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Giugno
27 Giugno 2024

TRA NOMA­DI­SMO E VAN­LI­FE

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Sono le 18:35 di un mar­te­dì di novem­bre. Tor­ni a casa dal­le tue quo­ti­dia­ne otto ore in uffi­cio. Per mezz’ora sei rima­sto bloc­ca­to nel traf­fi­co, sui mez­zi pub­bli­ci o alla gui­da del­la tua auto. Pio­ve. Sei fru­stra­to e tri­ste. Ricor­di che il fri­go è vuo­to e devi scen­de­re a fare la spe­sa, in un super­mer­ca­to dove tut­to costa sem­pre di più. Pri­ma ti abban­do­ni sul diva­no per un momen­to di ripo­so. Scrol­li i reels di Insta­gram e per una vol­ta i video che com­pa­io­no non ti sem­bra­no un flus­so ano­ni­mo e indif­fe­ren­zia­to, ma par­la­no pro­prio a te. Due gio­va­ni ragaz­zi, bion­di e sor­ri­den­ti, si pre­pa­ra­no per la not­te. La tra­scor­re­ran­no nel loro van, di fron­te all’oceano. Un’abitazione di cemen­to e mat­to­ni non ce l’hanno e per vive­re scat­ta­no foto­gra­fie e rac­con­ta­no i posti mera­vi­glio­si in cui appro­da­no con la loro casa su ruo­te.

Scor­ri.

Un caso­la­re immer­so nel ver­de ripre­so dall’alto. Il sole splen­de. È un eco-vil­lag­gio, ti dice la voce fuo­ri cam­po. Ven­go­no inqua­dra­ti i sor­ri­si di alcu­ni bam­bi­ni. Un uomo con la bar­ba ti rac­con­ta che la sua comu­ni­tà ha qua­si tut­to il cibo che gli ser­ve gra­zie agli orti col­ti­va­ti in comu­ne e che fra poco rag­giun­ge­ran­no anche la pie­na indi­pen­den­za ener­ge­ti­ca gra­zie ai pan­nel­li sola­ri e ad altre fon­ti alter­na­ti­ve. Pri­ma di cam­bia­re vita l’uomo con la bar­ba lavo­ra­va in un’azienda in una gran­de cit­tà, otto ore al gior­no. Pro­prio come te.

La pre­sen­za di que­sto gene­re di con­te­nu­ti sui social net­work risa­le già a una deci­na di anni fa. Il pri­mo uso dell’hashtag #van­li­fe è addi­rit­tu­ra del 2011, men­tre su You­tu­be è pos­si­bi­le tro­va­re un Tedx Talk in cui si par­la di eco-vil­lag­gi risa­len­te al 2015. Ma è con la pan­de­mia da Coro­na­vi­rus che la loro popo­la­ri­tà è esplo­sa. Da una par­te il biso­gno di eva­sio­ne men­ta­le det­ta­to dai vari loc­k­do­wn, dall’altra la pre­sa di coscien­za del­le con­trad­di­zio­ni in seno al nostro model­lo socia­le han­no por­ta­to mol­te per­so­ne a rivol­ge­re la pro­pria atten­zio­ne a sti­li di vita alter­na­ti­vi. Il pro­ble­ma è che pron­ti ad atti­ra­re quell’attenzione c’erano mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne tutt’altro che alter­na­ti­vi.

Non è cer­to una novi­tà il feno­me­no per cui sti­li di vita anti­con­for­mi­sti eva­da­no dal siste­ma attra­ver­so la por­ta sal­vo poi rien­tra­re dal­la fine­stra con mez­zi di nar­ra­zio­ne e comu­ni­ca­zio­ne di mas­sa. Ad esem­pio, il movi­men­to hip­py, un tem­po con­tro­cul­tu­ra poten­te e alter­na­ti­va è sta­to inglo­ba­to nei decen­ni dal siste­ma capi­ta­li­sta pre­stan­do spes­so il pro­prio sti­le a mol­te col­le­zio­ni di fast fashion inqui­nan­ti e ini­que. Lo stes­so vale per le vicen­de bio­gra­fi­che di Chri­sto­pher McCand­less, dive­nu­te con Into the Wild un brand nar­ra­ti­vo con un film attual­men­te dispo­ni­bi­le su Ama­zon Video.

Muo­ve­re una cri­ti­ca a que­ste con­trad­di­zio­ni è un’operazione ste­ri­le. È evi­den­te come in tem­pi di cre­scen­te mono­po­liz­za­zio­ne, anche dei media e di tut­ti gli stru­men­ti depu­ta­ti al rac­con­to del­la real­tà, pas­sa­re per que­sti stes­si stru­men­ti allo sco­po di rag­giun­ge­re un pub­bli­co il più ampio pos­si­bi­le è una scel­ta qua­si obbli­ga­ta. A mag­gior ragio­ne se il fine ulti­mo che si per­se­gue non è il rag­giun­gi­men­to del­le mas­se in sé, ben­sì la sti­mo­la­zio­ne di un cam­bia­men­to con­cre­to nel­la socie­tà. Tut­ta­via, tene­re d’occhio i limi­ti intrin­se­ci a que­sto gene­re di rac­con­ti è neces­sa­rio ad evi­ta­re da una par­te una deri­va uto­pi­sti­ca, dall’altra che il siste­ma di vita alter­na­ti­vo ven­ga inglo­ba­to dal siste­ma domi­nan­te anche nel­la sua real­tà mate­ria­le e non solo nel­la sfe­ra del­la nar­ra­zio­ne media­ti­ca.

Secon­do Mark Fisher la for­za del capi­ta­li­smo sta pro­prio nel­la capa­ci­tà di inglo­ba­re in sé anche gli ele­men­ti dia­let­ti­ci e le con­trad­di­zio­ni che pro­du­ce. Que­sto vale tan­to per la musi­ca punk tra­smes­sa su MTV quan­to per le comu­ni hip­py rac­con­ta­te attra­ver­so Insta­gram.

La con­sa­pe­vo­lez­za di que­sto pro­ces­so impli­ca anche quel­la sul­la sostan­zia­le fal­li­bi­li­tà del pro­ces­so di distru­zio­ne dall’interno, che  dun­que non abbat­te ma rin­for­za. A bene­fi­cia­re dell’incontro fra sti­li di vita alter­na­ti­vi e mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne main­stream è soprat­tut­to il secon­do, con­te­ni­to­re che gra­zie al con­te­nu­to legit­ti­ma la sua pre­sen­za anche nel cam­po dell’alternativa. Ospi­tan­do al suo inter­no la musi­ca alter­na­ti­ve le major non si mostra­no sol­tan­to come le distri­bu­tri­ci del pop, ma come le distri­bu­tri­ci di tut­ta la musi­ca pos­si­bi­le. La con­se­guen­za è che, sem­pre più, la vera alter­na­ti­va non sarà ciò che sta al di fuo­ri del siste­ma domi­nan­te. Se il siste­ma domi­nan­te ha in sé la tota­li­tà, ciò che è fuo­ri sem­pli­ce­men­te non esi­ste. E quin­di il ter­mi­ne “indie” che nel cam­po del­la musi­ca un tem­po indi­ca­va i dischi e gli arti­sti pro­dot­ti fuo­ri dal­le gran­di label, ades­so con­no­ta sol­tan­to uno sti­le e del­le sono­ri­tà, le qua­li non solo sono entra­te nel­le major, ma sono addi­rit­tu­ra in cima alle clas­si­fi­che d’ascolto. Que­sto feno­me­no, che un tem­po pote­va anco­ra esse­re una pos­si­bi­li­tà, oggi è una real­tà con­cla­ma­ta (The­re is no alter­na­ti­ve). Per­fi­no un moto rivo­lu­zio­na­rio, dun­que, aven­do biso­gno di una cas­sa di riso­nan­za, si ser­ve di quel­le già esi­sten­ti, in mano alla strut­tu­ra e sovra­strut­tu­ra che ideal­men­te dovreb­be sov­ver­ti­re.  Nel nostro con­te­sto il mas­si­mo del­la con­trad­di­zio­ne si ha con i video in cui alcu­ni con­tent crea­tor pro­va­no il detox dai social net­work, i qua­li ven­go­no pub­bli­ca­ti sui social stes­si.

Tut­to ciò non signi­fi­ca che anche un movi­men­to alter­na­ti­vo di per sé non pos­sa trar­re bene­fi­cio dall’utilizzo di un gran­de mez­zo di comu­ni­ca­zio­ne, ma che que­sto impli­ca l’impossibilità di un cam­bia­men­to che sia dav­ve­ro col­let­ti­vo, un cam­bio di para­dig­ma. Il rac­con­to media­ti­co del­le alter­na­ti­ve di vita, quan­do pas­sa per i mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne domi­nan­ti può coin­vol­ge­re sol­tan­to la sfe­ra indi­vi­dua­le, la scel­ta del sin­go­lo.

Il limi­te è intrin­se­co al siste­ma di comu­ni­ca­zio­ne ado­pe­ra­to. Pri­vi­le­gian­do con­te­nu­ti posi­ti­vi e otti­mi­sti­ci, ad esem­pio, l’algoritmo di Insta­gram spin­ge i crea­tor al rac­con­to entu­sia­sta del­lo sti­le di vita alter­na­ti­vo, tacen­do o mini­miz­zan­do i pun­ti cri­ti­ci. Per quan­to riguar­da gli eco-vil­lag­gi le linee reto­ri­che sono sem­pre due, e, alter­nan­do­si con­sen­to­no di mostra­re anche gli ele­men­ti nega­ti­vi come stru­men­ti posi­ti­vi del rac­con­to.

Da una par­te la vita in comu­ne in mez­zo alla natu­ra vie­ne rac­con­ta­ta come uni­ca o prin­ci­pa­le alter­na­ti­va eco­lo­gi­ca e di benes­se­re indi­vi­dua­le. La vita in cit­tà è inqui­nan­te e ren­de fru­stra­ti, sol­tan­to mol­lan­do tut­to e rifu­gian­do­si in un vil­lag­gio da ven­ti­cin­que abi­tan­ti per pra­ti­ca­re la medi­ta­zio­ne e vive­re di per­ma­cul­tu­ra si può sal­va­re il mon­do dal­la cri­si ambien­ta­le e risco­pri­re l’autenticità del­la vita. Ma que­sta visio­ne si pre­sta alla cri­ti­ca per la qua­le que­sto life­sty­le sia anti­so­cia­le, frea­ket­to­ne o las­si­sta.

Ed è qui che inter­vie­ne l’altra linea reto­ri­ca, secon­do la qua­le la vita in eco-vil­lag­gio è una vita di sacri­fi­cio, di fati­ca, pri­va­zio­ni e asce­si. Gli abi­tan­ti degli eco-vil­lag­gi sareb­be­ro insom­ma ben lon­ta­ni dal­lo ste­reo­ti­po dell’hippy fan­caz­zi­sta e ven­go­no legit­ti­ma­ti in que­sto modo agli occhi del siste­ma domi­nan­te, in quan­to por­ta­to­ri sani del prin­ci­pio fon­dan­te del duro lavo­ro.

La con­trad­di­zio­ne è, se pos­si­bi­le, anco­ra più evi­den­te per quan­to riguar­da la cosid­det­ta #van­li­fe. Come sot­to­li­nea Rachel Mon­roe nel suo arti­co­lo per il New Yor­ker, la van life come con­cet­to e come comu­ni­tà è essen­zial­men­te un feno­me­no che con­cer­ne i social net­work. L’uso di un hash­tag spe­ci­fi­co ha con­sen­ti­to a del­le per­so­ne che altri­men­ti sareb­be­ro sta­te sol­tan­to dei vaga­bon­di di tra­sfor­ma­re i pro­pri viag­gi in pro­dot­ti. La con­se­guen­za prin­ci­pa­le è che lo sti­le di vita diven­ta un vero e pro­prio brand con una gran­de attrat­ti­va per il mer­ca­to pub­bli­ci­ta­rio, il qua­le si è dimo­stra­to pron­tis­si­mo a sfrut­ta­re l’occasione con pub­bli­ci­tà e part­ner­ship di spon­so­riz­za­zio­ne.

Il risul­ta­to è che, men­tre il feno­me­no nar­ra­ti­vo è in espan­sio­ne, trai­na­to dall’ottimismo e dall’entusiasmo dei pro, e con i pun­ti di cri­ti­ci­tà ben rele­ga­ti ai mar­gi­ni del rac­con­to, nel­la real­tà mate­ria­le i con­tro ini­zia­no comun­que a pro­dur­re le pro­prie con­se­guen­ze.

Negli Sta­ti Uni­ti, con la pan­de­mia e la pos­si­bi­li­tà di lavo­ra­re a distan­za, sono sta­ti mol­ti i lavo­ra­to­ri che han­no scel­to di lascia­re le gran­di cit­tà dei ric­chi sta­ti costie­ri in cui vive­va­no per anda­re ad abi­ta­re in pic­co­le comu­ni­tà del Texas, dell’Idaho o dell’Arkansas. Pic­co­le cit­ta­di­ne in peren­ne calo demo­gra­fi­co han­no quin­di ini­zia­to a ripo­po­lar­si gra­zie all’attrattiva natu­ra­li­sti­ca e al bas­so costo del­la vita. Le chia­ma­no Zoom Town, dal nome del­la popo­la­re appli­ca­zio­ne per video­con­fe­ren­ze. Tut­ta­via, quel­lo che si pre­sen­ta come un inspe­ra­to effet­to posi­ti­vo del­la pan­de­mia nascon­de in real­tà un rove­scio del­la meda­glia. La fuga dal­le metro­po­li cali­for­nia­ne gen­tri­fi­ca­te ha avvia­to un pro­ces­so di gen­tri­fi­ca­zio­ne rura­le in que­ste pic­co­le comu­ni­tà, tant’è che la poli­ti­ca ha già inter­cet­ta­to il mal­con­ten­to dei pre­ce­den­ti abi­tan­ti fomen­tan­do un sen­ti­men­to di riget­to.

Le alter­na­ti­ve di vita, pro­prio a cau­sa del­la loro natu­ra in con­trap­po­si­zio­ne, non pos­so­no acco­glie­re tut­te e tut­ti. Cer­to, ideal­men­te Mila­no potreb­be svuo­tar­si, ma l’Appennino Tosco-Emi­lia­no sareb­be pron­to a ospi­ta­re tut­ti gli eco-vil­lag­gi neces­sa­ri a far abi­ta­re i mila­ne­si? Il rac­con­to di sti­li di vita anti­con­for­mi­sti sui social net­work è esat­ta­men­te que­sto: un rac­con­to. Può esse­re d’ispirazione, può per­fi­no por­ta­re qual­cu­no a una scel­ta net­ta, ma arre­sta lì il suo poten­zia­le, legit­ti­man­do pro­prio attra­ver­so l’alternativa, il siste­ma domi­nan­te che inten­de con­te­sta­re.

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