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Settembre
18 Settembre 2025

LIBER­TÀ, CON­SEN­SO E I PARA­DOS­SI DEL FEM­MI­NI­SMO

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Da fem­mi­ni­sta che fa divul­ga­zio­ne anche sui social, mi capi­ta spes­so di rice­ve­re mes­sag­gi, soprat­tut­to da don­ne, che mi con­fi­da­no di sen­tir­si “poco fem­mi­ni­ste”. Acca­de, ad esem­pio, quan­do scel­go­no di spo­sar­si, o quan­do rinun­cia­no total­men­te o par­zial­men­te alla pro­pria indi­pen­den­za in favo­re del­la sicu­rez­za eco­no­mi­ca offer­ta dal part­ner. Mol­te mi con­fi­da­no di sen­tir­si poco fem­mi­ni­ste quan­do si inter­ro­ga­no sul­la coe­ren­za del­le pro­prie scel­te quo­ti­dia­ne: indos­so cer­ti abi­ti per­ché lo desi­de­ro dav­ve­ro o per com­pia­ce­re lo sguar­do maschi­le? Mi depi­lo per­ché lo voglio io o per­ché la socie­tà me lo chie­de? Doman­de che pos­so­no sem­bra­re mar­gi­na­li, ma che rive­la­no un nodo più pro­fon­do: cosa signi­fi­ca, oggi, vive­re da fem­mi­ni­sta sen­za sen­tir­si costan­te­men­te in bili­co tra indi­pen­den­za e sot­to­mis­sio­ne?

È da que­sto inter­ro­ga­ti­vo che pren­de le mos­se anche Sto­ria dei miei peli (2025), l’ultimo roman­zo di Lavi­nia Man­nel­li, che rac­con­ta la para­bo­la di una gio­va­ne don­na con­vin­ta del­le pro­prie bat­ta­glie poli­ti­che e del pro­prio atti­vi­smo, eppu­re pron­ta a met­ter­si in discus­sio­ne quan­do un ina­spet­ta­to desi­de­rio maschi­le — e con esso una nuo­va pos­si­bi­li­tà di sicu­rez­za eco­no­mi­ca — la tra­sci­na in una dina­mi­ca che incri­na le sue cer­tez­ze.

Gli inter­ro­ga­ti­vi che ani­ma­no il roman­zo di Man­nel­li sono gli stes­si che attra­ver­sa­no mol­te espe­rien­ze con­tem­po­ra­nee. Pos­so­no assu­me­re con­tor­ni diver­si: sce­glie­re di mone­tiz­za­re il pro­prio cor­po ses­sua­liz­zan­do­lo onli­ne oppu­re legar­si per sem­pre a qual­cu­no, quan­do quel “sì” com­por­ta l’adesione a un model­lo che limi­ta l’autonomia e cri­stal­liz­za i ruo­li di gene­re. In que­sto sen­so, un esem­pio lam­pan­te è quel­lo del­le trad wife, gio­va­ni don­ne che sui social si pre­sen­ta­no come casa­lin­ghe feli­ci e orgo­glio­se di esser­lo, pro­po­nen­do la dedi­zio­ne tota­le alla casa e al mari­to come gesto di ribel­lio­ne nei con­fron­ti del­le ten­den­ze con­tem­po­ra­nee che descri­vo­no le don­ne come feli­ci e sod­di­sfat­te solo quan­do si affer­ma­no fuo­ri dal con­te­sto dome­sti­co. Que­sto imma­gi­na­rio, appa­ren­te­men­te ras­si­cu­ran­te e fami­lia­re, si intrec­cia con cor­ren­ti anti­fem­mi­ni­ste, nazio­na­li­ste e tal­vol­ta aper­ta­men­te supre­ma­ti­ste, che vedo­no nel­la sot­to­mis­sio­ne fem­mi­ni­le il per­no di un ordi­ne socia­le da pre­ser­va­re.

Qua­lun­que sia la cor­ni­ce, l’interrogativo resta lo stes­so: qual è la linea che sepa­ra la liber­tà di sce­glie­re — fos­se anche una scel­ta ana­cro­ni­sti­ca o con­tra­ria alla sen­si­bi­li­tà vigen­te — da una sot­to­mis­sio­ne inte­rio­riz­za­ta e resa invi­si­bi­le?

Non si trat­ta di un que­si­to nuo­vo. La sot­to­mis­sio­ne è infat­ti un con­cet­to su cui filo­so­fia e psi­co­lo­gia si sono a lun­go inter­ro­ga­te, oscil­lan­do tra inter­pre­ta­zio­ni mora­li, socia­li e pato­lo­gi­che. 

Per quan­to riguar­da gli uomi­ni, un rife­ri­men­to fon­da­ti­vo è il Discor­so sul­la ser­vi­tù volon­ta­ria (2014) che Étien­ne de La Boé­tie scris­se nel 1549: qui la sot­to­mis­sio­ne non è pen­sa­ta come con­di­zio­ne impo­sta, ma come dispo­si­zio­ne inte­rio­riz­za­ta. Gli uomi­ni, sostie­ne La Boé­tie, fini­sco­no per ser­vi­re per­ché si abi­tua­no a far­lo: arri­va­no per­fi­no ad ama­re la pro­pria con­di­zio­ne ser­vi­le, con­tri­buen­do così a per­pe­tuar­la. Una rifles­sio­ne che anti­ci­pa mol­ti inter­ro­ga­ti­vi moder­ni sul para­dos­so del­la liber­tà maschi­le, capa­ce di con­ver­tir­si in doci­le obbe­dien­za pur di con­ser­va­re sicu­rez­za e sta­bi­li­tà. Nel Nove­cen­to, la psi­coa­na­li­si ha affron­ta­to la que­stio­ne da un’altra ango­la­tu­ra. In Un bam­bi­no vie­ne pic­chia­to (2000), che Freud scri­ve nel 1919, la sot­to­mis­sio­ne maschi­le vie­ne inter­pre­ta­ta in chia­ve di fan­ta­sia ses­sua­le e dina­mi­ca incon­scia: la pul­sio­ne alla pas­si­vi­tà, con­si­de­ra­ta “per­ver­sa” per­ché devia dall’ideale viri­le di atti­vi­tà, diven­ta la matri­ce di desi­de­ri e ango­sce che resta­no rimos­si. La sot­to­mis­sio­ne maschi­le è dun­que per Freud qual­co­sa da spie­ga­re, giu­sti­fi­ca­re o pato­lo­giz­za­re. Diver­so il desti­no del­la sot­to­mis­sio­ne fem­mi­ni­le, tra­di­zio­nal­men­te descrit­ta come natu­ra­le e social­men­te desi­de­ra­bi­le. Rous­seau, nell’Emi­lio (2017) del 1762, imma­gi­na­va l’educazione di Sophie fina­liz­za­ta al pia­ce­re e alla cura dell’uomo: la sua vir­tù con­si­ste­va nell’essere dol­ce, acco­mo­dan­te, devo­ta. Alla fine del Set­te­cen­to, Pier­re-Ambroi­se-Fra­nçois Cho­der­los de Laclos, in De l’éducation des fem­mes (1990), denun­cia­va inve­ce l’inganno di que­sta pre­sun­ta ‘natu­ra fem­mi­ni­le’: non è la bio­lo­gia a ren­der­le obbe­dien­ti, ma un’educazione che abi­tua le don­ne alla dipen­den­za e al com­pia­ci­men­to, misu­ran­do­ne il valo­re sul­la capa­ci­tà di pia­ce­re e ser­vi­re.

E anco­ra nel Nove­cen­to, teo­rie psi­co­lo­gi­che appa­ren­te­men­te neu­tra­li han­no per­pe­tua­to que­sta natu­ra­liz­za­zio­ne: John Bowl­by (1999), ad esem­pio, lega­va la fem­mi­ni­li­tà alla capa­ci­tà inna­ta di cura, con­so­li­dan­do l’idea che l’abnegazione fos­se un trat­to “essen­zia­le” del­le don­ne.

Oggi, pur in un con­te­sto diver­so, que­ste dina­mi­che rie­mer­go­no. La sot­to­mis­sio­ne maschi­le resta spes­so stig­ma­tiz­za­ta come ‘debo­lez­za’ basti pen­sa­re al lin­guag­gio comu­ne che deri­de gli uomi­ni ‘suc­cu­bi’ del­la part­ner o ‘zer­bi­ni’ sul luo­go di lavo­ro , men­tre quel­la fem­mi­ni­le con­ti­nua a esse­re nor­ma­liz­za­ta come vir­tù: empa­tia, dispo­ni­bi­li­tà, capa­ci­tà di media­zio­ne, anco­ra oggi cele­bra­te come soft skills che ren­do­no una don­na pre­zio­sa nel lavo­ro e nel­le rela­zio­ni.

Come sot­to­li­nea la stu­dio­sa Manon Gar­cia in Sot­to­mes­se non si nasce, lo si diven­ta:

“Le fem­mi­ni­ste han­no accu­ra­ta­men­te evi­ta­to la que­stio­ne del­la sot­to­mis­sio­ne fem­mi­ni­le, pro­ba­bil­men­te per non dare l’impressione di fare il gio­co dei con­ser­va­to­ri” (Gar­cia 2021, 19–20). 

Per mol­to tem­po, infat­ti, que­sto tema ha costi­tui­to il ter­re­no su cui si è gio­ca­to uno scon­tro cul­tu­ra­le. Secon­do que­sta pro­spet­ti­va, a sot­to­met­ter­si sono le don­ne che non han­no altre pos­si­bi­li­tà per­ché invi­schia­te all’interno di con­te­sti socia­li o reli­gio­si che ne impe­di­sco­no l’emancipazione. Una visio­ne che non solo igno­ra la varie­tà del­le espe­rien­ze fem­mi­ni­li, ma rischia di can­cel­la­re le for­me di agen­cy che pos­so­no esi­ste­re anche in con­te­sti for­te­men­te vin­co­lan­ti. Basti pen­sa­re, ad esem­pio, al caso del velo isla­mi­co: se da un lato può esse­re per­ce­pi­to come stru­men­to di oppres­sio­ne, dall’altro mol­te don­ne lo han­no tra­sfor­ma­to in una moda­li­tà di espres­sio­ne iden­ti­ta­ria e, soprat­tut­to, in una riven­di­ca­zio­ne poli­ti­ca. Indos­sar­lo diven­ta, allo­ra, un modo per affer­ma­re la pos­si­bi­li­tà di coniu­ga­re fede, auto­de­ter­mi­na­zio­ne e fem­mi­ni­smo, mostran­do come anche den­tro vin­co­li rigi­di pos­sa­no emer­ge­re pra­ti­che di sog­get­ti­va­zio­ne.

Ma di cosa par­lia­mo quan­do par­lia­mo di ‘sot­to­mis­sio­ne’? Anzi­tut­to è bene sgom­bra­re il cam­po da un equi­vo­co: in que­sta sede il con­cet­to di sot­to­mis­sio­ne non coin­ci­de con la pra­ti­ca ero­ti­ca agi­ta in con­te­sti con­sen­sua­li come nel­le rela­zio­ni kin­ky o BDSM. Qui la sot­to­mis­sio­ne assu­me i con­tor­ni di un gio­co di ruo­lo nego­zia­to, rever­si­bi­le e deli­mi­ta­to, in cui il pote­re non è impo­sto ma mes­so in sce­na. Pro­prio per que­sto, può per­fi­no rove­scia­re alme­no tem­po­ra­nea­men­te le gerar­chie socia­li, offren­do uno spa­zio per esplo­ra­re desi­de­ri e posi­zio­ni che nel­la vita quo­ti­dia­na resta­no nega­te.

La sot­to­mis­sio­ne di cui ci occu­pia­mo qui riguar­da al con­tra­rio quel­le dina­mi­che rela­zio­na­li in cui i rap­por­ti di pote­re sono asim­me­tri­ci e radi­ca­ti in un con­te­sto socia­le di disu­gua­glian­za. È sem­pre Gar­cia a illu­strar­ne la natu­ra para­dos­sa­le. Si trat­ta di: 

“Un’attività nel­la pas­si­vi­tà: il sog­get­to deci­de­reb­be di non esse­re più colui che deci­de indi­pen­den­te­men­te dal gra­do di razio­na­li­tà o com­ples­si­tà di una simi­le deci­sio­ne. Pos­sia­mo ovvia­men­te deci­de­re di sot­to­met­ter­ci in man­can­za di altre scel­te dispo­ni­bi­li, ma si trat­ta in ogni caso di una deci­sio­ne, per­lo­me­no quel­la di non agi­re con­tro il pote­re eser­ci­ta­to su di noi” (2021, 28–29).

Per Gar­cia, la sot­to­mis­sio­ne non può esse­re com­pre­sa se non in rela­zio­ne alla domi­na­zio­ne: il pote­re dell’uno si eser­ci­ta sul cor­po, sul tem­po e sul­le pos­si­bi­li­tà dell’altra. Ciò deter­mi­na due dimen­sio­ni com­ple­men­ta­ri: quel­la rela­zio­na­le, che defi­ni­sce la posi­zio­ne dei sog­get­ti all’interno di una gerar­chia e il rico­no­sci­men­to o meno   del­la pro­pria subor­di­na­zio­ne; e quel­la dell’azione, che riguar­da i com­por­ta­men­ti con­cre­ti con cui la sot­to­mis­sio­ne pren­de for­ma, sia nei gesti quo­ti­dia­ni sia nel­le scel­te di lun­go perio­do.

È a par­ti­re da que­sta defi­ni­zio­ne che la filo­so­fa ana­liz­za quei casi in cui la sot­to­mis­sio­ne non è for­mal­men­te impo­sta, ma si pre­sen­ta come opzio­ne legit­ti­ma, per­si­no desi­de­ra­bi­le. Que­sta pro­spet­ti­va dia­lo­ga con la nozio­ne di situa­zio­ne ela­bo­ra­ta da Simo­ne de Beau­voir ne Il secon­do ses­so ([1949] 2016). Con que­sto con­cet­to la filo­so­fa si rife­ri­sce alle con­di­zio­ni mate­ria­li, sim­bo­li­che e sto­ri­che che cir­co­scri­vo­no le rea­li pos­si­bi­li­tà di esi­sten­za di cia­scun sog­get­to. Attra­ver­so que­sta pro­spet­ti­va De Beau­voir intrec­cia esi­sten­zia­li­smo e feno­me­no­lo­gia per por­ta­re atten­zio­ne intor­no all’esperienza situa­ta del gene­re fem­mi­ni­le, deter­mi­na­ta dal­la con­di­zio­ne di alte­ri­tà. La domi­na­zio­ne maschi­le è pos­si­bi­le pro­prio per­ché tra­sfor­ma le don­ne in un “Altro asso­lu­to” (2023, 117), con­fi­nan­do­le nel ruo­lo di ogget­to del­lo sguar­do e del desi­de­rio altrui. È uno sguar­do da cui non è pos­si­bi­le eman­ci­par­si del tut­to, e che agi­sce pro­prio ren­den­do natu­ra­le la pro­pria pre­sen­za. 

In que­sto sen­so, ciò che Gar­cia defi­ni­sce “atti­vi­tà nel­la pas­si­vi­tà” si sovrap­po­ne alla let­tu­ra di De Beau­voir: la rela­zio­ne di pote­re si tra­ve­ste da liber­tà di scel­ta. Si trat­ta di una dina­mi­ca tipi­ca del­la nostra socie­tà, in cui l’adesione a ruo­li tra­di­zio­na­li, ai cano­ni di bel­lez­za o a script rela­zio­na­li dise­gua­li non è il frut­to di un coman­do diret­to, ma deri­va al con­tra­rio da una com­bi­na­zio­ne di aspet­ta­ti­ve socia­li, richie­ste edu­ca­ti­ve, incen­ti­vi sim­bo­li­ci e vin­co­li mate­ria­li.

Se si guar­da a que­sti sce­na­ri attra­ver­so la dop­pia len­te del­la rela­zio­ne e dell’azione, si vede che ciò che appa­re come un atto auto­no­mo spo­sar­si assu­men­do un ruo­lo di moglie dedi­ta al mari­to e ai figli, mone­tiz­za­re la pro­pria ses­sua­li­tà gra­zie a piat­ta­for­me per adul­ti, adat­ta­re desi­de­ri e abi­tu­di­ni alle esi­gen­ze dell’altro non è pri­vo di agen­cy, ma resta inscrit­to in una strut­tu­ra che pre­ve­de una par­te domi­nan­te e una subor­di­na­ta. 

In altre paro­le, si trat­ta di scel­te rea­li ma vin­co­la­te, eser­ci­ta­te entro mar­gi­ni che restrin­go­no il ven­ta­glio del­le pos­si­bi­li­tà e che, comun­que, non modi­fi­ca­no la strut­tu­ra socia­le in cui si col­lo­ca­no. La sot­to­mis­sio­ne, let­ta in que­sta chia­ve, non è tan­to una rinun­cia o una scel­ta per­so­na­le, ma un’esperienza di liber­tà par­zia­le, eser­ci­ta­ta entro con­fi­ni ristret­ti e intri­sa di con­trad­di­zio­ni: esse­re al tem­po stes­so sexy e rispet­ta­bi­li, indi­pen­den­ti ma dedi­te alla fami­glia, for­ti ma mai trop­po.

Que­sta logi­ca si esten­de anche alla sfe­ra del­le rela­zio­ni affet­ti­ve, dove la sot­to­mis­sio­ne inte­rio­riz­za­ta può ren­de­re dif­fi­ci­le eser­ci­ta­re una vera liber­tà di scel­ta. Negli ulti­mi anni il dibat­ti­to pub­bli­co ha por­ta­to mol­ta atten­zio­ne sul cosid­det­to model­lo di con­sen­so affer­ma­ti­vo, rias­sun­to nel­lo slo­gan ‘sì signi­fi­ca sì’: l’idea che il rap­por­to ses­sua­le sia leci­to solo se tut­te le par­ti coin­vol­te espri­mo­no un con­sen­so chia­ro, espli­ci­to e con­ti­nua­ti­vo. Que­sto model­lo nasce in con­trap­po­si­zio­ne alla logi­ca tra­di­zio­na­le del ‘no signi­fi­ca no’, che pre­sup­po­ne­va la resi­sten­za come uni­co segna­le di rifiu­to e che, di fat­to, lascia­va spes­so spa­zio a zone gri­gie o ad abu­si.

Tut­ta­via, per­ché un con­sen­so affer­ma­ti­vo sia real­men­te pra­ti­ca­bi­le, occor­re che le per­so­ne sia­no in gra­do di cono­sce­re i pro­pri desi­de­ri e di espri­mer­li sen­za timo­re di giu­di­zio. Ed è qui che emer­go­no le dif­fi­col­tà: se la posi­zio­ne fem­mi­ni­le è già segna­ta da una dispo­si­zio­ne alla subor­di­na­zio­ne costrui­ta attra­ver­so edu­ca­zio­ne, rap­pre­sen­ta­zio­ni cul­tu­ra­li e aspet­ta­ti­ve socia­li allo­ra il model­lo rischia di resta­re un idea­le irrag­giun­gi­bi­le. Per dire un sì pie­no occor­re, infat­ti, non solo sape­re cosa si vuo­le, ma anche ave­re la con­sa­pe­vo­lez­za che quel desi­de­rio pos­sa esse­re legit­ti­mo e accet­ta­bi­le, cosa nien­te affat­to scon­ta­ta con­si­de­ran­do che mol­te don­ne cre­sco­no sen­za stru­men­ti per esplo­rar­lo o nomi­nar­lo, abi­tua­te a misu­ra­re il pia­ce­re in fun­zio­ne di quel­lo maschi­le.

Non è irri­le­van­te ricor­da­re che il con­cet­to stes­so di con­sen­so (Gar­cia 2022), oggi cen­tra­le nel discor­so pub­bli­co, è sta­to in par­te mutua­to dal­le pra­ti­che BDSM, dove da tem­po vige la rego­la che ogni inte­ra­zio­ne sia nego­zia­ta, espli­ci­ta­ta e pas­si­bi­le di revi­sio­ne in ogni momen­to. In quel con­te­sto, la cor­ni­ce è chia­ra e con­di­vi­sa da chi par­te­ci­pa. Nel­le rela­zio­ni ses­suo-affet­ti­ve ordi­na­rie, inve­ce, essa si amman­ta di ‘natu­ra­li­tà’: si dà per scon­ta­to che le don­ne sap­pia­no e voglia­no com­por­tar­si in un cer­to modo esse­re dispo­ni­bi­li, acco­mo­dan­ti, gra­ti­fi­can­ti e pro­prio que­sta pre­sun­ta nor­ma­li­tà ren­de più dif­fi­ci­le espli­ci­ta­re il pro­prio con­sen­so, non solo rispet­to al con­tat­to ses­sua­le ma anche nel­le fasi che lo pre­ce­do­no, dal cor­teg­gia­men­to alle dina­mi­che di avvi­ci­na­men­to. In real­tà, nul­la di tut­to ciò ha a che vede­re con la ‘natu­ra’: sono aspet­ta­ti­ve socia­li sedi­men­ta­te, che han­no fini­to per con­fon­der­si con l’ovvio e con il nor­ma­le.

Come osser­va Kathe­ri­ne Angel in Il ses­so che ver­rà (2022), l’educazione ses­sua­le e sen­ti­men­ta­le domi­nan­te ha sto­ri­ca­men­te igno­ra­to il desi­de­rio fem­mi­ni­le, con­cen­tran­do­si inve­ce sul­la pre­ven­zio­ne dei rischi e sull’adeguamento a uno script ete­ro­ses­sua­le stan­dar­diz­za­to. In que­sto sche­ma, il cor­po fem­mi­ni­le è più spes­so ogget­to di desi­de­rio che sog­get­to desi­de­ran­te: un cor­po che  ‘si con­ce­de o ‘accet­ta’, ma rara­men­te uno che pro­po­ne, inven­ta, esplo­ra. Il risul­ta­to è che il con­sen­so for­ma­le può esse­re pre­sen­te ma il desi­de­rio rea­le resta­re opa­co, frain­te­so o sem­pli­ce­men­te muto. A que­sta opa­ci­tà si aggiun­ge un altro ele­men­to: la per­for­ma­ti­vi­tà del pia­ce­re. Mol­te don­ne impa­ra­no pre­sto che mostra­re un cer­to desi­de­rio ‘addo­me­sti­ca­to’, un entu­sia­smo e una gra­ti­tu­di­ne ses­sua­le di fac­cia­ta è par­te inte­gran­te del copio­ne, a pre­scin­de­re da quan­to ciò cor­ri­spon­da dav­ve­ro a quel­lo che sen­to­no.

Que­sta dina­mi­ca non è mar­gi­na­le. Se il con­sen­so si ridu­ce a una per­for­man­ce, diven­ta dif­fi­ci­le distin­gue­re tra ade­sio­ne auten­ti­ca e con­for­mi­tà a un ruo­lo. L’entusiasmo reci­ta­to pro­teg­ge dal­la pos­si­bi­li­tà di esse­re per­ce­pi­te come fred­de, dif­fi­ci­li o ina­de­gua­te, ma al prez­zo di allon­ta­na­re anco­ra di più dal­la cono­scen­za dei pro­pri biso­gni. Que­sta mes­sa in sce­na del pia­ce­re ha tro­va­to, soprat­tut­to in pas­sa­to, un allea­to nel lin­guag­gio del self-help e del­la cre­sci­ta per­so­na­le, soprat­tut­to nel­le sue decli­na­zio­ni sen­ti­men­ta­li. Manua­li, cor­si e con­te­nu­ti moti­va­zio­na­li rivol­ti alle don­ne han­no insi­sti­to spes­so su un’idea di ‘lavo­ro su di sé’ che coin­ci­de­va con l’arte di adat­tar­si: esse­re più com­pren­si­ve, più fles­si­bi­li, più dispo­ste ad ascol­ta­re e a cede­re alle richie­ste altrui. La feli­ci­tà di cop­pia, in que­sto rac­con­to, dipen­de dall’abilità fem­mi­ni­le di pre­ve­ni­re i con­flit­ti e modu­la­re il pro­prio com­por­ta­men­to in base alle esi­gen­ze del part­ner. È una peda­go­gia del­la sot­to­mis­sio­ne pre­sen­ta­ta come empo­wer­ment, e che rara­men­te invi­ta­va a met­te­re in discus­sio­ne il con­te­sto in cui quei com­pro­mes­si si ren­do­no neces­sa­ri.

Se a lun­go l’educazione fem­mi­ni­le è coin­ci­sa con una serie di pre­scri­zio­ni pen­sa­te per far spe­ri­men­ta­re alle don­ne il pia­ce­re del­la sot­to­mis­sio­ne oscu­ran­do­ne la natu­ra impo­sta all’interno del­le rela­zio­ni con gli uomi­ni, la rifles­sio­ne fem­mi­ni­sta di De Beau­voir e Manon ci con­sen­te di ana­liz­za­re que­ste dina­mi­che rive­lan­do­ne final­men­te le cri­ti­ci­tà. 

Tut­ta­via, il rischio è che que­sto patri­mo­nio teo­ri­co si tra­sfor­mi in un ulte­rio­re moti­vo di affa­ti­ca­men­to: uno stru­men­to che, inve­ce di libe­ra­re, ali­men­ta il sen­so di col­pa e l’autosorveglianza, impo­nen­do di misu­ra­re ogni scel­ta in ter­mi­ni di coe­ren­za con un idea­le di eman­ci­pa­zio­ne. Così il pro­ble­ma sem­bra rica­de­re anco­ra una vol­ta sul­le don­ne, chia­ma­te a giu­sti­fi­ca­re ogni gesto e a doman­dar­si se sia ‘abba­stan­za fem­mi­ni­sta’. Per que­sto è fon­da­men­ta­le che tali stru­men­ti non si tra­du­ca­no in un nuo­vo regi­me di con­trol­lo indi­vi­dua­le, ma diven­ti­no piut­to­sto la leva per ribal­ta­re le con­di­zio­ni col­let­ti­ve che ren­do­no la sot­to­mis­sio­ne l’opzione più pra­ti­ca­bi­le. Non tan­to pas­sa­re al setac­cio i com­por­ta­men­ti quo­ti­dia­ni, quan­to inter­ro­ga­re le strut­tu­re che restrin­go­no il cam­po del­le pos­si­bi­li­tà. Ed è for­se anche il modo miglio­re per rispon­de­re a quel­le don­ne che mi scri­vo­no di sen­tir­si ‘poco fem­mi­ni­ste’: non spo­sta­re anco­ra una vol­ta il peso sul sin­go­lo gesto, ma rico­no­sce­re che il pro­ble­ma non sta in loro, ben­sì in un siste­ma che ren­de dif­fi­ci­le non solo distin­gue­re tra liber­tà e sot­to­mis­sio­ne, ma soprat­tut­to per­se­gui­re quel­la liber­tà in un con­te­sto che con­ti­nua­men­te rispe­di­sce indie­tro. Solo allo­ra potre­mo comin­cia­re a chie­der­ci, ogni vol­ta, se quel “sì” che pro­nun­cia­mo è dav­ve­ro nostro, o se appar­tie­ne a una sto­ria più lun­ga, scrit­ta mol­to pri­ma di noi.

Foto­gra­fia di Omar Ian­nuz­zi

Biblio­gra­fia

Angel, K. 2022. Il ses­so che ver­rà. Don­ne e desi­de­rio nell’era del con­sen­so, Blac­kie Edi­zio­ni, MIla­no.

Bowl­by, J. 1999. Attac­ca­men­to e per­di­ta. Vol. I: L’attaccamento alla madre, Bol­la­ti Borin­ghie­ri, Tori­no.

Cho­der­los de Laclos, P‑A F. 1990. L’educazione del­le don­ne, Sel­le­rio, Paler­mo.

De Beau­voir, S. [1949] 2016. Il secon­do ses­so, Il Sag­gia­to­re, Mila­no.

De La Boé­tie, É. 2014. Discor­so sul­la ser­vi­tù volon­ta­ria, Fel­tri­nel­li, Mila­no.

Freud, S. [1919] 2000. Un bam­bi­no vie­ne pic­chia­to. Con­tri­bu­to alla cono­scen­za dell’origine del­le per­ver­sio­ni ses­sua­li, in Ope­re di Sig­mund Freud, vol. IX: L’Io e l’Es e altri scrit­ti 1917–1923, Bol­la­ti Borin­ghie­ri, Tori­no.

Gar­cia, M. 2022. Di cosa par­lia­mo quan­do par­lia­mo di con­sen­so. Ses­so e rap­por­ti di pote­re. Einau­di, Tori­no. 

Gar­cia, M. 2021. Sot­to­mes­sa non si nasce, si diven­ta, Not­te­tem­po, Mila­no.

Man­nel­li, L. 2025. Sto­ria dei miei peli, 66thand2nd, Roma.

Rous­seau, J‑J. [1762] 2017. Emi­lio, Mon­da­do­ri, Mila­no. 

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