po dol­ce, ma va giù bene”, le but­tò die­tro Flo­ra Hadid che, occhio al suo oro­lo­gio, ini­ziò ad atten­de­re i die­ci minu­ti pre­vi­sti. 

Poi si alzò, andò nel cor­ri­do­io dove affac­cia­va il bagno e tro­vò quel­lo che si aspet­ta­va. Miss Uni­ver­so e il Mini­stro degli Este­ri e del­la Dife­sa suo mari­to river­si a ter­ra, l’uno sull’altro, in una com­po­si­zio­ne ridi­co­la. 

 

Un Occi­den­te ipo­cri­ta che for­nen­do le armi gio­ca alla guer­ra a casa degli altri coi mor­ti degli altri. 

Fir­ma­to Flo­ra Hadid, una vit­ti­ma qua­lun­que. 

 

Ebbe pre­mu­ra di lascia­re il bigliet­to geli­do a ter­ra davan­ti ai due cada­ve­ri, poi fece la sua foto e se ne andò. 

L’Occidente, dopo ipo­cri­ti anni di pace, ini­ziò ad esse­re anche lui attac­ca­to mili­tar­men­te e a subi­re quel­le stes­se stra­gi di civi­li con armi che i pae­si stra­nie­ri, gio­can­do d’anticipo per neces­si­tà e soprav­vi­ven­za, si sta­va­no pro­cu­ran­do altro­ve. 

La bel­lez­za può far tut­to, tut­to non può ave­re ma può ave­re quel­lo che vuo­le. 

Foto­gra­fia di Daria Lazo/@_darialazo_

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